C O A S E Quotes

We've searched our database for all the quotes and captions related to C O A S E. Here they are! All 100 of them:

I have done it," she says. At first I do not understand. But then I see the tomb, and the marks she has made on the stone. A C H I L L E S, it reads. And beside it, P A T R O C L U S. "Go," she says. "He waits for you." In the darkness, two shadows, reaching through the hopeless, heavy dusk. Their hands meet, and light spills in a flood like a hundred golden urns pouring out of the sun.
Madeline Miller (The Song of Achilles)
Who are you?' One who has waited long for you to speak.
C.S. Lewis (O cavalo e o seu rapaz (As crónicas de Nárnia, #3))
And I was the Lion you do not remember who pushed the boat in which you lay, a child near death, so that it came to shore where a man sat, wakeful at midnight, to receive you.
C.S. Lewis (O cavalo e o seu rapaz (As crónicas de Nárnia, #3))
A vida às vezes dá-nos mais do que um pontapé… dá-nos um coice e espera que nos mantenhamos a andar. Todos à nossa volta o esperam. Cobram-nos que sejamos fortes quando tudo o que queremos é poder cair.
L.C. Lavado (O Diabo dos Anjos (Ed. Beta))
Johnny and Marissa, sitting in a tree, K-I-S-S-I-N-G. First comes love, then comes marriage. Then comes an abrupt, tragic miscarriage. Then comes blame, then comes despair. Two hearts damaged beyond repair... Johnny leaves Marissa, and takes the tree. D-I-V-O-R-C-E.
Kris Wilson (Ice Cream & Sadness)
I don't want him to live forever, and I know that he's not going to live forever whether I want him to or not.
C.S. Lewis (O cavalo e o seu rapaz (As crónicas de Nárnia, #3))
A is for Amy who fell down the stairs. B is for Basil assaulted by bears. C is for Clara who wasted away. D is for Desmond thrown out of a sleigh. E is for Ernest who choked on a peach. F is for Fanny sucked dry by a leech. G is for George smothered under a rug. H is for Hector done in by a thug. I is for Ida who drowned in a lake. J is for James who took lye by mistake. K is for Kate who was struck with an axe. L is for Leo who choked on some tacks. M is for Maud who was swept out to sea. N is for Neville who died of ennui. O is for Olive run through with an awl. P is for Prue trampled flat in a brawl. Q is for Quentin who sank on a mire. R is for Rhoda consumed by a fire. S is for Susan who perished of fits. T is for Titus who flew into bits. U is for Una who slipped down a drain. V is for Victor squashed under a train. W is for Winnie embedded in ice. X is for Xerxes devoured by mice. Y is for Yorick whose head was bashed in. Z is for Zillah who drank too much gin.
Edward Gorey
Quelli come te, che hanno due sangui diversi nelle vene, non trovano mai riposo né contentezza; e mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua, e appena tornati qua, subito hanno voglia di scappar via. Tu te ne andrai da un luogo all’altro, come se fuggissi di prigione, o corressi in cerca di qualcuno; ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano nel tuo sangue, perché il tuo sangue è come un animale doppio, è come un cavallo grifone, come una sirena. E potrai anche trovare qualche compagnia di tuo gusto, fra tanta gente che s’incontra al mondo; però, molto spesso, te ne starai solo. Un sangue-misto di rado si trova contento in compagnia: c’è sempre qualcosa che gli fa ombra, ma in realtà è lui che si fa ombra da se stesso, come il ladro e il tesoro, che si fanno ombra uno con l’altro.
Elsa Morante (L'isola di Arturo)
Architecture is a hazardous mixture of omnipotence and impotence. It is by definition a c h a o t i c a d v e n t u r e... In other words, the utopian enterprise.
Rem Koolhaas (S, M, L, XL)
Here. All of you. And you, doorkeeper. No one is to be let out of the house today. And anyone I catch talking about this young lady will be first beaten to death and then burned alive and after that be kept on bread and water for six weeks. There.
C.S. Lewis (O cavalo e o seu rapaz (As crónicas de Nárnia, #3))
A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.
Alessandro Baricco (Novecento. Un monologo)
r o l l t h e d i c e if you’re going to try, go all the way. otherwise, don’t even start. if you’re going to try, go all the way. this could mean losing girlfriends, wives, relatives, jobs and maybe your mind. go all the way. it could mean not eating for 3 or 4 days. it could mean freezing on a park bench. it could mean jail, it could mean derision, mockery, isolation. isolation is the gift, all the others are a test of your endurance, of how much you really want to do it. and you’ll do it despite rejection and the worst odds and it will be better than anything else you can imagine. if you’re going to try, go all the way. there is no other feeling like that. you will be alone with the gods and the nights will flame with fire. do it, do it, do it. do it. all the way all the way. you will ride life straight to perfect laughter, its the only good fight there is.
Charles Bukowski
Frente a um desafio que pensamos ser maior do que nós próprios, só resta ignorar o que pensamos, e crescer.
L.C. Lavado (Inverno de Sombras)
Nobody but you Nessuno può salvarti se non tu stesso. Sarai continuamente messo in situazioni praticamente impossibili. Ti metteranno continuamente alla prova con sotterfugi, inganni e sforzi per farti capitolare, arrendere e/o morire silenziosamente dentro. Nessuno può salvarti se non tu stesso e sarà abbastanza facile fallire davvero facilissimo ma non farlo, non farlo, non farlo. Guardali e basta. Ascoltali. Vuoi diventare così? Un essere senza volto, senza cervello, senza cuore? Vuoi provare la morte prima della morte? Nessuno può salvarti se non tu stesso e vale la pena di salvarti. È una guerra non facile da vincere ma se c’è qualcosa che vale la pena vincere è questa. Pensaci su pensa al fatto di salvare il tuo io. Il tuo io spirituale. il tuo io viscerale. il tuo io magico che canta e il tuo io bellissimo. Salvalo. Non unirti ai morti-di-spirito. Mantieni il tuo io con umorismo e benevolenza e alla fine se necessario scommetti sulla tua vita mentre combatti, fottitene dei pronostici, fottitene del prezzo. Solo tu puoi salvare il tuo io. Fallo! Fallo! Allora saprai esattamente di cosa sto parlando.
Charles Bukowski
Tony:...but you need something to do about Noah. Paul: I know, I know. The only problem being that (a) he thinks I'm getting back with my ex-boyfriend, (b) he thinks I'll only hurt him, because (c) I've already hurt him and (d) someone else has already hurt him, which means that I'm hurting him even more. So (e) he doesn't trust me, and in all fairness, (g) every time I see him, I (h) want everything to be right again and I (i) want to kiss him madly. This means that (j) my feelings aren't going away anytime soon, but (k) his feelings don't look likely to budge, either. So either (l) I'm out of luck, (m) I'm out of hope, or (n) there's a way to make it up to him that I'm not thinking of. I could (o) beg, (p) plead, (q) grovel, or (r) give up. But, in order to do that, I would have to sacrifice my (s) pride, (t) reputation, and (u) self-respect, even though (v) I have very little of them left and (w) it probably wouldn't work anyway. As a result, I am (x) lost, (y) clue-free, and (z) wondering if you have any idea whatsoever what I should do.
David Levithan (Boy Meets Boy)
Perché se Dio non gioca con i dadi – ed è tutto da dimostrare che non lo faccia –, poco ma sicuro che i dadi sono la chiave di ogni partita di D&D e, in certa misura, la chiave del destino. Come gli avventurieri del mio corto, anche noi siamo personaggi di un gioco di ruolo; da qualche parte c’è qualcuno che tiene conto dei Punti Ferita. Tutto si riduce a questo, temo. Lanci fortunati, lanci sfortunati. Non è un fatto di merito o talento. È un fatto di posti e momenti. Questione di dadi, insomma.
Bianca Marconero (La prima cosa bella)
Viața noastră e ca o călătorie pe pământ: prea ușoară și monotonă de-a lungul întinselor câmpii, prea dură și neplăcută pe pantele abrupte; dar pe înălțimile munților te bucuri de o priveliște minunată, te simți exaltat, ochii se umplu de lacrimi, ai vrea să cânți, ai vrea să ai aripi. Dar nu poți să rămâi acolo, trebuie să-ți continui călătoria și începi să cobori pe partea cealaltă, atât de preocupat să alegi locul în care să-ți pui piciorul încât uiți plăcerea încercată pe culmi
Lloyd C. Douglas (The Robe)
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. [...] Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d'un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra.
Natalia Ginzburg (Lessico famigliare)
Se o que vos dizem fosse verdade, se realmente vos esperasse a vida eterna após a morte… o que é que nos diferenciaria de vocês? Qual seria a diferença entre anjos e Deuses do Olimpo e Homens? Nenhuma. É esta a Ordem. Vocês adoram-nos e em troca nós oferecemos a esperança na forma de uma grande mentira reconfortante.
L.C. Lavado (O Diabo dos Anjos (Ed. Beta))
C'è chi pensa che l'amore sia la fine della strada, e che se si è abbastanza fortunati da trovarlo ci si ferma lì. Altri dicono che è come un burrone nel quale si precipita. Ma chiunque abbia vissuto almeno un po' sa che muta con il passare dei giorni, e secondo l'energia che gli si dedica, lo si conserva o ci si aggrappa, oppure lo si perde, ma a volte capita che non sia nemmeno mai stato lì, sin dall'inizio."( Questo bacio vada al mondo intero)
Colum McCann
Per lei, vedo, la bellezza non ha niente a che fare con la verità." "La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità.
Leonardo Sciascia (The Day of the Owl)
A C H I L L E S, it reads. And beside it, P A T R O C L U S.
Madeline Miller (The Song of Achilles)
An employee made a mistake that cost the company $10 million, he walked into the office of Tom Watson, the C.E.O., expecting to get fired. “Fire you?” Mr. Watson asked. “I just spent $10 million educating you.
Adam M. Grant
It’s an innocent love. It’s a beautiful love. I think it’s even an eternal love. But … I don’t know yet. Maybe in another lifetime we’ll see. We’ll find out if our souls share something that transcends time or if they are nothing more than epoch.” “Epic?” “E-p-o-c-h. It’s a memorable event or period in time.
Jewel E. Ann (Epoch (Transcend, #2))
This computer-generated pangram contains six a's, one b, three c's, three d's, thirty-seven e's, six f's, three g's, nine h's, twelve i's, one j, one k, two l's, three m's, twenty-two n's, thirteen o's, three p's, one q, fourteen r's, twenty-nine s's, twenty-four t's, five u's, six v's, seven w's, four x's, five y's, and one z.
Douglas R. Hofstadter (Metamagical Themas: Questing for the Essence of Mind and Pattern)
Diz o judaísmo que o inefável nome de Deus é composto por quatro letras. Que esse nome é um tabu, que impronunciável. Digo-vos que eles têm razão, e que isto é ciência da mais profunda. As letras que compõe o nome de Deus são quatro: A, T, C, G. Adenina, timina, citosina e guanina. É isso que faz o nosso código, um código gigante, uma palavra tão grande que é impronunciável.
Afonso Cruz (Jesus Cristo Bebia Cerveja)
Tutti possono avere un "c'era una volta" o un "e vissero per sempre felici e contenti", ma è il viaggio tra l'inizio e la fine che rende la storia degna di essere raccontata. È il modo in cui i personaggi affrontano le sfide a far di loro degli eroi.
Chris Colfer (The Enchantress Returns (The Land of Stories, #2))
Todd, trust math. As in Matics, Math E. First-order predicate logic. Never fail you. Quantities and their relation. Rates of change. The vital statistics of God or equivalent. When all else fails. When the boulder's slid all the way back to the bottom. When the headless are blaming. When you do not know your way about. You can fall back and regroup around math. Whose truth is deductive truth. Independent of sense or emotionality. The syllogism. The identity. Modus Tollens. Transitivity. Heaven's theme song. The night light on life's dark wall, late at night. Heaven's recipe book. The hydrogen spiral. The methane, ammonia, H2O. Nucleic acids. A and G, T and C. The creeping inevibatility. Caius is mortal. Math is not mortal. What it is is: listen: it's true.
David Foster Wallace (Infinite Jest)
Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c'è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome.
André Aciman (Call Me by Your Name)
Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se è davvero esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo a sprazzi irregolari e ritagli, forse c’era solo perché ci passasse mio fratello con suo leggero passo di codibugnolo, era un ricamo fatto di nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi si intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito.
Italo Calvino (The Baron in the Trees)
Amar é, sempre, ser vulnerável. Para que nunca se sofra com isso, aconselha-se não se amar algo, ou mesmo, alguém. Se sugere proteger a si mesmo nos próprios hobbies, mimos e zelos, evitar qualquer envolvimento com as pessoas, guardar o coração na segurança do caixão do próprio ego. Dessa forma, nessa tumba segura e tenaz, sem movimento ou ar, o seu coração provavelmente mudará para melhor. Sim, sim, ele não se partirá, antes se tornará indestrutível, impenetrável, invencível ou inalienável!: ele nunca precisará de algum perdão. Mas essa comprável alternativa sistemática de proteção de tragédias, é preciso que se diga, é condenatória. Isso, porque o único lugar que existe além do céu, onde se pode estar perfeitamente a salvo de todos os acidentes e perturbações do amor, é o inferno
C.S. Lewis (The Four Loves)
Spesso dicevo che la vita era uno schifo. Anche quella frase mi stava fregando, perché avrei dovuto dire: "La mia vita è uno schifo". Allora, magari avrei iniziato a chiedermi se potevo fare qualcosa per cambiarla. Se era tutta colpa del destino, del caso, della sfortuna, o se invece anch'io ne ero colpevole. Perché dire che la vita fa schifo è come dire che non c'è niente che si possa fare. Che bisogna accettarlo come un dato di fatto imprescindibile. Fortuna che poi ho cambiato idea. Fortuna che ho capito che la mia vita ha un valore e quel valore glielo do io con le mie scelte e con il coraggio delle mie decisioni. Ho imparato a pormi una domanda ogni sera prima di addormentarmi: cosa hai fatto oggi per realizzare il tuo sogno, la tua libertà? Alla seconda sera in cui mi sono risposto: "Niente", ho capito quanto in fondo una parte del problema fossi io. Quindi, o smettevo di lamentarmi o iniziavo a darmi da fare.
Fabio Volo (È una vita che ti aspetto)
Il dolore aveva un suo modo di scomporre il tempo. Pensavo al minuto successivo, all'ora successiva. Non c'era abbastanza spazio nella mia mente per mettere insieme tutti quei pezzi, per trovare le parole per riassumerla nella sua interezza. Ma la parte dell'"andare avanti", per quella le parole le avevo. 'Trova un modo per andare avanti' dissi. 'Non deve necessariamente essere buono, o nobile. Basta che sia un motivo.' Conoscevo il mio: c'era una fame dentro di me e c'era sempre stata. Una fame più forte del dolore, più forte dell'orrore. Continuava a mordere anche dopo che ogni altra cosa dentro di me si era arresa. E quando finalmente le diedi un nome, scoprii che era qualcosa di molto semplice: desiderio di vivere.
Veronica Roth (Carve the Mark (Carve the Mark, #1))
De niño me sentía solo, y todavía me siento así, porque sé cosas e insinúo cosas que otros no parecen conocer y la mayoría no quiere saber. La peor soledad no es la de no tener personas a tu lado, sino la de no poder comunicar las cosas que te parecen importantes, o la de estar obligado a callar ciertos puntos de vista porque otros los encontrarían inadmisibles.
C.G. Jung
E cosa c'è di bello nella coppia scusa?" "La complicità, il senso di appartenenza. A me, per esempio, piace conoscere una persona a memoria" "Come ti piace conoscere una persona a memoria? E la routine? La monotonia? Che cos'hanno de bello?" "No, non parlo di routine o monotonia, ma di sapere a memoria una persona. Non so come spiegartelo, è come quando studi le poesie a scuola, in quel senso intendo a memoria" "Questa non l'ho capita" "Ma si dai, come una poesia. Sai come si dice in inglese studiare a memoria? By heart, col cuore. Anche in francese si dice par coeur... ecco, in questo senso intendo. Conoscere una persona a memoria, significa, come quando ripeti una poesia, prendere anche un po' di quel ritmo che le appartiene. Una poesia, come una persona, ha dei tempi suoi. Per cui conoscere una persona a memoria significa sincronizzare i battiti del proprio cuore con i suoi, farsi penetrare dal suo ritmo. Ecco, questo mi piace. Mi piace stare con una persona intimamente perché vuol dire correre il rischio di diventare leggermente diversi da se stessi. Alterarsi un po'. Perché non è essere se stessi che mi affascina in un rapporto a due, ma avere il coraggio di essere anche altro da sé. Che poi è quel te stesso che non conoscerai mai. A me piace amare una persona e conoscerla a memoria come una poesia, perché come una poesia non la si può comprendere mai fino in fondo. Infatti ho capito che amando non conoscerai altro che te stesso. Il massimo che puoi capire dell'altro è il massimo che puoi capire di te stesso. Per questo entrare intimamente in relazione con una persona è importante, perché diventa un viaggio conoscitivo esistenziale".
Fabio Volo (Il giorno in più)
Tra due parole c'è sempre un intervallo, per quanto piccolo, impercettibile. Altrimenti le parole non potrebbero essere due, ma diventerebbero una. Due parole o due note non potrebbero essere due se non ci fosse un intervallo tra loro. C'è sempre un silenzio, ma bisogna essere davvero consapevoli, e attenti, per sentirlo.
Osho
Nel tennis il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C'è sempre e solo l'io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall'altro lato della rete: lui non è il nemico; è più il partner nella danza. Lui è il pretesto o l'occasione per incontrare l'io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l'io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti; trascendi; migliora; vinci. [...] Si cerca di sconfiggere e trascendere quell'io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. È tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all'infinito. (Infinite Jest, p. 116)
David Foster Wallace (Infinite Jest)
Într-o aşa serioasă măsură mi se pare de negîndită viaţa, încît dacă m-aş gîndi efectiv ce să răspund la o întrebare uzuală ca: "ce mai faci?" aş constata că întrebarea aceasta e printre cele mai grele cu putinţă. Căci „fac“ o mie de lucruri: aş putea să spun că gîndesc, că sînt bine, că gîndesc ceva, că gîndesc altceva, că am fost pe stradă, că nu fac nimic. Ce să spun? Care e lucrul pe care trebuie să-l spun celui care mă întreabă? Şi nu numai atît. Care e lucrul pe care trebuie să i-l spun lui, acum? Şi mai mult: ce trebuie să-i spun lui,acum, despre mine?Aşadar ar trebui să respect mai multe serii de adevăruri: a) adevărul lucrului, să aleg, adică, un lucru dintre cele o mie pe care le-am făcut realmente; b) să aleg adevărat pentru cel care mă întreabă, adică să aleg unul dintre lucrurile acelea care privesc raporturile mele cu el; c) să aleg un lucru adevărat pentru clipa de faţă, pentru ceea ce se întîmplă acum între el şi mine; d) să fie totuşi un lucru al meu.Şi credeţi că astea sînt singurele adevăruri de respectat? Atunci ce să-i răspund? Mă cuprinde o panică, panica mea formală…
Constantin Noica (Mathesis sau bucuriile simple)
Pensas que sabes o que é sofrer, mas não sabes. Tu sabes o que é perda. Tiveste quem te amasse e perdeste-os. Eu só tenho um pai que me quer matar desde o instante em que soube da minha existência e passou décadas a demonstrar-me o quanto o queria. Uma mãe cujo o único interesse era vangloriar-se sobre o fracasso dele em vez de o tentar evitar. E a única coisa comum aos dois, é que o passatempo preferido deles é a caça, e a cabeça a prémio é a minha! - Danton
L.C. Lavado (Inverno de Sombras)
Porque é que vos é tão fácil acreditar que é possível o vosso corpo precisar de uma alma para sobreviver, mas não o contrário!? Porque é que também não é óbvio que a vossa alma precisa do vosso corpo? Que são os vossos sentidos que a alimentam? As imagens que os vossos olhos vêem; os cheiros cativados pelo vosso nariz; os sons vibrantes concedidos pelos ouvidos; a magia do toque… sem eles, individualmente e no seu conjunto, a vossa alma definha como nós definharíamos sem a vossa fé.
L.C. Lavado (O Diabo dos Anjos (Ed. Beta))
Le regole per scrivere bene (adattate da Umberto Eco) 1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi. 2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario. 3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata. 4. Esprimiti siccome ti nutri. 5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc. 6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso. 7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione. 8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”. 9. Non generalizzare mai. 10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton. 11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.” 12. I paragoni sono come le frasi fatte. 13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito). 14. Solo gli stronzi usano parole volgari. 15. Sii sempre più o meno specifico. 16. L'iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive. 17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale. 18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente. 19. Metti, le virgole, al posto giusto. 20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile. 21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso. 22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia. 23. C’è davvero bisogno di domande retoriche? 24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media. 25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia. 26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile. 27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi! 28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri. 29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili. 30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio. 31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo). 32. Cura puntiliosamente l’ortograffia. 33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni. 34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve. 35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione. 36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato. 37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni. 38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario. 39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che. 40. Una frase compiuta deve avere.
Umberto Eco
Among the writers he was reading when he wrote these stories in the 1950s—and he was reading all the time, all kinds of books, dozens and dozens of them—were David Riesman, Saul Bellow, Bernard Malamud, John Cheever, James Baldwin, Randall Jarrell, Sigmund Freud, Paul Goodman, William Styron, C. Wright Mills, Martin Buber, George Orwell, Suzanne Langer, F. R. Leavis, David Daiches, Edmund Wilson, Alfred Kazin, Ralph Ellison, Erich Fromm, Joseph Conrad, Dylan Thomas, Sean O’Casey, e. e. cummings—who collectively represented a republic of discourse in which he aspired to
Philip Roth (Goodbye, Columbus)
[...]finché non siamo arrivati al cancello, al, al cancello, ho visto un treno e binari. Ma non un treno come ho visto quando arrivavo qui a Dachau, ma un treno con...per passeggeri, per gente [cane guaisce in sottofondo]. Non per, ehm, per cani o per ehm, cavalli. Ma questo, questo non può essere per noi, forse Gestapo arriva anche. No...il treno era per noi! E lì, prima di entrare su treno, tutti ricevevano una scatola. Una scatola da Croce rossa svizzera, e io l'ho acchiappata, e sono entrato su treno. Ho aperto la scatola; c'era molte cose, qualche sigaretta, un pezzo di pane, un pezzo di cioccolata. Marmellata. Oh, era un grande, grande tesoro per me. E questo, e il treno ha cominciato a muoversi. Un treno...la prima volta che entravo in un treno dove sta la gente. Persone viventi. E il treno ci ha preso; siamo andati per qualche giorno, non ricordo quanto, mi sentivo molto male, qualche volta un poco meglio, ma questo mi aiutava, quello che avevo. Ma io...dovevamo stare molto attenti; di notte potevo dormire, ma non dormivo per causa del mio tesoro quale avevo. Perché rubavano. Altra gente finiva tutto in una notte, o in un giorno, così non avevano; hanno rubato ad altri. Io stavo sdraiato sopra e tenevo. E qualche volta di notte acchiappavo qualcuno che voleva rubare il mio, il mio tesoro. Certo, se avevo molto più da dormir, mi sentirei molto meglio. Ma non potevo dormire, perché questo era più per me che dormire. Sapevo che con questo posso sopravvivere. Metamaus, Art Spiegelman
Art Spiegelman (MetaMaus: A Look Inside a Modern Classic, Maus)
I was bleeding but hoped he wouldn’t notice. I do this sometimes; a game I personally call, I have my period, let’s see if I can hide it! A darkish room and quick condom removal (make it seem like you’re just really nice and thorough, and use baby wipes to take it off) and even quicker moving of towels to cover any spots on the bed take care of this-though more than once I then saw smears on the pillowcase. Dirty! I love it. I want to not, like, ruby-shower heavy bleed on someone, but reach inside myself with a couple fingers and write my name on a dude’s chest with it. C-h-l-o-e. Smiley face.
Kelley Kenney (Prose and Lore: Memoir Stories About Sex Work (Issue 1))
Sono come te" ha detto. "Mi ricordo tutto." Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c'è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome.
André Aciman (Call Me by Your Name)
When Titus speaks, I can hear every word. For me, that's like when the optician slides home the right lens and all the e's and g's and o's and c's become perfectly clear again and it isn't a struggle, even to read the bottom-most line...His voice touches places inside me like someone moving through a house, flicking light switches...No peering into corners for what's been said.
Geraldine McCaughrean (The White Darkness)
The only statistic I care about is return on equity. After many sessions with some of our business school graduates (yes, we do have some), I think they have helped me understand the secret to improving our R.O.E. It seems that if we increase revenues and cut expenses, return on equity goes up and that is what makes me happy. Please make me happy! I can be very unpleasant when I’m not.
Alan C. Greenberg (Memos from the Chairman)
Che differenza c'è fra occhi che possiedono uno sguardo e occhi che ne sono sprovvisti? Questa differenza ha un nome: si chiama vita. La vita inizia laddove inizia lo sguardo. [...] Lo sguardo è una scelta. Chi guarda decide di soffermarsi su una determinata cosa e di escludere dunque all'attenzione il resto del proprio campo visivo. In questo senso lo sguardo, che è l'essenza della vita, è prima di tutto un rifiuto. Vivere vuol dire rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell'orifizio di un lavandino. Per vivere bisogna essere capaci di non mettere sullo stesso piano, al di sopra di se stessi, la mamma e il soffitto. Bisogna rinunciare a uno dei due e decidersi di interessarsi o alla mamma o al soffitto. L'unica scelta sbagliata è quella di non fare una scelta.
Amélie Nothomb (Métaphysique des tubes)
Mi vergognavo ad essere affascinato da quella storia e da quel criminale mostruoso, Jean-Claude Romand. A distanza di tempo, credo che ciò che avevo tanta paura di condividere con lui lo condivido, lo condividiamo lui e io, con la maggior parte della gente, anche se per fortuna la maggior parte della gente non arriva al punto di mentire per vent’anni e poi sterminare tutta la famiglia. Penso che anche le persone più sicure di sé percepiscano con angoscia lo scarto che esiste fra l’immagine di sé che bene o male cercano di dare agli altri e quella che hanno di loro stesse nei momenti d’insonnia, o di depressione, quando tutto vacilla e si prendono la testa fra le mani, sedute sulla tazza del cesso. In ciascuno di noi c’è una finestra spalancata sull’inferno; cerchiamo di starne alla larga il più possibile, e io, per una mia precisa scelta, ho passato a quella finestra, ipnotizzato, sette anni della mia vita.
Emmanuel Carrère (Le Royaume)
Non mi piace parlare, non ne sento la necessità, i discorsi col cuore in mano io non li capisco, non è nella mano che dovrebbe stare un cuore. Tanto nessuno saprà mai cosa proviamo veramente, potrà farsi al massimo un’idea, che poi sarà viziata dalla sua stessa opinione. Anche quando ci odiamo l’un l’altro, o ci amiamo l’un l’altro, quello che amiamo o che odiamo è in realtà quell’idea, una bozza della verità, e quando gli altri ci deludono è una stronzata prendercela, perché non è colpa loro, ma nostra, che chissà in che cosa credevamo. A conti fatti io per voi, e voi per me, non siamo più reali di Georgie, Lupin, Syrio il Dragone o la razza namecciana.
Eleonora C. Caruso (Comunque vada non importa)
«Mancano venti miglia a Limerick» disse, mostrandosi molto interessata al percorso. «So leggere i cartelli, grazie» rispose lui, gelido. Piera sbuffò. «Volevo solo rendermi utile, non mettere in dubbio le tue doti di maschio alfa!» La frase le uscì male, provocatoria senza volerlo essere, e infatti, piccato, lui emise un ah! alquanto sarcastico e batté il pugno con violenza sul volante, facendo suonare il clacson. Piera sussultò, sorpresa se non spaventata. «Mi sento di tutto, ti assicuro, tranne che maschio, alfa, beta o delta che sia.» Ecco, ci siamo. «E per il quieto vivere» proseguì lui, «farò persino finta che la notte scorsa tu non mi abbia trattato come un sex-toy…» Questa volta un ah! sarcastico uscì dalle labbra di Piera. «Un sex cosa? Scusa, non ho capito bene.» «Un sex-toy.» «Non so neppure cosa sia.» «Non ne avevo il minimo dubbio.» «Lo prendo come un complimento.» «Prendilo come vuoi. Coniglietti, AH!» «Cosa c’entrano i conigli, adesso?» «Lascia perdere.» «No, spiegati, per favore.» «Una che dorme con dei conigli addosso non può certo sapere cosa sia un sex-toy.» «Ohhh! La mia camicia da notte non è di tuo gusto? Va’ al diavolo, Jean!»
Viviana Giorgi (Vuoi vedere che è proprio amore?)
E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "E' ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù , come vi pare
Charles Baudelaire
Perché piangono gli uomini? Per colpa delle lotte e delle gesta e della maratona delle promozioni, perché vogliono la mamma, perché restano ciechi anche col passar del tempo, per colpa di tutte le erezioni che debbono inventarsi sul più bello dal nulla, per colpa di tutto ciò che hanno fatto. Perché non possono più essere felici o tristi – solo sbronzi o pazzi. E perché non sanno che pesci pigliare quando sono svegli. E poi c'è l'informazione, che arriva di notte.
Martin Amis (The Information)
I mean, to talk about "corporate greed" is like talking about "military weapons" or something like that―there just is no other possibility. A corporation is something that is trying to maximize power and profit: that's what it is. There is no "phenomenon" of corporate greed, and we shouldn't mislead people into thinking there is. It's like talking about "robber's greed" or something like that―it's not a meaningful thing, it's misleading. A corporation's purpose is to maximize profit and market share and return to investors, and all that kind of stuff, and if its officers don't pursue that goal, for one thing they are legally liable for not pursuing it. There I agree with Milton Friedman [right-wing economist] and those guys: if you're a C.E.O., you must do that―otherwise you're in dereliction of duty, in fact dereliction of duty. And besides that, if you don't do it, you'll get kicked out by the shareholders or the Board of Directors, and you won't be there very long anyway.
Noam Chomsky (Understanding Power: The Indispensable Chomsky)
The first letter was a “w,” the second an “e.” Then there was a gap. An “a” followed, then a “p,” an “o,” and an “l.” Marvin paused for a rest. After a few moments they resumed and let him see the “o,” the “g,” the “i,” the “z,” and the “e.” The next two words were “for” and “the.” The last one was a long one, and Marvin needed another rest before he could tackle it. It started with “i,” then “n,” then “c.” Next came an “o” and an “n,” followed by a “v,” an “e,” another “n,” and an “i.” After a final pause, Marvin gathered his strength for the last stretch. He read the “e,” the “n,” the “c,” and at last the final “e,” and staggered back into their arms.
Douglas Adams (The Ultimate Hitchhiker's Guide to the Galaxy (Hitchhiker's Guide to the Galaxy #1-5))
La solitudine è questa situazione un po’ buffa, un po’ ridicola, un po’ aggressiva di un uomo seduto al tavolo di un ristorante turistico: l’immagine di una persona incompleta, tanto goffa da sembrare stupida o arrogante. Leo deve incominciare a difendere questa sua solitudine. Non deve permettere che gli altri lo vedano come un atomo dalle valenze aperte, come qualcuno immiserito dalla mancanza di un compagno, di un amico, di un amore. La solitudine è anche scomodità. Obbliga a rivolgersi agli altri, a fare richieste continue. Sul treno lui non può lasciare i bagagli per recarsi al ristorante. Deve cercare il controllore, o un altro passeggero, e chiedergli di dare cortesemente un’occhiata alla macchina fotografica. Negli aeroporti, con il carrello carico di valigie, non riesce a raggiungere la toilette, o la cabina del telefono soprattutto se si trovano a livelli diversi da quelli in cui è stato sbarcato e allora, scaricare i bagagli, affrontare le scale, deporli, entrare in un bagno diventa un’impresa impossibile, faticosa già mentalmente. Nei ristoranti è pressato dalla gente in coda solo perché gli altri sono in due e lui, solo, sta occupando un piccolo tavolo. Negli alberghi le camere singole sono, in genere, le più strette e le più piccole: i sottotetti o le mansardine della servitù. E per giunta c’è sempre un supplemento da pagare.    La solitudine impietosisce gli altri. A volte lui sente lo sguardo indiscreto della gente posato sulla sua figura come un gesto di una violenza inaudita. Come se gli altri lo pensassero cieco e gli si accostassero per fargli attraversare la strada. Certe premure lo offendono più dell’indifferenza, perché è come se gli ricordassero continuamente che a lui manca qualcosa e che non può essere felice. Si vede con un lato del corpo sanguinante, una cicatrice aperta dalla quale è stata separata l’altra metà. Vorrebbe spiegare che sì, Thomas gli manca e di questo sta soffrendo. Ma che non avverte la propria solitudine come una disperazione. Si sta concentrando su di sé, si sta racchiudendo nelle proprie fantasie e nei propri ricordi. Sta cercando di abbracciare la parte più vera di se stesso recuperandola attraverso il ricordo, la riflessione, il silenzio.
Pier Vittorio Tondelli (Camere separate)
Profondamente sospirò e si gettò - c'era nei suoi gesti una passione che merita la parola - sul nudo suolo ai piedi della quercia. Godeva nel sentire, sotto l'effimera apparenza dell'estate, la spina dorsale della terra; ché tale era per lui la dura radice della quercia, oppure - l'immagine seguendo l'immagine - era il dorso d'un gran destriero che cavalcava; o la tolda di una nave in preda alle onde; qualsiasi cosa, insomma, purché solida, poiché egli anelava a qualche cosa cui ormeggiare il suo fluttuante cuore; quel cuore che ogni sera in quella stagione, quando s'aggirava per le campagne, pareva ricolmo di aromatiche e languide sensazioni d'amore. Alla quercia egli lo legò.
Virginia Woolf (Orlando)
La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. Questi si commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può esser l'ultimo; non c'è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto d'un sogno. Tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del casuale. Tra gl'Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c'è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi. Nulla può accadere una sola volta, nulla è preziosamente precario. Ciò ch'è elegiaco, grave, rituale, non vale per gli Immortali.
Jorge Luis Borges (The Aleph and Other Stories)
Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l'orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo. Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l'impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada. Così continua il cammino in un'attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualcosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa in tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una all'altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. Chiudono a un certo punto alla nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa in tempo a tornare.
Dino Buzzati (The Tartar Steppe)
[...] quelli che erano nati negli anni venti, e che avevano vent’anni negli anni quaranta, avevan dovuto combattere perché c’era la guerra e servivano dei soldati. Quelli che eran nati negli anni trenta, e avevan vent’anni negli anni cinquanta, avevan dovuto lavorare perché c’era stata la guerra e c’era un paese da ricostruire. Quelli che eran nati negli anni quaranta, e che avevan vent’anni negli anni sessanta, avevan dovuto lavorare anche loro perché c’era il boom economico e una grande richiesta di forza lavoro. Quelli che eran nati negli cinquanta, e che avevan vent’anni negli anni settanta, avevan dovuto contestare perché il mondo cosí com’era stato fino ad allora non era piú adatto alla modernità o non so bene a cosa. Poi eravamo arrivati noi, nati negli anni sessanta e che avevamo vent’anni negli anni ottanta e l’unica cosa che dovevamo fare, era stare tranquilli e non rompere troppo i maroni. Mi sembrava che noi, avevo detto, fossimo stata la prima generazione che, se ci davano un lavoro, non era perché c’era bisogno, ci facevano un favore. Cioè era come se il mondo, che per i nostri genitori era stata una cosa da fare, da costruire, per noi fosse già fatto, preconfezionato, e l’unica cosa che potevamo fare era mettere delle crocette, come nei test. E allora aveva anche senso, che proprio in quel periodo lí, negli anni ottanta, fossero comparsi in Italia i giochi elettronici, perché uno di vent’anni che passava sei o otto ore al giorno a giocare ai giochi elettronici, che negli anni cinquanta sarebbe stato un disadattato (Sei un delinquente, gli avrebbero detto i suoi genitori), a partire dagli anni ottanta andava benissimo, perché rispondeva al compito precipuo della sua generazione, di stare tranquillo e non rompere troppo i maroni.
Paolo Nori (I malcontenti)
Dormire, dormire; ecco l'unica tregua. Ma poi al risveglio, svaniti gli ultimi brandelli del sogno in corso, quel senso di angoscia, di condanna. Il pensiero cerca subito intorno: perché? perché? Lei! E allora il cuore prende a battere, il cervello si riempie di quel pensiero ossessionante, fisso, profondo, che invade tutta la coscienza e la chiude senza lasciare scampo. A qualsiasi cosa pensi, o meglio cerchi di pensare, c'è sempre lei di mezzo, che sbarra la strada. Egli si dice: è assurdo, non vale la pena, non merita, sì sì, tutti ottimi argomenti. Ma il giorno che rinunciasse, che non insistesse più, che trasformasse l'ansia in dolore cocente, quel giorno che cosa gli resterebbe? Il vuoto, la solitudine, la prospettiva di un futuro sempre più squallido e morto. Dio, aiutami!
Dino Buzzati (Un amore)
Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui l'America. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato, muratore, brava persona... prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi... gli ha preso un po' la mano, ha fatto l'America... Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno.
Alessandro Baricco (Novecento. Un monologo)
Soltanto dopo ho cominciato a pensare al tempo, a come continua a muoversi ed esaurirsi e scorrere in eterno, secondi che diventano minuti che diventano giorni che diventano anni, e tutti portano alla stessa meta, una corrente che scorre sempre in una sola direzione. E noi tutti la seguiamo nuotando il più veloce possibile, aiutandola a fluire. Quel che voglio dire è: forse voi potete permettervi di aspettare. Forse per voi un domani c’è. Forse avete mille domani, o tremila, o dieci, tanto tempo da poterci sguazzare, rotolare, dilapidarlo come monete. Tanto tempo da poterlo sprecare. Ma per qualcuno di noi c’è soltanto l’oggi. E la verità è che non si può mai sapere con certezza.
Lauren Oliver (Before I Fall)
For now, the Simple Daily Practice means doing ONE thing every day. Try any one of these things each day: A) Sleep eight hours. B) Eat two meals instead of three. C) No TV. D) No junk food. E) No complaining for one whole day. F) No gossip. G) Return an e-mail from five years ago. H) Express thanks to a friend. I) Watch a funny movie or a stand-up comic. J) Write down a list of ideas. The ideas can be about anything. K) Read a spiritual text. Any one that is inspirational to you. The Bible, The Tao te Ching, anything you want. L) Say to yourself when you wake up, “I’m going to save a life today.” Keep an eye out for that life you can save. M) Take up a hobby. Don’t say you don’t have time. Learn the piano. Take chess lessons. Do stand-up comedy. Write a novel. Do something that takes you out of your current rhythm. N) Write down your entire schedule. The schedule you do every day. Cross out one item and don’t do that anymore. O) Surprise someone. P) Think of ten people you are grateful for. Q) Forgive someone. You don’t have to tell them. Just write it down on a piece of paper and burn the paper. It turns out this has the same effect in terms of releasing oxytocin in the brain as actually forgiving them in person. R) Take the stairs instead of the elevator. S) I’m going to steal this next one from the 1970s pop psychology book Don’t Say Yes When You Want to Say No: when you find yourself thinking of that special someone who is causing you grief, think very quietly, “No.” If you think of him and (or?) her again, think loudly, “No!” Again? Whisper, “No!” Again, say it. Louder. Yell it. Louder. And so on. T) Tell someone every day that you love them. U) Don’t have sex with someone you don’t love. V) Shower. Scrub. Clean the toxins off your body. W) Read a chapter in a biography about someone who is an inspiration to you. X) Make plans to spend time with a friend. Y) If you think, “Everything would be better off if I were dead,” then think, “That’s really cool. Now I can do anything I want and I can postpone this thought for a while, maybe even a few months.” Because what does it matter now? The planet might not even be around in a few months. Who knows what could happen with all these solar flares. You know the ones I’m talking about. Z) Deep breathing. When the vagus nerve is inflamed, your breathing becomes shallower. Your breath becomes quick. It’s fight-or-flight time! You are panicking. Stop it! Breathe deep. Let me tell you something: most people think “yoga” is all those exercises where people are standing upside down and doing weird things. In the Yoga Sutras, written in 300 B.C., there are 196 lines divided into four chapters. In all those lines, ONLY THREE OF THEM refer to physical exercise. It basically reads, “Be able to sit up straight.” That’s it. That’s the only reference in the Yoga Sutras to physical exercise. Claudia always tells me that yogis measure their lives in breaths, not years. Deep breathing is what keeps those breaths going.
James Altucher (Choose Yourself)
L'AQUILONE C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie: un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d'albaspina. Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso. Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino. Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza. S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano. S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla? Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata... A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l'omero il pallor muto del viso. Sì: dissi sopra te l'orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni! Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento. Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi! Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto... Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre... adagio, per non farti male.
Giovanni Pascoli (Poemetti di Giovanni Pascoli (Italian Edition))
Penso che sia incredibile come cambia tutto quando incontri la persona che ami, incredibile quanto velocemente quel a persona ti possa bastare. Ti senti avvolto e riscaldato dal pensiero di lei, tutto diventa più leggero, anche se sei al lavoro e sono le quattro e venti del pomeriggio e fuori piove. Sei in macchina in autostrada, sei stanco, i vestiti ti stanno scomodi, ma pensi a lei e sorridi da solo, poi ti guardi nel o specchietto per vedere se sei abbastanza bel o per lei. Mandi messaggi e se non ti risponde subito è perché è in riunione o non ha sentito, certo non perché non ha voglia. È venerdì sera, la vedi e pensi che sei fortunato perché per due giorni è tutta tua. È tua a colazione, è tua dopo pranzo nel letto, mentre cerchi di vedere un film. Ti dice che martedì sera le va di cucinare per te e che ti aspetta a casa verso le nove, e tu al e otto e quarantacinque fai le scale di casa sua a due gradini al a volta, al egro e innamorato, perché hai voglia di baciarla e di sentire il suo odore. Quando entri in casa sua c’è già un buon profumo e non sai trovare le parole per dire a te stesso quanto sei felice, e quando sei solo in bagno ti guardi al o specchio e ti fai i complimenti per quanto lei è bela.
Fabio Volo (Le prime luci del mattino)
They found a coin and helped him to the telescope. He complained and insulted them, but they helped him look at each individual letter in turn. The first letter was a 'w,' the second an 'e.' Then there was a gap. An 'a' followed, then a 'p,' an 'o,' and an 'l.' Marvin paused for a rest. After a few moments they resumed and let him see the 'o,' the 'g,' the 'i,' the 'z,' and the 'e.' The next two words were 'for' and 'the.' The last one was a long one, and Marvin needed another rest before the could tackle it. It started with 'i,' then 'n,' then 'c.' Next came an 'o' and an 'n,' followed by a 'v,' an 'e,' another 'n,' and an 'i.' After a final pause, Marvin gathered his strength for the last stretch. He read the 'e,' the 'n,' the 'c,' and at last the final 'e,' and staggered back into their arms. 'I think,' he murmured at last from deep within his corroding, rattling thorax, 'I feel good about it.' The lights went out in his eyes for absolutely the very last time ever.
Douglas Adams (So Long, and Thanks for All the Fish (Hitchhiker's Guide to the Galaxy, #4))
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire partecipare. Chi vive veramente non può non essere cittadino partecipe. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Io partecipo, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, partecipo. Perciò odio chi non partecipa, odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci
« C’hai ragione, è stupido prendere delle medicine che dovrebbero aiutare le persone a non essere depresse e invece le fa ingrassare, perché essere grassi è un sacco deprimente.» Scossi la testa. Che razza di idiozia poteva spingere qualcuno a mettere la propria vanità al di sopra della propria salute mentale? E che razza di idiota avrebbe potuto avallare una simile scelta? Eppure mi faceva piacere che Darian la pensasse a quel modo. Accidentale o no, era la prima volta che qualcuno mi riconosceva la possibilità di essere frivolo e sciocco come qualsiasi altro individuo. Che mi riconosceva il diritto a non essere grato per il semplice fatto di passare da un giorno all’altro come un gonfio e vacuo zombi. «Allora siamo tutti e due superficiali e ci meritiamo a vicenda,» dissi.
Alexis Hall (Glitterland (Spires, #1))
All Summer in a Day” by Ray Bradbury Because of Winn-Dixie by Kate DiCamillo Big Nate series by Lincoln Peirce The Black Cauldron (The Chronicles of Prydain) by Lloyd Alexander The Book Thief  by Markus Zusak Brian’s Hunt by Gary Paulsen Brian’s Winter by Gary Paulsen Brown Girl Dreaming by Jacqueline Woodson Bud, Not Buddy by Christopher Paul Curtis The Call of the Wild by Jack London The Cat in the Hat by Dr. Seuss Charlotte’s Web by E. B. White The Chronicles of Narnia series by C. S. Lewis Diary of a Wimpy Kid series by Jeff Kinney Fahrenheit 451 by Ray Bradbury The Giver by Lois Lowry Goodnight Moon by Margaret Wise Brown Harry Potter series by J. K. Rowling Hatchet by Gary Paulsen The High King (The Chronicles of Prydain) by Lloyd Alexander The Hobbit by J. R. R. Tolkien Holes by Louis Sachar The Hunger Games by Suzanne Collins I Am LeBron James by Grace Norwich I Am Stephen Curry by Jon Fishman Island of the Blue Dolphins by Scott O’Dell Johnny Tremain by Esther Hoskins Forbes Julie of the Wolves by Jean Craighead George Kidnapped by Robert Louis Stevenson LeBron’s Dream Team: How Five Friends Made History by LeBron James and Buzz Bissinger The Lightning Thief  (Percy Jackson and the Olympians) by Rick Riordan A Long Walk to Water by Linda Sue Park The Merry Adventures of Robin Hood by Howard Pyle Number the Stars by Lois Lowry The Outsiders by S. E. Hinton The River by Gary Paulsen The Sailor Dog by Margaret Wise Brown Sarah, Plain and Tall by Patricia MacLachlan Shiloh by Phyllis Reynolds Naylor “A Sound of Thunder” by Ray Bradbury Star Wars Expanded Universe novels (written by many authors) Star Wars series (written by many authors) The Swiss Family Robinson by Johann D. Wyss Tales from a Not-So-Graceful Ice Princess (Dork Diaries) by Rachel Renée Russell Tales of a Fourth Grade Nothing by Judy Blume “The Tell-Tale Heart” by Edgar Allan Poe Treasure Island by Robert Louis Stevenson Tuck Everlasting by Natalie Babbitt Under the Blood-Red Sun by Graham Salisbury The Very Hungry Caterpillar by Eric Carle When You Reach Me by Rebecca Stead A Wrinkle in Time by Madeleine L’Engle
Andrew Clements (The Losers Club)
Non sono tipo da messaggi o da idee io… Le idee, ne è piena l’enciclopedia… Io sono uno stilista. Un maniaco dello stile. Oh una cosa da nulla, una certa musichetta introdotta nello stile, tutto qui. Sono l’ultimo musicista del romanzo! Il resto, immaginazione, creatività e roba del genere, non mi interessa. La lingua, nient’altro che la lingua, ecco l’importante. La foto non è il vero: il vero lo si fa barando al modo giusto. Se prendi un bastone e vuoi farlo apparire diritto nell’acqua, devi prima curvarlo sennò sembra rotto. Bisogna romperlo prima di immergerlo. È un vero lavoro, è il lavoro dello stilista. Ci vuole un enorme respiro, grande sensibilità, è difficilissimo da fare, perché bisogna girarle attorno. Attorno a che? All’emozione! Perché in principio non era il verbo, era l’emozione. L’argot non si fa con il dizionario, ma con immagini nate dall’odio; è l’odio che fa l’argot! Tutti hanno voluto imitarmi, nessuno c’è riuscito… Mi prendono per un primitivo, un rozzo… Io invece sono un raffinato, un aristocratico, e quei cretini credono che improvvisi… Io so far ballare i tavolini e loro no, ecco la verità! I miei libri moriranno anche loro, e presto, si capisce, ma almeno avranno vissuto! Tanto i posteri saranno i cinesi… E quelli se ne fregheranno altamente della mia letteratura fessa e del mio stile vacca e dei miei tre puntini…
Louis-Ferdinand Céline
Surâsul său era foarte inocent, dulce, l-am putea numi, şi totuşi de o profundă melancolie. Melancolia în vârsta lui este semnul caracteristic al orfanilor; el era orfan, o existenţă — cum sunt multe la noi — fără de speranţă şi afară de aceea determinat prin naştere la nepozitivism. În introducerea acestor şiruri am surprins unele din cugetările care-l preocupau în genere — şi c-un asemenea cap omul nu ajunge departe — şi mai cu seamă cel sărac — şi Dionis era un băiet sărac. Prin natura sa predispusă, el devenea şi mai sărac. Era tânăr — poate nici optsprezece ani — cu atât mai rău... ce viaţă-l aşteaptă pe el?... Un copist avizat a se cultiva pe apucate, singur... şi această libertate de alegere în elementele de cultura îl făcea să citească numai ceea ce se potrivea cu predispunerea sa sufletească atât de visătoare. Lucruri mistice, subtilităţi metafizice îi atrăgeau cugetarea ca un magnet — e minune oare că pentru el visul era o viaţă şi viaţa un vis? Era minune că devenea superstiţios? Adesa îşi închipuise el însuşi cât de trişti, cât de lungi, cât de monotoni vor trece anii vieţii lui — o frunză pe apă.
Mihai Eminescu (Sărmanul Dionis)
mi viene solo in mente quella storia dei fiumi, […] e al fatto che si son messi lì a studiarli perché giustamente non gli tornava 'sta storia che un fiume, dovendo arrivare al mare, ci metteva tutto quel tempo, cioè scelga, deliberatamente, di fare un sacco di curve, invece di puntare dritto allo scopo, […] c'è qualcosa di assurdo in tutte quelle curve, e così si sono messi a studiare la faccenda e quello che hanno scoperto alla fine, c'è da non crederci, è che qualsiasi fiume, […], prima di arrivare al mare fa esattamente una strada tre volte più lunga di quella che farebbe se andasse diritto, sbalorditivo, se ci pensi, ci mette tre volte tanto quello che sarebbe necessario, e tutto a furia di curve, appunto, solo con questo stratagemma delle curve, […] è quello che hanno scoperto con scientifica sicurezza a forza di studiare i fiumi, tutti i fiumi, hanno scoperto che non sono matti, è la loro natura di fiumi che li obbliga a quel girovagare continuo, e perfino esatto, tanto che tutti, dico tutti, alla fine, navigano per una strada tre volte più lunga del necessario, anzi, per essere esatti, tre volte virgola quattordici, giuro, il famoso pi greco, non ci volevo credere, in effetti, ma pare che sia proprio così, devi prendere la loro distanza dal mare, moltiplicarla per pi greco e hai la lunghezza della strada che effettivamente fanno, il che, ho pensato, è una gran figata, perché, ho pensato, c'è una regola per loro vuoi che non ci sia per noi, voglio dire, il meno che ti puoi aspettare è che anche per noi sia più o meno lo stesso, e che tutto questo sbandare da una parte e dall'altra, come se fossimo matti, o peggio smarriti, in realtà è il nostro modo di andare diritti, modo scientificamente esatto, e per così dire già preordinato, benché indubbiamente simile a una sequenza disordinata di errori, o ripensamenti, ma solo in apparenza perché in realtà è semplicemente il nostro modo di andare dove dobbiamo andare, il modo che è specificatamente nostro, la nostra natura, per così dire, cosa volevo dire?, quella storia dei fiumi, sì, è una storia che se ci pensi è rassicurante, io la trovo molto rassicurante, che ci sia una regola oggettiva dietro a tutte le nostre stupidate, è una cosa rassicurante, tanto che ho deciso di crederci, e allora, ecco, quel che volevo dire è che mi fa male vederti navigare curve da schifo come quella di Couverney, ma dovessi anche andare ogni volta a guardare un fiume, ogni volta, per ricordarmelo, io sempre penserò che è giusto così, e che fai bene ad andare, per quanto solo a dirlo mi venga da spaccarti la testa, ma voglio che tu vada, e sono felice che tu vada, sei un fiume forte, non ti perderai…
Alessandro Baricco (City)
[Il buon lettore] non appartiene a una nazione o a una classe specifica. Non c'è direttore di coscienza o club del libro che possa gestire la sua anima. Il suo modo d'accostarsi a un'opera di narrativa non è determinato da quelle emozioni giovanili che portano il lettore mediocre a identificarsi con questo o quel personaggio e a "saltare le descrizioni". Il buon lettore, il lettore ammirevole, non s'identifica con il ragazzo o la ragazza del libro, ma con il cervello che quel libro ha pensato e composto. Non cerca in un romanzo russo informazioni sulla Russia, perché sa che la Russia di Tolstoj o di Cechov non è la Russia della storia ma un mondo specifico immaginato e creato da un genio individuale. Al lettore ammirevole non interessano le idee generali; ma la visione particolare. Gli piace il romanzo non perché gli permette di inserirsi nel gruppo; gli piace perché assorbe e capisce ogni particolare del testo, gode di ciò che l'autore voleva fosse goduto, sorride interiormente e dappertutto, si lascia eccitare dalle magiche immagini del grande falsario, del fantasioso falsario, del prestigiatore, dell'artista. In realtà, di tutti i personaggi creati da un grande artista, i più belli sono i suoi lettori.
Vladimir Nabokov (Lectures on Russian Literature)
From his beach bag the man took an old penknife with a red handle and began to etch the signs of the letters onto nice flat pebbles. At the same time, he spoke to Mondo about everything there was in the letters, about everything you could see in them when you looked and when you listened. He spoke about A, which is like a big fly with its wings pulled back; about B, which is funny, with its two tummies; or C and D, which are like the moon, a crescent moon or a half-full moon; and then there was O, which was the full moon in the black sky. H is high, a ladder to climb up trees or to reach the roofs of houses; E and F look like a rake and a shovel; and G is like a fat man sitting in an armchair. I dances on tiptoes, with a little head popping up each time it bounces, whereas J likes to swing. K is broken like an old man, R takes big strides like a soldier, and Y stands tall, its arms up in the air, and it shouts: help! L is a tree on the river's edge, M is a mountain, N is for names, and people waving their hands, P is asleep on one paw, and Q is sitting on its tail; S is always a snake, Z is always a bolt of lightning, T is beautiful, like the mast on a ship, U is like a vase, V and W are birds, birds in flight; and X is a cross to help you remember.
J.M.G. Le Clézio (Mondo et autres histoires)
Dovrebbe essere noto – e invece non lo è – che il destino dei rapporti tra le persone viene deciso all’inizio, una volta per tutte, sempre, e che per sapere in anticipo come andranno a finire le cose basta guardare come sono cominciate. In effetti, quando un rapporto nasce c’è sempre un momento di illuminazione nel quale si riesce anche a vederlo crescere, distendersi nel tempo, diventare ciò che diventerà e finire come finirà – tutto insieme. Si vede bene perché in realtà è già tutto contenuto nell’inizio, come la forma di ogni cosa è contenuta nel suo primo manifestarsi. Ma si tratta di un momento, per l’appunto, e poi quella visione ispirata svanisce, o viene rimossa, ed è solo per questo che le storie tra le persone producono sorprese, danni, piacere o dolore imprevisto. Lo sapevamo, per un lucido, breve momento l’avevamo saputo, all’inizio, ma poi, per il resto della nostra vita, non l’abbiamo saputo più. Come quando ci si alza dal letto, di notte, e ci si ritrova a brancolare nel buio della nostra stanza per andare in bagno, e ci sentiamo smarriti, e accendiamo la luce per mezzo secondo, e poi la rispegniamo subito, e quel lampo ci mostra la strada, ma solo per il tempo necessario ad andare a fare la nostra pisciatina e ritornare a letto. La prossima volta saremo di nuovo smarriti.
Sandro Veronesi (Il colibrì)
Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna: e allora com’è che in voi non è così? Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui. Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete, sbagliate. Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro. Ve lo dico con umilità, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto: non così poco. O è ormai troppo tardi? O il Sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev’esser così.
Oriana Fallaci
Ho riflettutto molto su come descriverlo, e questo è quel che ho deciso: «Nessuno l'ha mai definito un grande cane, o anche un buon cane. Era sfrenato come un ossesso e forte come un toro. Affrontava gioiosamente la vita, con un entusiasmo associato spesso a disastri naturali. È l'unico cane che sia mia stato espulso da un corso di aducazione all'obbedienza». Continuavo: «Marley era un divoratore di divani, un demolitore di porte a zanzariera, un dispensatore di saliva, un ribaltatore di coperchi di pattumiera. Quanto al cervello, lasciatemi dire che ha dato la caccia alla sua coda fino al giorno in cui è morto, apparentemente convinto di essere sull'orlo di una grossa svolta nel mondo canino». Ma c'era dell'altro in lui, e descrissi il suo intuito e la sua empatia, la sua dolcezza con i bambini, e il suo cuore puro. Quelo che volevo realtmente dire era come quest'animale aveva toccato le nostre anime e ci aveva insegnato alcune delle lezioni più importanti della vita. «Una persona può imparare molto da un cane, anche da un cane strambo come il nostro», scrissi. «Marley mi ha insegnato a vivere ogni giorno con sfrenata esuberanza e gioia, a cogliere il momento e seguire il mio cuore. Mi ha insegnato ad apprezzare le cose semplici: una passeggiata nei boschi, una fresca nevicata, un sonnellino in un raggio di sole invernale. E mentre diventava vecchio e malandato, mi ha insegnato l'ottimismo di fronte alle avversità. Sopprattutto mi ha insegnato l'amicizia, l'altruismo e una profonda devozione.» Era uno straordinario concetto che solo ora, sulla scia della sua morte, stavo assorbendo totalmente: Marley come mentore. Era un maestro e un modello di comportamento. Era possibile per un cane, qualsiasi cane, ma soprattutto un pazzo cane incontrollabile come il nostro, indicare agli umani le cose che contavano realmente nella vita? Direi di sì. Lealtà. Coraggio. Devozione. Semplicità. Gioia. E le cose che non contavano. A un cane non servono automobili lussuose o grandi case o vestiti di sartoria. Gli status symbol non significano niente per lui. Un bastone fradicio gli va altrettanto bene. Un cane giudica gli altri non dal colore, il credo o la classe ma da chi sono interioremente. A un cane non importa se sei ricco o povero, istruito o analfabeta, intelligente o stupido. Dagli il tuo cuore e lui ti darà il suo. Era molto semplice, eppure noi umani, così più saggi e più sofisticati, abbiamo sempre avuto difficltà a immaginare quel che conta e non conta realemente. Mentre scrivevo quest'articolo di addio a Marley, mi rendevo conto che era tutto lì di fronte a noi, se solo avessimo aperto gli occhi. A volte occorre un cane con un alito cattivo, pessime maniere, e intenzioni pure per aiutarci a vedere.
John Grogan (Io & Marley)
Di solito non parlo con gli sconosciuti. Non mi piace parlare con chi non conosco. E non per via della famosa frasa Non Dare Confidenza Agli Sconosciuti che ci ripetono continuamente a scuola, che tradotto vuol dire non accettare caramelle o un passaggio da uno sconosciuto perché vuole fare sesso con te. Non è questo che mi preoccupa. Se un estraneo mi toccassse lo colpirei immediatamente, e io so colpire molto forte. Come per esempio quella volta che ho preso a pugni Sarah perché mi aveva tirato i capelli e l’ho fatta svenire e le è venuta una commozione cerebrale e avevano dovuto portarla al pronto soccorso. E poi ho sempre con me il mio coltellino svizzero che ha una lama a seghetto in grado di tranciare le dita a un uomo. Non mi piacciono gli estranei perché non mi piacciono le persone che non conosco. Sono difficili da capire. È come essere in Francia, dove andavamo qualche volta in campeggio quando mio madre era ancora viva. E io odiavo la Francia perché se entravo in un negozio o in un ristorante o andavo in spiaggia non capivo quel che dicevano, e la cosa mi terrorizzava. Ci metto un sacco di tempo per abituarmi alle persone che non conosco. Per esempio, quando c’è una persona nuova che viene a lavorare a scuola non le parlo per settimane e settimane. Rimango a osservarla finché non sono certo di potermi fidare. Poi le faccio delle domande su di lei, sulla sua vita, del tipo se ha degli animali e qual è il suo colore preferito e cosa sa dell’Apollo e le chiedo di disegnarmi una piantina della sua casa e voglio sapere che macchina ha, così imparo a conoscerla. Da quel momento in poi non mi preoccupo più se mi capita di trovarmi nella stessa stanza con questa persona e non sono più obbligato a stare all’erta.
Mark Haddon (The Curious Incident of the Dog in the Night-Time)
In effetti, [dio] sarebbe riapparso solo molto più tardi, in una data di cui non è rimasta traccia, per scacciare la sventurata coppia dal giardino dell’eden per il nefando crimine di aver mangiato del frutto dell’albero del bene e del male. Questo episodio, che diede origine alla prima definizione di un peccato originale fino ad allora ignorato, non è mai stato ben spiegato. In primo luogo, persino l’intelligenza più rudimentale non avrebbe alcuna difficoltà a comprendere che essere informato sarà sempre preferibile a ignorare, soprattutto in materie tanto delicate come lo sono queste del bene e del male, nelle quali chiunque si mette a rischio, senza saperlo, di una condanna eterna a un inferno che allora era ancora da inventare. In secondo luogo, grida vendetta l’imprevidenza del signore che, se realmente non voleva che mangiassero di quel suo frutto, avrebbe avuto un rimedio facile, sarebbe bastato non piantare l’albero, o andare a metterlo altrove, o circondarlo da un recinto di fildiferro spinato. E, in terzo luogo, non fu per aver disobbedito all’ordine di dio che adamo ed eva scoprirono di essere nudi. Nudi e crudi, con tutto quanto all’aria, c’erano già quando andavano a letto, e se il signore non aveva mai notato una mancanza di pudore così evidente, la colpa era della sua cecità di progenitore, proprio quella che, a quanto pare inguaribile, ci impedisce di vedere che i nostri figli sono, in fin dei conti, tanto buoni o tanto cattivi quanto gli altri.
José Saramago (Caino)
- E com’è fatto un orobilogio? - - Non si può vedere, è fatto di tante parti insieme che mescolandosi diventano invisibili. Vuoi un esempio? La tua casa, la guardi dal di fuori e dici: questa è la mia casa. Ma la casa ha sotto la cantina, la tinaia buia con le botti, la muffa sulle pareti quell’odore di anni e secoli, ma in quel passato oscuro fermenta il vino e i formaggi maturano. Sopra c’è il granaio, con la farina, le mele, le noci e i pomodori secchi, e ci frullano i topi rosicchioni e i ghiri ladruncoli, lì ci sono le provviste per il futuro. Poi c’è la casa dove abiti, col camino caldo, la cucina che fuma e il cesso che scroscia, e il letto ti accoglie e prepara i sogni, ma anche gli incubi, e le lenzuola gelate d’inverno, e la febbre e le ore che non dormi la notte. E a volte tutto cambia: dal camino entra la notte, le faville dei fantasmi del passato, o la paura di ciò che sta dietro la porta, nella cantina il vino e il buio ti fanno immaginare viaggi e abbordaggi, nel granaio sbattono la testa uccelli imprigionati, come brutti pensieri. Ecco, questa è la tua casa, non quella che vedi dal di fuori, con le finestre, il portone e l’edera sul muro.
Stefano Benni (Saltatempo)
« Quello che avrei potuto dirle, per aiutarla, l'ho capito solo più tardi ripensando a quel giorno, al suo salto, alla sua follia. Le avrei dovuto dire che tanti saltano nello stesso modo via dalla loro vita, oltre se stessi, rischiando tutto per sentirsi davvero vivi. Avrei dovuto dirle che tutti lo fanno chiusi nelle loro paure, chiusi dentro la botte mefitica delle loro paure. Un posto piccolissimo, molto nero, dove sei solo, e fai fatica a respirare. Non c'è nulla che si possa fare per cambiare le cose e già si è fortunati se qualcuno ha avuto per noi l'attenzione di mettere una piccola musica, là dentro; o se capita di avere un amico ad aspettarci in un'ansa del fiume per riportarci a casa, in una qualche casa. Questo, le avrei dovuto dire. Invece solo la strinsi fa le mie braccia, e non fui capace di dire niente. Piccola Rachel... Davvero si sarebbe meritata un giorno di gloria, lei e quegli altri due matti, sa il cielo come mi mancano. Ma non è andata così, spesso non va così. Si semina, si raccoglie, e non c'è nesso tra una cosa e l'altra. Ti insegnano che c'è, ma... non so, io non l'ho mai visto. Accade di seminare, accade di raccogliere, tutto lì. Per questo la saggezza è un rito inutile e la tristezza un sentimento inesatto, sempre. Seminammo con cura, tutti, quella volta, seminammo immaginazione, e follia e talento. Ecco cosa abbiamo raccolto, un frutto ambiguo: la luce bella di un ricordo e il privilegio di una commozione che per sempre ci renderà eleganti, e misteriosi. Voglia il cielo che questo basti a salvarci, per tutto il tempo che ci sarà dato, ancora. »
Alessandro Baricco
He imagined a town called A. Around the communal fire they’re shaping arrowheads and carving tributes o the god of the hunt. One day some guys with spears come over the ridge, perform all kinds of meanness, take over, and the new guys rename the town B. Whereupon they hang around the communal fire sharpening arrowheads and carving tributes to the god of the hunt. Some climatic tragedy occurs — not carving the correct tributary figurines probably — and the people of B move farther south, where word is there’s good fishing, at least according to those who wander to B just before being cooked for dinner. Another tribe of unlucky souls stops for the night in the emptied village, looks around at the natural defenses provided by the landscape, and decides to stay awhile. It’s a while lot better than their last digs — what with the lack of roving tigers and such — plus it comes with all the original fixtures. they call the place C, after their elder, who has learned that pretending to talk to spirits is a fun gag that gets you stuff. Time passes. More invasions, more recaptures, D, E, F, and G. H stands as it is for a while. That ridge provides some protection from the spring floods, and if you keep a sentry up there you can see the enemy coming for miles. Who wouldn’t want to park themselves in that real estate? The citizens of H leave behind cool totems eventually toppled by the people of I, whose lack of aesthetic sense if made up for by military acumen. J, K, L, adventures in thatched roofing, some guys with funny religions from the eastern plains, long-haired freaks from colder climes, the town is burned to the ground and rebuilt by still more fugitives. This is the march of history. And conquest and false hope. M falls to plague, N to natural disaster — same climatic tragedy as before, apparently it’s cyclical. Mineral wealth makes it happen for the O people, and the P people are renowned for their basket weaving. No one ever — ever — mentions Q. The dictator names the city after himself; his name starts with the letter R. When the socialists come to power they spend a lot of time painting over his face, which is everywhere. They don’t last. Nobody lasts because there’s always somebody else. They all thought they owned it because they named it and that was their undoing. They should have kept the place nameless. They should have been glad for their good fortune, and left it at that. X, Y, Z.
Colson Whitehead (Apex Hides the Hurt)
«Ti vedono interpretare quella parte da così tanto tempo e si dimenticano che è solo un ruolo in uno spettacolo. Così, ogni volta che viene loro ricordato che non è reale, lo prendono come un tradimento o un attacco a una cosa che amano.» «Esatto» disse Cash. «La gente diventa dipendente dal mondo di fantasia che le offri, e si rivolta contro di te appena accenni a rompere l’illusione. Sai, se fossi una rockstar nessuno parlerebbe di me. L’unico motivo per cui faccio così scalpore è che il mio comportamento è diverso da quello del dottor Bumfuzzle. Capisci?» «Assolutamente» disse Sam a bassa voce. «La gente si aspetta troppo e poi ti critica quando le sue aspettative non vengono soddisfatte. È colpa tua, perché non sei la persona che vogliono che tu sia. Sei tu quello strano. Sei tu il mostro. In realtà, tutto quello che stai cercando di essere... è te stesso.» Non riusciva a capire se fosse il whisky o la conversazione, ma Sam stava provando emozioni sempre più forti. Volse lo sguardo alle luci della città per nascondere gli occhi lucidi. Cash era sorpreso che Sam capisse così bene la situazione. «Esatto» disse. «È sempre stata questa la cosa più difficile da gestire nel mio lavoro a Wiz Kids. Non c’è niente di peggio che accorgersi che tutti ti credono diverso da quello che sei. Ti fa sentire solo, è frustrante, e più doloroso di quanto si possa..»
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
Parlammo dei vari reparti che c’erano in giro. Simeone pareva sollecito e conciliante. «C’è posto anche per i badogliani» disse a un certo punto. «Il posto c’è» dissi io; «ma dove sono i badogliani?» «No» disse lui. «I badogliani che dico io siete voi.» «Tanti saluti» disse Enrico: «firmato Badoglio»; e si avviò con Dante per tornare al campo. L’uomo disse che doveva andare anche lui per le sue strade, ma io gli dissi: «Aspetta un momento», e mi misi a polemizzare con una certa foga. «Stammi bene a sentire» gli dissi. «Noi non siamo badogliani, anzi siamo nemici personali di Badoglio. Badoglio è una carogna.» Gli spiegai ben bene le mie vedute sul maresciallo e sui suoi colleghi, inoltre sul Re Imperatore e sul Principe di Piemonte; aggiunsi un appendice sui principini. «Dunque,» conclusi «se voi mettete fuori la chiacchiera che noi siamo badogliani, noi diremo che voi siete troskisti. Lo sai chi era Trotzki?» «Era una carogna» disse Simeone. «Sbagliato» dissi. «Era il creatore dell’Armata Rossa, il più bravo dei compagni di Lenin; era bravo più o meno come Lenin, e ancora più brillante.» «Non sarete mica troskisti?» disse Simeone. «Ma sì» dissi; «l’ala troskista dei badogliani.» «Dimmelo tu cosa siete» disse lui; io fui tentato di dirgli: deviazionisti crociani di sinistra, ma poi gli dissi brevemente che eravamo studenti, e con chi eravamo lì, e perché.
Luigi Meneghello (I piccoli maestri)
La bellezza è una cosa terribile e paurosa. Paurosa, perché è indefinibile, e definirla non si può, perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due rive si uniscono, qui tutte le contraddizioni coesistono. Io, fratello, sono molto ignorante, ma ho pensato molto a queste cose. Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l’uomo. Scioglili, se puoi, e torna salvo alla riva. La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l’ideale della Madonna e finisca con l’ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel suo cuore l’ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l’ideale della Madonna, anzi, il suo cuore brucia per questo ideale, e brucia davvero, sinceramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, l’animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione cos’è? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra un’infamia, per il cuore, invece, è tutta bellezza. Ma c’è forse bellezza nell’ideale di Sodoma? Credimi, proprio nell’ideale di Sodoma la trova l’enorme maggioranza degli uomini! Lo conoscevi questo segreto, o no? La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E’ qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini. Già, la lingua batte dove il dente duole…E ora veniamo al fatto. Ascolta.
Fyodor Dostoevsky
O dieses ist das Tier, das es nicht giebt. Sie wußtens nicht und habens jeden Falls – sein Wandeln, seine Haltung, seinen Hals, bis in des stillen Blickes Licht – geliebt. Zwar war es nicht. Doch weil sie’s liebten, ward ein reines Tier. Sie ließen immer Raum. Und in dem Raume, klar und ausgespart, erhob es leicht sein Haupt und brauchte kaum zu sein È questo l’animale favoloso, che non esiste. Non veduto mai, ne amaron le movenze, il collo, il passo: fino la luce dello sguardo calmo. Pure “non era”. Ma perchè lo amarono, divenne. Intatto. Gli lasciavan sempre più spazio. E in quello spazio chiaro, etereo: serbato a lui – levò, leggiero, il capo. And here we have the creature that is not. But they did not allow this , and as it happens - his gait and bearing, his arched neck, even the light in his eyes - they loved it all. Yet truly he was not. But because they loved him the beast was seen. And always they made room. And in that space, empty and unbounded, he raised an elegant head, yet hardly fought for his existence. Oh ! C'est elle, la bête qui n'existe pas. Eux, ils n'en savaient rien, et de toutes façons - son allure et son port, son col et même la lumière calme de son regard - ils l'ont aimée. Elle, c'est vrai, n'existait point. Mais parce qu'ils l'aimaient bête pure, elle fut. Toujours ils lui laissaient l'espace. Et dans ce clair espace épargné, doucement, Elle leva la tête, ayant à peine besoin d'être.
Rainer Maria Rilke
«Ho pensato che mi stessi evitando perché eri arrabbiato...» «Ti stavo evitando perché ero confuso. È stata una sorpresa scoprire che sei transessuale, ma una sorpresa ancora più grande scoprire che non mi crea nessun problema. Sono sempre stato attratto dalle ragazze, ma c’è solo una persona che posso dire di aver amato... E sei tu. Il mondo non è bianco e nero, e se tutto va a rotoli è perché c’è ancora chi la pensa così. Io non voglio essere una di quelle persone. Voglio solo essere felice, io, e non c’è nulla che mi rende più felice di te. Allora, che cosa pensi? Possiamo cercare di essere grigi insieme?» «E se non funzionasse?» domandò Sam. «Allora non avrà funzionato» rispose Topher facendo spallucce. «Anche se alla fine dovessimo rimanere solo amici, non posso immaginare nulla di peggio che non averti nella mia vita. Io ci sarò sempre per te, di qualunque cosa tu abbia bisogno, in qualunque momento. È semplice.» Le parole di Topher fecero venire le lacrime a Sam, ma per la prima volta da moltissimo tempo erano lacrime di gioia. Sam diede a Topher l’abbraccio più forte che poteva. «Non hai idea di quanto ho aspettato che qualcuno mi dicesse una cosa del genere» disse Sam. «È andata bene?» disse Topher. «Ho passato tutto il giorno a ripetermi il discorso nella testa. Spero di non essere apparso troppo mieloso o disperato, perché erano parole sincere.» «No, è stato perfetto» ridacchiò Sam. «E non c’è niente che mi renderebbe più felice di essere grigio con te»
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
«Wow» disse Cash. «Incredibile.» «Dai, non siamo creature magiche o roba del genere» disse Sam. «No, intendo dire che tu sei incredibile» disse Cash. «La maggior parte delle persone passa decenni a cercare se stessa, mentre tu sai esattamente chi sei prima ancora del college. È di grande ispirazione.» Sam aveva passato così tanto tempo a concentrarsi sui propri problemi che non si era mai reso conto che ci poteva essere anche qualche vantaggio nascosto tra tutti gli svantaggi. «Grazie» disse. «Non ci ho mai pensato. È un mondo difficile in cui vivere, ma trovare se stessi spesso è ancora più difficile.» «Il mondo non è mai stato un gran posto, ma questo non deve trattenerti dal diventare la persona migliore possibile» disse Cash. «Non sarà facile, ma non c’è niente di peggio che vivere una vita che non si sente propria. Prendi me, per esempio. Ho fatto incazzare tutti gli adolescenti patiti di fantascienza del mondo solo perché sono stato me stesso, ma non cambierei quello che ho fatto. Ora puoi anche essere spaventato, ma devi immaginare quanto bene ti sentirai una volta arrivato al traguardo. Lascia che sia questo a incoraggiarti, non le tue paure.» Sam annuì e cercò di assumere un’espressione coraggiosa, ma era la prima volta che qualcuno lo ascoltava, senza cercare di formulare una diagnosi. Qualche altra lacrima gli rigò il viso, e Cash le asciugò con la manica della camicia. Sam non riusciva a credere di stare parlando con la stessa persona che aveva conosciuto quella domenica
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l’edificio. L’invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. E’ la rivoluzione madre. E’ il completo rinnovarsi del modo di espressione dell’umanità, è il pensiero umano che si spoglia di una forma e ne assume un’altra, è il completo e definitivo mutamento di pelle di quel serpente simbolico che, da Adamo in poi, rappresenta l’intelligenza. Sotto forma di stampa, il pensiero è più che mai imperituro. E’ volatile, inafferrabile, indistruttibile. Si fonde con l’aria. Al tempo dell’architettura, diveniva montagna e si impadroniva con forza di un secolo e di un luogo. Ora diviene stormo di uccelli, si sparpaglia ai quattro venti e occupa contemporaneamente tutti i punti dell’aria e dello spazio.. Da solido che era, diventa vivo. Passa dalla durata all’ immortalità. Si può distruggere una mole, ma come estirpare l’ubiquità? Venga pure un diluvio, e anche quando la montagna sarà sparita sotto i flutti da molto tempo, gli uccelli voleranno ancora; e basterà che solo un’arca galleggi alla superficie del cataclisma, ed essi vi poseranno, sopravvivranno con quella, con quella assisteranno al decrescere delle acque, e il nuovo mondo che emergerà da questo caos svegliandosi vedrà planare su di sé, alato e vivente, il pensiero del mondo sommerso. Bisogna ammirare e sfogliare incessantemente il libro scritto dall'architettura, ma non bisogna negare la grandezza dell'edificio che la stampa erige a sua volta. Questo edificio è colossale. E’ il formicaio delle intelligenze. E’ l’alveare in cui tutte le immaginazioni, queste api dorate, arrivano con il loro miele. L’edificio ha mille piani. Sulle sue rampe si vedono sbucare qua e là delle caverne tenebrose della scienza intrecciantisi nelle sue viscere. Per tutta la sua superficie l’arte fa lussureggiare davanti allo sguardo arabeschi, rosoni, merletti. La stampa, questa macchina gigante che pompa senza tregua tutta la linfa intellettuale della società, vomita incessantemente nuovi materiali per l’opera sua. Tutto il genere umano è sull’ impalcatura. Ogni spirito è muratore. Il più umile tura il suo buco o posa la sua pietra. Certo, è anche questa una costruzione che cresce e si ammucchia in spirali senza fine, anche qui c’è confusione di lingue, attività incessante, lavoro infaticabile, concorso accanito dell’umanità intera, rifugio promesso all’ intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un’invasione di barbari. E’ la seconda torre di Babele del genere umano." - Notre-Dame de Paris, V. Hugo
Victor Hugo (The Hunchback of Notre-Dame)
C'è abbastanza perfidia, odio, violenza, assurdità nell'essere umano medio per rifornire qualsiasi esercito in qualsiasi giorno E i migliori assassini sono quelli che predicano la vita E i migliori a odiare sono quelli che predicano l'amore E i migliori in guerra - in definitiva - sono quelli che predicano la pace Quelli che predicano Dio hanno bisogno di Dio Quelli che predicano la pace non hanno pace Quelli che predicano amore non hanno amore Attenti ai predicatori Attenti ai sapienti Attenti a quelli che leggono sempre libri Attenti a quelli che o detestano la povertà o ne sono orgogliosi Attenti a quelli che sono sempre pronti ad elogiare poiché hanno loro bisogno di elogi in cambio Attenti a quelli pronti a censurare: hanno paura di quello che non sanno Attenti a quelli che cercano continuamente la folla: da soli non sono nessuno Attenti agli uomini comuni alle donne comuni Attenti al loro amore Il loro è un amore comune che mira alla mediocrità Ma c'è il genio nel loro odio C'è abbastanza genio nel loro odio per ucciderti Per uccidere chiunque Non volendo la solitudine Non concependo la solitudine Cercheranno di distruggere tutto ciò che si differenzia da loro stessi Non essendo capaci di creare arte non capiranno l'arte Come creatori, considereranno il loro fallimento solo come un fallimento del mondo intero Non essendo in grado di amare pienamente considereranno il tuo amore incompleto E poi odieranno te E il loro odio sarà perfetto Come un diamante splendente Come un coltello Come una montagna Come una tigre Come cicuta La loro arte più raffinata
Charles Bukowski
Cea mai minunată femeie din lume este cea care te iubeşte cu adevărat şi pe care-o iubeşti cu adevărat. Nimic altceva nu contează. Odată, pe vremea liceului, umblam pe bulevard cu un prieten, doi puşti zăluzi şi frustraţi care dădeau note «gagicilor» şi vorbeau cu atât mai scabros cu cât erau, de fapt, mai inocenţi erotic. Ce fund are una, ce balcoane are alta... Femeile nu erau nimic altceva pentru noi decât nişte obiecte de lux, ca automobilele lustruite din vitrinele magazinelor «Volvo» sau «Maserati»: nu ne imaginam cu adevărat că vom avea şi noi una vreodată. Prin dreptul cinematografului Patria am zărit o tipă trăznitoare. Am rămas înlemniţi: ce pulpe în ciorapi de plasă neagră, ce fund rotund şi ce mijloc subţire, ce ţoale pe ea, ce plete de sârmă roşie, răsucită în mii de feluri... Ne-am învârtit în jurul ei ca s-o vedem şi din faţă: cum putea avea aşa pereche de ţâţe, aşa de perfecte cum numai în albumele de artă — care pe-atunci ne ţineau loc de Penthouse—mai văzuserăm? Pentru cine era o astfel de fiinţă, cum putea fi o noapte de sex cu ea? Până la urmă ne-am aşezat la coadă la bilete, fără s-o scăpăm din ochi şi fără să-ncetăm comentariile. Când, îl auzim pe unul, un tip destul de jegos care stătea şi el la coadă, mâncând seminţe, înaintea noastră: «E bună paraşuta asta, nu? V-ar place şi vouă, ciutanilor... Da' ascultaţi-mă pe mine, c-am fumat destule ca ea: cât o vedeţi de futeşă, să ştiţi că e pe undeva un bărbat sătul de ea până peste cap! Poa'să fie cea mai mişto din lume, poa'să fie şi Brijibardo, că tot i-e drag vreunuia de ea ca mie de nevastă-mea...» Am fost mult mai şocat de remarcile astea decât mi-aş fi imaginat. Cum să te plictiseşti de frumuseţea însăşi, de neatins şi de neconceput? De cea pentru care ţi-ai da şi pielea de pe tine? Ce ar putea dori un bărbat mai mult decât să-şi poată trece braţul în jurul mijlocului ei, să poată privi minute-n şir în ochii ei, să o întindă încetişor pe pat... Să o scoată din învelişul ei de dantelă mătăsoasă... De-aici încolo imaginaţia mea se bloca, nu-mi puteam închipui cum e să faci dragoste. De câte ori mă gândeam cum ar fi, vedeam doar un ocean roz care se răsuceşte asupra ta şi te sufocă... Am cunoscut apoi femei reale, femei imaginare, femei din vis, femei din cărţi, femei din reclame, femei din filme, femei din videoclipuri. Femei din revistele porno. Fiecare altfel şi fiecare cu altceva de oferit. M-am îndrăgostit de câteva şi de fiecare dată a fost la fel: primul semn că aş putea-o iubi a fost mereu că nu m-am putut gândi, văzând-o, «cât de futeşă e». Chiar dacă era. Bărbaţii au creierul impregnat de hormoni. Nici cel mai distins intelectual nu e altfel, până şi el, la orice vârstă, îşi imaginează cum ar face-o cu fata plictisită, necunoscută, de lângă el. Dar când cunoşti cea mai minunată femeie din lume, care e cea pe care o poţi iubi, semnul este, trebuie să fie, că nici pulpele, nici «balcoanele» nu se mai văd, de parcă hormonii sexului şi-ai agresivităţii s-ar retrage din creierul tău tumefiat şi l-ar lăsa inocent ca un creier de copil şi translucid ca o corniţă de melc. Facem sex cu un creier de bărbat, dar iubim cu unul de copil, încrezător, dependent, dornic de a da şi a primi afecţiune. Femeile minunate din viaţa mea, toate cele pe care le-am iubit cu adevărat şi care-au răspuns cu dragoste dragostei mele, au fost într-un fel necorporale, au fost bucurie pură, nevroză pură, experienţă pură. Senzualitatea, uneori dusă până foarte departe, nu a fost decât un ingredient într-o aventură complexă şi epuizantă a minţii. Pentru mine nu există, deci, «cea mai minunată» în sensul de 90-60-90, nici în cel de blondă, brună sau roşcată, înaltă sau minionă, vânzătoare sau poetă. Cea mai minunată este cea cu care am putut avea un copil virtual numit «cuplul nostru», «dragostea noastră».
Mircea Cărtărescu (De ce iubim femeile)
Decisi che avrei scoperto chi aveva ucciso Wellington, anche se mio padre mi aveva ordinato di non ficcare il naso negli affari degli altri. Perché non faccio sempre quello che mi dicono di fare. Perché quando qualcuno mi dà degli ordini, di solito sono cose che mi confondono e che non hanno nessun senso. Per esempio quando dicono “Sta’ zitto”, ma non specificano per quanto tempo devi stare zitto. Oppure se su un cartello vedi NON CALPESTARE IL PRATO, in realtà dovrebbe esserci scritto NON CALPESTARE IL PRATO INTORNO A QUESTO CARTELLO oppure NON CALPESTARE IL PRATO DI QUESTO PARCO, perché invece ci sono molti prati su cui si può camminare. La gente non rispetta mai le regole. Mio padre per esempio va a più di 90 chilometri all’ora nelle strade dove non si devono superare i 90 chilometri all’ora, e qualche volta guida dopo aver bevuto e spesso non si mette la cintura di sicurezza quando prende il furgone. E nella Bibbia si legge Non uccidere, ma ci sono state le Crociate e due Guerre Mondiali e la Guerra del Golfo e in ognuna di queste guerre dei Cristiani hanno ucciso dei loro simili. E poi non lo capisco, quando dice “Non ficcare il naso negli affari degli altri”, perché non so cosa sono gli “affari degli altri”; io faccio un mucchio di cose con “gli altri”, a scuola, nel negozio e sul pulmino, e il suo lavoro consiste nell’andare a casa di altre persone e riparare i loro scaldabagni e l’impianto di riscaldamento. Anche questo vuol dire farsi gli affari degli altri. Siobhan mi capisce. Quando mi ordina di non fare una cosa mi dice esattamente cos’è che non devo fare. Così mi piace. Per esempio una volta mi ha detto: - Non devi mai prendere a pugni Sarah o picchiarla in nessun modo, Christopher. Anche se è lei a colpirti per prima. Se succede di nuovo, allontanati, rimani immobile e conta da 1 a 50, poi vieni da me a raccontarmi cosa ha fatto o parlane con qualche altro insegnante. Un’altra volta mi ha detto: - Se vuoi andare sull’altalena e c’è sempre qualcuno sopra, non spingerlo via. Chiedi se puoi fare un giro anche tu. E poi aspetta fino a quando non ha finito. Gli altri però quando ti danno un ordine non si comportano in questo modo. E allora sono io a decidere cosa fare e cosa non fare.
Mark Haddon (The Curious Incident of the Dog in the Night-Time)
Daca vrei ca un om sa fie fericit politiceste, nu-i infatisa doua laturi ale unei probleme, caci s-ar framanta, prezinta-i o singura latura, sau chiar nici una, e si mai bine. Lasa-l sa uite c-ar exista primejdia razboiului. Daca guvernul e incapabil, birocratic si ahtiat de impozite, lasa-l sa ramana asa, decat sa-i faci pe oameni sa se necajeasca din pricina asta. Avem nevoie de liniste, Montag. Da-le oamenilor concursuri la care castiga cei care-si aduc aminte cuvintele celor mai polulare cantece, sau de numele capitalelor diferitelor state, sau de recolta de porumb obtinuta in Iowa acum un an. Umple-le mintea cu date ne-inflamabile, impaneaza-le-o cu “fapte” pana ajung sa se simta ghiftuiti, dar grozav de “informati”; atunci au sa-si inchipuie ca gandesc, au sa aiba iluzia miscarii, fara sa se miste. Si-au sa fie fericiti, deoarece “faptele” de acest gen raman neschimbate. Nu trebuie sa le dai vreo materie nesigura, ca filozofia sau sociologia, cu care sa incerce sa-si explice lucrurile. I-ar apuca stenahoria. Orice om capabil sa monteze si sa demonteze un perete de televiziune – si mai toti oamenii sunt capabili acum de asa ceva – este mai fericit decat un om care icearca sa sa masoare, sa fixeze in calcule si ecuatii universul, ce nu se lasa masurat si calculat fara a-l face pe om sa se simta singur ca un animal. Stiu prea bine ca asa se intampla, fiindca am incercat eu insumi. La naiba cu toate astea! Traiasca seratele si cluburile, acrobatii si magicienii, petrecaretii, limuzinele cu reactie, elicopterele-motociclete, pornografia si stupefiantele, tot ce poate simula reflexele automate. Daca piesa e de proasta calitate, daca filmul nu spune nimic, daca spectacolul e lipsit de miez, faceti-mi o injectie cu theremina, si-am sa cred ca piesa ma emotioneaza, desi in realitate va fi doar o reactie tactila la o anumita vibratie. Nu-mi pasa, imi lace sa ma distrez copios!
Ray Bradbury (Fahrenheit 451)
Prendersi cura, all'interno di una relazione, non significa proteggersi. Perché in fondo fra due persone che si amano ferirsi è inevitabile, ma è anche un privilegio. Ogni ferita è una finestra che ci mostra la verità, l'irriducibile differenza fra due vite, E quella differenza e un peso difficilissimo da sostenere. Però quel peso e anche ciò che ti salva, che contiene tutto quel che ti serve per affrontare la salita, proprio come uno zaino per un alpinista. L'amore è piuttosto diventare un'occasione l'uno per l'altra. Quella di comprendere il diverso da noi, quel diverso che però ci portiamo anche dentro. E di riconoscerlo. E di accettarlo. E di impararne il significato, ogni giorno. Poi è difficile, si sa. Perché a volte è come se lei fosse un'austriaca e tu un giapponese pure un po' rincoglionito. Lei ti piace, tu le piaci, ma rimanete un'austriaca e un giapponese che non parlano le rispettive lingue, e corsi non ce n'é. Si può imparare solo con un'applicazione quotidiana. Tu le insegni le tue parole e lei insegna le sue. Certi giorni, non si capisce il perché, anche dopo anni, ti sembra di dover ricominciare tutto da capo. Il fatto è che ci hanno convinti che il senso dell'amore dovrebbe stare in quell'essere compresi subito, in un attimo, scarpe e tutto. Non è così. L'amore non è un'illuminazione, o lo è solo per un istante, per il resto è più una specie di viaggio a bordo di una tartaruga. Ognuno è libero di decidere quando scendere o se restare, per vedere insieme all'altro cosa c'è sulla sponda opposta del fiume. Richiede pazienza, come fare un puzzle senza sapere il disegno che verrà fuori, e la capacità di alimentare il fuoco di una concentrazione costante. Il problema è che le tartarughe vivono tantissimo e vanno pianissimo, mentre in giro è pieno di gente che ha fretta e sembra non avere più tempo per godersi il panorama. Che dal guscio di una tartaruga, è risaputo, soprattutto mentre incastri i pezzi di un puzzle, È davvero tutta un'altra cosa.
Matteo Bussola (La vita fino a te)
Ian mi spostò una ciocca di capelli dalla fronte.«Ma per bella che sia, non la conosco. Non è di lei che... mi importa.»La cosa mi fece sentire meglio. E ancora più confusa.«Ian, tu... nessuno qui ci separa come dovrebbe. Né tu, né Jamie, né Jeb.» La verità emerse all'improvviso, con più vigore di quanto desiderassi. «Tu non puoi affezionarti a me. Se potessi stringere tra le mani me, ne saresti disgustato. Mi butteresti a terra per schiacciarmi con un piede.» Corrugò la fronte pallida, aggrottando le sopracciglia nere. «Io... no, non se sapessi che sei tu.»Abbozzai una risata. «E come mi riconosceresti? Siamo tutte uguali.»Smarrì il sorriso.«È il suo corpo che conta» ribadii.«Non è affatto vero. Non è il volto, ma le sue espressioni. Non è la voce, ma il modo di parlare. Non è come ti sta quel corpo, ma le cose che ci fai. Tu sei bella.»Mentre parlava avanzò fino a inginocchiarsi ai piedi del mio letto, e riprese le mie mani tra le sue.«Non ho mai incontrato nessuna come te.» Non riuscii a prevederlo, come con Jared. Ian non mi era altrettanto fa-miliare. Melanie ne anticipò le intenzioni un istante prima che le sue labbra toccassero le mie."No!"Non fu come baciare Jared. Con lui non c'erano stati pensieri, ma soltanto desiderio. Senza controllo. Una fiammata inevitabile. Con Ian, non sapevo come sentirmi. Tutto era sfuocato e confuso.Le sue labbra erano morbide e calde. Le posò con delicatezza sulle mie, sfiorandole piano.«Bene o male?» sussurrò. Sorrisi. «Cos'hai combinato?»«Niente. Mi ha letteralmente incastrato.» La sua espressione innocente era un po' esagerata, perciò cambiò rapidamente argomento. «Indovina un po'? Jared ha passato il pranzo a ripetere che secondo lui non è giusto che tu abbandoni la stanza a cui eri abituata. E che non è il modo di trattare gli ospiti. Dice che tu dovresti tornare in camera con me! Non è grandioso? Gli ho chiesto se potevo dirtelo subito, e ha risposto che era una buona i-dea. Mi ha detto che ti avrei trovata qui.»«Ci avrei scommesso» mormorò Ian.«Che ne pensi, Wanda? Saremo di nuovo compagni di stanza!»«Ma, Jamie, dove andrà Jared?»«Aspetta, lasciami indovinare» lo anticipò Ian. «Non avrà detto anche che la vostra camera è abbastanza grande per tre?»«Sì. Come fai a saperlo?»«Ho tirato a indovinare.»«Buone notizie, no, Wanda? Sarà come prima che venissimo qui?»La sua frase fu come una pugnalata, un dolore troppo netto e preciso per confrontarlo con un pugno.Jamie scrutò allarmato la mia espressione afflitta. «Ops. Scusa, mi riferivo a tutte e due. Sarà bello. In quattro, no?»Cercai di ridere malgrado la sofferenza. Ian mi strinse la mano.«Tutti e quattro» mormorai. «Bene.»
Stephenie Meyer (The Host (The Host, #1))
«Le strade di Fantàsia», disse Graogramàn, «le puoi trovare solo grazie ai tuoi desideri. E ogni volta puoi procedere soltanto da un desiderio al successivo. Quello che non desideri ti rimane inaccessibile. Questo è ciò che qui significano le parole 'vicino' e 'lontano'. E non basta volere soltanto andar via da un luogo. Devi desiderarne un altro. Devi lasciarti guidare dai tuoi desideri.» «Ma io non desidero affatto andarmene da qui», ribatté Bastiano. «Dovrai trovare il tuo prossimo desiderio», replicò Graogramàn in tono quasi severo. «E quando l'avrò trovato», fece Bastiano di rimando, «come potrò andarmene da qui?» «Ascolta, mio signore», disse Graogramàn a voce bassa, «in Fantàsia c'è un luogo che conduce ovunque e al quale si può giungere da ogni parte. Viene chiamato il Tempio delle Mille Porte. Nessuno lo ha visto dall'esterno, perché non ha un esterno. Il suo interno consiste in un labirinto di porte. Chi lo vuole conoscere deve avere il coraggio di inoltrarsi in quel labirinto.» «Ma come è possibile, se non ci si può avvicinare dall'esterno?» «Ogni porta», continuò il leone, «ogni porta in tutta Fantàsia, persino una comunissima porta di cucina o di stalla, sicuro, persino l'anta di un armadio, può in un determinato momento diventare la porta d'ingresso al Tempio delle Mille Porte. Passato quell'attimo, torna a essere quello che era, una porta qualsiasi. Perciò nessuno può passare per più di una volta dalla stessa porta. E nessuna delle mille porte riconduce là da dove si è venuti. Non esiste ritorno.» «Ma una volta che si è dentro», domandò Bastiano, «si può uscirne?» «Sicuro», rispose il leone, «però non è così facile come nei soliti edifici. Perché attraverso il labirinto delle Mille Porte ti può guidare solo un vero desiderio. Chi non lo ha è costretto a continuare a vagarci dentro fino a quando sa esattamente che cosa desidera. E questo talvolta richiede molto tempo.» «E come si fa a trovare la porta d'ingresso?» «Bisogna desiderarlo.» Bastiano rifletté a lungo e poi disse: «È strano che non si possa semplicemente desiderare quello che si vuole. Ma, per la verità, da dove ci vengono i desideri? E che cos'è un desiderio?» Graogramàn guardò il ragazzo a occhi spalancati, ma non rispose. Qualche giorno più tardi ebbero un altro colloquio molto importante. Bastiano aveva mostrato al leone la scritta sul rovescio dell'amuleto. «Che cosa può significare?» domandò. «FA' CIO' CHE VUOI, questo vuol dire che posso fare tutto quello che mi pare, non credi?» Il volto di Graogramàn assunse d'improvviso un'espressione di terribile serietà e i suoi occhi divennero fiammanti. «No», esclamò con quella sua voce profonda e tonante, «vuol dire che devi fare quel che è la tua vera volontà. E nulla è più difficile.» «La mia vera volontà?» ripeté Bastiano impressionato. «E che cosa sarebbe?» «È il tuo più profondo segreto, quello che tu non conosci.» «E come posso arrivare a conoscerlo?» «Camminando nella strada dei desideri, dall'uno all'altro, e fino all'ultimo. L'ultimo ti condurrà alla tua vera volontà.» «Ma questo non mi pare tanto difficile.» «Di tutte le strade è la più pericolosa», replicò il leone. «Perché?» domandò Bastiano. «Io non ho paura.» «Non è di questo che si tratta», ruggì Graogramàn, «ciò richiede la massima sincerità e attenzione, perché non c'è altra strada su cui sia tanto facile perdersi definitivamente.»
Michael Ende
Sam era sempre stato diverso dalle altre ragazze, ma fu solo in terza elementare che passò da sentirsi diverso ad avvertire che c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Per la prima volta lui e i suoi compagni di classe non erano più soltanto alunni, ma vennero divisi in due gruppi: maschi e femmine. La separazione sembrò portare con sé una nuova serie di regole, divieti e aspettative invisibili che lui non aveva mai imposto a se stesso. Tutto ciò lo metteva a disagio, ma non riusciva a capire il perché. Sapeva di essere una femmina, era ovvio, ma perché non si sentiva donna? Perché dentro di sé sentiva di essere un maschio? Perché voleva essere trattato come un ragazzo? Era confuso, frustrato e si sentiva sbagliato, e quel sentimento diventò sempre più forte col passare del tempo. L’infanzia di Sam fu tormentata da domande cui non riusciva a trovare risposta. Era uno scherzo della natura? C’era qualcosa di guasto dentro di lui? Dio aveva fatto un errore? Era andato a catechismo con il suo amico Joey, e sapeva di poter imparare come pregare e chiedere a Dio di aggiustarlo. Tutte le sere Sam pregava di svegliarsi il giorno dopo nel corpo giusto, ma le sue preghiere non vennero mai esaudite. Qualche anno più tardi, le prime fasi della pubertà gli sembrarono più un dirottamento che una naturale evoluzione. Il suo corpo stava crescendo, ma sembrava tradirlo ogni giorno di più. Stava diventando qualcosa che non andava d’accordo con quello che provava. Non importava quanti video sull’argomento guardasse, l’idea di emergere dai suoi anni da teenager come donna sembrava estranea e innaturale, come un bruco che da crisalide si trasforma in ragno. Sam pensò che se avesse ignorato i cambiamenti, il suo corpo avrebbe potuto respingerli o invertirli. Invece di procurarsi un reggiseno, Sam si avvolse intorno al seno una benda elastica, in modo che il torace apparisse piatto. Più i seni crescevano più stringeva la benda, tanto che finì per ferirsi. A un certo punto comprò un reggiseno sportivo che aveva lo stesso effetto, ma fu per lui un momento di sconfitta: stava perdendo la battaglia con il proprio corpo
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
A scuola la signora Forbes mi disse che quando mia madre era morta era volata in cielo. Mi aveva raccontato questa cosa perché la signora Forbes è molto vecchia e crede nell’aldilà. Porta sempre i pantaloni della tuta perché sostiene che sono molto più comodi dei pantaloni normali. E ha una gamba leggermente più corta dell’altra a causa di un incidente in moto. Quando mia madre è morta, però, non è andata in cielo perché il cielo non esiste. Il marito della signora Peters è un prete che tutti chiamano il Reverendo Peters, e ogni tanto viene a trovarci a scuola per parlare un po’ con noi; un giorni gli chiesi dove fosse il cielo. - Non è nella nostra galassia. È un luogo a sè, - rispose. Qualche volta il Reverendo Peters emette uno strano verso mentre pensa, una specie di ticchettio con la lingua. E fuma e si sente l’odore delle sigarette mentre tespira e a me dà fastidio. Dissi che non c’era niente fuori dall’universo e che non poteva esistere un luogo a sè. A meno che non si attraversi un buco nero, ma un buco nero è ciò che si definisce una Singolarità, che significa che è impossibile scoprire cosa c’è dall’altra parte perché la forza di gravità di un buco nero è talmente potente che persino le onde elettromagnetiche come la luce non riescono a sfuggirle, e le onde elettromagnetiche sono il mezzo attraverso il quale riceviamo le informazioni su tutto ciò che è lontano da noi. Se il cielo si trovasse dall’altro lato di un buco nero i morti dovrebbero essere scaraventati nello spazio su dei razzi per arrivare fin lassù e così non è, altrimenti la gente se ne accorgerebbe. Penso che le persone credano nell’aldilà perché detestano l’idea di morire, perché vogliono continuare a vivere e odiano pensare che altri loro simili possano trasferirsi in casa loro e buttare tutte le loro cose nel bidone della spazzatura. Il Reverendo Peters spiegò: - Be’, quando dico che il cielo è fuori dall’universo è solo un modo di dire. Immagino che ciò che significa veramente è che i defunti sono con Dio. - Ma Dio dov’è? Allora il Reverendo Peters tagliò corto dicendo che avremmo fatto meglio a discuterne in un altro momento, quando avessimo avuto più tempo a disposizione. Ciò che di fatto avviene quando una persona muore è che il cervello smette di funzionare e il corpo si decompone, come quando morí Coniglio e noi lo seppellimmo in fondo al giardino. E tutte le sue molecole si frantumarono in altre molecole e si sparsero nella terra e vennero mangiate dai vermi e defluirono nelle piante, e se tra 10 anni andremo a scavare nello stesso punto non troveremo altro che il suo scheletro. E tra 1000 anni anche il suo scheletro sarà scomparso. Ma va bene ugualmente perché adesso lui è parte dei fiori e del melo e del cespuglio di biancospino. Quando una persona muore qualche volta viene messa in una bara, che significa che il suo corpo non si unirà alla terra per moltissimo tempo, finché anche il legno della bara non marcirà. Mia madre però fu cremata. Questo vuol dire che è stata messa in una bara e bruciata e polverizzata per poi trasformarsi in cenere e fumo. Non so cosa capiti alla cenere e non potei fare domande al cimitero perché non andai al funerale. Però so che il fumo esce da lcamino e si disperde nell’aria e allora qualche volta guardo il cielo e penso che ci siano delle molecole di mia madre lassù, o nelle nuvole sopra l’Africa o l’Antartico, oppure che scendano sotto forma di pioggia nelle foreste pluviali del Brasile, o si trasformino in neve da qualche parte, nel mondo.
Mark Haddon (The Curious Incident of the Dog in the Night-Time)
Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.
Antonio Tabucchi (Sostiene Pereira)