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Lo commuoveva un po’, a volte, quella sua ingenua convinzione che il mondo avesse senso. Doveva sempre trattenersi dal disilluderlo con brutalità, perché era evidente a chiunque avesse vissuto davvero che nella realtà non c’era nulla di logico, o giusto, o equilibrato. Soltanto rapporti di potere più o meno sbilanciati, modi diversi di tenersi a galla. Vendere la pelle, o affittarla. Salvando l’anima, forse. O l’illusione di averla.Forse era quello l’altro problema con Carlos.Sembrava avere la stessa illusione stupida. Solo che, nel suo caso, si faceva aggressiva.«Se mi tirassi indietro all’ultimo sarebbe tanto grave?» domandò, e stava scherzando solo in parte. Nel monitor vide Keith soffocare un sospiro e sentì il bip del cellulare, in sottofondo, la sveglia programmata per permettergli di trascinarsi a lezione. «Vabbè, scusa l’improvvisata. Ti lascio andare, su.»«Viv,» lo
richiamò l’amico, un attimo prima che lui premesse il pulsante per spegnere. Skype gli aveva sempre dato fastidio, in realtà; lo usava perché Keith sembrava tenerci ed era più a suo agio con un pc che con il cellulare in mano, ma ogni volta che doveva chiudere la conversazione si sentiva prendere dalla smania. «Promettimi che non gli darai buca.»«Perché dovrei prometterlo a te?» domandò, lo sguardo fisso su un punto indistinto alle sue spalle: si intravedeva un angolo del poster che aveva appeso alla parete, qualcosa di terribilmente cervellotico, senza dubbio: tipo la tavola periodica o qualche formula di Einstein. «Perché sono tuo amico e dai importanza a quello che penso o non mi avresti chiamato.»«Certo che ci do importanza,» ribatté lui, alzando gli occhi al cielo. «Ma questo non c’entra.»«Tu promettimelo e basta.»«Va bene.» Lo guardò negli occhi, a quel punto, con il dubbio di mentire. La vergogna di non saperlo spiegare. «Ci proverò. Lo giuro.»«Grazie.»Gli fece un sorriso. Poi chiuse la conversazione in fretta, prima che mantenerlo diventasse troppo doloroso. Carlos sorrideva cauto, quando Viv l’aveva trovato ad aspettarlo accanto al portone: si era staccato un po’ impacciato dal muro, aveva sfregato i palmi contro la giacca in un gesto istintivo di imbarazzo. Sembrava dolce e fuori posto; bellissimo, ma troppo lontano per essere vero.Gli aveva dato un bacio sulla guancia, breve e delicato. Viv aveva chiuso gli occhi, il cuore in gola per la tensione della mattina, e quella del presente; gli era sembrato che quel contatto asciutto e gentile fosse indirizzato a un’altra persona.Quando aveva riaperto gli occhi, un istante dopo, aveva pensato – inspiegabilmente, con un po’ di spavento – che forse avrebbe potuto sforzarsi di diventarla.Carlos non sembrava pensare nulla di simile, però, mentre lo faceva salire in auto e gli richiudeva la portiera alle spalle, chiacchierando a ruota libera di cose piccole, leggere, insignificanti solo nel senso che non cambiavano la vita. Viv sentiva le labbra muoversi, mentre rispondeva con lo stesso tono lieve, ma era come se non fosse lui davvero a parlare; non avrebbe saputo ripetere una sola battuta. Guardava il sole che entrava dal finestrino, diafano come il novembre che sgocciolava via intorno a loro, e cercava di capire quale fosse il senso che l’aveva portato lì, contro ogni aspettativa: gli sembrava che, se avesse abbassato lo sguardo sulle mani posate in grembo, avrebbe potuto trovare i frammenti di quello che era stato, la persona che Carlos aveva conosciuto qualche mese prima e quella che si stava sgretolando al suo fianco momento dopo momento; come se la sua stessa presenza facesse pressione sulle crepe che lo tagliavano da sempre, e lo mandasse a pezzi del tutto.Gli avrebbero ferito i palmi se avesse stretto i pugni?Ci provò, ma non sentì dolore; solo quell’impressione di estraneità crescente
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Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))