Juncker Quotes

We've searched our database for all the quotes and captions related to Juncker. Here they are! All 14 of them:

We all know what to do, but we don’t know how to get re-elected once we have done it.
Jean-Claude Juncker
Laws and regulations that corporate lobbyists are unable to persuade national democratic legislatures to enact can be repackaged and hidden in harmonization agreements masked as lengthy trade treaties, which are then ratified by legislatures without adequate scrutiny. Whatever its minor benefits, legislation by treaty represents a massive transfer of power from democratic legislatures to corporate managers and bankers. Jean-Claude Juncker, the prime minister of the tax haven Luxembourg who became the president of the European Commission from 2014 to 2019, described how the European Council systematically expanded its authority by stealth: “We decree something, then float it and wait some time to see what happens. If no clamor occurs . . . because most people do not grasp what had been decided, we continue—step by step, until the point of no return is reached.
Michael Lind (The New Class War: Saving Democracy from the Managerial Elite)
When it becomes serious, you have to lie.
Jean-Claude Juncker
That said, on Mr Juncker the British prime minister is right. Not because the prospective president will turn the EU into a United States of Europe, but because his candidacy speaks to the head-in-the-sand view of the world that has landed the continent in so much trouble. Overruling Mr Cameron on this will arm eurosceptics and, just possibly, tip the balance further towards Britain’s exit. Either way it will be bad for Europe. Ms Merkel still has time to change her mind. philip.stephens@ft.com
Anonymous
If the eurozone collapses, its epitaph should be the words of Jean-Claude Juncker, the former prime minister of Luxembourg, in 2007: “We all know what to do, but we don’t know how to get re-elected once we have done it.”32
John Micklethwait (The Fourth Revolution: The Global Race to Reinvent the State)
Between them, the leaders of France and Germany had a stake of around €1 trillion in not allowing the Greek government to tell the truth; that is, to confess to its bankruptcy. Yet they still had to find a way to bail out their bankers a second time without telling their parliaments that this was what they were doing. As Jean-Claude Juncker, then prime minister of Luxembourg and later president of the European Commission, once said, ‘When it becomes serious, you have to lie.
Yanis Varoufakis (Adults in the Room: My Battle with the European and American Deep Establishment)
As Jean-Claude Juncker, then prime minister of Luxembourg and later president of the European Commission, once said, ‘When it becomes serious, you have to lie.’4
Yanis Varoufakis (Adults in the Room: My Battle with Europe's Deep Establishment)
Opinion polls suggested the Scottish referendum on independence on September 18th was now too close to call. The three leaders of Britain’s main political parties rushed to Scotland to urge voters to say no, and offered the promise of new tax and spending powers. Many big companies, including Royal Bank of Scotland, warned that they would move their operations to England if Scots vote to secede from the United Kingdom. Jean-Claude Juncker, the new president of the European Commission, announced
Anonymous
I nostri cinque peccati che scoraggiano ricerca e innovazione Dalla politica all’università, il sistema italiano continua a ostacolare l’economia della conoscenza Start-up al palo Dai laboratori al business: in Italia è ancora difficile riuscire a trasferire le scoperte teoriche nell’industria Riccardo Viale | 831 parole Da quando è stato introdotto il concetto di economia e di società della conoscenza, come importante elemento delle politiche pubbliche, si è iniziato ad analizzare l’insieme delle condizioni di contorno - le «framework condition» - in grado di stimolare o di ostacolare lo sviluppo di questo modello. La strategia di Lisbona del 2000 aveva lo scopo di rendere l’Europa l’area più competitiva a livello mondiale proprio come economia e società della conoscenza. Oggi abbiamo i risultati: in media c’è stato un arretramento, secondo la maggior parte degli indicatori, rispetto ai principali concorrenti internazionali. E l’Italia? Come si può immaginare, non ha realizzato alcun serio passo in avanti: non solo per le condizioni dirette (come finanziamento alla ricerca, numero di ricercatori e di brevetti, indici bibliometrici o rapporto università-impresa), ma per le «framework conditions». Ma più che dare dati vorrei riferirmi ad una serie di situazioni tipiche, ragionando con il modello degli incentivi dal macro al micro. Per mostrare come la dinamica sociale ed economica italiana sia intrisa di incentivi negativi. La logica del breve termine Innanzitutto, a livello di sistema politico e di governo nazionale e regionale, gli obiettivi dell’economia e della società della conoscenza sono in genere percepiti di medio e lungo termine. Di conseguenza, in un Paese che vive lo «shortermismo» della logica emergenziale, nulla è più marginale del sistema della Ricerca&Sviluppo. Questo «bias», d’altra parte, non è solo italiano, se si considera la recente scelta di Juncker di indebolire il fondo «Horizon 2020» per potenziare quello di stimolo immediato all’economia. Seconda tipologia. Le università italiane sono fuori da tutte le graduatorie internazionali. Anche le migliori, come il Politecnico di Milano e Torino o la Bocconi, sono a metà classifica. Si sa che uno degli strumenti prioritari per stimolare l’eccellenza e la diversificazione accademica è la «premialità economica» dei migliori atenei, secondo un sistema simile a quello del «Rae» britannico: lasciando da parte il problema del mediocre sistema italiano della valutazione, mentre in Gran Bretagna l’incentivo economico arriva a un terzo del finanziamento pubblico, da noi si ferma a molto meno (anche se dai tempi del ministro Moratti si vede un certo progresso). Non esiste, quindi, un sufficiente effetto incentivante di tipo meritocratico sulla produzione di conoscenza. Terza tipologia. Anni fa, in Lombardia, una multinazionale della telefonia aveva proposto un centro di ricerca avanzato. Ciò avrebbe consentito una collaborazione con i centri di ricerca già presenti nel territorio, in primis il Politecnico di Milano. Cosa successe dopo? Una lista di problemi, ostacoli ed incoerenze tipiche della pubblica amministrazione. Tutto questo era in contrasto con il programma dell’azienda, che decise di trasferire il progetto in un altro Paese. Quarta tipologia. Spesso si parla di sostenere le nuove idee per garantire la nascita di start-up ed imprese innovative. Ma quale incentivo può avere un ingegnere o un biochimico a creare una «newcom», quando è quasi impossibile trovare il «seed money» (quello per le fasi iniziali) nelle banche ed è quasi inesistente il capitale di rischio del venture capital, mentre non si ha la possibilità di valorizzare finanziariamente una start-up a livello di Borsa, dato che manca, in Italia ma anche in Europa, un analogo del Nasdaq? La crisi del fund raising Infine - quinta ed ultima (tra le molte) tipologia di disincentivi - è la capacità di «fund raising» per la ricerca dei
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We decide on something, leave it lying around, and wait and see what happens. If no one kicks up a fuss, because most people don't understand what has been decided, we continue step by step until there is no turning back.
Jean-Claude Juncker
Juncker, just a few months into his EU presidency, went into hiding for a week after the publication of the first round of stories. While he was gone, Luxembourg was widely castigated as a tax parasite, prospering from the depletion of government coffers throughout the world. When Juncker finally emerged, he refused to talk much about his tenure as the head of a tax avoidance factory masquerading as a country. Instead, he promised that he would lead the change to bring fairness to Europe's tax systems. Critics, not surprisingly, questioned his sincerity.
Jake Bernstein (Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite)
Jean-Claude Juncker, the proud architect of Luxembourg’s massive corporate tax-avoidance schemes and now the head of the European Commission, has taken a hard line—perhaps understandably, given that he may go down in history as the person on whose watch the dissolution of the EU began.
Joseph E. Stiglitz (The Euro: And its Threat to the Future of Europe)
Soames is a pompous old bore whose blind Europhilia would make Juncker blush. The only thing he and his fine ancestor have in common is their waistline.
Arron Banks (The Bad Boys of Brexit: Tales of Mischief, Mayhem & Guerrilla Warfare in the EU Referendum Campaign)
Italia e Germania, riparte il dialogo Al vertice voluto dal Quirinale gli analisti guardano oltre gli stereotipi “Da soli non contiamo nulla nel mondo, smettiamo di accusarci a vicenda” 2.715 Erasmus È questo il numero degli universitari italiani che nel 2012-2013 hanno studiato in Germania. Gli studenti tedeschi in Italia invece sono stati 1.842 460 parole Difficile parlarsi, quando la più grave crisi da un secolo ha polarizzato l’Europa e spinto Italia e Germania su fronti opposti. Nella patria di Angela Merkel, purtroppo, si distingue spesso tra «Paesi debitori» e «creditori» o ci si ossessiona per i «compiti a casa» e l’«azzardo morale». E la retorica sul pigro Sudeuropa fatica a spegnersi. Ma anche in Italia un populismo pigro ha ispirato campagne elettorali con slogan che propagandavano «più Italia, meno Germania». E la tentazione di addossare colpe antiche che fanno da zavorra alla nostra economia all’austerità targata Berlino, è sempre dietro l’angolo. Inevitabile, dunque, che all’«Italian-German High Level Dialogue» organizzato su impulso del Quirinale, con il patrocinio della Farnesina e il coordinamento dell’Ispi, i toni non siano sempre stati concilianti. Ma invece di continuare a dividersi sul debito pubblico o sul surplus commerciale, i banchieri, gli imprenditori, gli economisti, i diplomatici, gli analisti e i (pochi) politici convenuti a Torino hanno preferito spesso partire dai punti in comune per ritrovare la via del dialogo. Un’opportunità importante che secondo il presidente di Generali Gabriele Galateri di Genola «dovrebbe essere arricchita con un coinvolgimento maggiore della società civile. La verità è che quando le persone si conoscono e si confrontano, tante incomprensioni vengono superate». E forse, il primo sforzo, ha sostenuto l’ambasciatore Reinhard Schäfers, potrebbe essere quello di rinunciare a termini che in Italia hanno spesso un sapore paternalistico come i «compiti a casa». Il secondo sforzo, ha aggiunto, ha già un aggancio all’attualità. Perché le due maggiori potenze manifatturiere in Europa «non possono definire insieme le priorità» per i piani di investimenti europei, a partire da quello targato Juncker? Anche per Klaus-Peter Roehler, amministratore delegato di Allianz, il dialogo bilaterale «può dare importanti impulsi alla crescita». Il presidente di Unicredit e del gruppo Springer, Giuseppe Vita, citando un argomento prediletto da Merkel, ha ricordato la base di ogni ragionamento sull’opportunità di mettere insieme le forze: «l’Italia e la Germania sono realtà assolutamente trascurabili, nel panorama mondiale». Solo in una cornice europea possono negoziare in modo credibile con il resto del mondo. C’è anche un problema di comunicazione, ovviamente. E se «in Germania c’è una percezione troppo scarsa delle riforme importanti che l’Italia sta facendo», secondo il presidente dell’Autorità per il controllo delle leggi, Johannes Ludewig, il membro del board della Bundesbank, Carl-Ludwig Thiele, ha lamentato l’informazione inesatta sulla Germania che molti giornali italiani diffondono. Soprattutto, ha esclamato, «nessun Paese è amato come l’Italia». Se questo non è un buon punto di partenza. [t. mas.]
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