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Il secondo, strettamente collegato al primo, è il conio, nell’VIII secolo (e quindi certamente in vista, o a seguito, della proclamazione dello Stato Pontificio di cui sopra, e come “asso nella manica”, per così dire, per il futuro che ad esso si voleva garantire) del cosiddetto Constitutum Constantini, cioè della famosa (e famigerata, perché falsa) “donazione di Costantino”, che tanto agiterà Dante (ne parleremo nei prossimi capitoli), perché da essa risultava che il primo imperatore cristiano, alla sua morte, aveva lasciato tutti i territori dell’Impero romano d’Occidente « al santissimo e beatissimo Silvestro, padre dei padri, e a tutti i suoi successori che siederanno nella sede del beato Pietro fino alla fine del mondo » (sanctissimo ac beatissimo patri patrum Silvestrio, urbis Romae episcopo et papae, atque omnibus eius successoribus, qui in sede beati Petri usque in finem saeculi sessuri sunt). Con questo falso documento, naturalmente, la Chiesa poteva presentarsi quale unica erede legittima di tutto l’Impero romano d’Occidente, e proclamare esplicitamente il suo programma di dominio universale (già iniziato, di fatto, con il papato di Gregorio Magno (590-604)). Il fatto che questo documento, come venne rivelato dall’umanista Lorenzo Valla (1407-1457), nel suo famoso studio De falso credita et ementita Constantini donatione, sia uno dei più clamorosi falsi della storia europea, rende la sua interpretazione storica molto più facile per noi che non fosse per Dante. Il quale, invece, partendo naturalmente dal presupposto che il documento fosse autentico, doveva affrontare il difficile — e alquanto doloroso — compito di dare un giudizio storico e morale sia del presunto donatore, l’imperatore Costantino, sia del papa Silvestro, presunto beneficiario della donazione. Vedremo come assolve questo compito.
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Mario Alinei (Dante rivoluzionario borghese: Per una lettura storica della Commedia (Italian Edition))