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A San Daniele dove il prosciutto unisce tre culture La chiesa La trecentesca chiesa di Sant’Antonio Abate, i cui affreschi, di due secoli successivi, costringono alla sosta pure il viaggiatore più goloso, è in cima al colle di San Daniele, che domina il bacino idrico del Tagliamento, uno dei pochi fiumi europei che ancora segua il proprio corso naturale, ricco di laghi e insenature da scoprire, e raccoglie il vento fresco di Carnia Federico Francesco Ferrero | 670 parole Non esiste un’altra regione d’Italia dove si possa percepire in maniera così chiara il concetto di «diversità». Il Friuli Venezia Giulia costituisce, da secoli, uno spazio di complesso contatto culturale, linguistico, gastronomico. Le basi dell’attuale variabilità sono da ricondurre a fatti storici di immigrazione e insediamento, che hanno collocato, uno a fianco all’altro, i romani, i germani e gli slavi, generando comunità che, ancora oggi, risultano solo apparentemente integrate. Italiano, «marilenghe» («lingua madre» o friulano), veneto, germanico e slavo, sono gli indicatori di una complessa realtà geografica, che si può riconoscere nel piatto prima ancora che nell’accento. Il clima Il baricentro e l’apice gastronomico di quest’area, si potrebbero indicare issando un vessillo sulla collinetta di San Daniele, proprio accanto alla trecentesca chiesa di Sant’Antonio abate, i cui affreschi, di due secoli successivi, costringono alla sosta pure il viaggiatore più goloso. La recente nevrosi meteorologica poi ci ha insegnato come solo alla provincia di Udine e a quella di Cuneo appartenga, per la loro collocazione in pianure strette tra monti e mare, una singolare specificità climatica. Copiose precipitazioni nevose e persistenza di venti freschi e asciutti, alternati a refoli umidi e salmastri, sono le condizioni ideali per la stagionatura di Sua Maestà il Prosciutto, la vetta più alta della gastronomia italiana, a torto umiliata dall’omologo spagnolo. Questo colle, che domina il bacino idrico del Tagliamento, uno dei pochi fiumi europei che ancora segua il proprio corso naturale, ricco di laghi e insenature da scoprire, raccoglie il vento fresco di Carnia. Bisogna avventurarsi tra quelle cime per scoprirne la bellezza austera, l’abbondanza di fiori e di tradizioni millenarie, tra cui una delle cucine più interessanti d’Italia, magistralmente ridotta a canone tradizionale e propulsore per l’innovazione, dal grande scomparso Gianni Cosetti. E lì, a Sauris, si trova un altro grande prosciutto, che la penuria di sale legata al dazio aveva costretto a conservare con una leggera affumicatura: ecco un primo esempio di diversità da scoprire. Nei boschi carnici il vento raccoglie i sentori resinosi che a San Daniele incontrano i profumi salmastri della laguna e della costa. Nel vicino Mare Adriatico si pescano molluschi e naselli impareggiabili e i bassi fondali garantiscono, già in primavera, lunghe, ristoratrici, passeggiate nell’acqua iodata. Luce dell’Est Per trovare un grande prodotto da gustare e da portare a casa sono necessarie però molte prove, finché si troverà, da un piccolo appassionato artigiano, una coscia di maiale che abbia riposato con il proprio piedino per almeno 24 mesi, da affettare al coltello e consumare a temperatura ambiente. Non è il pane ma l’asparago bianco di queste pianure, appena scottato in acqua dolce, il complemento più interessante. E una volta giunti fin qui non si può rinunciare a raggiungere la pianura di Cormons, per mettere alla prova un altro grande rivale: il prosciutto affumicato al camino in maniera artigianale. Il suo sapore avvolgente accompagnerà mirabilmente i grandi bianchi della regione circostante. Anche qui però i vicini di origine slava non sarebbero d’accordo. Alla coscia preferiscono la spalla, bollita a lungo sulla stufa, affettata spessa e condita con una generosa grattugiata di «cren», il rafano. E bisogna spingersi ancora più a Est, nelle collin
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