Fobie Quotes

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Ma è un fatto d'esperienza che esiste un'attività psichica preconscia, cui corrispondono fattori autonomi, precisamente gli archetipi. Se si giunge a riconoscere che le voci e le idee deliranti di un malato di mente sono autonome, che le fobie e le ossessioni di un neurotico sono sottratte alla sua ragione e alla sua volontà, che l'Io non può fabbricare ad arbitrio nessun sogno, ma che sogna semplicemente quel che deve, allora si può anche capire che prima furono gli dei e poi la teologia. Anzi, si deve fare apertamente ancora un passo, e ammettere che prima ci fu una figura luminosa e una crepuscolare, e soltanto in seguito una chiarezza della coscienza, che si liberò dalla notte e dal suo incerto lume stellare. {Lo Spirito Mercurio}
C.G. Jung
CİDDİ CİDDİ MUTLULUĞUN SIRLARI Şimdi diğer kişisel gelişim kitabıma, mutlu olmanın yollarına geçiyorum. - Bir beyniniz var. Ve beyin kullanılmak ister. Hep açtır. Eğer beslemezsen gider çöpten beslenir! Vesvese yapar, fobi üretir, korku dolu senaryolar yazar, onu bunu kıskanır, bunalır, sonunda alev alıp kendini yakar! Beynini bilgiyle besle, geceleri rahat uyursun. Boş kaldığında vur bir kitap, vur bir belgesel, vur bilgi dolu bir sohbet. Tarih olur, tıp olur, sanat olur, teknoloji olur, ne seviyorsan. Ooh beynin de rahat etsin sen de. Hem de bilgileri sonra etrafta satarsın, seksi olur. Öğrenmek bir partidir! ...
Gülse Birsel (Beni Gözünüzde Büyütmeyin!)
Di fobia sociale, invece, non ho mai sofferto, nonostante la timidezza. Oggi mi intrattengo sempre piú spesso con chi non conosco, la vita mi ha obbligato a vincere questa debolezza, mi ha spinto con forza, quasi costretto, in tal senso. Costretto a fare piú che a riflettere, a muovermi di pancia e non con la ragione. L’esperienza quindi dovrebbe insegnarmi che se ti forzi ad affrontare ciò che temi, alla fine la vinci, che è un po’ il concetto del dottor Cavalli: guarda in faccia le tue paure finché non ti faranno piú paura. Dovrei perciò prendere un aereo al giorno, andare a vivere in una casa piena di blatte e ragni, semmai iscrivermi alla Napoli-Capri, cosí da nuotare in mare aperto, e forse nel giro di qualche anno potrei ambire a diventare finalmente un uomo perfetto, una persona senza punti deboli. Possibile? Non credo. Non esistono persone senza punti deboli. Forse riuscirei a vincere la paura di volare, potrei anche arrivare a dormire in una stanza piena di ragnatele (in realtà una volta ho dormito da solo in una stanza di un B&b nella quale c’era un grosso ragno, nascosto però dietro a un armadio), potrei tentare di combattere la mia ipocondria ogni giorno e un domani forse non provare piú questo fottuto terrore, ma quale sarebbe il dazio da pagare? Quanto sforzo, quanto dolore, quanta paura comporterebbe sfidare in campo aperto le mie fobie? E questo sforzo, questa paura, non provocherebbero altra paura? Non posso affrontare tutto, semplicemente perché non ci riesco, sono umano, con tutto ciò che questo vuol dire. A proposito di accettazione. Mi piacerebbe essere piú equilibrato, ma so di trovarmi sotto quella coperta sempre troppo corta: se tiro da un lato, resto scoperto dall’altro. Qualcuno parla di ipersensibilità dell’amigdala, la sede del cervello a forma di mandorla che gestisce le emozioni e in particolare la paura. Se hai la sfiga di avere questa zona ipersensibile, sei costretto a fotterti dalla paura costantemente: l’amigdala in questi casi, al pari del neurone inibitore ubriaco(ricordate?), sta sempre sul chi va là, inviandoti di continuo scariche di adrenalina con lo scopo di farti reagire prontamente a una situazione di pericolo. L’unica cosa che ottiene, però, è mandarti fuori di zucca, perché in verità ti trovi sul divano e stai guardando la tv, e il solo pericolo incombente è che ti possa venire un crampo alla pancia per via della cioccolata di cui ti sei abbuffato nel tentativo di vincere l’angoscia persistente che ti fa sentire l’irrefrenabile voglia di scappare a gambe levate, come se ai tuoi piedi stesse strisciando un boa constrictor. E pensare che un tempo avevamo solo questa parte di cervello, eravamo guidati solo da istinto ed emozioni, il sistema limbico (adibito alle funzioni psichiche, all’emotività) dominava il cervello già nei rettili di un tempo. Solo milioni di anni dopo il cervello pensante si è evoluto da questi centri emozionali. Per quel che mi riguarda, cerco di fregare l’amigdala con «l’evitamento», mi costruisco degli appigli per tirare avanti alla buona e sentire meno la paura, tento di distrarmi, ecco, in attesa che, chissà, un domani qualcuno mi aiuti a imboccare la strada giusta, mi apra gli occhi e mi infonda il coraggio per guardare in faccia ciò che non ho avuto il coraggio di guardare fino a oggi. Aspetto che sia la vita ancora una volta a darmi lo scossone e a spingermi verso nuove strade nelle quali la paura non mi farà piú da compagna quotidiana. Nel frattempo, mi impegnerò in ciò che mi fa stare bene e continuerò ad aspettare un refolo di sole per andare sul lungomare con la mia famiglia. La felicità dalle mie parti: un venticello fresco che sa di primavera, una pizza fumante, il mare là dietro, una birra ghiacciata, mia moglie e mio figlio.
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
Insomma, la primavera è la stagione piú bella, con il suo carico di vita e speranza che rigenera corpo e spirito. Ma si porta dietro, ahimè, anche una serie infinita di fobie contro le quali diventa difficile difendersi. Allora forse è meglio l’inverno, la stagione piú abitudinaria; perché in fondo noi di quello abbiamo bisogno, delle nostre piccole e inutili certezze con cui ci illudiamo di avere tutto sotto controllo. D’estate regnano anarchia e imprevedibilità, siamo costretti ad allontanarci dalle nostre cose, anche dai medici e dai farmacisti (che se la godono alle nostre spalle), e semmai ci ritroviamo su un’isola meravigliosa, certo, ma il primo ospedale dista un’ora di elicottero. Soffriamo l’estate, le stagioni di mezzo contribuiscono a risvegliare fastidiosi sintomi, resta l’inverno, come dicevo, il lungo inverno fatto di giornate buie e corte, di pioggia e serate in casa. Se sei meteoropatico, problemi tuoi, per un ipocondriaco fobico l’inverno rappresenta forse il giusto compromesso. A meno che non soffri anche di quionofobia, la paura dell’inverno e della neve, o di frigofobia, il terrore irrazionale di avere freddo. Ognuno ha le sue paure, ci scherzo su, ma in verità rispetto tutti. E come potrei proprio io non farlo? È che il mondo è come te lo metti in testa. Sapete vero che le immagini della realtà ci arrivano dritte sulla retina, ma questa le capovolge? È il cervello ogni volta a dover intervenire per mettere a posto le cose, a ribaltare la visuale per mostrarci il mondo per ciò che in effetti è. È la ragione a instradarci, l’istinto (il corpo) invece sa benissimo che non c’è niente di dritto e niente di vero, non c’è un solo modo di vedere le cose, e ciò che ad alcuni sembra in equilibrio, altri lo ritengono storto, ciò che a molti appare normale, tanto normale per altri non è. Ci illudiamo di controllare la vita, di conoscere la strada, spesso siamo convinti di avere la verità in tasca, e che la nostra visione, la nostra esperienza, sia la verità assoluta, quando invece si tratta solamente di un’opinione. Siamo tutti prigionieri dentro una caverna, come ci ricorda Platone, e quello che ci è permesso vedere il piú delle volte è solo la proiezione della realtà, l’ombra della verità. Pochi riescono a uscire da questa visione limitata che rende schiavi, e questi pochi non sono poi creduti da tutti gli altri, che continuano beati a pensare di star guardando il reale. Siamo limitati, e poco inclini a un livello superiore di conoscenza, convinti che ciò che ci dice la testa sia la strada. Ogni capa è nu’ tribunale, diceva un altro grande filosofo, mio nonno.
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
Non avevo voglia di aprirmi fino in fondo, gli avrei dovuto spiegare che di rassegnazione nelle mie parole non ce n’era, parlerei piú di accettazione, che significa prendere atto della realtà senza star lí a sprecare energie vitali. La distinzione è sottile, ma importante: la rassegnazione è una resa, l’accettazione è un punto di partenza. La prima ci obbliga a rinunciare a modificare le cose, a trasformare le situazioni, accettare invece ci dà la possibilità di spostare l’attenzione su altro, di restare vivi e ripartire, cercando di modellarci sul presente, di assecondare con i nostri movimenti gli attacchi della vita, come il judoka, che sa che contrastare aggredendo spesso porta solo a un dispendio di forze. Io, caro padre, accetto, non mi rassegno. Accetto di non poter cambiare alcuni aspetti di me e della mia vita, o di poterli cambiare solo grazie a enormi sacrifici. Accetto di non poter contrastare fino in fondo le mie paure, le fobie, le debolezze. Accetto quei muri grigi e la porticina laterale. Accetto di essere ipocondriaco. Non mi rassegno a dover morire, questo no, ma accetto di non poter fare nulla per contrastare questo. In fondo si tratta di accogliere l’idea che dalle cellule alle stelle tutto muore, e che un domani anche la mia fine servirà, grazie alle morti di ciascuno di noi la vita avrà lo spazio per rigenerarsi, ed evolvere. La caduta dell’albero permette alla luce di raggiungere nuovamente il terreno sottostante, cosí da far nascere un nuovo tronco. Gli atomi di cui sono composto, che forse un tempo sono appartenuti a un dinosauro, a un faraone, a Buddha, chissà, questi stessi atomi che provengono da una stella esplosa lontano, in altre galassie, dopo la mia morte rimarranno qui e torneranno in circolo, finiranno in milioni di altri organismi, senza mai fine. Si tratta forse di curvare quella che crediamo essere una linea retta fino ad avere un cerchio: non nascita, vita, morte, ma nascita, vita, morte, nascita, vita, morte, nascita, vita, morte… nascita. «La vita è solo un breve periodo di tempo in cui sei vivo». Lo disse quel genio di Philip Roth. Solo un breve periodo di tempo in cui siamo vivi. È una parentesi, in fondo, la nostra vita, e dico questo non perché voglia fare il pesante, il pessimista e il menagramo, no. Ho scherzato fino a ora e continuerò a farlo, tenterò di tenere a bada l’ansia con l’ironia e quella leggerezza che ad alcuni dà fastidio e altri non riconoscono. Ma non voglio parlare di me, desidero disquisire di vita, e di come la spendiamo. Perciò cito le parole di Roth e parlo di piccola parentesi, perché credo che il primario compito di ognuno sia rendere degna la propria esistenza, combattere con tutte le forze affinché sia tale, per non sentire di avere sprecato l’unica grande occasione che ci è stata data. Abbiamo il dovere di riempire questa parentesi di piú cose possibili, di piú cose meravigliose possibili. Dobbiamo approfittare del tempo, anzi approfittare del fatto che il tempo è poco, per lasciare un segno del nostro passaggio terreno. Lo diceva il giovane Seneca a soli venti anni: «La vita che ci è data è lunga a sufficienza per compiere grandissime imprese, purché sia spesa bene». Lo cantava anche Omero nell’Iliade: «Come stirpi di foglie, cosí le stirpi degli uomini; | le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva | fiorente le nutre al tempo di primavera; | cosí le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua». E chissà che un giorno non ci ritroveremo a volare liberi nell’aria per poi posarci sulla spalla di un nostro caro, come le farfalle monarca del Messico. «Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla», è una meravigliosa frase taoista. Ecco, questo paragrafo, questo piccolo pensiero, caro padre, è il mio atto di fede, il mio tentativo. Esisto, e un domani sarò esistito, come disse pure Margherita Hack. «Qualcuno si ricorderà di me. E se cosí non fosse, non importa».
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)