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«Secondo la fortunata definizione del comparatista americano Henry H. Remak, «la letteratura comparata è lo studio della letteratura di là dai confini di un paese particolare e lo studio dei rapporti tra letteratura, da una parte, e, dall’altra, altre aree della conoscenza e delle opinioni, come le arti (per es. la pittura, la scultura, l’architettura, la musica), la filosofia, le scienze sociali (per es. la politica, l’economia, la sociologia), le scienze, la religione etc. In breve, è il confronto tra una letteratura e un’altra o altre, e il confronto tra la letteratura e altre sfere dell’espressione umana».
Il comparatismo rivolge un’attenzione speciale alla dinamicità delle strutture e degli stili. Considera il testo nella sua instabilità temporale e quindi lo sottopone a continui test di verifica da punti di vista diversi: storico, linguistico, formale, morale, filosofico, estetico, antropologico. Lo vede formarsi, non formato, e lo considera parte di un certa cultura, non monade a sé stante di valori incondivisibili. Dunque, il comparatismo si applica altrettanto bene al singolo che alla coppia di autori (secondo il paradigma della synkrisis ellenistica, ripreso da Plutarco nelle sue Vite parallele) o a un periodo di tempo. È piuttosto un atteggiamento critico che un procedimento pratico. Di qui la varietà delle sue manifestazioni: sono ugualmente comparatisti, almeno oggi, tanto chi studia la formazione dei generi letterari attraverso l’evoluzione delle forme in una o più letterature quanto chi spiega i generi sessuali attraverso i procedimenti linguistici del narratore. In entrambi i casi si tratta di stabilire le tecniche dell’identità e i modi della rappresentazione (o, con il fortunatissimo termine di Aristotele, della mimesi).
Il comparatismo è insito nell’esercizio stesso del leggere. Non si dà mai lettore così sprovveduto che non stabilisca di volta in volta, entrando in rapporto con la scrittura di altri, confronti con letture già fatte o anche solo con referenti reali (la sua vita e il suo universo di conoscenze), né scrittore così originale che non convogli nel suo testo suggestioni esterne, derivate dalla sua esperienza del mondo e di opere altrui. Comparare, dunque, pertiene alla natura stessa dell’esperienza letteraria, sia quella dell’autore che quella del fruitore, in quanto atto creativo della memoria. Tanto è vero che certe opere, lette dopo certe altre, assumono sensi e sovrasensi che, lette prima, non assumerebbero. Un atto comparativo, appunto, è la lettura per Virginia Woolf: «“We have only to compare” – with those words […] the true complexity of reading is admitted», «“dobbiamo solo essere comparativi” – con tali parole […] è riconosciuta la vera complessità della lettura» (How Should One Read a Book?, 1926, poi nel volume di saggi The Common Reader, 1932).
In letteratura non c’è individuo che, a un’analisi approfondita, non riveli di appartenere contemporaneamente a più ordini di caratteristiche e di tempi e che quindi non si possa prestare a un’indagine comparatistica. Di qui anche la molteplicità dei metodi comparatistici. Al comparatista l’individuo, cioè il singolo testo o il singolo aspetto di un’opera, appare, insomma, non tanto come il punto di una retta quanto come il punto di intersezione di rette virtualmente infinite. Il modello della letteratura comparata non è la linea di una progressione, cioè il modello della storia letteraria e delle letterature nazionali, bensì la zona in cui insiemi diversi si sovrappongono. Tutte le più grandi personalità dell’arte e della letteratura giungono a determinare inconfondibilmente la loro fisionomia attraverso un ravvicinato confronto con l’opera dei contemporanei e dei predecessori e non attraverso l’isolamento e l’obliterazione dei contatti. Per questo alcuni autori sono particolarmente adatti alle indagini comparatistiche, anzi, con la loro complessità culturale, hanno determinato ... >>
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