Mare Fuori Quotes

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Affondava come una lama nelle cose; e al tempo stesso ne rimaneva fuori, osservava. Aveva l'impressione costante, anche ora guardando i taxi, di essere lontana, lontanissima, in mare aperto, e sola. Sempre aveva l'impressione che vivere, anche un solo giorno, fosse molto, molto pericoloso
Virginia Woolf (Mrs. Dalloway)
Alì dagli Occhi Azzurri uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali. Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camicie americane. Subito i Calabresi diranno, come da malandrini a malandrini: «Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio!» Da Crotone o Palmi saliranno a Napoli, e da lì a Barcellona, a Salonicco e a Marsiglia, nelle Città della Malavita. Anime e angeli, topi e pidocchi, col germe della Storia Antica voleranno davanti alle willaye. Essi sempre umili Essi sempre deboli essi sempre timidi essi sempre infimi essi sempre colpevoli essi sempre sudditi essi sempre piccoli, essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo, essi che si costruirono leggi fuori dalla legge, essi che si adattarono a un mondo sotto il mondo essi che credettero in un Dio servo di Dio, essi che cantavano ai massacri dei re, essi che ballavano alle guerre borghesi, essi che pregavano alle lotte operaie... ... deponendo l’onestà delle religioni contadine, dimenticando l’onore della malavita, tradendo il candore dei popoli barbari, dietro ai loro Alì dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere – usciranno dal fondo del mare per aggredire - scenderanno dall’alto del cielo per derubare - e prima di giungere a Parigi per insegnare la gioia di vivere, prima di giungere a Londra per insegnare a essere liberi, prima di giungere a New York, per insegnare come si è fratelli - distruggeranno Roma e sulle sue rovine deporranno il germe della Storia Antica. Poi col Papa e ogni sacramento andranno su come zingari verso nord-ovest con le bandiere rosse di Trotzky al vento...
Pier Paolo Pasolini (Alì dagli occhi azzurri)
Guarda i quartieri moderni fuori le mura scendere dai colli al mare oleoso e verde cupo, i bei palazzi e portici dei tempi di Baccaredda (scrittore e sindaco, amato e carogna) e il lascito architettonico di quest’epoca ai futuri: il cubo luttuoso e vitreo che nasconde i vicoli del porto e offende il municipio bianco e danzante cui si è affiancato con protervia da funzionario viceregio d’altri tempi (non è escluso che i futuri decidano di amarlo e cantarlo… o lo smonteranno vetrata per vetrata e lo sposteranno in campagna oltre Palli e invece delle nere geometrie che spengono la luce e l’allegria vedranno panchine, fontane, palme e jacarandas?). Ruggero Gunale guarda la città che si allontana. Saluta torri pisane e campanili. Sillaba a se stesso: “La mitezza non incute rispetto né suscita vero compatimento. Anzi: godono a schiacciarti.” (pag. 29)
Sergio Atzeni (Il quinto passo è l'addio)
EDIPO - Non venirmi più a dire che non ho fatto ciò che era meglio, non darmi più consigli. Io non so con quali occhi, vedendo, avrei guardato mio padre, una volta disceso nell'Ade, o la misera madre: verso entrambi ho commesso atti, per cui non sarebbe bastato impiccarmi. O forse potevo desiderare la vista dei figli, nati come nacquero? No davvero, mai, per i miei occhi; e neppure la città, né le mura, né le sacre immagini degli dèi: di tutto ciò io sventuratissimo, l'uomo più illustre fra i Tebani, privai me stesso, proclamando che tutti scacciassero l'empio, l'individuo rivelato agli dèi impuro e figlio di Laio. Dopo avere denunziato così la mia infamia, dovevo guardare a fronte alta questi cittadini? No, affatto: anzi, se fosse stato possibile otturare nelle mie orecchie anche la fonte dell'udito, non avrei esitato a sbarrare del tutto questo misero corpo, così da essere sordo, oltre che cieco. È dolce per l'animo dimorare fuori dai mali. Ahi, Citerone, perché mi accogliesti? Perché, dopo avermi preso, non mi uccidesti subito, così che io non rivelassi mai agli uomini da chi sono nato? O Polibo e Corinto, e voi, che credevo antiche dimore degli avi, quale bellezza colma di male nutrivate in me: ora scopro d'essere uno sventurato, nato da sventurati! O tre strade e nascosta vallata, o querceto e gola alla convergenza delle tre vie, che beveste il sangue di mio padre, il mio, dalle mie stesse mani versato, vi ricordate di me? Quali delitti commisi presso di voi, e quali altri poi, giunto qui, ancora commisi! O nozze, voi mi generaste: e dopo avermi generato suscitaste ancora lo stesso seme, e mostraste padri, fratelli, figli, tutti dello stesso sangue; e spose insieme mogli e madri, e ogni cosa più turpe che esiste fra gli uomini. Ma, poiché ciò che non è bello fare non bisogna neppure dire, nascondetemi al più presto, per gli dèi, via di qui, o uccidetemi, o precipitatemi in mare, dove non mi vedrete mai più. Venite, non disdegnate di toccare un infelice; datemi ascolto, non temete: i miei mali nessun altro mortale può portarli, tranne me. Sofocle, Edipo Re [Esodo]
Sophocles (Oedipus Rex (The Theban Plays, #1))
«Sott'acqua è un'esplosione di vita, come se il mondo fosse rovesciato e ciò che è fuori si fosse trasferito dentro: pesci e coralli che riempiono ogni spazio, come se improvvisamente ti trovassi nel centro di una metropoli sovraffollata. Colori impossibili e suoni che non hai mai sentito prima, perché il mare non è affatto silenzioso come pensi: è vivo» proseguì Diego con entusiasmo. Guardò Alice che lo fissava con l'espressione di una bambina che mentre presta attenzione a una favola non sta realmente ascoltando: vive in quella storia. «Sei sospeso: non avverti più il tuo peso, acquisti una nuova consapevolezza del tuo spazio. L'aria che hai nei polmoni e la dimensione del tuo torace, braccia e gambe si muovono per trovare equilibrio prima di generare movimento». Diego sentì crescere in sé la memoria di quelle sensazioni. «Compare uno squalo o una murena. Ti ricordano che non sei al cinema dove il debole innocente trionfa sul forte e astuto colpevole. Sopravvive il più forte o il più veloce… il più scaltro. Non c'è nulla che ti protegga: c'è il mare, la sua bellezza e il suo pericolo. Sei da solo senti solo... Sei semplicemente libero».
Emilio Alessandro Manzotti (Freccia)
Mio caro Peter, Vorrei scriverti un intero romanzo, ma mi stai facendo morire assiderato e quindi non ho molto tempo. Mi piace credere d’aver capito il motivo della tua fuga, perché anche io ho fatto lo stesso un tempo. Amavo un uomo che è morto in guerra dopo che avevo riposto in lui ogni speranza d’essere felice. Ero disperatamente solo. Sono tornato sull’Isola Che-non-c’è perché non riuscivo a immaginare nessun posto più felice di questo ed è qui che ho perduto me stesso. Qualsiasi trattamento tu abbia ricevuto dalla tua famiglia, deve averti causato lo stesso dolore che io ho provato in quel momento. Mi dispiace. Non so cosa significhi per te sapere d’avere la mia comprensione, ma posso assicurarti che ce l’hai. Non sopporto l’idea di saperti disperato. Se potessi, farei tutto il possibile per renderti di nuovo felice. Immagino non abbia senso fare i timidi in una lettera come questa. Io ti adoro. Adoro le tue storie. E vorrei avere l’occasione di poterti adorare nel modo reale, qualsiasi cosa siamo lì fuori, se me lo lascerai fare. Non voglio che tu resti qui, non solo perché ti amo, ma perché mi hai salvato la vita, che ti piaccia o no – e non posso tollerare il pensiero di scappare via lasciandoti intrappolato qui. In verità, sono un egoista. Voglio stare con te. Voglio che tu venga via insieme a me e giuro su Dio che se lo farai, ti darò qualsiasi casa mi sia rimasta nel mondo reale. Sono sempre venuto sull’isola via mare, dal nord dell’Isola del Pellicano. Se vai in quella direzione e continui a navigare verso l’orizzonte, vedrai l’Inghilterra a sinistra del sole. Vai sempre dritto verso di lei e arriverai a un piccolo cottage vicino a un fiume. Spero d’essere lì ad aspettarti. Ti prego, smettila di fare lo sciocco e vieni a cercarmi. Devo ricostruire tante cose, e vorrei farlo insieme a te
Austin Chant (Peter Darling)
Quasi avesse tenuto una breve rappresentazione teatrale, l'avvocato si mette una mano sul cuore e si inchina. Poi apre la porta a due battenti e dice: Permettono? a indicare che il colloquio è finito. Richard sa benissimo anche lui che fuori sono in attesa molti rumeni, vietnamiti e africani. Passando con Ithemba davanti al guardaroba e vedendo un cilindro sulla mensola per cappelli, gli viene quasi il dubbio che questo avvocato dalle sembianze di un gufo sia arrivato in volo, dal lontano Ottocento, direttamente nel ventunesimo secolo – in questo secolo nuovo e tuttavia così vecchio, con i suoi interminabili flussi di esseri umani che, dopo essere sopravvissuti alla traversata in un mare vero, rischiano ora di affogare nei fiumi e nei mari di carte.
Jenny Erpenbeck
L'oscurità intima, buona, la calda culla dell'anima, la patria perduta si dischiusero: il tempo del destino informe, il primo palpito indeciso sul fondo della sorgente, sotto la quale riposa la preistoria con i suoi sogni di foreste vergini. Tenta pure, o anima, erra, rovista ciecamente nel bagno sazio degli istinti innocenti! Ti conosco, anima timorosa, nulla ti è necessario, nulla è per te nutrimento, bevanda e sonno più che il ritorno ai tuoi inizi. Lì l'onda ti gorgoglia vicino, tu sei onda, tu sei bosco, non ci sono più dentro e fuori, tu voli uccello nell'aria, nuoti pesce nel mare, suggi luce e sei luce, assaggi l'oscurità e sei oscurità. Noi andiamo, anima, nuotiamo e voliamo, ridiamo e annodiamo i fili strappati con le delicate dita dello spirito. Lì risuonano beate le vibrazioni distrutte. Non cerchiamo più Dio. Noi siamo Dio. Noi siamo il mondo. Uccidiamo e moriamo, creiamo e risorgiamo insieme coi nostri sogni. E il nostro sogno più bello è il cielo azzurro, il nostro sogno più bello è il mare, il nostro sogno più bello è la notte stellata, è il pesce, il suono chiaro e gaio, la luce chiara e gaia. Tutto è il nostro sogno, il nostro sogno più bello. Ora siamo morti e ritornati terra. Ora abbiamo composto una costellazione. Voci risuonano e ogni voce è la voce della madre. Gli alberi frusciano e ciascuno ha mormorato sopra la nostra culla. Strade si diramano a stella e ogni strada porta a casa.
Hermann Hesse
Aveva una paglietta ad ali spioventi, in séguito alle numerose traversie incontrate tanto al mare quanto in montagna, e rotolata giù per pazzi colpi di vento da chine dirute, mentre era lì sudato e felice in meraviglie vocali di «ah!» e di «oh!», per l’aria, per il fresco, per il panorama, e «spiegava» tutti i monti alle ragazze gialle, rosse e celesti, compreso il Finsteraarhorn; le quali si riassettavano il golf e la zazzera, e dopo tre minuti li avevano dimenticati in blocco. Una volta, rapitagli da una folata di città, la paglietta schivò per miracolo vero la zampa anteriore destra d’un enorme cavallo della ditta Fratelli Gondrand, che, fermo da tre ore sui quattro piedi, si era dato a ingannar il tempo con uno scalpito lento, quasi ritmico. Ma siccome questo mastodontico quadrupede aveva appena finito di concedersi un certo suo spettacoloso sollievo (nonostante avesse la bella coda intrecciata, come le trecce d’una educanda di lusso), la paglietta la si era mezzo infradiciata di dentro e di fuori, che poi gocciolò per un pezzo e bisognò lavarla e sbiancarla e diede gran da fare in casa: e i rimproveri di donna Teresa non finivano più: Bubù rise tanto, che la cosa gli finì a scappellotti a letto senza le frutta. «Te l’ho detto cento volte di legartela col cordoncino! Ma quando t’impunti, sei un testone, un vero testone! Guarda un po’ che roba.» (Difatti l’acido ippurico era stato generoso.) Allora si avvezzò a legarla davvero: così voleva il destino. E siccome la signora gli mise un cordone proporzionato alla sua corporatura e alla robustezza immortale della bicicletta, pareva la corda del trolley d’un tram d’animo buono, che vada adagio adagio.
Carlo Emilio Gadda (Accoppiamenti giudiziosi)
Mia sorella non voleva bagnarsi neanche i piedi per paura che il mare se la tirasse dentro. Si è accoccolata all'acsiutto, con il mento sulle ginocchia e lo sguardo diluito in tutto quel blu. Mi sono immersa in silenzio scivolando sott'acqua per la durata del fiato, senza rurbare la superficie. Poim con la testa fuori, ho visto la spiaggia che si popolava dei più mattiniera, Adriana raccolta su se stessa in attesa del mio ritorno, la rincorsa impetuosa di Vincenzo e il suo tuffo che alzava spruzzi nell'aria. Aveva imparato a nuovare al fiume, con gli amici. Si è diretto verso di me a forza di bracciate potenti e scomposte, tracciando un segno sul mare.
Donatella Di Pietrantonio (L'Arminuta)
Ma quello a cui non poté sottrarsi era l'attrazione che i suoi occhi esercitavano su di lui. Li aveva incrociati per un istante che gli parve eterno. Due meravigliosi laghi azzurri, dove si aveva l'impressione di annegare. Profondi come il mare e trasparenti come una cielo terso di primavera. Due occhi dai quali non sembrava in grado di staccarsi e non lo avrebbe fatto se non fosse stata lei a distogliere lo sguardo per prima. La vide concentrarsi su Eliza e Virginia per poter essere loro utile al meglio. Lui si sentì tagliato fuori da quello scampolo di esistenza. Anche se, per la prima volta nella sua vita, sarebbe stato disposto a sopportare stoicamente la tediosa procedura femminile della scelta dei modelli e dei tessuti per la realizzazione di un guardaroba se gli fosse stato possibile restare. Si riscosse e uscì dalla stanza.
Carragh Sheridan (Fin de Siècle. Amore proibito)
D'improvviso gli venne da pensare a un mondo in cui non ci fosse più bellezza. Ed era alla bellezza femminile che pensava.) -p. 22 (Cos'è questo nostro bisogno di bellezza? si domandava Amerigo. Un carattere acquisito, un riflesso condizionato, una conversazione linguistica? E cos'è, in sé, la bellezza fisica? Un segno, un privilegio, un dato irrazionale della sorte, come - tra costoro- la bruttezza, la deformità, la minorazione? O è un modello via via diverso che noi ci fingiamo, storico più che naturale, una proiezione dei nostri valori culturali?) - p. 23 (La Grecia... pensava Amerigo. Ma porre la bellezza troppo in alto nella scala dei valori, non è già il primo passo verso una civiltà disumana, che condannerà i deformi a essere gettati dalla rupe?) -p.23 (Un mondo, il "Cottolengo", - pensava Amerigo,- che potrebbe essere il solo mondo al mondo se l'evoluzione della specie umana avesse reagito diversamente a qualche cataclisma preistorico o a qualche pestilenza... Oggi, chi potrebbe parlare di minorati, di idioti, di deformi, in un mondo interamente deforme?) ... (...Una via che ancora l'evoluzione potrebbe prendere, rifletteva Amerigo, se è vero che le radiazioni atomiche agiscono sulle cellule che racchiudono i caratteri della specie. E il mondo potrà venir popolato da generazioni d'esseri umani che per noi sarebbero stati mostri, ma che per loro stessi saranno esseri umani nel solo modo in cui si potrà essere umani...) -p. 24 (Se il solo mondo al mondo fosse il "Cottolengo", pensava Amerigo, senza un mondo di fuori che, per esercitare la sua carità, lo sovrasta e schiaccia e umilia, forse anche questo mondo potrebbe diventare una società, iniziare una sua storia...) ... (Di diversa possibilità d'essere dell'umanità ci si ricorderebbe come nelle favole, d'un mondo di giganti, un Olimpo...Come capita a noi: che forse siamo, senza rendercene conto, deformi, minorati, rispetto a una diversa possibilità d'essere, dimenticata...) .... (E più la possibilità che il "Cottolengo" fosse l'unico mondo possibile lo sommergeva, più Amerigo si dibatteva per non esserne inghiottito. Il mondo della bellezza svaniva all'orizzonte delle realtà possibili come un miraggio e Amerigo ancora nuotava verso il miraggio, per riguadagnare questa riva irreale, e davanti a sé vedere Lia nuotare, il dorso a filo del mare.) -p. 25
Italo Calvino (La giornata d'uno scrutatore)
Da qualche parte, dentro di sé, sapeva benissimo anche lui che non Paolo e Francesca aveva ucciso a Gradara quel giorno, con un unico colpo di spada, ma piuttosto l’amore, tutto l’amore, fuori, dentro di sé. No, lui avrebbe fatto raccontare tutta la storia a Francesca, e sarebbe stata una storia d’amore. E s’augurò che questa pena di vento che mugghia e che sferza le fosse leggera, nel buio eterno, come una brezza estiva la mattina sul mare.
Francesco Fioretti (Il romanzo perduto di Dante)
[...] e piango una lacrima sull'altra che non so da dove vengano fuori, però escono e sembrano mare, salate e blu.
Pier Vittorio Tondelli (Altri libertini)
Di fobia sociale, invece, non ho mai sofferto, nonostante la timidezza. Oggi mi intrattengo sempre piú spesso con chi non conosco, la vita mi ha obbligato a vincere questa debolezza, mi ha spinto con forza, quasi costretto, in tal senso. Costretto a fare piú che a riflettere, a muovermi di pancia e non con la ragione. L’esperienza quindi dovrebbe insegnarmi che se ti forzi ad affrontare ciò che temi, alla fine la vinci, che è un po’ il concetto del dottor Cavalli: guarda in faccia le tue paure finché non ti faranno piú paura. Dovrei perciò prendere un aereo al giorno, andare a vivere in una casa piena di blatte e ragni, semmai iscrivermi alla Napoli-Capri, cosí da nuotare in mare aperto, e forse nel giro di qualche anno potrei ambire a diventare finalmente un uomo perfetto, una persona senza punti deboli. Possibile? Non credo. Non esistono persone senza punti deboli. Forse riuscirei a vincere la paura di volare, potrei anche arrivare a dormire in una stanza piena di ragnatele (in realtà una volta ho dormito da solo in una stanza di un B&b nella quale c’era un grosso ragno, nascosto però dietro a un armadio), potrei tentare di combattere la mia ipocondria ogni giorno e un domani forse non provare piú questo fottuto terrore, ma quale sarebbe il dazio da pagare? Quanto sforzo, quanto dolore, quanta paura comporterebbe sfidare in campo aperto le mie fobie? E questo sforzo, questa paura, non provocherebbero altra paura? Non posso affrontare tutto, semplicemente perché non ci riesco, sono umano, con tutto ciò che questo vuol dire. A proposito di accettazione. Mi piacerebbe essere piú equilibrato, ma so di trovarmi sotto quella coperta sempre troppo corta: se tiro da un lato, resto scoperto dall’altro. Qualcuno parla di ipersensibilità dell’amigdala, la sede del cervello a forma di mandorla che gestisce le emozioni e in particolare la paura. Se hai la sfiga di avere questa zona ipersensibile, sei costretto a fotterti dalla paura costantemente: l’amigdala in questi casi, al pari del neurone inibitore ubriaco(ricordate?), sta sempre sul chi va là, inviandoti di continuo scariche di adrenalina con lo scopo di farti reagire prontamente a una situazione di pericolo. L’unica cosa che ottiene, però, è mandarti fuori di zucca, perché in verità ti trovi sul divano e stai guardando la tv, e il solo pericolo incombente è che ti possa venire un crampo alla pancia per via della cioccolata di cui ti sei abbuffato nel tentativo di vincere l’angoscia persistente che ti fa sentire l’irrefrenabile voglia di scappare a gambe levate, come se ai tuoi piedi stesse strisciando un boa constrictor. E pensare che un tempo avevamo solo questa parte di cervello, eravamo guidati solo da istinto ed emozioni, il sistema limbico (adibito alle funzioni psichiche, all’emotività) dominava il cervello già nei rettili di un tempo. Solo milioni di anni dopo il cervello pensante si è evoluto da questi centri emozionali. Per quel che mi riguarda, cerco di fregare l’amigdala con «l’evitamento», mi costruisco degli appigli per tirare avanti alla buona e sentire meno la paura, tento di distrarmi, ecco, in attesa che, chissà, un domani qualcuno mi aiuti a imboccare la strada giusta, mi apra gli occhi e mi infonda il coraggio per guardare in faccia ciò che non ho avuto il coraggio di guardare fino a oggi. Aspetto che sia la vita ancora una volta a darmi lo scossone e a spingermi verso nuove strade nelle quali la paura non mi farà piú da compagna quotidiana. Nel frattempo, mi impegnerò in ciò che mi fa stare bene e continuerò ad aspettare un refolo di sole per andare sul lungomare con la mia famiglia. La felicità dalle mie parti: un venticello fresco che sa di primavera, una pizza fumante, il mare là dietro, una birra ghiacciata, mia moglie e mio figlio.
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
Stava ascoltando delle cose nella foschia: i suoni di incubi pelagici che lo richiamavano. Cose che aspettavano che cadesse in mare, cose con occhi gialli e tentacoli e denti affilati, malignità e mostri. Continuava a ripetersi: Non pensarci, non pensare a nessuna di queste cose perché è tutto nella tua testa… è soltanto immaginazione, tutto qui. Ed era un ragionamento sensato, ma non reggeva perché era solo e tutto ciò che aveva per compagnia era la sua mente e a lei piaceva giocargli brutti scherzi. Gli diceva che onestamente non importava se lui pensava a quelle cose, perché quelle cose stavano pensando a lui. Era una follia, ma poi la sua mente si oscurò e gli chiese se riusciva a sentirli, là fuori, quegli orrori neri e dementi nella nebbia, che pensavano a lui e si concentravano su di lui
Tim Curran (Dead Sea)
— Perché mi hai dato questo desiderio di vivere? Perché mi hai fatto questo?— Perché lo desideravo. Non basta?— Sì, basta. Ma se un giorno tu non lo desiderassi più? Che farei, allora? Pensa se tu mi portassi via questa felicità mentre sono distratta…— Per perdere la mia? Chi sarebbe tanto sciocco? — Non sono abituata alla felicità — disse. — Mi fa paura. — Non avere mai paura. E se hai paura non dirlo a nessuno. — Lo capisco. Ma provarci non mi aiuta. — Che cosa ti aiuterebbe? — Non rispondeva mai a questa domanda; poi una notte sussurrò: — Se potessi morirei adesso, mentre sono felice. Lo faresti? Non dovresti uccidermi. Dimmi di morire e io morirò. Non mi credi? Allora prova, prova, dimmi muori e guardami morire. — Muori allora! Muori! — La guardai morire molte volte. Nel mio modo, non nel suo. In pieno sole, nell’ombra, al chiaro della luna, a lume di candela. Nei lunghi pomeriggi quando la casa era vuota. C’era soltanto il sole a tenerci compagnia. Lo chiudevamo fuori. E perché no? Ben presto lei fu presa quanto me da quel che si chiama amare — in seguito, più perduta e vinta di me.
Jean Rhys (Wide Sargasso Sea)
Si tuffa. L’acqua entra fra i capelli, gli avvolge le braccia. È vero, il mare accoglie. Riemerge. Respira. Fuori è freddo, ma che importa? Si sente libero, leggero e vorrebbe gridare, perché per un istante il suo buio, quello che si porta dentro da una vita intera, è sparito. O, per lo meno, è confinato ai margini della coscienza.
Stefania Auci (I leoni di Sicilia)