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Calano su di noi alcuni attimi di silenzio che mi ingoiano, la sua frase mi mangia, la sento azzannarmi, devo reagire e porre distanza.
La mia vita non è la sua, la mia vita è mia, la mia vita mi compete, la costruisco io e io la distruggo, allora reagisco, come burattino inghiottito dalla balena insieme al plancton io salto e scalcio per uscire e tornare nel mare, affiorare, navigare a vista, non sarò pasto
di questa asserzione, non cadrò nella sua gola di fonemi e parole. La guardo furibonda e mi alzo dalla sedia come se m’avessero punta tra le cosce, il pizzicore sale e s’infila nelle mutande, stringo i glutei e cerco di cacciarlo via, ma quel fastidio è già dentro, imbastisce un nido di vespe: la nostra vita, la nostra condizione, il nostro tetto, le nostre stoviglie, il nostro futuro, il nostro investimento, la nostra spesa per il pranzo, il nostro denaro che non c’è.
La mia vita non è la tua, urlo con la voce alta, urlo dalle mie fondamenta, dalla piccola me, dalle viscere umide e sento la nostra terra aprirsi, gli alberi cadere – smottamenti e tonfi – ho la faccia calda, i capelli elettrici, le gambe prudono e c’è una creatura dentro
di me, furente, ignobile, che non ne può più delle misure di contenimento.
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