Mio Angelo Quotes

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«Stai bruciando dentro», bisbigliò, sinistra. «Non hai dato da mangiare all’oscurità e ora lei sta divorando te». Mollò la presa e con il dorso delle dita mi accarezzò la guancia. «Stai soffrendo così tanto, angelo mio. Posso sentirlo».
Chiara Cilli (Non Toccarmi (Blood Bonds, #7))
Lentamente muore chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, recitavano dei versi che avevo ricopiato nel mio diario. Non mi sarei arresa finché non ci avessi provato fino in fondo.
Federica Bosco (Innamorata di un angelo)
Benedetto il vento dell'Ovest" gridò l'angelo. "O mi sarei di sicuro perso per sempre. E sarebbe stata una vera sfortuna, perché è il mio compleanno e nessuno dovrebbe smarrirsi per sempre il giorno del suo compleanno
Leta Blake (Levity (Gay Fairy Tales #1))
Capisce ora come stanno le cose, non è vero? Dopo una giovinezza e una maturità trascorse in parte in mezzo a inesprimibili sofferenze, e in parte nella più desolata solitudine, io ho trovato colei che posso veramente amare...io ho trovato lei. Lei è la mia simpatia, la miglior parte di me stesso, il mio angelo custode, e io le sono unito da un legame fortissimo. La credo buona, intelligente, attraente; il mio cuore ha concepito una passione grave e fervida e mi spinge verso di lei, l'attira al centro e alla sorgente della mia esistenza, fa gravitare la mia vita attorno a lei, e ardendo d'una fiamma pura e possente, fonde lei e me in un essere solo.
Charlotte Brontë (Jane Eyre)
Perché a volte le cose sembrano insormontabili, ma quando le osserviamo da vicino sono così semplici che ti chiedi come hai fatto a perderci così tanto sonno, tempo ed energie.
Federica Bosco (Il mio angelo segreto)
Angelo mio,” disse Carol. “Piovuto dallo spazio
Patricia Highsmith
Non sono le persone che possono renderci felici! Siamo noi che ci creiamo le basi per stare bene. E una volta che il nostro centro è solido, allora possiamo amare qualcun’altro in maniera equilibrata, ma finché non sei forte e ti aggrappi a lui non farai che portarlo giù.
Federica Bosco (Il mio angelo segreto)
Oh, dio mio, se fossi un angelo del Signore segnerei con una croce le porte di casa dei miei figli, in modo da tener lontano le sventure e la malattia. Purtroppo, per quell’alto incarico mi mancano i requisiti, e quando avevo ancora un ruolo nelle loro vite sono stato impaziente, critico e punitivo. Sbagliando sempre tutto.
Mordecai Richler (Barney's Version)
Essex era solo un’ombra nella stanza, l’ombra di una cosa che desideravo, che era a sua volta l’ombra di un desiderio. Ma era incredibilmente dolce riuscire a provare anche solo quello, e terrificante sapere quanto in fretta sarebbe svanito. Un momento inciso sull’ acqua, un ricordo che sarebbe svanito nel grigiore. Non ero altro che un cacciatore di spiriti, che inseguiva lo spettro dell’uomo che ero stato. Un saprofago che si cibava dei suoi stessi resti. Chiusi gli occhi, aggiungendo oscurità a oscurità, e il desiderio si dispiegò come le vele di una nave fantasma. Quello poteva essere il mio universo. Il mondo che non c’era, circoscritto da pelle e fiato, dove nulla aveva importanza a parte due corpi che si muovevano insieme. Il passato e il futuro che perdevano di rilevanza dinanzi alla bellezza del presente, l’unione di due entità che assumevano la forma di un istante. Oh, esisteva forse una definizione più seducente della follia? Da dietro le palpebre, lo vidi danzare in spirali di luce colorata – smeraldo, blu e viola acceso –, che lo avvolgevano come le ali di un angelo elettrico.
Alexis Hall (Glitterland (Spires, #1))
Tu sei parte di me, la parte migliore di me, il mio buon angelo: a te mi sento legato da un forte affetto. Ti giudico buona, intelligente, amabile: nel mio cuore è nata una passione fervida, solenne, che si rivolge a te, ti attira al centro, alla sorgente della mia vita, fa di te il fulcro della mia esistenza; e, ardendo in una fiamma pura e forte, fa di noi due un essere solo.
Charlotte Brontë (Jane Eyre)
– Non ci accorgiamo subito, ma solo dopo, di quanto è importante la scelta né distratta, né casuale, di scrivere, di far durare le nostre visioni prima per noi, poi per qualcuno vicino e infine per tanti lontani e invisibili. Ma non è così semplice. A volte tutto questo diventa privilegio, abitudine, sopravvivenza. Scrivere non è necessariamente pubblicare, ripeto sempre. Ma ho scritto un solo libro e già soffro perché non riesco a pubblicarne un altro. E spesso mi irrito con quelli che vogliono entrare nel mio mondo, schernisco i miei compagni di desiderio, sono impaurito da questa orda di carta, da questa immigrazione di extracomunicanti. Perché volete entrare in questo mondo di premi farseschi, di parassiti accademici, di cretini televisivi elevati a saggisti e di saggisti che aspirano a diventare cretini televisivi? Perché, se ogni scrittore ben sa che un giorno, o tutta la vita, si sentirà sottovalutato e incompreso? Se un giorno deciderà di bruciare i suoi libri, e il giorno dopo vorrà segnare con una croce di sangue ogni volume non suo, acciocché l’Angelo Maceratore scenda e cancelli i suoi rivali dalla storia e dalle classifiche? – E lei perché vuol vivere in questo difficile mondo? – disse il professor Virgilio. – Giusto. Non perché non so fare altro. Ma perché non conosco niente di così confuso, inestricabile, e tuttavia sempre avventuroso.
Stefano Benni (Achille piè veloce)
Se non ricordi la ragione del tuo dolore, niente ti impedisce di tornare a vivere.
Federica Bosco (Il mio angelo segreto)
Il ricordo della felicità è la peggiore delle trappole, ti impedisce di accettare i cambiamenti e provare ad andare avanti.
Federica Bosco (Il mio angelo segreto)
Viviamo la vita sempre proiettati nel futuro, sempre a dire farò, sarò, diventerò. Fingiamo di essere immortali e poi un giorno incontriamo la morte diventiamo pazzi e il resto dei nostri giorni lo impieghiamo per trovare una spiegazione che non c’è.
Federica Bosco (Il mio angelo segreto)
Sei vivo’’ sussurrò Clary. ‘‘Vivo per davvero.’’ Con lenta meraviglia, Jace le sfiorò il volto. ‘‘Ero nel buio’’ le disse a bassa voce. ‘‘Non c’erano che ombre, io stesso ero un’ombra, e sapevo che ero morto e tutto era finito, tutto quanto. Poi ho sentito la tua voce. Ti ho sentito pronunciare il mio nome, ed è stato questo a riportarmi indietro.’’ ‘‘Non sono stata io’’ Clary aveva la gola stretta. ‘‘È stato l’Angelo a riportarti indietro.’’ ‘‘Perchè tu glielo hai chiesto.’’ In silenzio, Jace percorse il profilo di Clary con le dita, come per accertarsi che fosse vera. ‘‘Potevi avere qualunque altra cosa al mondo, ma hai voluto me.’’ Lei gli sorrise. Sporco com’era, coperto di sangue e di terra, Jace era la cosa più bella che avesse mai visto. ‘‘Ma io non voglio nient’altro al mondo.
Cassandra Clare (City of Glass (The Mortal Instruments, #3))
Da quel momento divenne il mio angelo custode: vestito a modo suo, con i capelli dritti in testa, matto come pochi, dolce come nessuno mai.
Cristel Anna Notarianni (Bisbigliando - Sussurri di mezzanotte)
Il cavallo: da che siamo giunti a questa casa, il cavallo si è appartato; non saprei come altrimenti descrivere il suo contegno; esco dalla casa, e lo scorgo, lontano forse un centinaio di metri, immobile, il volto, così debbo chiamarlo, verso la casa, ma del tutto indifferente. Non è lontano, ma lo spazio che mi divide da lui è palude irrimediabile, e chiaramente mi vien detto non so da chi, che non debbo raggiungere quel cavallo. Posso solo guardarlo, e chiedermi che mai sia. Ora so per certo che non ha nulla a che fare con i cavalli terrestri, e in qualche modo lo so coinvolto nella qualità della palude; ma appunto questa qualità mi è ignota. Né so, e questo forse è essenziale, che cosa sia questo cavallo in assenza di me, e anzi se io ed egli non formiamo non già una coppia, ma un individuo binario, fatalmente congiunto e non solo giustapposto. Giacché ho ben detto, io, che senza il cavallo non sarei mai giunto alla casa nella palude, e ciò è vero; ma non so se senza di me a questo cavallo sarebbe stato mai permesso di affrontare, e con tanta esattezza di piede, gli itinerari della mortale palude; se sono certo che il cavallo è il mio destino, non è impossibile che io stesso appartenga al destino del cavallo. Cavallo, cavallo; che strano nome per questo essere prodigioso, nel breve percorso prima di raggiungere la palude, ho provato a chiamarlo corsiero, e con quei nomi che usano, come Morello, o Baiardo. Ora rido a pensarci. A quei nomi non rispondeva, ma ora capisco che non v’è, non vi può essere nome cui risponda; e se ho tentato di non dirlo cavallo, ma corsiero, questo veniva dal mio desiderio di riconoscergli una qualità d’invenzione, quasi fosse uno dei tanti cavalli per eroi e dèi che frequentano i poeti mitici, a me una volta diletti. I “corsieri” non esistono nel senso quotidiano e terrestre, e dunque bene accadeva chiamare costui un corsiero; ma poi tutto questo si è disfatto come un gioco letterario, ed ora mi trovo a misurarmi con una metà della mia formula binaria, e tener testa a qualcosa di oscuro ma di essenziale alla definizione di questo luogo, non meno ignoto e certo dei miei predecessori, che forse il cavallo ha conosciuto, che forse lo hanno cavalcato attraverso la laguna, per gli stessi itinerari sull’orlo della morte. Ho detto: il cavaliere dell’apocalisse, ma il cavaliere aveva un cavallo, e se io sono per questa terra viva di animali, l’angelo della morte, quel cavallo non può avere minor dignità, né io di lui; siamo entrambi dèi letali? Frugo fra i miei ricordi scolastici e mi chiedo se io in verità non abbia a che fare con un cavallo, ma con la cavallinità. Ora, la cavallinità non può chiamarsi “Morello” né può essere corsiero, ma anche non mangerà nñe defecherà, né copulerà; e forse non è impossibile avere un qualche rapporto meditativo con la cavallinità, e forse anche a quella rivolgere la parola, anche se dubito che la cavallinità sia incline a rispondere. Ma l’idea che io non sia venuto a cavallo ma sul dorso della cavallinità – che spiegherebbe il suo innaturale silenzio – mi affascina; o forse è un gioco per resistere alla palude?
Giorgio Manganelli (La palude definitiva)
Sa" riprende lui "non sono tornato qui per vedere l'appartamento né la gente. Non sono nemmeno sicuro che mi riconoscerebbero; non a caso mi sono portato la carta d'identità, neppure lei mi riconosceva". "No" prosegue "sono venuto perché non riesco a ricordarmi una cosa che mi ha aiutato un bel po', sia quando ero malato che dopo, durante la guarigione"... "Ah, Madame Michel, vede praticamente mi hanno salvato la vita. E' già un miracolo. Mi può dire cosa sono?" Sì angelo mio, posso. Per le vie dell'inferno sotto il diluvio, senza fiato e col cuore in gola, un flebile chiarore: "Sì" dico "sono le Camelie." Mi guarda fisso, gli occhi sgranati. Poi lungo la guancia di bambino sopravvissuto gli scivola una piccola lacrima. " Le camelie" dice, perso in un ricordo che appartiene solo a lui "Le camelie, sì" ripete, guardandomi di nuovo "Proprio così. Le camelie". Sento una lacrima scendermi lungo una guancia. Gli prendo una mano. "Jean non può immaginare quanto sono felice che lei sia venuto oggi" dico "Davvero?" chiede stupito "Ma perché?" Perché? Perché una camelia piò cambiare il destino.
Muriel Barbery (The Elegance of the Hedgehog)
e già mi stavo pentendo per essere andato così oltre, per aver raccontato inutilmente quel che già da tempo mi s'era accumulato nel cuore, del quale potevo parlare come se leggessi un libro stampato perché già da tempo avevo preparato la sentenza su di me, e adesso non ero riuscito a trattenermi dal leggerla, dal confessare, senza aspettare che mi si potesse comprendere [...]. "E adesso so come non mai che ho perso invano tutti i miei anni migliori! Adesso lo so, e questa consapevolezza mi dà ancor più dolore, perché Iddio stesso mi ha mandato voi, mio angelo buono, per dirmelo e dimostrarmelo. [...] per il fatto che io già possa dire di aver vissuto almeno due sere della mia vita!
Fëdor Dostoevskij (Notti bianche)
Aprì la finestra e cominciò a cantare accompagnandosi con lo strumento: E ’l viver mio (omai esser de’ poco) fin a la morte mia sospira e dice: «Per quella moro ch’ha nome Beatrice». E il miracolo avvenne ancora. Non aveva neanche finito la seconda stanza, che vide la finestra di fronte spalancarsi e Bice “spuntare” in tutta la sua bellezza. «Salute...», gli disse. «Risponderei “salute” anch’io, se detto da me significasse la stessa cosa...», balbettò. Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare... «Cosa c’è nel mio “salute” che non potreste rendermi per le rime?», chiese lei. «Detto da voi significa “salvezza”, perché la vostra bellezza è quella di un angelo». «Mi auguro vivamente di no, perché una simile bellezza sarebbe una condanna più che una benedizione: prometterebbe a chi mi guarda una felicità che io non potrei mai offrire a chi da un angelo, invece, se l’aspetterebbe». Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare... «Io mi accontenterei anche della semplice promessa: mi basterebbe vivere come posso, com’è concesso a un qualsiasi mortale, ma mi darei le arie di uno che abbia già prenotato da tempo il suo posto in Paradiso...». Il sorriso che Beatrice gli rivolse allora gli sbriciolò l’anima come un violino suonato da un arcangelo. Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ’ntender no la può chi no la prova... «Se vi basta la semplice promessa», lei gli rispose, «sappiate che già v’appartiene come la vista del mio volto adesso, che nessuno potrà togliervi mai...». E par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d’amore, che va dicendo a l’anima: Sospira.
Francesco Fioretti (Il romanzo perduto di Dante)
Cortana. Il nome significava semplicemente “spada corta”, ma per Emma non lo era. Lunga quanto il suo avambraccio, di metallo lucente, portava incise parole che non mancavano mai di farle correre brividi lungo la schiena: Il mio nome è Cortana e condivido l’acciaio e la tempra di Gioiosa e Durlindana. Suo padre le aveva spiegato il significato di quella frase quando, a dieci anni, le aveva messo per la prima volta l’arma fra le mani. “Capisci cosa significa quella scritta?” Lei aveva scosso la testa. “Acciaio” le era chiaro, ovviamente, ma “tempra”? Per un uomo significava avere carattere, ma una spada che carattere poteva mai avere? “Hai già sentito parlare della famiglia Wayland” aveva aggiunto lui. “Erano famosi fabbricanti d’armi, prima che le Sorelle di Ferro iniziassero a forgiare tutte le spade degli Shadowhunters. Wayland il Fabbro realizzò Excalibur e Gioiosa, quelle di Artù e di Lancillotto, così come Durlindana, la spada dell’eroe Orlando. E fecero anche Cortana, partendo dallo stesso acciaio. L’acciaio deve sempre essere temprato, cioè sottoposto a un calore quasi in grado di fondere o distruggere il metallo, in modo da renderlo più resistente.” A quel punto le aveva dato un bacio sulla testa. “I Carstairs custodiscono questa spada da generazioni. L’iscrizione ci ricorda che gli Shadowhunters sono le armi dell’Angelo. Tempraci nel fuoco, e diventiamo più forti. Pur soffrendo, sopravviviamo.
Cassandra Clare (City of Heavenly Fire (The Mortal Instruments, #6))