Lo Spietato Quotes

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Tu saresti capace di usarmi per poi buttarmi via come un sacchetto di carta, se dovesse essere necessario. Dio ti ha fregato, amico mio. Tu sei abbastanza onesto da soffrirne, se dovessi farlo, e contemporaneamente abbastanza spietato da farlo lo stesso.
Stephen King (The Drawing of the Three (The Dark Tower, #2))
...]neanche per un uomo la vita é facile, sai. Poiché‚ avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesi, ti imporranno arbitrarie responsabilità Poiché‚ avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza Poiché‚ avrai una coda davanti, ti ordineranno di uccidere o essere ucciso alla guerra ed esigeranno la tua complicità per tramandare la tirannia che instaurarono nelle caverne. Eppure, o proprio per questo, essere un uomo sarà un'avventura altrettanto meravigliosa: un'impresa che non ti deluderà mai. Almeno lo spero perché‚, se nascerai uomo, spero che sarai un uomo come io l'ho sempre sognato: dolce coi deboli, feroce coi prepotenti, generoso con chi ti vuol bene, spietato con chi ti comanda.
Oriana Fallaci (Letter to a Child Never Born)
Una nuova intimità s’era creata fra loro. Era un’intimità simile all’inizio di un nuovo amore, e quasi senza pensarci, Stoner ne comprese la ragione. Si erano perdonati per il male che si erano fatti l’un l’altra, ed erano rapiti dall’idea di come sarebbe potuta essere la loro vita insieme. Stoner la guardava ormai senza rimpianti. Nella luce morbida del tardo pomeriggio il suo viso sembrava giovane e senza rughe. Se fossi stato più forte, pensava. Se avessi saputo di più. Se avessi potuto comprendere. E alla fine, spietato, pensò: se l’avessi amata di più. Come percorrendo una distanza lunghissima, la sua mano attraversò il lenzuolo che lo copriva e toccò quella di lei. Edith non si mosse; e dopo un po’, Stoner cadde in un sonno profondo.
John Williams (Stoner)
Normalmente, gli artisti che affrontano questo soggetto fanno in modo di dare a Cristo un viso bellissimo: un viso che gli orrendi supplizi non sono riusciti a deformare. Invece, nel quadro di Rogožin, si vede il cadavere di un uomo che è stato straziato prima di essere crocifisso, un uomo percosso dalle guardie e dalla folla, che è stramazzato sotto il peso della croce e che ha sofferto per sei ore (secondo il mio calcolo) prima di morire. Il viso dipinto in quel quadro è proprio quello di un uomo appena tolto dalla croce; non è irrigidito dalla morte ma è ancora caldo e, starei per dire, vitale. La sua espressione è quella di chi sta ancora sentendo il dolore patito. Un viso di un realismo spietato. Io so che, secondo la Chiesa, fin dai primi secoli, Cristo, fattosi uomo, soffrì realmente come un uomo e che il suo corpo fu soggetto a tutte le leggi della natura. Il viso del quadro è gonfio e sanguinolento; gli occhi dilatati e vitrei. Ma, nel contemplarlo, si pensa: «Se gli Apostoli, le donne che stavano presso la croce, i fedeli, gli adoratori e tutti gli altri videro il corpo di Cristo in quello stato, come potevano credere all’imminente resurrezione? Se le leggi della natura sono così potenti, come farebbe l’uomo a dominarle quando la loro prima vittima è stato proprio Colui che, da vivo, impartiva i suoi ordini alla stessa natura, Colui che disse: “Talitha cumi!”, e la bambina morta resuscitò; Colui che esclamò: “Alzati e cammina!”, e Lazzaro, che era già morto, uscì fuori dal suo sepolcro?». Guardando quel quadro, si è presi dall’idea che la natura non sia altro che un mostro enorme, muto, inesorabile, una macchina immensa ma sorda e insensibile, capace di afferrare, lacerare, schiacciare e assorbire nelle sue viscere un Essere che, da solo, valeva come la natura intera con tutte le sue leggi e tutta la terra che, forse, fu creata solo perché potesse nascere quell’uomo! Il quadro dà proprio l’impressione di questa forza cieca, crudele, stupida, alla quale tutto è fatalmente soggetto. Dentro di esso, non c’è nessuno fra quelli che erano soliti seguire Gesù. In quella sera, una sera che annientava tutte le loro speranze e forse anche tutta la loro fede, coloro che seguivano Gesù dovettero provare un’angoscia senza nome. Atterriti, si dileguarono, sostenuti soltanto da una grande idea, un’idea che nessuno avrebbe più potuto togliergli o canccllargli: se il Maestro, alla vigilia del supplizio, avesse potuto vedere la propria immagine, sarebbe salito lo stesso sulla croce? Sarebbe morto nel modo in cui morì?
Fyodor Dostoevsky
Ma qualcuno potrebbe chiedermi: dove si trovava l'angelo custode di Tess? Esisteva una provvidenza che tutelasse la sua ingenua fiducia? Forse, come quell'altra divinità di cui parlava l'ironico Tisbita, stava chiacchierando, o era inseguito, o era in viaggio o forse, stava dormendo e non si era svegliato. Perché su questo bel tessuto femminile, sensibile come una sottile ragnatela e sino ad allora immacolato come la neve veniva tracciato un disegno così rozzo come quello che era destinato a ricevere? Perché così di sovente ciò che è rozzo s'impossessa di ciò che è più delicato: l'uomo sbagliato, di una donna, la donna sbagliata, di un uomo? Migliaia d'anni di filosofia analitica non sono riusciti a spiegarlo al nostro concetto di ordine. Si potrebbe infatti ammettere la possibilità di una vendetta nascosta nella attuale catastrofe; senza dubbio qualche antenato di Tess d'Urberville, in cotta di maglia, tornando a casa eccitato da una rissa aveva usato lo stesso metro, ancor più spietato forse, verso le contadine del suo tempo. Ma, se far ricadere i peccati dei padri sui figli possa essere una morale abbastanza valida per i teologi, questa viene rifiutata dalla comune natura umana; e quindi non servirebbe a migliorare la situazione. La gente come Tess, in quei luoghi sperduti, non si stanca mai di ripetere col tono fatalistico che le è proprio: Doveva accadere.
Thomas Hardy (Tess of the d'Urbervilles)
«Vorrei solo che mi parlassi di più, credo,» ammise, posando la forchetta.Viv deglutì, saliva e disagio e imbarazzo; per cosa, di preciso, non avrebbe saputo spiegarlo. Accadeva sempre quando doveva parlare con Björn, però, come se la sua stessa esistenza avesse il potere di contaminarlo o di aprire uno di quegli squarci di tempo che troppo spesso lo inghiottivano: era un equilibrio precario, quello che Viv manteneva tra l’amore che provava per lui e il terrore profondo di esserne in realtà il carnefice più spietato, una realtà così spaventosa che non aveva mai trovato il coraggio di parlarne con nessuno. Non con gli amici, vecchi e nuovi; non con gli psicologi che aveva incontrato nelle più diverse occasioni né con nessuna delle persone con cui aveva condiviso una parte più o meno consistente e sincera di sé. Sicuramente, non con Björn stesso. Sapeva che suo fratello ne soffriva, lo viveva come una propria mancanza. Ma il loro rapporto era fatto di questo; silenzi intrecciati, verità che si nascondevano e altre che ammettevano controvoglia. Björn stesso non parlava mai volentieri dei suoi problemi e aveva impiegato anni ad ammettere che forse sì, lavorava tanto per non pensare, e che il loro passato aveva scavato solchi così profondi, in lui, da rendere allettante il pensiero di ricoprire tutto con uno spesso strato di intonaco, costruendo muri su muri, perché nessuno potesse leggere il codice braille di una storia che avrebbe preferito scordare.A volte Viv si chiedeva chi fosse stato, davvero, ad abbracciare il silenzio per primo
Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))
Il governo dei popoli cambia natura. Dei vecchi governi, portatori d’indirizzi politici, restano solo le vestigia esteriori. Invece d’essere il centro propulsore d’energia politica, in vista di obiettivi determinati dalle scelte politiche, esso è piuttosto il gestore dello status quo, attraverso la garanzia dei suoi equilibri interni e la difesa dalle perturbazioni esterne. Non a caso – come s’è detto a proposito del nichilismo – è entrata nell’uso la parola molto moderna governance, la «governanza» della quale politologi e costituzionalisti à la page subiscono il fascino. La governance è il coordinamento efficace delle forze in campo, la loro «messa in rete» finalizzata alle diverse «tenute»: tenuta dei conti pubblici, tenuta della coesione sociale, tenuta del «sistema» economico-sociale complessivo, denominato «sistema» o «azienda». Il governo, nella sua visione classica, era chiamato a scelte incidenti sul corpo sociale, secondo visioni politiche. Nella governance, no. La sua funzione è una funzione di garanzia di ciò che esiste nel vasto campo delle forze che operano sul terreno sociale, dunque una funzione conservatrice. Essa mira alla gestione dell’equilibrio tra i fattori, a tenere sotto controllo le situazioni critiche, a ridurre i propri interventi autoritativi, a estendere l’autoregolazione dei diversi attori sociali, a rimettere in moto la macchina che si sia inceppata e a evitare l’implosione determinata dal crescere incontrollato della contraddizione degli interessi. La sostituzione di personale tecnico al personale politico, nelle compagini governative, è la naturale conseguenza. I tecnici sono coloro ai quali ci si rivolge per riparare i meccanismi in panne, per tenere insieme, in regime di compatibilità generali, i pezzi della macchina combinatoria dei soggetti che contano: s’intende, cioè, le forze che rappresentano coloro che avrebbero la forza d’incrinare, se lo volessero, le tanto indispensabili «tenute». Il compito dei tecnici, anche quando mostrano di usare tecniche innovatrici, è intrinsecamente conservatore. Chi sta fuori, non conta o, se la frustrazione e il malessere crescono al punto di creare difficoltà alla tenuta, lo si degna di qualche attenzione caritativa oppure, se non basta, c’è sempre il baculum, il bastone di cui parlava il cardinale Bellarmino, tenuto di riserva. Perciò, si può dire facilmente che la governance è un regime dal doppio regime: conciliatore con chi sta dentro, spietato con chi sta fuori. Così è ogni regime pastorale il cui volto benevolo si associa alla mano correzionale, cioè repressiva
Gustavo Zagrebelsky (Liberi servi: Il Grande Inquisitore e l'enigma del potere)
«Non sei bravo a mentire, agnellino.» Sale sul letto, spingendomi con forza indietro. Mi blocca le braccia sul materasso e avvicina la bocca alla mia. «Sei come un libro aperto per me.»Sento il suo respiro che si mescola con il mio. Le nostre labbra quasi si toccano ma lui rimane immobile, a un soffio da me.«A cosa stavi pensando?» ripete. La mia libertà nei movimenti è limitata ma, spinto da chissà quale istinto, sollevo le spalle più che posso e lo bacio. Vedo i suoi occhi sgranarsi appena per la sorpresa.«Al tuo sangue» sussurro.La sua lingua cerca la mia e quando la trova provo un brivido lungo la schiena.È freddo, feroce e spietato. Non ha pietà per me né per nessun altro. È una bestia senz'anima. Eppure in questo momento non vorrei essere da nessun'altra parte.Stacca la bocca dalla mia e mi morde la clavicola. Sento migliaia di sensazioni diverse percorrermi il corpo, pervadendo ogni singola terminazione nervosa.
Sara Coccimiglio (Il lato oscuro della Luna (Cremisi Vol. 1))
È davvero uno spettacolo molto brutto vedere qualcuno che ha perso tutto. Sai, cantore, è curioso. A suo tempo, mi sembrava che non si potesse perdere tutto, che rimanesse sempre qualcosa. Sempre. Perfino nei tempi del disprezzo, in cui l'ingenuità sa vendicarsi nel modo più spietato, non si può perdere tutto. Ma lui... Lui ha perso un'infinità di sangue, la possibilità di camminare agilmente, l'uso parziale della mano sinistra, la spada da strigo, la donna che amava, la figlia recuperata per miracolo, la fede... Be', ho pensato, qualcosa deve pur essergli rimasto. Mi sbagliavo. Non ha più nulla. Neppure un rasoio. Ti ho chiesto se eri tra quelli che lo hanno ridotto così. Ma forse è una domanda inutile. È chiaro che la risposta è sì. È evidente che sei suo amico. E, se si hanno degli amici, e ciononostante si perde tutto, è chiaro che gli amici ne hanno colpa. Per ciò che hanno fatto o non hanno fatto. Per non aver visto cosa andava fatto.
Andrzej Sapkowski (The Time of Contempt (The Witcher, #2))
Era giusto così. Ero un mostro, uno spietato assassino. Di sicuro lo avrei rifatto, magari altre mille volte. Avrei ucciso persone innocenti senza alcun tipo di rimorso a logorarmi l’anima.
Chiara Lotti (The Last Moon - La maledizione dei Lupi Neri)
«Winston, come fa un uomo a esercitare il potere su un altro uomo?». Winston rifletté. «Facendolo soffrire» rispose. «Bravo, facendolo soffrire. Non è sufficiente che ci obbedisca. Se non soffre, come facciamo a essere certi che non obbedisca alla nostra volontà ma alla sua? Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione. Potere vuol dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella for- ma che più ci parrà opportuna. Cominci a intravedere, adesso, il mondo che stiamo costruendo? È esattamente l'opposto di quelle stupide utopie edonistiche immaginate dai riformatori del passato. Un mondo fatto di paura e tradimento, di tormento, un mondo nel quale si calpesta e si viene calpestati, un mondo che nel perfezionarsi diventerà sempre più spietato. Progresso, nel nostro mondo, significherà progredire verso una sofferenza più grande. Le antiche civiltà sostenevano di essere fondate sull'amore o sulla giustizia, la nostra è fondata sull'odio. Le sole emozioni destinate a esistere nel nostro mondo saranno la paura, la collera, l'esaltazione e l'umi- liazione. Tutto il resto lo distruggeremo. Tutto. Già stiamo smantellando quelle abitudini mentali che erano un retaggio della Rivoluzione. Abbiamo infranto ogni legame fra genitori e figli, uomo e uomo, uomo e donna. Og- gi nessuno più ha il coraggio di fidarsi di una moglie, di un bambino o di un amico, ma in futuro non ci saranno più né mogli né amici. I bambini sa- ranno tolti alle madri all'atto della nascita, così come si tolgono le uova a una gallina. L'istinto sessuale verrà sradicato. La procreazione sarà una formalità annuale, come il rinnovo di una tessera per il razionamento. Aboliremo l'orgasmo. I nostri neurologi ci stanno già lavorando. Non ci sa- rà forma alcuna di lealtà, a eccezione della lealtà verso il Partito. Non ci sarà forma alcuna di amore, a eccezione dell'amore per il Grande Fratello. Non ci sarà forma alcuna di riso, a eccezione della risata di trionfo sul ne- mico sconfitto. Non ci sarà forma alcuna di arte, di letteratura, di scienza. Quando avremo raggiunto l'onnipotenza, non avremo più bisogno della scienza. Non ci sarà differenza fra il bello e il brutto. Non ci sarà curiosità, né la gioia del processo vitale. Tutti gli altri piaceri che potrebbero mettere a repentaglio un simile progetto saranno distrutti. Ma ci sarà sempre, sem- pre — e tu non lo dimenticare, Winston — l'ebbrezza del potere, che di- venterà sempre più forte e raffinata. Ci sarà sempre, in ogni momento, il fremito della vittoria, la sensazione di calpestare un nemico inerme. Se vuoi un'immagine del futuro, pensa a uno stivale che calpesti un volto u- mano in eterno.»
George Orwell (1984)