Piazza Maggiore Quotes

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Everywhere you turn you see signs of its place at the top of the Italian food chain: fresh-pasta shops vending every possible iteration of egg and flour; buzzing bars pairing Spritz and Lambrusco with generous spreads of free meat, cheese, and vegetable snacks; and, above all, osteria after osteria, cozy wine-soaked eating establishments from whose ancient kitchens emanates a moist fragrance of simmered pork and local grapes. Osteria al 15 is a beloved dinner den just inside the centro storico known for its crispy flatbreads puffed up in hot lard, and its classic beef-heavy ragù tossed with corkscrew pasta or spooned on top of béchamel and layered between sheets of lasagne. It's far from refined, but the bargain prices and the boisterous staff make it all go down easily. Trattoria Gianni, down a hairpin alleyway a few blocks from Piazza Maggiore, was once my lunch haunt in Bologna, by virtue of its position next to my Italian-language school. I dream regularly of its bollito misto, a heroic mix of braised brisket, capon, and tongue served with salsa verde, but the dish I'm looking for this time, a thick beef-and-pork joint with plenty of jammy tomato, is a solid middle-of-the-road ragù.
Matt Goulding (Pasta, Pane, Vino: Deep Travels Through Italy's Food Culture (Roads & Kingdoms Presents))
Accanto a questi uomini di passione stavano i sognatori. L'utopia fioriva in tutte le sue forme, da quella bellicosa che giustificava il patibolo, a quella innocente che sosteneva l'abolizione della pena di morte. Spettri per i troni, angeli per il popolo. In faccia a uomini di lotta, spiriti che maturano sogni. Gli uni pensano alla guerra, gli altri invocano la pace; un cervello, Carnot, crea quattro armate; un altro, Jean Derby, medita una federazione democratica universale. […] altri si occupavano di questioni di minor conto e di maggior praticità. Gyuton-Morveau studiava misure per migliorare l'attrezzatura negli ospedali, Maire l'abolizione delle servitù reali, Jean-Bon-Saint-André la soppressione delle pene restrittive per debiti e la detenzione costrittiva. […] L'arte contava fanatici e anche monomaniaci; il 21 gennaio, mentre la testa di un re cadeva sulla piazza della Rivoluzione, Bézard correva ad ammirare una testa dipinta da Rubens, quadro scoperto in un solaio di rue Saint-Lazare. Artisti, orafi, profeti, colossi come Danton e fanciulli come Cloots, gladiatori e filosofi, tutti aspiravano a una sola conquista, quella del progresso. Nulla li intiepidiva. La vera grandezza della Convenzione fu di ricreare il reale nell'impossibile. Agli estremi, Robespierre, fanatico del Diritto e Condorcet, fanatico del dovere.
Victor Hugo (Ninety-Three)
Se il Paese diventa terra di conquista Francesco Manacorda | 673 parole Da ieri, con la stretta finale delle trattative per l’ingresso della China National Chemical Corporation nella società che controlla la Pirelli con oltre il 26% del capitale, il termine «scatole cinesi» ha in Italia un significato più letterale. Le scatole cinesi sono quelle società che incastrate una sopra l’altra consentono all’azionista che sta in cima di controllare le attività che stanno sotto con un impegno di capitale limitato. È ad esempio il metodo che ha consentito a Marco Tronchetti Provera di controllare la Pirelli, di cui è presidente e amministratore delegato, con una partecipazione che di fatto ammonta a poco più del 6% del capitale della società produttiva. Ma tra poco, appunto, sopra la Pirelli ci sarà una vera scatola cinese, visto che quella quota del 26% e rotti con cui la finanziaria Camfin la controlla verrà ceduta a una nuova società il cui azionista di maggioranza dovrebbe essere proprio il colosso chimico di Pechino. Sarebbe un esercizio inutile e anche un po’ stucchevole lamentare il passaggio del controllo di un altro grande gruppo italiano nelle mani di un socio di maggioranza straniero. In un’epoca di mercati aperti - anche se non simmetricamente aperti, visto che per gli europei è decisamente più difficile investire in Cina che non viceversa - non ci deve essere scandalo nella mobilità dei capitali. E un «mercatista» puro zittirebbe qualsiasi obiezione con pochi numeri: i cinesi valorizzano il titolo Pirelli 15 euro per azione, un livello che non raggiungeva da un quarto di secolo; ne beneficia ovviamente Tronchetti, ma ne beneficeranno anche tutti gli altri azionisti grandi e piccoli del gruppo, visto che la nuova società dovrebbe lanciare un’Opa a 15 euro per levare la Pirelli da Piazza Affari e poi riportarne in Borsa una parte dopo qualche anno. Ma non pare nemmeno che si possa gioire troppo, esaltando una presunta attrattività del sistema italiano per gli investitori stranieri: i cinesi non vengono certo ad aprire una fabbrica partendo dal nulla, attratti dalle ottime condizioni che l’Italia pratica per le imprese; invece acquisiscono di fatto brand e tecnologie di una società che fa la gran parte del suo fatturato all’estero e offrono - almeno a giudicare dal primo comunicato emesso ieri mattina - solo l’assicurazione che Pirelli «manterrebbe gli headquarter in Italia» - particolari garanzie di radicamento. Meglio concentrarsi allora su un paio di elementi che sono assai sintomatici della situazione italiana. Il primo è che nella maggior parte dei casi le aziende italiane invece di aggregare altre società dello stesso settore all’estero - Fca, Autogrill e Luxottica sono alcune delle eccezioni che vengono in mente, ma ce ne sono altre, anche se di taglia più ridotta - vengono aggregate. È una condanna di aziende sottocapitalizzate e di dimensioni grandi, ma non abbastanza grandi da competere da sole sul mercato globale. Ed è una condanna dell’Italia, dove questa tipologia di società abbonda. Il secondo tema è quello della distinzione tra proprietà e controllo di un’azienda. Spesso nelle aziende a proprietà familiare la presenza di manager esterni viene vista come un fattore positivo. In Pirelli l’inversione di questo meccanismo è evidente: Marco Tronchetti Provera, azionista «in chiaro» con poco più del 6% è presidente e ad. E in tutti i passaggi di questi anni in cui ha trovato soci da far entrare nel capitale - prima i genovesi Malacalza con i quali non è finita benissimo, poi i russi di Rosneft, ostacolati dalle sanzioni Ue contro la Russia - è stato attento a mantenere le sue cariche. Lo farà anche adesso, visto che la previsione è che resti al suo posto ancora per un quinquennio. Ruoli manageriali immutabili e azionisti che preferiscono non aprire il portafoglio, insomma, sembrano un buon viatico per diventare prede invece di cacciatori.
Anonymous