Vicini Quotes

We've searched our database for all the quotes and captions related to Vicini. Here they are! All 81 of them:

Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d'incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.
Philip Roth (American Pastoral)
Voi non me lo avete chiesto. Io non ho mai aperto bocca e voi non avete aperto la vostra. Non siamo nemmeno nello stesso anno insieme, meno che mai nella stessa stanza... eppure noi siamo insieme. Siamo vicini. Si sono incontrate le nostre menti.
Stephen King (On Writing: A Memoir of the Craft)
Vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.
Paolo Giordano (The Solitude of Prime Numbers)
Non eravamo vicini. Eravamo una cosa sola. I palmi delle mie mani sul suo petto. I suoi pugni tra le mie scapole. Le mie gambe legate dietro la sua schiena. Il suo viso padrone del mio. Il suo fiato corto fuso con il mio. La punta del mio naso premuta sulla sua. I suoi occhi sovrani dei miei.
Chiara Cilli (L'ultima alba (La guerra degli Dei, #2))
Forse è per questo che Dio ci fa prima piccoli e vicini al suolo. Forse è perché sa che dovremo cadere spesso e sanguinare molto prima di imparare quell'unica semplice lezione. Si paga per quel che si ottiene, si ottiene ciò per cui si paga. E prima o poi quel che ti appartiene torna a te.
Stephen King (It)
Quando vuoi liberarti delle finte amicizie, rispondi che stai male. Solo i veri amici si faranno ancora più vicini.
Marino Baccarini
Gli amici vanno tenuti vicini, i nemici sottoterra.
Paul Dale (The Dark Lord's Handbook)
Perchè di che cosa si vive, se non per essere oggetto di ridicolo agli occhi dei nostri vicini, e per ridere di loro a nostra volta?
Jane Austen (Orgoglio e pregiudizio)
Che tempi maledetti sono i periodi di malattia nell'infanzia e nell'adolescenza! Il mondo esterno, il mondo del tempo libero in cortile o in giardino, oppure per strada, penetra nella stanza del malato solo mediante rumori ovattati. Dentro prolifera il mondo delle storie con i loro eroi, di cui il malato legge. La febbre, che indebolisce la percezione e acuisce la fantasia, trasforma la stanza del malato in uno spazio nuovo, familiare ed estraneo al contempo; dei mostri emergono con le loro smorfie dei disegni delle tendine della tappezzeria, e le sedie, il tavolo, gli scaffali e l'armadio si ergono come montagne, palazzi o navi, tanto vicini da poterli toccare, eppure così lontani. I rintocchi dell'orologio del campanile, il rombo di una macchina che passa e le luci riflesse dei fari, che perlustrano le pareti e soffitto della stanza, accompagnano il malato attraverso le lunghe ore della notte. Sono ore senza sonno, ma non ore insonni; non ore di carenza ma di pienezza. Desideri, ricordi, paure e voglie combinano dei labirinti in cui il malato si perde, si ritrova e si perde. Sono ore in cui tutto è possibile, sia nel bene che nel male.
Bernhard Schlink (The Reader)
«Ho detto che sono tutte sciocchezze. Tu stai giocando le carte che ti hanno dato come chiunque altro in questo mondo infame. Hai dei doni per cui la gente ucciderebbe, è inutile che tu li disprezzi. Hai una madre che ti vuole bene e una bella casa dove tornare. Quei villani dei tuoi vicini, che ti guardano dall'alto in basso senza sapere niente solo perché non hai un padre, sono soltanto dei coglioni, il mondo è grande, e a te è stato affidato un ruolo importante. Credi che tutti vadano in giro fischiettando felici della vita che fanno? Credi che a loro sia stato concesso di scegliersi il proprio destino? Mi dispiace, piccola, ma non funziona così. Ti attacchi a quelli a cui vuoi bene e combatti le battaglie che puoi vincere: è così che vanno le cose, micetta.»
Jeaniene Frost (Halfway to the Grave (Night Huntress, #1))
E in passato, si chiese Archie, la gente imbrogliava di meno? Era piu' onesta, lasciava la porta di casa aperta, affidava i figli ai vicini, faceva visite agli amici, aveva il conto aperto con il macellaio?
Zadie Smith (White Teeth)
Ma i morti, ce li lasciamo alle spalle o li portiamo con noi? Credo che li portiamo con noi. Ci accompagnano. Ci restano vicini - solo in un'altra forma. Dobbiamo imparare a convivere assieme a loro e alla loro morte.
Jan-Philipp Sendker (L'arte di ascoltare i battiti del cuore)
Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano.Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati,smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale,che il vero destino sia quello di rimanere soli.Poi,proprio quando ci si sta per arrendere,quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l'uno all'altro. [...] Mattia pensava che lui e Alice erano così,due primi gemelli,soli e perduti,vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.
Paolo Giordano (The Solitude of Prime Numbers)
L'unica superiorità che l'ometto sul banco dei testimoni poteva vantare sui propri vicini di casa consisteva nel fatto che, a strofinarlo con la liscivia e acqua molto calda, si sarebbe scoperto che la sua pelle era bianca.
Harper Lee (To Kill a Mockingbird)
Gli esseri umani accolgono ogni cambiamento del proprio animo in una confusione di cose buone e cattive, e da soli portano quel peso per tutta la vita. Pregando, sempre da soli, di essere il più gentile possibile con le persone a cui vogliono bene e a cui sono vicini.
Banana Yoshimoto (Goodbye Tsugumi)
E ora? Non mi ami più? Non senti il cuore battere come un cazzo di tamburo? Lo stomaco sottosopra e il cervello fuso? Non senti quel fuoco quando siamo così vicini, quella voglia di toccarmi, sbattermi contro un muro e baciarmi finché non abbiamo più fiato? Be’… io sì
Debora C. Tepes (Sono sempre stata tua)
C'è stato un tempo in cui osavo sognare che Miriam e io, superati i novanta, saremmo spirati insieme, come Filemone e Bauci. E allora un munifico Zeus, con un lieve tocco del caduceo, ci avrebbe trasformato in due alberi vicini, coi rami che si sfiorano d'inverno, le foglie che si intrecciano a primavera.
Mordecai Richler (Barney's Version)
Decido che quando la riporterò a casa stasera non la bacerò. Le dimostrerò che questa è solo una cena amichevole tra vicini di casa e niente di più. Camminiamo in silenzio. Il braccio di Jane rimane infilato nel mio, ma non faccio nulla per toglierlo. Non le sono mai stato così vicino fisicamente e sono dolorosamente consapevole che è passato molto tempo da quando una donna mi ha toccato in un modo così dolce. Nonostante ogni fibra del mio essere mi stia urlando di non farmi coinvolgere, il suo tocco mi piace troppo per spingerla via. E quella consapevolezza è quasi sconvolgente perché è chiaro che, probabilmente, sto combattendo una battaglia già persa con me stesso.
Sawyer Bennett (Finding Kyle)
I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sè stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci.In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini,anzi,quasi vicini, perchè fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli.Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finchè non li si scopre. Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.
Paolo Giordano (The Solitude of Prime Numbers)
Quel che le madri non sospettano è che quando i padri si alzano alle tre di notte per coccolare i figli non è per fare i gentili, né per lasciarle dormire. È solo per recuperare il senso. Respirare, stringere, stare a godersi quel che c’è. Sentirsi un po' più vicini a una cosa che in fondo non hanno mai avuto e mai avranno. Perché quello che le donne non dicono non è niente in confronto a quel che gli uomini non sanno.
Matteo Bussola (Notti in bianco, baci a colazione)
La misantropia nasce dal riporre eccessiva fiducia in qualcuno senza una conoscenza tecnica, dal ritenere un uomo completamente veritiero, sano e affidabile, e dallo scoprire dopo poco tempo che è cattivo e inaffidabile, e così ancora con altri. E quando uno soffra molte volte per questa stessa esperienza, e soprattutto da parte di quelli che considera più vicini e più amici, allora, per i ripetuti colpi, finisce per odiare tutti e per ritenere che non ci sia niente di sincero in nessuno. Non ti sei accorto che è così che succede?". "Certo" risposi. "E questo - disse - non è brutto? e non è chiaro che chi agisce così cerca di trattare le persone senza una conoscenza specifica delle cose umane? Se infatti agisse con questa conoscenza, li giudicherebbe così come sono, alcuni estremamente buoni o cattivi, e la maggioranza mediocremente buona o cattiva".
Plato (Phaedo)
Nonostante l'acuto interesse che provava per i comportamenti dei suoi vicini gli riusciva difficile non guardarli dall'alto in basso. I cinque anni di matrimonio con Anne gli avevano fornito una nuova serie di pregiudizi. Di malavoglia, riconosceva di disprezzare i suoi compagni di residenza per come si adattavano volentieri ai posti assegnati loro nel condominio, per il loro ipertrofico senso di responsabilità, per la mancanza in loro di ogni fioritura colorata. Ma, più di tutto,li guardava dall'alto in basso per il loro buongusto. L'edifico era un monumento al buongusto, alle cucine dal bel design, agli utensili e ai tessuti raffinati, ai mobili eleganti e mai ostentati... A farla breve, li odiava per la sensibilità estetica che quei colti professionisti avevano ereditato da tutte le scuole di design industriale, e da tutti i premiati progetti per l'arredamento di interni che erano diventati canonici nell'ultimo quarto del ventesimo secolo. Royal detestava quella ortodossia degli intelligenti. Quando andava in visita negli appartamenti dei suoi vicini provava una repulsione fisica per le linee delle loro caffettiere d'autore, per l'insieme ben modulato dei colori, per il buongusto e l'intelligenza che, come Mida, avevano trasformato tutto ciò che c'era in quelle case in un perfetto connubio tra funzione e design. In un certo senso, erano le avanguardie degli agiati e colti proletari del futuro, inscatolati in quegli appartamenti carissimi con i loro arredamenti eleganti, le loro intelligenti sensibilità e nessuna possibilità di fuga.
J.G. Ballard
Papà," domandò ancora Giannina, "perché le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?". Una brigata più numerosa delle altre, che occupava buona parte della carrozzabile, e cantava in coro senza darsi pensiero di cedere il passo, aveva costretto l'automobile quasi a fermarsi. L'interpellato ingranò la seconda. "Si capisce," rispose. "I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti" - e di nuovo stava raccontando una favola -, "che é come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti.
Giorgio Bassani (Garden of the Finzi Continis)
Aveva conosciuto l’amore che si nutre di carezze e che a sua volta le nutre; ma questa passione cui si sentiva vicino più che al suo corpo non poteva essere placata con superficialità. Il suo unico terrore era quello di fare qualcosa che avrebbe cancellato il suono e l’impressione delle parole di lei; e la sua unica preoccupazione era quella di dover tornare a essere completamente solo. Dopo un istante fu sopraffatto da un senso di desolazione e di rovina. Erano lì, vicini e al sicuro e al chiuso; e tuttavia talmente incatenati ai loro destini disgiunti che avrebbero potuto trovarsi in due diverse metà del mondo.
Edith Wharton
[...] si sviluppa il web; successivamente vedono la luce l'ADSL, il wifi, i computer portatili come il mio Mac Air. È nelle mail che si concentreranno le mie relazioni amorose, amicali, di lavoro. Sono un nomade immobile che naviga nella sua relazione ininterrotta con i mondi vicini e lontani. Il telefono portatile conosce uno sconvolgimento negli anni Duemila. L'immediato è diventato naturale, permette agli innamorati di telefonarsi, mailarsi, skyparsi in un istante da San Francisco a Shanghai. Internet, e-mail, Google, tutto comunica, e tuttavia non ci si riesce a comprendere di più. Tutto è cambiato e niente è cambiato.
Edgar Morin (La mia Parigi, i miei ricordi)
Vedrai, la cosa peggiore non sono i tedeschi né l'Abwehr; la cosa peggiore è l'umanità. Perché se dovessimo temere solo i nazisti sarebbe facile: i crucchi li riconosci a distanza, con il loro naso piatto, i loro capelli biondi e il loro accento marcato. Ma non sono i soli da cui difendersi, e in realtà non lo sono mai stati: i tedeschi hanno risvegliato dei demoni, hanno riesumato la vocazione all'odio. Anche in Francia l'odio è molto diffuso: l'odio per l'altro – avvilente, cupo – si annida in tutti quanti. Nei nostri vicini, nei nostri amici, nei nostri parenti. Forse perfino nei nostri genitori. Dobbiamo diffidare di tutti.
Joël Dicker (Les derniers jours de nos pères)
«Essere pienamente vivi nel nostro mondo, così com'è. Mettersi vicini a coloro per i quali questo mondo è diventato intollerabile, e ascoltarli... L'unico sogno che vale la pena di avere è di vivere finché si è vivi e di morire solo quando si è morti.» «Che cosa significa esattamente?» «Amare. Essere amati. Non dimenticare mai la propria insignificanza. Non abituarsi mai alla violenza indicibile e alla volgare disparità della vita che ci circonda. Cercare la gioia nei luoghi più tristi. Inseguire la bellezza là dove si nasconde. Non semplificare mai ciò che è complicato e non complicare ciò che è semplice. Rispettare la forza, mai il potere. Soprattutto osservare. Sforzarsi di capire. Non distogliere mai lo sguardo. E mai, mai dimenticare.»
John Berger (Modi di vedere)
«Tornare indietro quando era così vicino alla vetta...», osservò Hall scuotendo la testa il 6 maggio, mentre Kropp superava il Campo Due diretto verso la base della montagna. «Questo giovane Goran sì che ha dimostrato un'incredibile capacità di giudizio. Sono colpito... molto più colpito, in effetti, che se avesse continuato la scalata fino alla cima.» Nel corso dei mesi precedenti, Rob ci aveva fatto molte prediche sull'importanza di calcolare in anticipo il limite di tempo utile per il ritorno - nel nostro caso sarebbe stato probabilmente l'una del pomeriggio, o al massimo le due - e di rispettarlo, per quanto fossimo vicini alla vetta. «Qualunque idiota può salire in cima a questa collina, se è abbastanza deciso a farlo», osservò Hall. «Il punto è tornare indietro vivi.»
Jon Krakauer (Into Thin Air: A Personal Account of the Mt. Everest Disaster)
La spada sibilò nell’aria cozzando contro l’altra lama. Gli occhi verde cupo di Alex incontrarono quelli scuri del suo avversario, i loro volti vicini – l’uno glabro, l’altro cerchiato da abbondanti baffi scuri –, il respiro sul viso dell’altro. Poi con uno scatto Alex si allontanò, roteò su se stessa e la lama del suo pugnale fu alla gola dell’avversario, mentre la spada bloccava quella di lui. Urla cominciarono ad alzarsi dagli spalti, riempiendo l’aria calda e rendendola ancora più soffocante. Alex non si mosse, mentre le grida la incitavano a ucciderlo. Tenne gli occhi fissi su quelli dell’uomo che aveva di fronte. I muscoli tesi sotto gli abiti attillati scuri, le braccia lucide alla luce bianca dei neon. Premette la lama del pugnale sino a far sgorgare un sottile filo purpureo di sangue dalla pelle olivastra della gola di lui. I suoi occhi la guardarono furenti.
Laura Randazzo (L'ombra della luna)
I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sè stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci.In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini,anzi,quasi vicini, perchè fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli.Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finchè non li si scopre. Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l’aveva mai detto.
Paolo Giordano (The Solitude of Prime Numbers)
Devo molto a quelli che non amo. Il sollievo con cui accetto che siano più vicini a un altro. La gioia di non essere io il lupo dei loro agnelli. Mi sento in pace con loro e in libertà con loro, e questo l'amore non può darlo, né riesce a toglierlo. Non li aspetto dalla porta alla finestra. Paziente quasi come una meridiana, capisco ciò che l'amore non capisce, perdono ciò che l'amore mai perdonerebbe. Da un incontro a una lettera passa non un'eternità, ma solo qualche giorno o settimana. I viaggi con loro vanno sempre bene, i concerti sono ascoltati fino in fondo, le cattedrali visitate, i paesaggi nitidi. E quando ci separano sette monti e fiumi, sono monti e fiumi che trovi sui ogni atlante. È merito loro se vivo in tre dimensioni, in uno spazio non lirico e non retorico, con un orizzonte vero, perché mobile. Loro stessi non sanno quanto portano nelle mani vuote. "Non devo loro nulla" – direbbe l'amore sulla questione aperta.
Wisława Szymborska
Quando ho smesso di giocherellare con il cappotto, mi ha detto: «Puoi anche prendere per il culo i vicini, le guardie, Gesù e quella rimbambita di tua madre con queste visite da brava mammina, ma io non ci casco. Vai pure avanti se vuoi una medaglia al valore. Ma non trascinare più qui il tuo culo se pensi di farlo per me». Poi ha aggiunto: «Perché io ti odio». So che i ragazzini dicono cose del genere di continuo, d’impulso: ti odio, ti odio!, gli occhi colmi di lacrime. Ma Kevin ha quasi diciotto anni, e il tono della sua voce era piatto. Avevo un’idea di ciò che avrei dovuto rispondere: Lo so che non lo pensi davvero, ma sapevo che lo pensava. Oppure: Io ti voglio bene comunque, giovanotto, che ti piaccia o no. Ma mi è venuto il dubbio che così avrei seguito la sceneggiatura che mi aveva aiutata ad atterrare in quella sala surriscaldata che puzzava come il bagno di una stazione in un pomeriggio di dicembre. Perciò gli ho detto, con il medesimo tono da comunicato ufficiale: «Anche io ti ho sempre odiato, Kevin» e ho girato i tacchi.
Lionel Shriver (We Need to Talk About Kevin)
Ogni sera alle undici in punto, in qualsiasi luogo ti trovi e in qualsiasi situazione, uscirò all'aperto e nel cielo cercherò Sirio. Tu farai altrettanto e così i nostri pensieri, anche se saremo lontanissimi, anche se non ci saremo visti da tempo e ignoreremo tutto l'uno dell'altra, si ritroveranno lassù e staranno vicini.
Susanna Tamaro (Follow Your Heart)
Anna Sergeevna e lui si amavano come due esseri molto vicini, affini, come marito e moglie, come se il destino li avesse destinati l'uno all'altra e non capivano perché li aveva fatti sposare con altri; erano come due uccelli migratori, maschio e femmina, catturati insieme e messi in due gabbie separate.
Anton Chekhov (The Lady with the Little Dog)
Tessa guardava Will farsi strada attraverso la folla alla ricerca di tre posti vicini. Teneva la testa china e gli occhi rivolti al pavimento, ma comunque... ‘‘Continuano a osservarlo’’ disse Tessa sottovoce.
Magnus annuì. ‘‘Certo che lo osservano.’’ Mentre esaminavano la stanza i suoi occhi riflettevano la luce come quelli dei gatti. ‘‘Guardalo. Il viso di un angelo cattivo e gli occhi come il cielo notturno all'Inferno. È molto bello, e ai vampiri questo piace. Non posso dire che non piaccia anche a me.’’ Magnus sorrise.‘‘Capelli neri e occhi azzurri sono la mia combinazione preferita.
Cassandra Clare (Clockwork Angel (The Infernal Devices, #1))
Volteggiavano vicini, voluttuosi; violentavano vergini, vittimizzavano vecchie vedove viziose varcando vene varicose, violacee. Voraci, vissero visceralmente vicissitudini vergognose.
Walter Lazzarin (Ventuno vicende vagamente vergognose)
Ogni cosa che dura, [...] ogni sogno che resiste, a qualcuno da ringraziare per la fiducia riposta. La fiducia non si compra e non si vende nemmeno la si regala. La fiducia è come una forma d’arte: se si è ispirati la si dà. Perché fidarsi degli altri, che spesso significa pure affidarsi agli altri, non è sempre una cosa facile. Lasciarsi andare nelle mani di qualcuno è un gesto che richiede coraggio e consapevolezza. Dei propri limiti, soprattutto; e delle qualità di chi è migliore di noi. Fidarsi vuol dire credere in un altro e accettare di non vedere il risultato, subito, sotto i propri occhi. Aspettare. [...] Sì, aspettare. Ma con fiducia. L’attesa costruita sulla fiducia in qualcuno passa molto più veloce di un’attesa da soli. La fiducia è l’ingrediente base per la costruzione. Di quasi tutto. Oh, sì sì. Naturalmente anche dell’amore. È che la fiducia è sempre la variabile determinante tra le cose e le cose importanti. Tra un rapporto e un rapporto importante. [...] Tra un tentativo è un’impresa. Tra una solo e un’orchestra. Tra un’idea e la sua attuazione. E poi, è tanto importante fidarsi di se stessi, tanto da ritrovarsi all’improvviso vicini a se stessi.
Niccolò Agliardi (Ma la vita è un'altra cosa)
Mentre sedevano vicini o mangiavano o camminavano, lui condivideva liberamente con lei i suoi pensieri e le sue idee sulla vita, la storia, l’arte. Le parlava di ogni cosa. Sapeva che lei non si interessava a quegli argomenti, però capiva e col tempo avrebbe imparato. Lui non l’amava soltanto per quello che era, ma per quello che poteva essere, e l’idea che potesse essere diversa non gli passava per la testa, oppure non gliene importava. Perché avrebbe dovuto pensarci? Quando ami qualcuno vedi il futuro come lo sogni.
James Salter (All That Is)
10. Così procedono i nostri discorsi, eterna vittoria del linguaggio sull'opacità delle cose, silenzi luminosi che dicono più di quel che tacciono. Siamo persone attente e informate, non ci facciamo certo infinocchiare dalla nostra epoca. Il mondo intero è in quel che diciamo -e tutto illuminato da quel che omettiamo. Siamo lucidi. O meglio, abbiamo la passione della lucidità.. Da dove viene allora questa vaga tristezza da dopo conversazione? Questo silenzio di mezzanotte, nella casa di nuovo restituita a se stessa? E solo la prospettiva dei piatti da lavare? Oppure.... A qualche centinaio di metri da li - semaforo rosso - i nostri amici sono immersi nello stesso silenzio che, passata l'ebbrezza della lucidità, prende le coppie di ritorno da una serata, nelle auto immobili. E come un retrogusto di sbronza, la fine di un'anestesia, una lenta risalita verso la coscienza, il ritorno a se stessi e la sensazione vagamente dolorosa di non riconoscerci in quel che abbiamo detto. Non c'eravamo. Tutto il resto c'era, sicuro, gli argomenti erano giusti - e da questo punto di vista avevamo ragione - ma noi non c'eravamo. È indubbio, ancora una serata sacrificata alla pratica anestetizzante della lucidità. È così... uno crede di tornare a casa e invece torna in se stesso. Quel che dicevamo prima, intorno al tavolo, era agli antipodi di quello che veniva detto in noi. Parlavamo della necessità di leggere, ma eravamo vicini a lui, lassù, lui che non legge. [...]
Daniel Pennac (Comme un roman)
1 I buchi in questa storia non sono lampade, non sono ruote. Ho camminato e camminato, mi sono fatto crescere la barba per poterla trascinare nella terra, in una foresta che non c'era. Voglio darti di più ma non tutto. Non hai bisogno di tutto. 2 Questo è ciò che hanno trovato sulla scrivania del morto quando il padrone di casa li ha fatti entrare: ventotto pagine, esoteriche e impossibili da seguire, scritte con una calligrafia perfetta e un totale disprezzo per qualsiasi lettore, in quanto il pubblico a cui era destinato era un popolo non del tutto umano . Sceneggiatura angelica , dice il detective, sollevando le pagine, sentendone il peso e si chiede cosa intende perché non lo è. Il suo partner annuisce ma lo ignora. Una panchina del parco, rose bianche, cappotti scuri e rose bianche, neve e ripetizioni di neve - è difficile da leggere ma più o meno come l'hanno trovato: morto su una panchina con un cappotto nero, la neve che cadeva. Ramoscelli e merli, neve e cavalli rossi, i fantasmi che volano in alto, la neve che cade - il detective sta piangendo - e il cappotto nero. 3 Qualcuno deve partire prima. Questa è una storia molto antica. Non esiste altra versione di questa storia. 4 Si sta facendo tardi, piccola luna. Finisci la canzone. Non è così tardi. Sei la mia luna, piccola luna, ed è abbastanza tardi. Quindi scendi dall'albero . È sicuro? Abbastanza sicuro. Sei morto anche tu? La notte è fredda, è argento, è una moneta. Non tutti sono morti, piccola luna. Ma la grande luna ha bisogno dell'albero. C'è un fantasma alla fine della canzone. Si C'è. E vedi la sua mano e poi vedi la luna. Sono il fantasma alla fine della canzone? Siamo molto vicini ora, piccola luna. Grazie per aver brillato su di me. 5 Stava indicando la luna ma io stavo guardando la sua mano.Era morto comunque, un fantasma. Sono sorpreso di aver visto la sua mano. Tutto questo è stato preparato per me. Tutto questo è stato messo in moto molto tempo fa. Vivo nel futuro di qualcun altro. Sono rimasto il più a lungo possibile , ha detto. Ora guarda la luna . The Worm King’s Lullaby Traduzione
Richard Siken
Perché certe parole sembrano davvero battezzare le cose, mentre altre le nominano soltanto? Voleva vedere i coralli perché coralli era il nome e non è possibile essere tanto vicini a qualcosa che ci chiama corallo e non voler vederla a tutti i costi. (Angelo Argera)
Various (L'ordine sostituito)
I regimi totalitari non sono semplicemente dei vicini pericolosi e, ancor meno, una sorta di avanguardia del progresso del mondo. Ahimè, sono l’esatto contrario: l’avanguardia di una crisi globale di questa civiltà, prima europea, poi euroamericana e, in ultima istanza, globale.
Václav Havel (La politica dell'uomo)
Ci sono le dita di un postino oggi in Italia che si prenderanno cura delle mie parole. Potessi farti anch'io una carezza da lontano, potessi io un poco del tuo sole. Ci sono le dita di un postino oggi nel mondo che ci faranno sentire più vicini del vero: potessi essere io ancora un bambino, e volare come una lettera magica nel tuo cielo straniero (Claudio Lolli, Dita) C'è un vecchietto alla fine della via che l'aspetta tutti i santi giorni, alla stessa ora. Nel mondo digitale, dove tutti si scambiano email, e tra poco si consegneranno plichi coi droni, sono in pochi a scrivere e leggere lettere calligrafiche stese a mano da mani desiderose. “Lui aspetta sempre la lettera di suo figlio, che vive all'estero,” racconta la postina. “Quando mi vede, chiede subito: allora , è arrivata? Lei lo sa, vero, che vive in America?” E quando la mattina è in ufficio e l'addoccia, Filomena è contenta è non vede l'ora di arrivare da quelle parti per dargliela-Conosce il potere benefico della missiva, sa che il vecchio la leggerà e la rileggerà più volte con gli occhi umidi, conservandola come tutte le altre in un cassetto del comò, insieme alle fotografie e ai ricordi più cari.
Angelo Ferracuti (Andare, camminare, lavorare: L'Italia raccontata dai portalettere)
Desiderio, Odio, Vita, Morte erano terribilmente vicini nell'ombra
Jean Rhys (Wide Sargasso Sea)
Erano così stretti che quasi non le era possibile respirare ma se si fossero staccati aveva l’impressione che sarebbe soffocata davvero. Era possibile essere così vicini e avere l’impressione che non fosse abbastanza?
Savannah (The Ground Beneath Her Feet)
Ma questo... tu puoi chiamarla telepatia. Era una prova materiale che eravamo connessi. E ho cominciato a pensare che probabilmente è questo ciò che è l'amore. Quando non è necessario troppo tempo per essere vicini. E come collidere e cominciare immediatamente a fondersi.
Lou Watton (Just Past Midnight, Munich Time (Brad on Holidays, #7))
Chi si lamenta dell'angustia dell'ambiente in cui vive pretende che siano gli avvenimenti, i vicini, i paesaggi a fornirgli la sensibilità e l'intelligenza che la natura gli ha negato.
Nicolás Gómez Dávila
Be', se la mettiamo così, vi svelerò il segreto...La spiegazione scientifica è che, a prescindere da età, razza e numero di previdenza sociale, ogni nostra decisione, consapevole o inconscia, è guidata dalla ricerca della felicità. A livello primario è facile stabilire cos'è la felicità: un tetto sulla testa, cibo a sufficienza per noi e per la nostra famiglia, una protezione dagli attacchi dei vicini. Noi però apparteniamo ai privilegiati del mondo e tutto questo e tutto questo lo abbiamo già, perciò la situazione si complica. Continuiamo a cercare la felicità e la vogliamo ad ogni costo, ma non sappiamo di preciso cosa sia, questa felicità. Allora facciamo quello che fanno tutti: aspiriamo a un lavoro redditizio, una grande casa, una bella macchina. Se tutti vogliono queste cose, devono essere quelle giuste. Ogni mese passiamo dal via, ritiriamo i nostri soldi e ricominciamo il giro. A 45 anni ci siamo sistemati, ma sentiamo che in un certo senso la nostra vita è sbagliata, che ci manca qualcosa. Se invece ci fermiamo a disegnare la nostra mappa del tesoro....Nell'ambiente protetto del corso, ognuno rappresenta la propria felicità. Non quella dei signori x della porta accanto, la sua, su misura. Tornata a casa con un bel collage da attaccare al frigo in cucina o nascondere in un cassetto del comodino. Magari lo dimentica, ma il collage resta memorizzato nella sua testa. E ogni volta che deve prendere una decisione, il cervello, programmato per la ricerca della felicità, si orienta in base al disegno attaccato al frigo o nascosto nel cassetto. Se siamo motivati a realizzare la nostra felicità personale, quella su misura per noi, svanisce il desiderio si avere una macchina più bella di dei vicini. La mappa del tesoro indica una strada al cervello, che adesso è programmata per imboccarla. Ed è quello che succede. Una mattina ci svegliamo, e i sogni contenuti nella mappa del tesoro sono diventati realtà. Fine
Caroline Vermalle (La felicità delle piccole cose)
A San Daniele dove il prosciutto unisce tre culture La chiesa La trecentesca chiesa di Sant’Antonio Abate, i cui affreschi, di due secoli successivi, costringono alla sosta pure il viaggiatore più goloso, è in cima al colle di San Daniele, che domina il bacino idrico del Tagliamento, uno dei pochi fiumi europei che ancora segua il proprio corso naturale, ricco di laghi e insenature da scoprire, e raccoglie il vento fresco di Carnia Federico Francesco Ferrero | 670 parole Non esiste un’altra regione d’Italia dove si possa percepire in maniera così chiara il concetto di «diversità». Il Friuli Venezia Giulia costituisce, da secoli, uno spazio di complesso contatto culturale, linguistico, gastronomico. Le basi dell’attuale variabilità sono da ricondurre a fatti storici di immigrazione e insediamento, che hanno collocato, uno a fianco all’altro, i romani, i germani e gli slavi, generando comunità che, ancora oggi, risultano solo apparentemente integrate. Italiano, «marilenghe» («lingua madre» o friulano), veneto, germanico e slavo, sono gli indicatori di una complessa realtà geografica, che si può riconoscere nel piatto prima ancora che nell’accento. Il clima Il baricentro e l’apice gastronomico di quest’area, si potrebbero indicare issando un vessillo sulla collinetta di San Daniele, proprio accanto alla trecentesca chiesa di Sant’Antonio abate, i cui affreschi, di due secoli successivi, costringono alla sosta pure il viaggiatore più goloso. La recente nevrosi meteorologica poi ci ha insegnato come solo alla provincia di Udine e a quella di Cuneo appartenga, per la loro collocazione in pianure strette tra monti e mare, una singolare specificità climatica. Copiose precipitazioni nevose e persistenza di venti freschi e asciutti, alternati a refoli umidi e salmastri, sono le condizioni ideali per la stagionatura di Sua Maestà il Prosciutto, la vetta più alta della gastronomia italiana, a torto umiliata dall’omologo spagnolo. Questo colle, che domina il bacino idrico del Tagliamento, uno dei pochi fiumi europei che ancora segua il proprio corso naturale, ricco di laghi e insenature da scoprire, raccoglie il vento fresco di Carnia. Bisogna avventurarsi tra quelle cime per scoprirne la bellezza austera, l’abbondanza di fiori e di tradizioni millenarie, tra cui una delle cucine più interessanti d’Italia, magistralmente ridotta a canone tradizionale e propulsore per l’innovazione, dal grande scomparso Gianni Cosetti. E lì, a Sauris, si trova un altro grande prosciutto, che la penuria di sale legata al dazio aveva costretto a conservare con una leggera affumicatura: ecco un primo esempio di diversità da scoprire. Nei boschi carnici il vento raccoglie i sentori resinosi che a San Daniele incontrano i profumi salmastri della laguna e della costa. Nel vicino Mare Adriatico si pescano molluschi e naselli impareggiabili e i bassi fondali garantiscono, già in primavera, lunghe, ristoratrici, passeggiate nell’acqua iodata. Luce dell’Est Per trovare un grande prodotto da gustare e da portare a casa sono necessarie però molte prove, finché si troverà, da un piccolo appassionato artigiano, una coscia di maiale che abbia riposato con il proprio piedino per almeno 24 mesi, da affettare al coltello e consumare a temperatura ambiente. Non è il pane ma l’asparago bianco di queste pianure, appena scottato in acqua dolce, il complemento più interessante. E una volta giunti fin qui non si può rinunciare a raggiungere la pianura di Cormons, per mettere alla prova un altro grande rivale: il prosciutto affumicato al camino in maniera artigianale. Il suo sapore avvolgente accompagnerà mirabilmente i grandi bianchi della regione circostante. Anche qui però i vicini di origine slava non sarebbero d’accordo. Alla coscia preferiscono la spalla, bollita a lungo sulla stufa, affettata spessa e condita con una generosa grattugiata di «cren», il rafano. E bisogna spingersi ancora più a Est, nelle collin
Anonymous
Scoprirà, poi, che quella gentilezza si può applicare anche ai compagni «che russano di notte nei letti vicini. È la scoperta che si può perdonare».7
Alberto Savorana (Vita di Don Giussani)
Niente ci fa credere più della paura, della certezza di essere minacciati. Quando ci sentiamo vittime, tutte le nostre azioni e le nostre credenze vengono legittimate, per quanto discutibili siano. I nostri oppositori, o semplicemente i nostri vicini, smettono di essere al nostro livello e diventano nemici. Smettiamo di essere aggressori per diventare difensori. L'invidia, l'avidità o il risentimento che ci muovono vengono santificati, perchè diciamo a noi stessi di agire in nostra difesa. Il male, la minaccia, è sempre nell'altro. Il primo passo per credere con passione è la paura. La paura di perdere la nostra identità, la nostra condizione o le nostre fedi. La paura è la polvere da sparo e l'odio è la miccia. Il dogma, in ultima istanza, è solo un fiammifero acceso.
Carlos Ruiz Zafón (The Angel's Game (The Cemetery of Forgotten Books, #2))
Dopo il primo bolo, Frido ha iniziato il comizio: ha detto che era molto contento di avere dei vicini così simpatici, perché la zona era più isolata di quanto credesse e c'era brutta gente in giro, aveva visto diversi graffiti sui muri, e soprattutto aveva scoperto che vicino al fiume c'era un accampamento di zingari, non capiva come ciò fosse permesso e ha chiesto al babbo se gli avevano mai rubato niente. «No» ha detto babbo. «Sicuro?» ha chiesto Frido con tono inquisitore. «Veramente una volta è sparito un martello» ha detto babbo. «Dovremo fare qualcosa» ha detto Frido. Io stavo per dire che i nomadi qualche volta rubano, ma molto meno dei domiciliati a Montecarlo.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Quegli anni sono così malinconici e bizzarri. Per effetto del vento sembrava che le azalee levitassero a una spanna da terra. I cani dei vicini, Sale e Pepe, abbaiavano come due innamorati durante un litigio. Batto le palpebre e sono di nuovo a Harmony, la notte è limpida e le cicale elettriche.
Michael Bible (L’ultima cosa bella sulla faccia della terra)
Venuta a mancare. Che strane parole per descrivere quello che è successo. Una notte buia. Un cervo sul parabrezza. Acciaio schiantato contro il granito. Cubetti di ghiaccio su tutta l'autostrada. Ho fatto del mio meglio per non pensare agli ultimi istanti di mamma. Ho fatto del mio meglio per non pensare affatto a lei. Le ondate quotidiane di dolore, shock e rabbia rendono difficile alzarsi ogni mattina. Anche adesso mi sento le gambe un po' molli, ma cerco di non darlo a vedere. È passato più di un mese dall'incidente, e anche se tutti ci tengono a farmi capire che mi sono vicini, c'è un limite alla quantità di dolore che puoi riversare sul prossimo.
Carley Fortune (Meet Me at the Lake)
Quando un uomo sta solo per mesi, la compagnia di un’anima femminile gli cambia la vita e il modo di vedere le cose. Torna come un bambino. Vorresti che le ore si fermassero e con esse il tempo. Succede questo a chi vive solo. Il segreto per capire la vita è aver bisogno di qualcuno e non trovare nessuno. Allora sì che, quando trovi, apprezzi. Se hai sempre tutto e tutto vicino, quel tutto si rovina. L’esistenza è una fisarmonica. Affinché suoni, bisogna allontanare i lati opposti e avvicinarli. Di continuo. Solo così suona. Se li tieni sempre lontani o sempre vicini diventa muta.
Mauro Corona (Quattro stagioni per vivere)
Da piccolo mi nascondevo spesso, tra gli alberi, dietro i cespugli, sotto il letto. Non per un gioco in particolare, ma semplicemente perché mi piaceva la sensazione di appartenere soltanto a me stesso, sentire che niente e nessuno aveva presa su di me. Mi piaceva udire i miei genitori che mi chiamavano e non rispondere. Poi dovevo uscire dal mio nascondiglio, essere un figlio, un allievo, un fratello, più tardi un impiegato, un marito, un padre. Alla fine, mi nasconderanno di nuovo in una grande scatola e nessuno mi chiamerà per farmi uscire. Ho continuato a nascondermi per tutta la vita. E ogni volta, quando tornavo, facevo come se non fossi mai partito. Nessuno è poi tanto stupido, ma questa commedia, questo viavai permanente si è instaurato con il tacito accordo di coloro che mi sono vicini, gli altri se ne sono andati. Sono l’amico, il fratello e il figlio assente. Quello su cui non si può realmente contare. Quello che si tiene a distanza per paura di affezionarvisi. Ed eccomi qui, sempre nascosto dietro due tronchi d’albero, un boschetto e una sigaretta elettronica, mentre lo spettacolo comincia tra due minuti.
Antoine Leiris (La Vie, après)
Noi, illusi di essere dèi saremo solo cloni senza più l'ombelico. Michel Houellebecq delinea il nostro futuro: ci resta soltanto una "Consolazione tecnica". Io non mi piaccio. Provo per me solo un briciolo di simpatia, e ancor meno stima; di più, la mia persona non m'interessa molto. Conosco da tempo le mie principali caratteristiche, e ho finito per provarne disgusto. Da adolescente, ancora giovane uomo, parlavo di me, pensavo a me, ero come ricolmo della mia stessa persona; ora non è più così. Mi sono estraniato dai miei pensieri, e la sola prospettiva di dover raccontare un episodio personale mi fa sprofondare in una noia vicina alla catalessi. Qualora vi sia assolutamente obbligato, mento. Eppure, paradossalmente, non mi sono mai pentito di essermi riprodotto. Si può anche dire che amo mio figlio, e che lo amo ancora di più ogni volta che riconosco in lui una traccia dei miei medesimi difetti. Li vedo manifestarsi nel corso del tempo con un implacabile determinismo, e ne sono felice. Godo senza il minimo pudore nel vedere ripetersi, e di conseguenza perpetuarsi, caratteristiche personali che non hanno assolutamente nulla di apprezzabile, caratteristiche che risultano abbastanza spregevoli; e che, in realtà, non hanno altro merito se non quello di essere le mie. Peraltro, non sono esattamente le mie; di alcune mi rendo conto che sono ricalcate tali e quali sulla personalità di mio padre, quello stronzo fatto e finito; cosa che, stranamente, non toglie nulla alla mia gioia. La quale è qualcosa di più dell'egoismo; qualcosa di più profondo e indiscutibile. Come un volume è qualcosa di più della sua proiezione su una superficie piana; o come un corpo vivente è qualcosa di più della sua ombra. Ciò che al contrario mi rattrista, in mio figlio, è il fatto di vederlo mettere in risalto (influsso della madre? cambiamento dei tempi? puro individualismo?) i tratti di una personalità autonoma, nella quale io non mi riconosco affatto, che mi rimane estranea. Lungi dal meravigliarmene, mi rendo conto che lascerò soltanto un'immagine incompleta e indebolita di me stesso; nel giro di pochi secondi, avverto più nettamente l'odore della morte. E posso confermarlo: la morte puzza. La filosofia occidentale favorisce poco la manifestazione di sentimenti del genere; sono sentimenti che non lasciano il minimo spazio al progresso, alla libertà, all'individuazione, al divenire; che s'indirizzano unicamente all'eterna, imbecille ripetizione dell'uguale. Per giunta, non hanno nulla di originale; sono condivisi dalla quasi totalità dell'umanità, nonché dalla maggior parte del regno animale; non sono nient'altro che la memoria sempre attiva di un istinto biologico dominante. La filosofia occidentale è un lento, paziente e crudele dispositivo di ammaestramento volto a convincerci di alcune idee del tutto false. La prima è che dobbiamo rispettare gli altri perché sono differenti da noi; la seconda è che abbiamo qualcosa da guadagnare dalla morte. Oggi, per effetto della tecnologia occidentale, questa vernice di convenienze si sta rapidamente scrostando. Naturalmente, io mi farò clonare appena possibile; naturalmente, tutti si faranno clonare appena possibile. Andrò alle Bahamas, in Nuova Zelanda o alle Isole Cayman; pagherò il prezzo necessario (né gli imperativi etici né gli imperativi finanziari hanno mai pesato molto, in confronto a quelli della riproduzione). Avrò probabilmente due o tre cloni, come si hanno due o tre figli; tra le cui nascite rispetterò un adeguato intervallo (né troppo vicini né troppo lontani); uomo ormai maturo, mi comporterò da padre responsabile. Assicurerò ai miei cloni una buona educazione; e alla fine morirò. Morirò senza piacere, poiché non desidero morire. Tuttavia, fino a prova contraria, vi sono obbligato. Tramite i miei cloni, avrò raggiunto una certa forma di sopravvivenza per nulla sufficiente, ma comunque superiore a quella che mi avrebbero garantito dei figli. È il massimo che la tecnologia occidentale ...
Michel Houellebecq
L'inglese e l'italiano sembrano i punti più vicini. Avendo in comune molte parole di origine latina, condividono un certo territorio. Inutile dire che mi capita spesso in italiano di incontrate una parola che conosco già grazie all'equivalente inglese. Non posso negare che la mia comprensione dell'inglese mi aiuti. Ma può ingannarmi.
Jhumpa Lahiri (In Other Words)
Più i membri sono vicini alla ricompensa, più spesso acquistano per raggiungerla. In psicologia questo fenomeno è noto come “ipotesi dell’obiettivo gradiente” ed è stato studiato sin dagli anni Trenta. Pertanto dare ai membri obiettivi realistici e un modo trasparente per monitorare i loro progressi li farà acquistare sempre più spesso.
Simone Puorto (Hotel Distribution 2050. (Pre)visioni sul futuro di hotel marketing e distribuzione alberghiera)
Se saremo fortunati rideremo delle litigate dei vicini, marito e moglie che se le contano di santa ragione per ogni minuscolo fraintendimento. Altrimenti rideremo di qualcos'altro, perché tanto c'è sempre qualcosa per cui valga la pena ridere insieme.
Dario Matassa (Non ti ho chiamato amore, ma ti ho pensato tale)
Diventi la mia bambina, madre, quando da vecchia ricordi con precisione d’orologiaia. Tu parli, io ti ricevo. Tu parli, io ti porto nella mia testa. Sì, per te, il mio ventre ha un calore di vulcano. Parli, taccio. Sono nata portatrice della tua sventura, come ci sono donne che nascono portatrici d’offerte. Per vivere, tu sai vivere nel passato. Ma certe volte il passato m’affatica da morire; quando, per esempio, verso mezzanotte, io sdraiata, tu seduta in una poltrona, mi dici: «Non ho amato che lui, ho amato una volta sola, dammi una caramellina», io divento lira e vibrafono per la tua criniera di polvere. Sei vecchia, ti abbandoni, io apro la bomboniera. Tu mi dici: «Hai sonno? Ti si chiudono gli occhi». Non ho sonno. Ho voglia di togliermi di dosso la tua vecchiaia. Mi arrotolo i capelli nei bigodini, le mie dita cantano i tuoi venticinque anni, i tuoi occhi azzurri, i tuoi capelli neri, la tua frangetta scolpita, la tua camicetta alta e ricamata, il tulle, il tuo cappello grande, e le mie sofferenze di quando avevo cinque anni. Mia elegante, mia ingualcibile, mia coraggiosa, mia vinta, mia rimbambita, mia gomma per cancellarmi, mia gelosa, mia giusta, mia ingiusta, mia comandina, mia timorosa. Cosa dirà la gente? Cosa penserà la gente? Cosa direbbe la gente? Le nostre litanie, le nostre trasfusioni. Quando torniamo dalla spiaggia, la sera, quando entri nelle botteghe, e col tuo sapiente battibecco incanti le massaie, io t’aspetto fuori, non voglio accompagnarti. Mi rodo nell’ombra, ti detesto, eppure si vede che ti amo, dato che mi sopprimo per lasciar posto ai clienti, ai fattorini, ai vicini. Tu ritorni, io ti dico: «Lo hai amato. E pensare che era un miserabile». Tu te ne hai a male. Ma no, non voglio demolire te, demolendo lui. «Un principe. Un vero principe». Così tu lo chiamavi. E io, ascoltando, schiumavo di rabbia; ora non schiumo più. Il giorno dopo, dal pizzicagnolo, tu dici: «Voglio della bella frutta. È per questa signorinella. Sennò, mi toccano i rimbrotti». M’offendi. Non ti toccherà nessun rimbrotto. Che ragazza tetra sei stata. La sbroda degli orfanotrofi t’aveva tagliato le gambe. Sempre stanca, sempre troppo stanca. Niente balli, niente passeggiate, niente amiche. Sdegnosa, chiusa, estenuata. La domenica sempre a letto. La campagna ti stancava, la città ti rimaneva ostile benché tu comprassi colletti, polsini alla moda del 1905, e soccorressi, come la santa, protestanti bisognosi.
Violette Leduc (La Bâtarde)
La sua apparizione era nitida, nella coscienza di Leo, nel modo in cui lo sono i ricordi che appartengono all'infanzia, speciali non perchè vicini alla realtà - sarebbe ormai impossibile provarlo - ma per il valore simbolico di cui li rivestiamo, perchè li abbiamo modellati apposta per rievocare un tempo, un desiderio, una sensazione.
Eleonora C. Caruso (Doveva essere il nostro momento)
Sei uno che galleggia o una che nuota?...il gender è una faccenda molto più complicata e fluida di quanto pensi la società. Immaginati una piscina. I maschi stanno da una parte e le femmine dall'altra. La maggior parte degli etero pensano che tutti devono stare di qua o di là, ma si può stare ovunque, in realtà: più vicini ai maschi più vicini alle femmine o nel mezzo. Adesso ascolta bene: certe persone galleggiano. Pensano di dover continuare a galleggiare da una parte o dall'altra, dove la società li ha piazzati. Altri invece nuotano. Vanno dove vogliono loro. I nuotatori scelgono il loro genere invece di limitarsi a subirlo. Io sono uno che nuota. Tu devi capire cosa sei.
Gleen Cooper
Allora, prima della grande guerra, all’epoca in cui ebbero luogo i fatti di cui si narra in queste pagine, non era ancora indifferente se un uomo viveva o moriva. Quando qualcuno spariva dalla schiera terrestre non veniva subito rimpiazzato da un altro affinché il morto venisse dimenticato: restava un vuoto, e i testimoni vicini e lontani del declino ammutolivano alla vista di quel vuoto.
Joseph Roth
Ora ascoltami, Louis' disse, e si sdraiò accanto a me ville le da farmi subito pensare a un amante; io mi ritrassi, ma lui sui gradini, con un movimento così aggraziato e così sensuale da farmi subito pensare a un amante; io mi ritrassi ma lui mi circondò col braccio destro e m'attirò a sé. Mai prima d'allora eravamo stati così vicini, e in quella luce fioca vidi lo splendido fulgore dei suoi occhi e quella maschera innaturale della pelle. Come cercai di muovermi, mi premette le dita sulle labbra e disse: 'Stai fermo. Adesso ti succhierò il sangue fino a portarti alla soglia della morte, ma voglio che tu stia calmo, tanto calmo da sentire il sangue scorrere nelle tue vene, tanto calmo da sentire lo stesso sangue scorrere nelle mie. È la tua coscienza, la tua volontà, che deve tenerti in vita'.
Anne Rice (INTERVIEW WITH THE VAMPIRE By ANNE RICE reprint assumed)
Ora ascoltami, Louis' disse, e si sdraiò accanto a me sui gradini, con un movimento così aggraziato e così sensuale da farmi subito pensare a un amante; io mi ritrassi ma lui mi circondò col braccio destro e m'attirò a sé. Mai prima d'allora eravamo stati così vicini, e in quella luce fioca vidi lo splendido fulgore dei suoi occhi e quella maschera innaturale della pelle. Come cercai di muovermi, mi premette le dita sulle labbra e disse: 'Stai fermo. Adesso ti succhierò il sangue fino a portarti alla soglia della morte, ma voglio che tu stia calmo, tanto calmo da sentire il sangue scorrere nelle tue vene, tanto calmo da sentire lo stesso sangue scorrere nelle mie. È la tua coscienza, la tua volontà, che deve tenerti in vita'.
Anne Rice (Interview with the Vampire (The Vampire Chronicles, #1))
La civiltà fiorirà quando gli uomini impareranno a dialogare nella loro intimità con gli esseri umani più vicini a loro, le donne con cui dividono il letto.
Fatema Mernissi (Scheherazade Goes West: Different Cultures, Different Harems)
Se siamo motivati a realizzare la nostra felicità personale, quella su misura per noi, svanisce il desiderio di avere una macchina più bella di quella dei vicini. La mappa del tesoro indica una strada al cervello, che adesso è programmato per imboccarla. Ed è quello che succede. Una mattina ci svegliamo, e i sogni contenuti nella mappa del tesoro sono diventati realtà. Fine.
Caroline Vermalle (La felicità delle piccole cose)
Dato che era incapace di comunicare i suoi bisogni e i suoi sentimenti, soffrì in silenzio per ore, nella speranza che forse qualcuno, un giorno, capisse che cosa fare con lui. Nonostante la tensione sessuale ogni volta che erano vicini, Drake non si era mai dimostrato molto amichevole, ma Clover era riuscito a ferire Boar, farsi nemico Pyro e a rifiutare Tank, tutto in una volta. Si era cacciato lui in quel casino Non importava che ci fosse di mezzo il suo culo perché, un giorno, nemmeno tanto lontano, quegli uomini avrebbero deciso che non ne valesse più la pena. Ne era certo Chi voleva prendere in giro? Era un albino e un twink di prim’ordine, ma il suo aspetto non sarebbe stato una novità per sempre. Anche se era solamente quello che interessava ai mercenari, nessuno voleva occuparsi di un intralcio ogni giorno. Era un peccato che sentisse già la mancanza delle braccia muscolose di Tank, della sicurezza che non conosceva limiti, di ciò che gli offriva. Quando era con Tank, lui sapeva quale fosse il suo ruolo nel mondo. Gli dava la stabilità che nessun ragazzo gli aveva mai regalato. Tuttavia, Tank non era il suo ragazzo. Era impossibile tornare a come stavano prima le cose, dopo il suo comportamento, quindi era bloccato in quel letto, a mezzanotte passata, tormentato dal senso di colpa per il modo in cui aveva trattato Boar, arrabbiato per l’odio con cui Pyro lo aveva scopato, e imbarazzato per aver mentito a Tank, che era sempre stato dalla sua parte, mentre la parola “puttana” continuava a riecheggiare nella sua testa, anche se non aveva mai venduto il suo corpo per denaro, nemmeno nei momenti più difficili Era uno spreco di spazio. Non c’era da meravigliarsi che Jerry avesse voluto sbarazzarsi di lui. Un ragazzino piagnucoloso. Non abbastanza bravo come ladro. Adatto soltanto per scopare. Se Tank e gli altri non fossero stati così carini con lui, non sarebbe stata così dura accettare la loro rabbia e il loro rifiuto. Trattenne un altro singhiozzo, ma il bisogno di conforto divenne un vuoto al centro del suo petto, così si spostò sul materasso fino a nascondere il viso tra le scapole di Tank. La pelle era sudata per il caldo, ma profumata, e così accogliente che desiderò morire soffocato in quel modo.
K.A. Merikan (Their Bounty (Four Mercenaries, #1))
Dove andavano tutti? Da cosa dipendeva la fretta? Ero invisibile, ma in quel momento non facevo eccezione. Ero non-vista in mezzo ai non-visti. Perché Jared aveva ragione, alla gente non importava del mondo attorno. C'era una ricerca maniacale della routine quotidiana, il bisogno spasmodico di accendere il cellulare, controllare i messaggi, fumare la sigaretta tanto attesa. I vicini di posto venivano scavalcati, erano oggetti scomodi da superare. Là fuori li attendeva un posto nuovo che necessitava di vecchie sicurezze. È una questione di dipendenze. Lo capii quel giorno, mentre attendevo pazientemente il mio turno per scendere. Era dipendenza da distrazione. Lo schermo luminoso del telefonino regalava qualcosa in più, una sorta di tranquillante somministrato in tripla dose. La sensazione di esserci ancora: linea, connessione, messaggio, registrazione. Sono qui. Ci sono. Esisto.
Chiara Panzuti (Absence. Il gioco dei quattro)
«Non ci credo! Non ci credo! Oh, Ron, è meraviglioso! Prefetto! Come tutti in famiglia!» «Io e Fred chi siamo, i vicini della porta accanto?» disse George indignato, ma sua madre lo spinse da parte e gettò le bracccia attorno al più piccolo dei suoi maschi.
J.K. Rowling (Harry Potter and the Order of the Phoenix (Harry Potter, #5))
Mentre nei selamlík, nei caffè, nei bagni, nei luoghi di ritrovo della provincia, il mondo moderno (vale a dire tutti quelli che leggevano giornali, che possedevano un modesto tesoro di vocaboli stranieri, che invece della vecchia fantasmagoria turca detta "karegöz", avevano veduto a Smirne o a Stambul un paio di commedie francesi e avevano udito qualche volta il nome di Bismarck e di Sarah Bernhardt), mentre queste persone colte, questo mezzo ceto progredito si faceva incondizionatamente seguace della politica armena di Enver, ben altrimenti avveniva presso gli uomini semplici del popolo turco, contadini o basso ceto cittadino. Spesso il Müdir si stupiva nei suoi giri, quando in un villaggio dove aveva proclamato il bando vedeva radunarsi Turchi ed Armeni per piangere insieme. E si meravigliava, quando davanti a una casa armena si raccoglieva singhiozzando la famiglia dei vicini turchi e agli infelici, che irrigiditi e privi di lagrime uscivano dalla loro vecchia porta senza guardarsi attorno, non solo gridava un «Allàh vi sia misericordioso», ma dava anche provvigioni per il viaggio e regali vistosi, una capra, perfino un mulo. E il Müdir poté anche vedere questa famiglia di vicini accompagnare i dolenti per parecchie miglia. E poté vedere alcuni dei suoi propri compatriotti gettarglisi ai piedi, supplicandolo: «Lasciali con noi! Non hanno la vera fede, ma sono buoni. Sono nostri fratelli. Lasciali qui con noi!
Franz Werfel (Die Vierzig Tage Des Musa Dagh)
Quando si è vicini alla fine della vita ci si rende conto che le cose importanti sono ben altre, che l'impronta da dover lasciare non è di pietra e non ha un peso. Non c'entrano neanche le feste o gli anni compiuti. No. Quando si avverte l'ombra della morte avvicinarsi, ci si volta indietro, ci si guarda attorno, e allora si comprende che la più importante delle domande è: Quante persone ho reso felici?
David Lozano Garbala (Il ladro di minuti)
il Natale per me è magico, forse pure miracoloso. Ci si ritrova ogni sera per giocare, ma le carte sono una scusa. La verità è che a noi, intendo io e mia moglie, ci piace stare vicini vicini, ammassati nella stanza da pranzo, che è sempre la stessa dai tempi di mio nonno. A mano a mano che escono i numeri ognuno ha una cosa da contare, un ricordo speciale, un modo di dire. Cose di famiglia, va. Ci sembra quasi di essere di nuovo al completo e il cuore arrisagghia di felicità. A questo serve la tombola che si crede?
Giuseppina Torregrossa (Il sanguinaccio dell'Immacolata (Marò Pajno, #3))
Farò come quelli che arrivano vicini al traguardo e poi cadono, sarò la perdente del fotofinish, il cavallo che corre e s’azzoppa alla curva conclusiva, il fantino sgroppato, il calciatore che sbaglia il rigore, la medaglia di legno. Si perde per poco, si perde per emozione, per distrazione, per umanità.
Giulia Caminito (L'acqua del lago non è mai dolce)
Non ho mai pensato una cosa del genere.»«Me l’hai detto tu che se non fosse stato per la mia scelta, Loriana sarebbe a casa e non in ospedale.»Mio padre non negò. «Ero sconvolto. Ho detto ciò che non pensavo.» «Mi hai dato la colpa di quello che è successo. Ma io lo so di essere colpevole. Mi sento male ogni giorno per aver lasciato sola Loriana. Vorrei prendermela con il destino, con le coincidenze che sembrano volerci rovinare la vita, e invece è solo colpa mia.» «Non dire così. Tu non c’entri nulla. Sono stato crudele a incolparti quella sera… non l’ho mai pensato veramente. Ti chiedo scusa se per tutto questo tempo hai pensato che io potessi accusarti di un fatto tanto grave. Mi dispiace.»Non piansi ma abbassai la testa.«Alessandro,» chiamò.A quel punto alzai la testa e mi sforzai di trattenere le lacrime. Avevo il viso in fiamme. Mio padre mi appoggiò le mani sulle spalle. «Tu non hai colpe. Mi hai capito? Quanto sei stato sciocco a pensarlo.» Mi abbracciò, era caldo e potevo sentirgli il cuore che batteva più veloce del solito. Anche il mio stava andando a quel ritmo. Da quanto tempo non eravamo così vicini? Probabilmente avevamo smesso di abbracciarci da quando avevo iniziato ad andare alle medie. «Mi dispiace di aver rovinato la tua campagna elettorale,» dissi, mentre continuavo a lasciarmi consolare dall’abbraccio di mio padre
Sara Santinato (Due anime)
«Ci riusciremo. Faremo tutto il necessario. Insieme. Se… se non fossi stato così rigido, imponendo la mia opinione, forse ti avrei dato retta. Forse saremmo andati tutti insieme da Apollo, e non sarebbe successo niente di tutto ciò.» «No, non è nemmeno colpa tua. Immagino che tutti noi abbiamo commesso degli errori del cazzo. Avrei solamente voluto impararlo in un altro modo. Io… io ti amo ancora. Lo sai, vero?» Gli occhi iniziarono a bruciargli quando sentì quelle parole, così lo strinse ancora più forte mentre il vento aumentava, spingendoli più vicini alla ricerca di calore. «Anch’io ti amo, Clover. All’inizio ero davvero arrabbiato e adesso sono preoccupato per Boar, ma non cambia quello che provo per te. Andremo avanti e faremo tutto ciò che è necessario,» disse, desiderando tanto convincere anche se stesso e non soltanto Clover
K.A. Merikan (Their Obsession (Four Mercenaries #2))
Casa Nessuno lascia casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo scappi al confine solo quando vedi tutta la città scappare i tuoi vicini corrono più veloci di te fiato e sangue in gola il ragazzo con cui sei andata a scuola che ti baciava vertiginosamente dietro la fabbrica di lattine tiene in mano una pistola più grande del suo corpo lasci casa solo quando la casa non ti lascia rimanere. nessuno lascia casa a meno che la casa non ti dia la caccia fuoco sotto i piedi sangue caldo nella pancia è qualcosa che non avresti mai pensato di fare finché la lama non ti ha bruciato il collo di minacce e anche allora nascondi l’inno nazionale sotto il respiro soltanto strappare il passaporto nei bagni di un aeroporto singhiozzando ad ogni boccone di carta ti ha fatto capire che non saresti più tornata. devi capire che nessuno mette i figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra nessuno si brucia i palmi sotto i treni sotto le carrozze nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion nutrendosi di carta di giornale a meno che le miglia percorse non vogliano dire di più di un semplice viaggio. nessuno striscia sotto le recinzioni nessuno vuole essere picchiato compatito nessuno sceglie campi di rifugiati o perquisizioni a nudo che ti lasciano il corpo dolorante né la prigione, perché la prigione è più sicura di una città di fuoco e un secondino nella notte è meglio di un camion pieno di uomini che assomigliano a tuo padre nessuno può sopportarlo nessuno può ingoiarlo nessuna pelle può essere tanto resistente andatevene a casa neri rifugiati sporchi immigrati richiedenti asilo che prosciugano il nostro paese negri con le mani tese che odorano strano selvaggi hanno distrutto il loro paese e ora vogliono distruggere il nostro come fate a scrollarvi di dosso le parole gli sguardi sporchi forse perché il colpo è meno forte di un arto strappato o le parole sono più tenere di quattordici uomini tra le tue gambe perché gli insulti sono più facili da mandare giù delle macerie delle ossa del corpo di tuo figlio fatto a pezzi. voglio tornare a casa, ma casa mia è la bocca di uno squalo casa mia è la canna di un fucile e nessuno lascerebbe la casa a meno che non sia la casa a spingerti verso la spiaggia a meno che non sia la casa a dirti di affrettare il passo lasciarti dietro i vestiti strisciare nel deserto attraversare gli oceani annega salvati fai la fame chiedi dimentica l’orgoglio è più importante che tu sopravviva nessuno se ne va via da casa finché la casa è una voce sudata che dice vattene scappa lontano da me ora non so cosa sono diventata so solo che qualsiasi altro posto è più sicuro di qua
Warsan Shire
«Posso imparare, se mi concederai un’occasione. Io… voglio restare. Con te. Con tutti voi. Siete gli unici in grado di proteggermi.» Clover lo guardò dritto negli occhi, le labbra tremanti. «Per favore, non costringetemi ad andare via. Non ho mai conosciuto dei ragazzi come voi. Siete sempre pronti a guardarvi le spalle.» Drake prese un respiro profondo, perso per un momento in quello sguardo ammaliante. «Che cosa saresti disposto a imparare? Uccideresti se necessario?» chiese, anche se la barriera che aveva costruito con tanta attenzione cominciava già a cedere. Era quello che aveva cercato di evitare… avvicinarsi troppo fino a cadere vittima dell’incantesimo di Clover, ma ormai erano così vicini da potersi toccare e quegli occhi pieni di lacrime stavano guardando proprio lui, attirandolo con la promessa che Clover era disposto a imparare il necessario, che non voleva concedere il suo corpo solamente in cambio di protezione. «Non voglio diventare un assassino,» sussurrò Clover, versando un’ultima lacrima. «Ma voglio essere pronto. Sono stanco di essere debole. Non sarò mai come Tank, ma forse posso sfruttare il mio corpo, anche se minuto. Non mi va di avere sempre paura ma… ho bisogno di una guida.»
K.A. Merikan (Their Bounty (Four Mercenaries, #1))
Lo avevo colto di sorpresa, ovviamente, ma la sua faccia mi diceva qualcos’altro. Lanciai un’occhiata verso il punto che stava osservando prima e vidi quello che poteva essere il solo motivo per l’espressione che aveva sul viso. Oh. Erano due ragazzi. Stavano seduti sulla loro coperta, vicini, e si baciavano. E la reazione di Richard poteva significare solo due cose. O era sconvolto e disgustato, oppure era scioccato, in modo positivo, e c’era un motivo per cui non gli era piaciuto il suo bacio con Moira Frankston. E la sua vicinanza a me nel furgone, il rossore sulle sue guance, quello sguardo nei suoi occhi alla tavola calda… tutto divenne praticamente chiaro. Un altro pezzo del puzzle di Richard Ronsman
N.R. Walker (A Soldier's Wish)
I due agenti si divisero, Uno fece un cenno d’assenso a Due che andò verso la porta dell’ufficio. Abbassò la maniglia, la porta era chiusa a chiave. Scivolò lungo la parete attento a non fare rumore. Li avrebbero presi questa volta. Si trattava di giovani non schedati, ladri adolescenti, secondo l’informatore, e nessuno voleva che la cosa si trasformasse in un bagno di sangue. Le armi dovevano restare nella fondina, gli ordini erano chiari, niente sparatorie da far west e cadaveri che facessero “strillare" la stampa sulla crudeltà delle forze dell’ordine. Ma andavano fermati. Piccoli bastardi (.............) E fu mentre formulava questo pensiero che un rumore metallico gli fece alzare gli occhi, un’ombra uscita dal nulla balzò oltre la ringhiera, atterrando a quattro zampe sulla pila di cassoni, poi si raccolse come un gatto e saltò verso il montacarichi, si afferrò a una delle rotaie verticali, s’inarcò come un saltatore con l’asta, la testa in giù. Le gambe descrissero un’ellisse impossibile, le ginocchia si piegarono e con una spinta delle reni il ragazzo superò la ringhiera del ballatoio, parve rimbalzare in su, sullo scaffale di ferro e scomparve nell’oscurità del soffitto (..........) I due agenti spinsero la porta a vetri e a balzi risalirono la scala di emergenza esterna, che finiva però a due metri dal tetto. Uno, più agile, si issò sui pali di sostegno, mentre Due abbaiava alla radio. Quindi anche lui si inerpicò ansando e guadagnò la cima. Rimasero là qualche istante, interdetti, scrutando nel buio. - Laggiù! – Gridò Due. L’ombra correva sul tetto del magazzino, un essere magrissimo, un nulla in movimento che sparì dietro la sagoma dell’abbaino. Uno estrasse la pistola dalla fondina, fece fuoco in aria e subito la volante accese la sirena. I due agenti corsero, girarono attorno all’abbaino e non videro nessuno. Si voltarono, niente. Pareva evaporato. Giunti al limite del tetto si fermarono. L’edificio accanto, un deposito chiuso, era a vari metri di distanza. Sotto c’erano tre piani e il cortile asfaltato. Si guardarono intorno, era saltato di là? Quei due depositi erano gli unici edifici vicini. Più in là, oltre un campo abbandonato che sembrava una palude c’era solo un enorme ammasso di rottami, la strada a quattro corsie e il mare. Il fuggitivo non aveva scampo, si trattava solo di evitare la tragedia. La figura riapparve correndo piegata sul tetto dello stabile di fronte, oltre il quale non c’era niente, il vuoto, la notte. Uno fece fuoco in aria un’altra volta, ma lui non parve accorgersene, giunse al parapetto, vi salì sopra e rimase accovacciato come un animale. - Ma che diavolo fa? – Disse Due. Il ladro si alzò in piedi e per alcuni secondi rimase dritto, silhouette nera contro il cielo chiaro di nubi. Poi, senza guardarsi indietro, si lanciò nel vuoto. da B-Loved
P.D. Blacksmith