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E dimmi che non stavo sognando quella notte, quando sentii un rumore sul pianerottolo vicino alla porta e all’improvviso mi resi conto che c’era qualcuno in camera mia, seduto ai piedi del letto e pensava, pensava, pensava e poi iniziò ad avvicinarsi e alla fine si sdraiò, non accanto a me, ma sopra di me, mentre io ero supino, e mi piaceva tanto che, per non rischiare di fargli capire che mi aveva svegliato o che cambiasse idea e se ne andasse, finsi di dormire beato, e intanto pensavo: Questo non è, non può essere, speriamo non sia un sogno, perché le parole che mi vennero in mente, mentre stringevo più forte gli occhi, furono: È come tornare a casa, sì, è come tornare a casa dopo essere stato via per anni, tra lestrigoni e troiani, è come tornare in un luogo dove sono tutti uguali a te, dove la gente sa, lo sa e basta… Tornare a casa, come quando ogni cosa va al posto giusto e d’improvviso ti rendi conto che per diciassette anni non hai fatto altro che trafficare con la combinazione sbagliata. E fu allora che decisi di farti capire senza spostarmi, senza muovere un singolo “muscolo del corpo, che se avessi insistito ero pronto a cedere, avevo già ceduto, ero tuo, tutto tuo, ma all’improvviso non c’eri più, e se era sembrato troppo vero per essere un sogno, capii che da quel giorno in poi avrei voluto solo che facessi ciò che mi avevi fatto nel sonno.
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