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Il telescopio completò la sua inclinazione, ribaltandomi al punto che mi trovai a faccia in giù, e vidi su cosa davano i portelli aperti, su cosa stavo penzolando.
C’era lava sotto di noi, un cratere pieno, arancio e rosso ardenti, e nella lava c’erano donne, che tendevano le dita per toccare il metallo del telescopio, premendoci contro le unghie.
Vidi le radici incandescenti del mondo, e il modo in cui le donne ci si erano aggrovigliate, le bocche aperte, un mormorio assordante come il vento che sradica gli alberi. Vidi la moglie del signor Loury, la sua versione in pellicola Kodachrome, la pelle bianca e i capelli luminosi, gli occhi grandi e bistrati dalle ciglia finte. Mancavano gli occhiali da sole che portava sempre. Era nuda, le lunghe braccia attaccate con ferocia e coperte di vesciche, le costole scarne e le anche sporgenti. Vieni qui, disse, muovendo le labbra senza produrre suono, e il suo rossetto era perfetto. Altre madri erano lì, e le conoscevo.
Ero stata ai loro funerali ed ero andata a scuola con i loro figli abbandonati. Avevo visto le X dove loro non c’erano. Vidi tutte le donne morte al centro della terra, e poi le vidi tendere le braccia verso l’alto dove io penzolavo.
Vidi la mia terza madre, e lei vide me.
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Maria Dahvana Headley (Year's Best Weird Fiction, Vol. 1)