Io Vivo Quotes

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Io sono vivo, voi siete morti
Philip K. Dick (Ubik)
Io voglio invece leggerezza, libertà, comprensione – non trattenere nessuno, e che nessuno mi trattenga. Tutta la mia vita è una storia d’amore con la mia anima, con la città in cui vivo, con l’ albero al bordo della strada, con l’aria. E sono infinitamente felice.
Marina Tsvetaeva
Io sono vivo e non concludo.La vita non conclude.E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.
Luigi Pirandello (Uno, nessuno e centomila - Quaderni di Serafino Gubbio operatore)
Mia cara, il tuo piccolo cuore è ferito; non giudicarmi crudele perché obbedisco all’irresistibile legge della mia forza e della mia debolezza. Se il tuo piccolo cuore è ferito, anche il mio sanguina con il tuo. Nell’estasi della mia grande umiliazione, io vivo nella tua calda vita e tu morirai.., morirai dolcemente.., nella mia vita. Non posso farne a meno; come io mi avvicino a te, così tu, a tua volta, ti accosterai ad altri, e capirai l’estasi di questa crudeltà che è sempre amore; così, per ora, non cercare di sapere più niente di me e di te, ma abbi fiducia in me con tutta la tua anima appassionata».
J. Sheridan Le Fanu (Carmilla)
Una storia nasce da una solidarietà implicata dalle esigenze di una vita viva: se io vivo una vita e tu vivi un identico accento di vita, se ci incontriamo, ci sentiremo uniti. Questo è un movimento».
Alberto Savorana (Vita di Don Giussani)
E poi apro gli occhi e lui è lì, in piedi, in mezzo alla folla. Ed io vedo solo lui. Canto solo per lui. Vivo solo per lui. Tre minuti per farlo innamorare di me. Tre minuti sono bastati a me per amarlo.
A.S. Kelly (Tre minuti di me (Tre minuti di me, #1))
«Stai scherzando?» Il colore degli occhi di lui si vedeva anche al buio. «Per te è uno scherzo, Emma? Non capisci?» La voce gli si ridusse a un sibilo. «Io non vivo se tu muori!» Gli scrutò il viso. «Jules, mi dispiace un sacco, Jules…» La parete che di solito nascondeva la verità dentro agli occhi di lui si era sgretolata; adesso Emma vedeva il panico, vedeva la disperazione, il sollievo che aveva perforato le sue difese. Continuava a tenerle il polso. Non capì se fosse stata lei ad avvicinarsi per prima a lui o viceversa. Forse lo avevano fatto insieme. Si scontrarono come due stelle in collisione. E un secondo dopo lui la stava baciando. Jules. Julian. Che la baciava.
Cassandra Clare (Lady Midnight (The Dark Artifices, #1))
L'AQUILONE C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie: un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d'albaspina. Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso. Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino. Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza. S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano. S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla? Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata... A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l'omero il pallor muto del viso. Sì: dissi sopra te l'orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni! Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento. Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi! Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto... Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre... adagio, per non farti male.
Giovanni Pascoli (Poemetti di Giovanni Pascoli (Italian Edition))
Vivo ora, qui, con la sensazione che l'universo è straordinario, che niente ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.
Tiziano Terzani (Un altro giro di giostra)
Attendere. Nella nostra vita conosciamo gioia, collera, dolore e cento altre emozioni, ma questi sentimenti occupano tutti insieme una parte risibile del nostro tempo. Il novantanove per cento consiste solo nel vivere in attesa. Io vivo in questa temporanea aspettativa e mi sembra che il seno dovrà scoppiarmi, quando nel corridoio echeggeranno i passi della felicità. Vuoto. Oh, la vita è troppo penosa: la realtà conferma l’universale opinione seconda la quale meglio sarebbe non essere mai nati.
Osamu Dazai (Il sole si spegne)
Questo è quello che credo io. Credo che l’universo voglia essere notato. Credo che l’universo sia inverosimilmente prevenuto rispetto alla consapevolezza, e che premi l’intelligenza perché è contento quando la sua eleganza viene osservata. E chi sono io, che vivo per un segmento brevissimo di storia, per dire all’universo che lui o la mia osservazione di lui è temporanea?
John Green (The Fault in Our Stars)
Siamo fuoco che brucia di una nuova passione. Più profonda, più intensa.  Porta con sé il sapore di un sentimento vivo, travolgente, tenuto nascosto per troppo tempo ed esploso fra confessioni e corpi che si vogliono. Siamo io e Jay, un "noi" insperato, ma che invece esiste. Lo sento nella frenesia delle sue mani che mi toccano, nelle nostre bocche che si cercano affamate. Attraverso il ritmo scalpitante dei nostri cuori.   Gli afferro la nuca con una mano e mi spingo ancora di più nella sua bocca, sto impazzendo per lui. Di lui. Per le sue parole, per quello che mi ha dato confessandomi il suo segreto. Per quel Ti amo che sento addosso. Indistruttibile. Incancellabile.
Veronica Scalmazzi (Logan (Destini incrociati, #2))
Ahimè, sento parole dolorose, peggiori per me di ogni morte. Non essere così crudele da abbandonarmi, te ne prego, per gli dei, per questi figli che lascerai orfani. Non cedere, fatti coraggio! Se tu muori io non sono più niente: solo per te esisto e vivo.
Euripides (Alcestis)
n tutto quel fragore io sentii il suono della punta di bronzo che cadeva sul legno della tolda. E Aiace capì. Che quello era il mio giorno, e che gli dei erano con me. Indietreggiò, finalmente, lo fece, indietreggiò. E io salii su quella nave. E le diedi fuoco. E' in quelle fiamme che mi dovete ricordare. Ettore, lo sconfitto, lo dovete ricordare in piedi, sulla poppa di quella nave, circondato dal fuoco. Ettore, il morto trascinato da Achille per tre volte intorno alle mura della sua città, lo dovete ricordare vivo, e vittorioso, e splendente nelle sue armi d'argento e di bronzo. Ho imparato da una regina le parole che adesso mi sono rimaste e che voglio dire a voi: ricordatevi di me, ricordatevi di me, e dimenticate il mio destino. (Ettore, "Omero, Iliade")
Alessandro Baricco
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire partecipare. Chi vive veramente non può non essere cittadino partecipe. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Io partecipo, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, partecipo. Perciò odio chi non partecipa, odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci
…Nella tua mentre i tuoi genitori sono perfetti. Ora che stiamo chiudendo il cerchio, sei preoccupata di poter scoprire che magari erano…” “Imperfetti?” Dovette sforzarsi per scacciare una nota di tensione dalla voce. “Cattive persone?” “Esseri umani. Prima o poi ci ritroviamo tutti a fare i conti con il fatto che le persone che devono prendersi cura di noi sono esseri umani. E commettono degli sbagli.” Si scostò i capelli dagli occhi. “Io vivo nel terrore del giorni in cui i ragazzi si renderanno conto che questo vale anche per me”.
Cassandra Clare (Lady Midnight (The Dark Artifices, #1))
Uno scrittore non è altro che un imitatore della vita altrui. Uno che si sente imprigionato da un aspetto della propria vita, e che lo vorrebbe cambiare, ma non può. Non ha il coraggio di farlo, ma a malapena quello di immaginarselo. E io, cosa ho da modificare della mia vita? Da che cosa vorrei fuggire?
Marco Malvaldi (Argento vivo)
La forza centripeta sul nostro pianeta è ancora terribilmente forte. Ho voglia di vivere e vivo, anche a dispetto della logica. Sebbene io possa non credere nell' ordine delle cose, tuttavia amo le foglioline vischiose che si dischiudono in primavera, amo il cielo azzurro, amo alcune persone che a volte si amano senza sapere esattamente il perché - ci crederesti? - amo alcune grandi imprese umane, sebbene da un pezzo abbia cessato di credere in esse, eppure per una vecchia abitudine le ammiro con tutto il cuore.Qui non c'entrano l'intelligenza, la logica, questo è amare dal proprio intimo, dalle viscere, amare la forza della propria giovinezza.
Fyodor Dostoevsky
Davanti alla porta di lei gli sembrava di non dirlo al vento, per la prima volta dopo tanti mesi: «Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto... Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi sono visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso.»
Beppe Fenoglio (Una questione privata)
Domani anch'io - l'anima che sente e pensa, l'universo che io sono per me stesso - si, domani anch'io sarò soltanto uno che ha smesso di passare in queste strade, uno che altri evocheranno vagamente con un "che ne sarà stato di lui?". E tutto quanto ora faccio, quanto ora sento e vivo non sarà niente di più che un passante in meno nella quotidianità delle strade di qualsiasi città.
Fernando Pessoa (The Book of Disquiet)
Ed io scorgevo sempre quella tempesta che ti porti dentro, nei tuoi occhi, nelle tue mani che si nascondono tra i capelli annodati, nei vestiti che abbandoni sul pavimento aspettando che qualcuno li riordini e in quelle costellazioni di lentiggini che ti ritrovi in volto. Mi sono accorto che mi bastava questo, che vivevo solo di questo, che eri la mia tempesta, il sole che segue il temporale, che eri un disastro, che mi rendevi vivo.
Anna Angelica Godoli (Apparition)
Spesse fiate vegnonmi a la mente le oscure qualità ch’Amor mi dona, e venmene pietà, sì che sovente io dico: «Lasso!, avviene elli a persona?»; ch’Amor m’assale subitanamente, sì che la vita quasi m’abbandona: campami un spirto vivo solamente, e que’ riman perché di voi ragiona. Poscia mi sforzo, ché mi voglio atare; e così smorto, d’onne valor voto, vegno a vedervi, credendo guerire: e se io levo li occhi per guardare, nel cor mi si comincia uno tremoto, che fa de’ polsi l’anima partire.
Dante Alighieri (Vita nuova (Italian Edition))
[Sonetto IX] Spesse fiate vegnomi a la mente le oscure qualità ch’Amor mi dona, e vienmene pietà, sì che sovente io dico: "Lasso!, avviene elli a persona?"; Ch’Amor m’assale subitamente, sì che la vita quasi m’abbandona: campami un spirto vivo solamente, e que’ riman perché di voi ragiona. Poscia mi sforzo, ché mi voglio aitare; e così smorto, d’onne valor vòto, vegno a vedervi, credendo guerire: e se io levo li occhi per guardare, nel cor mi si comincia uno tremoto, che fa da’ polsi l’anima partire.
Dante Alighieri
Devi cambiare la tua vita! Questo è l'imperativo che supera l'alternativa tra ipotetico e categorico, l'imperativo assoluto, il comando metanoico per eccellenza. Esso fornisce la parola chiave per la rivoluzione, declinata alla seconda persona singolare. Esso definisce la vita come un dislivello tra le sue forme più elevate e quelle più basse. Io vivo, ma qualcosa mi dice con autorità inconfutabile: non vivi ancora correttamente. L'autorità numinosa della forma gode del privilegio dei rivolgersi a me con un "tu devi": è l'autorità di una vita diversa in questa vita. Questa autorità coglie in me una sottile insufficienza, che è più antica e più libera della colpa. Si tratta del mio più intimo non-ancora. Nel mio istante più cosciente vengo colto dalla protesta assoluta contro il mio status quo. Cambiare me stesso è ciò di cui ho bisogno. Se tu dunque cambi veramente la tua vita, non faresti che dare retta alla tua migliore volontà, non appena capisci che una tensione verticale, a te favorevole, sta scardinando la tua vita. (33)
Peter Sloterdijk (You Must Change Your Life)
Nadežda Mandel’štam si chiedeva continuamente se aveva fatto capire al marito con sufficiente chiarezza quanto lo amava e quanto lui fosse importante per lei. «Non so se sei vivo, ma da quel giorno ho perso ogni tua traccia», scrisse in chiusura delle sue memorie. «Non so dove sei. Se mi senti. Se sai quanto ti amo. Non ho fatto in tempo a dirti quanto ti amo. E non so dirlo nemmeno adesso. Dico solo: per te, per te… Sei sempre con me, e io, selvaggia e cattiva, io che non ho mai saputo piangere, adesso piango, piango, piango.»
Jan Brokken (De gloed van Sint-Petersburg)
Non so se avrò tempo di scrivere altre lettere, perché forse sarò troppo impegnato a cercare a partecipare. Quindi, se questa dovesse essere l’ultima lettera, voglio che tu sappia che non stavo per niente bene prima di cominciare il liceo e tu mi hai aiutato. Anche se non sapevi di cosa parlavo o non conoscevi nessuno che aveva questi problemi, non mi hai fatto sentire solo. Perché io so che ci sono persone che dicono che queste cose non esistono. Perché ci sono persone che quando compiono diciassette anni, dimenticano com’era averne sedici. So che queste un giorno diventeranno delle storie e che le nostre immagini diventeranno vecchie fotografie e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno. Ma qui, adesso, questi momenti non sono storie, questo sta succedendo. Io sono qui e sto guardando lei. Ed è bellissima. Ora lo vedo, il momento in cui sai di non essere una storia triste. Sei vivo. E ti alzi in piedi e vedi le luci sui palazzi e tutto quello che ti fa restare a bocca aperta. E senti quella canzone, su quella strada, con le persone a cui vuoi più bene al mondo. E in questo momento, te lo giuro, NOI SIAMO INFINITO.
Stephen Chbosky (The Perks of Being a Wallflower)
Perché quando vediamo una persona svenuta proviamo il disperato bisogno di agire? Forse perché lo stato d'incoscienza è a metà strada tra la vita e la morte, e il nostro impulso naturale è impedire alla vittima di compiere l'altre metà del viaggio? O forse è per quell'istinto che tanto detesto nel genere umano, l'istinto di cercare di mettere glia altri nelle nostre stesse condizioni, anche quando sappiamo che le nostre stesse condizioni sono pericolose o poco raccomandabili: come quando i drogati vogliono convincere gli altri a bucarsi, tanto per fare un esempio banale. Assoluto conformismo, puro conservatorismo. Io sono quello che si definisce vivo, quindi anche tu devi vivere, anche se la tua vita fa schifo ed è probabile che ti vada ancora peggio, perché siamo portati a considerare la vita migliore di qualsiasi tipo di morte (ma come facciamo a saperlo, visto che mai nessuno è tornato a dirci com'è?). Ecco perché togliersi la vita viene definito con termini dispregiativi - suicidio, autodistruzione, peccato crimine - e la gente commisera chi ci prova, come quelli che per caso sono legati a chiunque ci riesca. Che stolti, questi mortali.
Aidan Chambers (Quando eravamo in tre)
Da un po’ di tempo sopporto l’abominevole supplizio di avere capito, di avere scoperto l’orrenda solitudine in ci vivo, e so che niente può porvi fine, niente, capisci? Qualunque cosa si tenti, qualunque cosa si faccia, qualunque sia lo slancio dei nostri cuori, l’appello delle nostre labbra e la stretta delle nostre braccia, siamo sempre soli. Ti ho trascinato stasera in questa passeggiata per non tornare a casa, perché adesso soffro terribilmente, nella solitudine del mio alloggio. A cosa servirà? Io ti parlo, tu mi ascolti, e siamo soli entrambi, fianco a fianco, ma soli. Mi capisci?
Guy de Maupassant
[...] Però io non sono solo me stesso, né vivo solamente la mia vita. Se scavo più a fondo, sono anche l'umanità inera e quella si spera che continuerà a fiorire anche dopo di me. Questo è effettivamente il mio desiderio egoistico in proposito, visto che molta parte di quanto io penso, come me, è ancorata in qualcosa che sta al di fuori del mio corpo. Qui siamo in un certo senso d'accordo. Io non sono solamente questo mio corpo. Non tutto nasce e muore con esso. Al giorno d'oggi è diffusa la falsa idea che il nostro ego sia al centro dell'universo. Ma non ti sembra un modo faticoso di vivere, sapendo che al centro dell'universo restano solamente pochi anni o poche decine di anni di esistenza?
Jostein Gaarder
Di pomeriggio dormo e quando non riesco a dormire, chiudo gli occhi e immagino di essere dinuovo nella casa abbandonata al 37 di Brooks Street con Alex sdraiato accanto a me. Cerco diattraversare la cortina; immagino di poter in qualche modo disfare i giorni che sono passati dalla nostrafuga, di poter riparare quello strappo nel tempo, di potermi riprendere Alex.Ma ogni volta che riapro gli occhi sono ancora qui, su un materasso per terra, e ho ancora fame. Alex è vivo. Soltanto un altro sforzo, solo uno sprint finale, e vedrai.Quando Hana e io facevamo parte della squadra di atletica leggera, c’inventavamo giochetti mentalicome questi per mantenere lo stimolo. La corsa è uno sport mentale, più di qualsiasi altra cosa. Seibravo solo quanto il tuo allenamento, e il tuo allenamento è buono solo quanto il tuo modo di pensare.Se fai tutti e dodici i chilometri senza camminare, prenderai dieci in storia. Questo è il genere di cosache dicevamo l’una all’altra. A volte funzionava, a volte no. A volte ci arrendevamo, ridendo,all’undicesimo chilometro, dicendo Ooops! Ecco che sfuma il nostro voto di storia.Il fatto era che non ci interessava poi tanto. Un mondo senza amore è anche un mondo senzaobiettivi.Alex è vivo. Spingi, spingi, spingi.....Non sono pazza. Lo so che non è vivo, non può esserlo. Non appena termino la corsa e torno nelseminterrato della chiesa, mi colpisce come un muro la stupidità di tutto questo, la sua inutilità. Alex èandato e nessun allenamento, o corsa, o sofferenza me lo riporterà mai.Lo so. Ma il fatto è questo: mentre corro, c’è sempre quella frazione di secondo in cui il dolore mi statraggendo e riesco a malapena a respirare e vedo soltanto colori e macchie e in quella frazione disecondo, proprio mentre il dolore è insopportabile e diventa troppo, e c’è un calor bianco che mi attraversa, vedo qualcosa alla mia sinistra, un guizzo di colore (capelli rossicci, che ardono, una coronadi foglie) e in quel momento so che se soltanto voltassi la testa lo vedrei lì, che ride e mi guarda, abraccia aperte.Non volto mai la testa per guardarlo, ovviamente. Ma un giorno lo farò. Un giorno lo farò e lui saràtornato, e tutto andrà a posto.E fino a quel momento: corro. Mi viene in mente, a quel punto, che anche le persone sono piene di tunnel: spazi bui e tortuosi ecaverne; impossibile conoscere tutti i posti dentro di loro. Impossibile anche soltanto immaginarli
Lauren Oliver (Pandemonium (Delirium, #2))
Continuo a chiedermi come paragonare questa prigione dove vivo al resto del mondo, e siccome il mondo è pieno di gente e qui non c'è anima viva, fuori che me, non posso farlo. Pure, continuo a battere su quel chiodo. La mia immaginazione farà da femmina al mio spirito, il mio spirito è il maschio, e fra tutti e due concepiranno una generazione di pensieri prolifici, e saranno essi a popolare questo microcosmo di personaggi irrequieti quanto la gente di questo mondo: poiché nessun pensiero è mai contento. I migliori, come i pensieri del divino, sono frammisti ai dubbi: tali da mettere il Verbo stesso in conflitto col Verbo. Come "Venite, pargoli"; oppure ancora "È difficile per un cammello passare per la cruna d'un ago". I pensieri che spronano all'ambizione, progettano imprese irrealizzabili: come queste vane, fragili unghie possano aprirsi una breccia tra le strutture granitiche di questo duro universo - le mura scabre della mia prigione. E poiché non possono, si annullano nella loro superbia. I pensieri che aspirano alla rassegnazione si consolano di non essere i primi, fra gli schiavi della Fortuna, e neppure gli ultimi: come stolti mendichi che, inchiodati alla gogna, si sentono meno umiliati perché è toccato a tanti, e toccherà a tanti altri. E in questo pensiero trovano una sorta di sollievo, caricando le proprie sventure sul dosso di quelli che prima di loro ebbero simile sorte. Così io recito in un sol personaggio la parte di molti: e nessuno contento. Qualche volta faccio il re: allora il tradimento mi fa sospirare di essere un poveraccio - ed io tale divento. Poi però l'opprimente miseria mi convince che me la passavo meglio da re. Ed eccomi rimesso sul trono: solo che di lì a poco mi vedo bello e detronizzato da Bolingbroke, e subito non sono più nulla. Ma chiunque io sia, né io né alcun uomo che possa dirsi uomo sarà contento di nulla finché non avrà il sollievo di non esser più nulla. Suono di musica. Sento della musica. Ah, ah! Andate a tempo! Come è aspra la dolce musica quando non tiene il ritmo e non rispetta il tempo. Così è per la musica delle umane vite: e qui io ho un orecchio talmente affinato da avvertire la stonatura in una corda non bene accordata. Ma per accordare il mio regno ai bisogni del tempo, non ebbi orecchio da avvertire le mie stonature. Ho fatto pessimo uso del tempo, e il tempo fa pessimo uso di me, ché ora il tempo ha fatto di me il suo orologio. I miei pensieri sono minuti, che i miei sospiri vanno ritmando sul quadrante dei miei occhi; mentre il mio dito, come la punta della lancetta, continua a segnare il tempo, nettandoli delle lacrime. Ora, signore, il suono che indica lo scadere dell'ora è il clamore dei gemiti che mi squassano il cuore - che è la campana. Così sospiri, e lacrime, e gemiti, scandiscono i minuti, i quarti e le ore; mentre il tempo mio va galoppando a portare la gioia del superbo Bolingbroke, e io me ne sto qui a fare il pupazzo, a guardia del suo orologio. Questa musica mi fa uscir di senno. Fatela smettere! Può darsi abbia ricondotto dei folli a rinsavire, ma io dico che può portare chi è savio alla follia. Pure, benedetta l'anima buona che me la infligge, poiché essa è segno d'affetto, e l'affetto per Riccardo è un ben raro gioiello, in un mondo così saturo d'odio.
William Shakespeare (Richard II)
A ripensarci questa vita è passata così veloce, una vita del tutto normale: mio padre sperava che facessi onore ai miei antenati, diciamo che aveva scelto la persona sbagliata; io, be'... il mio destino era questo. Da giovane ho fatto la bella vita per un po' grazie ai soldi lasciati dai miei avi; poi sono arrivati giorni sempre più neri, ma è stato meglio così: se guardo chi mi stava accanto, Long Er e Chunsheng, anche loro se la sono spassata per un po', ma alla fine hanno perso la vita. È meglio avere una vita normale, chi lotta per avere questo o quello, a furia di lottare ci rimette la propria vita. Prendi uno come me: in effetti mi sono dimostrato sempre più incapace di risalire il fiume dell'esistenza, eppure ho vissuto a lungo; tutte le persone che conoscevo sono morte, una dopo l'altra, io invece sono ancora vivo.
Yu Hua (To Live)
Normalmente, gli artisti che affrontano questo soggetto fanno in modo di dare a Cristo un viso bellissimo: un viso che gli orrendi supplizi non sono riusciti a deformare. Invece, nel quadro di Rogožin, si vede il cadavere di un uomo che è stato straziato prima di essere crocifisso, un uomo percosso dalle guardie e dalla folla, che è stramazzato sotto il peso della croce e che ha sofferto per sei ore (secondo il mio calcolo) prima di morire. Il viso dipinto in quel quadro è proprio quello di un uomo appena tolto dalla croce; non è irrigidito dalla morte ma è ancora caldo e, starei per dire, vitale. La sua espressione è quella di chi sta ancora sentendo il dolore patito. Un viso di un realismo spietato. Io so che, secondo la Chiesa, fin dai primi secoli, Cristo, fattosi uomo, soffrì realmente come un uomo e che il suo corpo fu soggetto a tutte le leggi della natura. Il viso del quadro è gonfio e sanguinolento; gli occhi dilatati e vitrei. Ma, nel contemplarlo, si pensa: «Se gli Apostoli, le donne che stavano presso la croce, i fedeli, gli adoratori e tutti gli altri videro il corpo di Cristo in quello stato, come potevano credere all’imminente resurrezione? Se le leggi della natura sono così potenti, come farebbe l’uomo a dominarle quando la loro prima vittima è stato proprio Colui che, da vivo, impartiva i suoi ordini alla stessa natura, Colui che disse: “Talitha cumi!”, e la bambina morta resuscitò; Colui che esclamò: “Alzati e cammina!”, e Lazzaro, che era già morto, uscì fuori dal suo sepolcro?». Guardando quel quadro, si è presi dall’idea che la natura non sia altro che un mostro enorme, muto, inesorabile, una macchina immensa ma sorda e insensibile, capace di afferrare, lacerare, schiacciare e assorbire nelle sue viscere un Essere che, da solo, valeva come la natura intera con tutte le sue leggi e tutta la terra che, forse, fu creata solo perché potesse nascere quell’uomo! Il quadro dà proprio l’impressione di questa forza cieca, crudele, stupida, alla quale tutto è fatalmente soggetto. Dentro di esso, non c’è nessuno fra quelli che erano soliti seguire Gesù. In quella sera, una sera che annientava tutte le loro speranze e forse anche tutta la loro fede, coloro che seguivano Gesù dovettero provare un’angoscia senza nome. Atterriti, si dileguarono, sostenuti soltanto da una grande idea, un’idea che nessuno avrebbe più potuto togliergli o canccllargli: se il Maestro, alla vigilia del supplizio, avesse potuto vedere la propria immagine, sarebbe salito lo stesso sulla croce? Sarebbe morto nel modo in cui morì?
Fyodor Dostoevsky
Longevi, ci chiamavamo tra noi. Eravamo una sorta di Dorian Gray ambulanti senza un ritratto marcescente in soffitta e, durante i secoli, avevamo collezionato i più stravaganti epiteti: streghe, vampiri, angeli, demoni, doppelgänger. Non avremmo mai conosciuto le gioie della maternità o della paternità, poiché i nostri figli morivano – senza eccezioni – appena venuti alla luce. Avremmo potuto tentare all’infinito, accontentarci di sentire per nove mesi i loro calci ovattati attraverso la pelle del ventre, per poi dover accettare di vederli spegnersi appena fatto capolino nel mondo. Avevo seppellito tre figli, tutti nati morti alle prime avvisaglie di autunni distanti vite intere l’uno dell’altro. Alcune sere percepivo ancora la sensazione asfissiante della terra bagnata sotto le unghie. Temere che la propria creatura, di cui non hai mai udito il pianto, possa sentire freddo sotto la terra è il primo segnale di una follia disperata. Scavare tra le lacrime per riabbracciare quel corpo inerme e bianco, che non è mai stato vivo se non nel buio del tuo grembo, e poi desistere in un barlume di lucidità è un’esperienza straziante. Si rimane con un pugno di fango in mano, la gola stretta dall’angoscia e il cuore vuoto. Ho sentito tre figli crescere e perire dentro di me. E se fossi così folle da riprovarci, un quarto, un quinto e un sesto mi farebbero singhiozzare dalla gioia e poco dopo dal tormento. Così sarà per sempre. È una delle mie tante condanne. Malachia, Robert e io non potevamo dirci amici. Tuttavia lo eravamo, quasi inevitabilmente, per una serie di eventi e per la maledizione che ci univa. Nella mia lunga carriera ne avevo profanati di sarcofagi, templi e necropoli. Così innumerevoli, che ormai avevo perso il conto. Eppure, con tutti gli anatemi che mi ero tirata addosso, nessuno di questi era ancora riuscito a farmi apprezzare quello sotto il quale ero nata.
Giorgia Penzo (La Stella di Seshat)
Devo molto a quelli che non amo. Il sollievo con cui accetto che siano più vicini a un altro. La gioia di non essere io il lupo dei loro agnelli. Mi sento in pace con loro e in libertà con loro, e questo l'amore non può darlo, né riesce a toglierlo. Non li aspetto dalla porta alla finestra. Paziente quasi come una meridiana, capisco ciò che l'amore non capisce, perdono ciò che l'amore mai perdonerebbe. Da un incontro a una lettera passa non un'eternità, ma solo qualche giorno o settimana. I viaggi con loro vanno sempre bene, i concerti sono ascoltati fino in fondo, le cattedrali visitate, i paesaggi nitidi. E quando ci separano sette monti e fiumi, sono monti e fiumi che trovi sui ogni atlante. È merito loro se vivo in tre dimensioni, in uno spazio non lirico e non retorico, con un orizzonte vero, perché mobile. Loro stessi non sanno quanto portano nelle mani vuote. "Non devo loro nulla" – direbbe l'amore sulla questione aperta.
Wisława Szymborska
La vita è un inganno con l’angoscia ammaliante, Per questo essa è cosi’ forte, Perchè con la sua rozza mano Scrive lettere fatali. Sempre, quando chiudo gli occhi, Dico: “Inquieta soltanto il cuore, La vita è un inganno, ma anch’essa talora Abbellisce di gioia la menzogna. Volgi il volto verso il cielo grigio, In base alla luna indovina il destino, Tranquillizzati, mortale, e non chiedere Quella verità che non ti è necessaria.” E’ bello nella bufera dei ciliegi selvatici Pensare che la vita è un sentiero. Che ingannino pure le leggere amiche, Che tradiscano i leggeri amici. Che mi accarezzino con tenera parola, Che sia la malalingua più affilata di un rasoio, Da molto tempo vivo pronto a tutto, Sono abituato senza pietà a ogni cosa. Questi alti cieli mi raggelano l’anima, Il fuoco delle stelle non manda calore. Quelli che ho amato mi hanno rinnegato, Quelli per cui sono vissuto mi hanno dimenticato. Ma tuttavia, perseguitato e cacciato, Io guardo l’alba con un sorriso, Sulla terra a me, vicina e cara, Questa vita ringrazio di tutto.
Sergei Yesenin (Poesie e poemetti)
L’essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l’uomo che alla fine sparisce. Un tàssi lo reca, un metró lo porta via, la torre non ci bada, e il Pàntheon neppure. Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra (incantevole), Zazie il sogno d’un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi). Laggiù, oltre, un po’ oltre, Place de la République, si accatastano tombe dei parigini che furono, che salirono e scesero scale, andarono e vennero per le vie e tanto fecero che alla fine sparirono. Un forcipe li introdusse, un carro funebre li porta via e la torre si arrugginisce e il Pàntheon si screpola più presto di quanto le ossa dei morti fin troppo presenti non si dissolvano nell’humus della città tutto impregnato di affanni. Ma sono vivo, io, e qui s’arresta la mia scienza perché del tassimane sparito nel suo trespolo a tassametro o di mia nipote sospesa a trecento metri nell’atmosfera o della mia sposa, la dolce Marceline, rimasta presso il focolare domestico, in questo preciso momento io non so, e qui non so, se non questo, endecasillabicamente: eccoli quasi morti perché assenti.
Raymond Queneau (Zazie nel metró)
Non capisco perché Liliana si opponesse così fermamente al piano di Miriam" disse Luz; "in quella circostanza, mi sembra che...". "Io invece lo capisco perfettamente. Lei,come tutti noi, era molto rigida in materia di morale. Per questo mi ha stupito che potesse confidarsi con una puttana. Noi disprezzavamo la liberalità della mentalità borghese che...". "Se eravate tanto rigidi," disse Luz sprezzante, "tanto puri, avreste potuto pensare che magari non eravate nelle condizioni di avere un figlio." "Lo desideravamo." "Non ti sembra che se eravate così impegnati a giocare alla rivoluzione avreste potuto chiedervi se avevate il diritto di esporre il figlio che desideravate a simili situazioni, a sparire, come è successo a voi, a farsi rubare la propria identità? Quei bambini non hanno avuto l'opportunità di scegliere in funzione di quale ideologia correre un simile rischio, come hanno fatto i loro genitori. Siete stati voi a imporglielo" e il rancore scintillò nello sguardo di Luz. "Questo rispondeva forse alla morale rivoluzionaria o piuttosto al più puro egoismo?" "Quando ti parlo di morale, Luz...e poi noi non potevamo immaginare, come potevamo immaginare..." "Fatto sta che uno di questi bambini" lo interruppe Luz, "oggi potrebbe dire: sono stati loro, gli assassini, a farmi sparire, ma i miei genitori per primi mi hanno esposto al terribile destino di essere un desaparecido...vivo.
Elsa Osorio (I vent'anni di Luz)
MIRANDOLINA (sola): Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non dico che tutti in un salto s'abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi muove la bile terribilmente. É nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l'abbia trovata? Con questi per l'appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m'innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.
Carlo Goldoni (La Locandiera (Classic Reprint))
Sempre più lento andava il pensieroso e si chiedeva frattanto: « Ma che è dunque ciò che avevi voluto apprendere dalle dottrine e dai maestri, e che essi, pur avendoti rivelato tante cose, non sono riusciti a insegnarti? ». Ed egli trovò: « L'Io era, ciò di cui volevo apprendere il senso e l'essenza. L'Io era, ciò di cui volevo liberarmi, ciò che volevo superare. Ma non potevo superarlo, potevo soltanto ingannarlo, potevo soltanto fuggire o nascondermi davanti a lui. In verità, nessuna cosa al mondo ha tanto occupato i miei pensieri come questo mio Io, questo enigma ch'io vivo, d'essere uno, distinto e separato da tutti gli altri, d'essere Siddharta! E su nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me, Siddharta!». Colpito da questo pensiero s'arrestò improvvisamente nel suo lento cammino meditativo, e tosto da questo pensiero ne balzò fuori un altro, che suonava: « Che io non sappia nulla di me, che Siddharta mi sia rimasto così estraneo e sconosciuto, questo dipende da una causa fondamentale, una sola: io avevo paura di me, prendevo la fuga davanti a me stesso! L'Atman cercavo, Brahma cercavo, e volevo smembrare e scortecciare il mio Io, per trovare nella sua sconosciuta profondità il nocciolo di tutte le cortecce, l'Atman, la vita, il divino, l'assoluto. Ma proprio io, intanto, andavo perduto a me stesso ». Siddharta schiuse gli occhi e si guardò intorno, un sorriso gli illuminò il volto, e un profondo sentimento, come di risveglio da lunghi sogni, lo percorse fino alla punta dei piedi. E appena si rimise in cammino, correva in fretta, come un uomo che sa quel che ha da fare. « Oh! » pensava respirando profondamente « ora Siddharta non me lo voglio più lasciar scappare! Basta! cominciare il pensiero e la mia vita con l'Atman e col dolore del mondo! Basta! uccidermi e smembrarmi, per scoprire un segreto dietro le rovine! Non sarà più lo Yoga-Veda a istruirmi, né l'Atharva-Veda, né gli asceti, né alcuna dottrina. Dal mio stesso Io voglio andare a scuola, voglio conoscermi, voglio svelare quel mistero che ha nome Siddharta ». Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo. Bello era il mondo, variopinto, raro e misterioso era il mondo! Qui era azzurro, là giallo, più oltre verde, il cielo pareva fluire lentamente come i fiumi, immobili stavano il bosco e la montagna, tutto bello, tutto enigmatico e magico, e in mezzo v'era lui, Siddharta, il risvegliato, sulla strada che conduce a se stesso. Tutto ciò, tutto questo giallo e azzurro, fiume e bosco penetrava per la prima volta attraverso la vista in Siddharta, non era più l'incantesimo di Mara, non era più il velo di Maya, non era più insensata e accidentale molteplicità del mondo delle apparenze, spregevole agli occhi del Brahmino, che, tutto dedito ai suoi profondi pensieri, scarta la molteplicità e solo dell'unità va in cerca. L'azzurro era azzurro, il fiume era fiume, e anche se nell'azzurro e nel fiume vivevan nascosti come in Siddharta l'uno e il divino, tale era appunto la natura e il senso del divino, d'esser qui giallo, là azzurro, là cielo, là bosco e qui Siddharta. Il senso e l'essenza delle cose erano non in qualche cosa oltre e dietro loro, ma nelle cose stesse, in tutto. « Come sono stato sordo e ottuso! » pensava, e camminava intanto rapidamente. «Quand'uno legge uno scritto di cui vuoi conoscere il senso, non ne disprezza i segni e le lettere, né li chiama illusione, accidente e corteccia senza valore, bensì li decifra, li studia e li ama, lettera per lettera. Io invece, io che volevo leggere il libro del mondo e il libro del mio proprio Io, ho disprezzato i segni e le lettere, a favore d'un significato congetturato in precedenza, ho chiamato illusione il mondo delle apparenze, ho chiamato il mio occhio e la mia lingua fenomeni accidentali e senza valore. No, tutto questo è finito, ora son desto, mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Variante. Tu sei un autore, non sai ancora quanto grande, colei che amavi ti ha tradito, la vita per te non ha più senso e un giorno, per dimenticare, fai un viaggio sul Titanic e naufraghi nei mari del sud, ti raccoglie (unico superstite) una piroga di indigeni e passi lunghi anni ignorato da tutti, su di un'isola abitata solo da papuasi, con le ragazze che ti cantano canzoni di intenso languore, agitando i seni appena coperti dalla collana di fiori di pua. Cominci ad abituarti, ti chiamano Jim, come fanno coi bianchi, una ragazza dalla pelle ambrata ti si introduce una sera nella capanna e ti dice: "Io tua, io con te." In fondo è bello, la sera, stare sdraiato sulla veranda a guardare la Croce del Sud mentre lei ti accarezza la fronte. Vivi secondo il ciclo delle albe e dei tramonti, e non sai d'altro. Un giorno arriva una barca a motore con degli olandesi, apprendi che sono passati dieci anni, potresti andare via con loro, ma esiti, preferisci scambiare noci di cocco con derrate, prometti che potresti occuparti della raccolta della canapa, gli indigeni lavorano per te, tu cominci a navigare da isolotto a isolotto, sei diventato per tutti Jim della Canapa. Un avventuriero portoghese rovinato dall'alcool viene a lavorare con te e si redime, tutti parlano ormai di te in quei mari della Sonda, dai consigli al marajà di Brunei per una campagna contro i dajaki del fiume, riesci a riattivare un vecchio cannone dei tempi di Tippo Sahib, caricato a chiodaglia, alleni una squadra di malesi devoti, coi denti anneriti dal betel in uno scontro presso la Barriera Corallina il vecchio Sampan, i denti anneriti dal betel, ti fa scudo col proprio corpo - Sono contento di morire per te, Jim della Canapa. - Vecchio, vecchio Sampan, amico mio. Ormai sei famoso in tutto l'arcipelago tra Sumatra e Port-au-Prince, tratti con gli inglesi, alla capitaneria del di Darwin sei registrato come Kurtz, e ormai sei Kurtz per tutti - Jim della Canapa per gli indigeni. Ma una sera, mentre la ragazza ti accarezza sulla veranda e la Croce del Sud sfavilla come non mai, ahi quanto, diversa dall'Orsa, tu capisci: vorresti tornare. Solo per poco, per vedere che cosa sia rimasto di te, laggiù. Prendi la barca a motore, raggiungi Manila, di là un aereo a elica ti porta a Bali. Poi Samoa, Isole dell'Ammiragliato, Singapore, Tananarive, Timbuctu, Aleppo, Samarcanda, Bassora, Malta e sei a casa. Sono passati diciott'anni, la vita ti ha segnato, il viso è abbronzato dagli alisei, sei più vecchio, forse più bello. Ed ecco che appena arrivato scopri che le librerie ostentano tutti i tuoi libri, in riedizioni critiche, c'è il tuo nome sul frontone della vecchia scuola dove hai imparato a leggere e a scrivere. Sei il Grande Poeta Scomparso, la coscienza della generazione. Fanciulle romantiche si uccidono sulla tua tomba vuota. E poi incontro te, amore, con tante rughe intorno agli occhi, e il volto ancora bello che si strugge di ricordo, e tenero rimorso. Quasi ti ho sfiorata sul marciapiede, sono là a due passi, e tu mi hai guardato come guardi tutti, cercando un altro oltre la loro ombra. Potrei parlare, cancellare il tempo. Ma a che scopo? Non ho già avuto quello che volevo? Io sono Dio, la stessa solitudine, la stessa vanagloria, la stessa disperazione per non essere una delle mie creature come tutti. Tutti che vivono nella mia luce e io che vivo nello scintillio insopportabile della mia tenebra.
Umberto Eco (Foucault’s Pendulum)
Io intendo il significato di un libro se il libro stesso scompare di vista, mangiato vivo, digerito e incorporato nel sistema come carne e sangue che a sua volta crea spirito nuovo e rimodella il mondo.
Tropico del Capricorno, Henry Miller.
Quello che Jared non sapeva, e che non volevo ammettere, era che io non avevo mai visto una lontra. Non dal vivo, almeno. Mi crogiolavo davanti ai documentari, con la voglia di portare mia sorella all'acquario, quando fosse nata. Le avrei indicato la vasca, sperando di ammirare le lontre che si tengono per mano, come avevo visto centinaia di volte in TV. E anche io l'avrei tenuta per mano, per non perderla, perché cosi fanno le lontre: non si perdono.
Chiara Panzuti (Absence. L'altro volto del cielo (Absence, #2))
Stai bene attento alle mie parole, Reed: potrai anche uscire vivo da qui, ma io ti ho ucciso. Tu sei vivo, il tuo cuore batte, respiri ancora; ma sei morto. Adesso tutto questo ti sembrerà insensato, ma presto capirai cosa intendo. Buona fortuna, Darius.
Camilla Rosati (Eleutheria)
Sei vivo’’ sussurrò Clary. ‘‘Vivo per davvero.’’ Con lenta meraviglia, Jace le sfiorò il volto. ‘‘Ero nel buio’’ le disse a bassa voce. ‘‘Non c’erano che ombre, io stesso ero un’ombra, e sapevo che ero morto e tutto era finito, tutto quanto. Poi ho sentito la tua voce. Ti ho sentito pronunciare il mio nome, ed è stato questo a riportarmi indietro.’’ ‘‘Non sono stata io’’ Clary aveva la gola stretta. ‘‘È stato l’Angelo a riportarti indietro.’’ ‘‘Perchè tu glielo hai chiesto.’’ In silenzio, Jace percorse il profilo di Clary con le dita, come per accertarsi che fosse vera. ‘‘Potevi avere qualunque altra cosa al mondo, ma hai voluto me.’’ Lei gli sorrise. Sporco com’era, coperto di sangue e di terra, Jace era la cosa più bella che avesse mai visto. ‘‘Ma io non voglio nient’altro al mondo.
Cassandra Clare (City of Glass (The Mortal Instruments, #3))
Io credo che il lavoro manuale sia così essenziale, così naturale, che il bisogno irresistibile di farvi ricorso non cesserà mai di manifestarsi. Inoltre la caratteristica intrinseca dell'opera artigianale è quella di mantenere un contatto vivo e costante col cuore dell'uomo, e così il lavoro acquista una qualità umana. Tutto ciò che nasce dalla macchina è figlio del cervello e quindi manca di umanità.
Soetsu Yanagi (The Unknown Craftsman: A Japanese Insight into Beauty)
Ognuno vive a modo suo; tu vivevi per te stesso e dici che in tal modo per poco non rovinavi la tua esistenza, e che hai conosciuto la felicità solo quando hai cominciato a vivere per gli altri. io invece ho sperimentato il contrario. Io vivevo per la gloria. (Ma che cos'è, in fondo, la gloria? Sempre lo stesso amore per gli altri, il desiderio di far qualcosa per loro, il desiderio di esserne lodato.) Dunque ho vissuto per gli altri e ho rovinato la mia vita, non in parte, ma del tutto. Da quando vivo solo per me stesso mi sento più tranquillo.
Leo Tolstoy (War and Peace)
Ma evitando quel contatto mi sono isolato, e nell'isolarmi ho esacerbato la mia sensibilità già eccessiva. ... Non ho mai considerato il suicidio come una soluzione perché io odio la vita per l'amore che sento per essa. Mi ci è voluto del tempo a capire il penoso equivoco in cui vivo con me stesso. Una volta convinto mi sono addolorato, cosa che mi succede ogni volta che mi convinco di qualcosa, perché la convinzione per me è sempre la perdita di un'illusione.
Fernando Pessoa (The Book of Disquiet)
In sala professori Vivaldi continua. «A volte» dice, «quando sono di cattivo umore, penso che non sono mai uscito dalle foto scolastiche. La mia vita - mi sembra - è un fotomontaggio: la faccia di adesso sopra il grembiule col fiocco azzurro o sopra i pantaloni alla zuava». «Ma no» dico io, «siamo vivi e vegeti». «Tu credi - seguita Vivaldi «di essere vivo e vegeto, in mezzo ai tuoi allieve di oggi». Invece lui ritiene: sei in posa coi tuoi compagni di una volta che sono rimasti gelati nella loro adolescenza, sempre gli stessi scherzi, di anno in anno irrimediabilmente giovani: forse fans di altri cantanti o altri scrittori, eppure: identici. «Tu invece cambi» mi incalza Vivaldi, «diventi vecchio. Ma vecchio col grembiule. O vecchio coi pantaloni alla zuava. È sempre nello stesso cortile della prima fotografia: che intanto ne ha generate altre tutte uguali. Foto che non stanno ferme, circolano, l'unico vero viaggio che fai: prima nelle case dei tuoi compagni e poi per le case dei tuoi alunni e poi per le case dei figli dei tuoi alunni: la sola traccia di te che disgraziatamente resterà».
Domenico Starnone (Ex Cattedra)
In sala professori Vivaldi continua. «A volte» dice, «quando sono di cattivo umore, penso che non sono mai uscito dalle foto scolastiche. La mia vita - mi sembra - è un fotomontaggio: la faccia di adesso sopra il grembiule col fiocco azzurro o sopra i pantaloni alla zuava». «Ma no» dico io, «siamo vivi e vegeti». «Tu credi - seguita Vivaldi «di essere vivo e vegeto, in mezzo ai tuoi allievi di oggi». Invece lui ritiene: sei in posa coi tuoi compagni di una volta che sono rimasti gelati nella loro adolescenza, sempre gli stessi scherzi, di anno in anno irrimediabilmente giovani: forse fans di altri cantanti o altri scrittori, eppure: identici. «Tu invece cambi» mi incalza Vivaldi, «diventi vecchio. Ma vecchio col grembiule. O vecchio coi pantaloni alla zuava. E sempre nello stesso cortile della prima fotografia: che intanto ne ha generate altre tutte uguali. Foto che non stanno ferme, circolano, l'unico vero viaggio che fai: prima nelle case dei tuoi compagni e poi per le case dei tuoi alunni e poi per le case dei figli dei tuoi alunni: la sola traccia di te che disgraziatamente resterà».
Domenico Starnone (Ex Cattedra)
Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori
Luigi Pirandello (Uno, nessuno e centomila - L'umorismo)
Spero che questo mio scritto ti trovi bene. Non c’è bisogno che tu ne legga una sola parola. Non voglio turbare tuo marito, né crearti imbarazzo, o rammentarti cose che hai deciso sia meglio dimenticare. Sono giunto alla fine, dopo tanto. Non dell’amore. Ma delle mie possibilità di aggiungere anche una sola parola. Non ho più bisogni. La mia vita sta acquisendo forma. Vivo con una donna e chissà, forse un giorno ci sposeremo anche se ne dubito. Tra l’altro dipinge anche lei. Persino meglio di quanto facevi tu. Insegna in un’università ed è di un paio di centimetri più alta di me. Non starò a dirti dove abito; mi sembra molto più opportuno che tu non lo sappia. Non voglio dirlo, davvero non voglio, ma se sei arrivata fin qui suppongo ti sia evidente come ciò che mi si accese quando ti amavo bruci tuttora. Ma ormai per te è poco importante, ed è giusto così. Ogni cosa è al suo posto. Il passato riposa respirando lieve nell’oscurità. Non mi trattiene più come faceva; sono io ora che debbo protendermi indietro per poterlo toccare. È notte e sono solo e c’è ancora tempo, ancora un momento. Sono ritto su un lungo, nero proscenio con addosso un cerchio di luce, ed è il mio amore per te che permane. Sono fuggito – o ne sono stato espulso – dall’eternità, sono tornato nel tempo. Ma una volta ancora ne esco per cantare quest’aria, questa confessione, questo testamento senza fine. Le braccia mi si aprono, non per accogliere te bensì il mondo, il mistero che ci irretisce. Non c’è orchestra, né pubblico; c’è un teatro vuoto nel mezzo della notte e tutti gli orologi del mondo stanno scandendo. E adesso per l’ultima volta, Jade, non m’importa né domando se sia pazzia: io vedo il tuo volto, ti vedo, ti vedo, in ogni posto ti vedo.
Scott Spencer (Endless Love)
Furono anni intensi. Con i compagni ci si riuniva spesso a casa nostra, ci si accaniva in discussioni infinite che ci sfinivano ma ci lasciavano pieni, fertili. A notte fonda io e Raffaele continuavamo a parlare, stesi nel letto sulle lenzuola sgualcite. Dopo tanti anni, ricordo ancora gli odori in modo vivo. Quello dolciastro della marijuana, delle sigarette economiche, l'alito dell'ultimo caffè della sera, gli umori del sesso vigoroso. Ci sembrava tutto chiaro, nitido. E se il dubbio sorgeva, diventava energia per trovare risposte. Eravamo sgradevoli, veri e vivi come quegli odori.
Aurélie Ezquerra (Giudizi Universali)
1 I buchi in questa storia non sono lampade, non sono ruote. Ho camminato e camminato, mi sono fatto crescere la barba per poterla trascinare nella terra, in una foresta che non c'era. Voglio darti di più ma non tutto. Non hai bisogno di tutto. 2 Questo è ciò che hanno trovato sulla scrivania del morto quando il padrone di casa li ha fatti entrare: ventotto pagine, esoteriche e impossibili da seguire, scritte con una calligrafia perfetta e un totale disprezzo per qualsiasi lettore, in quanto il pubblico a cui era destinato era un popolo non del tutto umano . Sceneggiatura angelica , dice il detective, sollevando le pagine, sentendone il peso e si chiede cosa intende perché non lo è. Il suo partner annuisce ma lo ignora. Una panchina del parco, rose bianche, cappotti scuri e rose bianche, neve e ripetizioni di neve - è difficile da leggere ma più o meno come l'hanno trovato: morto su una panchina con un cappotto nero, la neve che cadeva. Ramoscelli e merli, neve e cavalli rossi, i fantasmi che volano in alto, la neve che cade - il detective sta piangendo - e il cappotto nero. 3 Qualcuno deve partire prima. Questa è una storia molto antica. Non esiste altra versione di questa storia. 4 Si sta facendo tardi, piccola luna. Finisci la canzone. Non è così tardi. Sei la mia luna, piccola luna, ed è abbastanza tardi. Quindi scendi dall'albero . È sicuro? Abbastanza sicuro. Sei morto anche tu? La notte è fredda, è argento, è una moneta. Non tutti sono morti, piccola luna. Ma la grande luna ha bisogno dell'albero. C'è un fantasma alla fine della canzone. Si C'è. E vedi la sua mano e poi vedi la luna. Sono il fantasma alla fine della canzone? Siamo molto vicini ora, piccola luna. Grazie per aver brillato su di me. 5 Stava indicando la luna ma io stavo guardando la sua mano.Era morto comunque, un fantasma. Sono sorpreso di aver visto la sua mano. Tutto questo è stato preparato per me. Tutto questo è stato messo in moto molto tempo fa. Vivo nel futuro di qualcun altro. Sono rimasto il più a lungo possibile , ha detto. Ora guarda la luna . The Worm King’s Lullaby Traduzione
Richard Siken
Sono un sognatore; vivo talmente poco nella realtà, che conto pochissimi momenti come questo, come adesso, per cui non posso non reiterarli nei sogni. Io sognerò di voi tutta la notte, tutta la settimana, un anno intero.
Fyodor Dostoevsky
Io sono vivo per la morte e morto per la vita.
Luigi Pirandello (Il fu Mattia Pascal - Uno, nessuno e centomila)
ovunque io sia, qualsiasi cosa stia facendo, che sia vivo o morto, giovane o vecchio, il mio cuore sarà sempre accanto al tuo.
Rachel Van Dyken (Ruin (Ruin, #1))
Per Wallander la vita era un succedersi di problemi pratici che dovevano essere risolti, allo stesso tempo sapeva di non aveva la capacità di migliorare la propria esistenza o quella di altri con formule filosofiche. E non si era mai lamentato di vivere nell'epoca che il caso o il destino gli avevano assegnato. Si nasce quando si nasce e si muore quando viene la nostra ora, e questi per Wallander erano i limiti dell'esistenza. Ma in quella notte passata insieme a Baiba Liepa in quella gelida chiesa fu costretto a guardare dentro se stesso come non aveva mai fatto prima. Durante quella notte interminabile si rese conto che la ricca Svezia non era il mondo e che quelle che fino ad allora aveva considerato delle difficoltà apparivano insignificanti se paragonate al terrore con cui Baiba Liepa doveva vivere giorno dopo giorno. Quella notte il ricordo del massacro di cui era stato testimone lo colpì con tutta la sua violenza. Quello a cui aveva assistito none era stato un incubo, le armi erano armi vere e le pallottole che avevano brutalmente interrotto delle vite umane erano pallottole vere. Si chiese se il supplizio peggiore al quale un essere umano potesse essere condannato fosse una paura senza fine. Improvvisamente, il nostro è diventato il tempo della paura, pensò. Questa è l'epoca in cui io vivo ed è solo adesso che me ne rendo conto.
Henning Mankell (The Dogs of Riga (Kurt Wallander, #2))
È un errore che non dimenticherò. Tutto il male nasce dalla debolezza. E io negavo la mia debolezza ferendo coloro che mi si paravano davanti. Ma sono cambiato quand’ho incontrato quel tipo… Per questo sono stato trafitto. Volevo purificarmi. Non m’interessa se vivo o muoio, ma se l’anima di suo fratello può essere salvata… E se posso lavare la mia colpa…
Hiroyuki Takei (シャーマンキング 完全版 16 (Shaman King: JC Kanzenban, #16))
Scosto lo sgabello e mi alzo, senza mai perdere il contatto visivo, per paura che se abbassassi solo per un attimo gli occhi tutto svanirebbe e non sentirei più il mio cuore martellare nel petto. Scendo i gradini del palco e mi fermo; attendo, un suo cenno, un suo movimento. Nulla. Esito alcuni secondi. Non smettere di guardarmi, ti prego. E lui non lo fa.
 Scioglie le braccia che gli ricadono lungo i fianchi, si muove verso di me facendosi largo tra la folla, senza perdermi di vista neanche per un istante.
 Mi muovo anch'io, con qualche difficoltà ad allontanare i ragazzi che vorrebbero complimentarsi con me per il pezzo. 
Non sento nulla, non c'è nessun altro in questo locale.
 Ci siamo solo lui ed io. 
C'incontriamo a metà strada, fermandoci a un passo. Sostengo il suo sguardo vivo, sognante, languido. Si avvicina e con timore mi prende la mano. Lo lascio fare, persa nei suoi occhi e in ciò che racchiudono. Mi attira a sé, la sua fronte sfiora la mia, il mio respiro diventa il suo respiro. Mi accarezza il viso e mi abbandono a quel tocco, chiudendo gli occhi nel momento in cui le sue labbra si sposano con le mie. Mi passa le mani fra i capelli e mi attira di più a sé, in modo che il calore del suo corpo incendi la mia pelle. 
Poi si allontana, appena; apro gli occhi e incontro le sue lacrime, stavolta non di sofferenza.
'Mi sono innamorato' dice. Ed è un soffio, un sospiro, quasi un gemito.
A.S. Kelly (Tre minuti di me (Tre minuti di me, #1))
Quest'uomo ha avuto una lunga vita ed è morto perché la vita era finita. non so se era buono o cattivo, ma questo non conta tanto. Era vivo, e questo sì che conta. E ora è morto, e questo non conta. Una volta un tizio m'ha detto una poesia che faceva: 'Tutto quello che è vivo è santo'. Ci ho pensato su e ho capito che dice molto più delle sue parole. E per me non bisogna pregare per un occhio ch'è morto. Lui è a posto. Ha una cosa da fare, ma questa cosa è già pronta e sistemata, e c'è un solo modo di farla. Noi pure abbiamo una cosa da fare, ma ci sono mille modi di farla, e non sappiamo quale scegliere. E se io devo pregare per qualcuno, preferisco farlo per chi non sa dove sbattere la testa. Nonno, qui, ha la strada liscia. E ora copritelo e lasciategli fare quello che deve fare.
John Steinbeck (The Grapes of Wrath)
Dio è la voce dell’assente, l’assente più presente di tutti sei tu, finto Dio che fingi di essere un poeta malato di civiltà: parole inusuali e ineguali usi a tuo uso e consumo per corrompere, bastonare gli umani: io vivo e questo ti dispiace, ho un corpo e questo ti rammarica.
Dario Bellezza (Tutte le poesie (Italian Edition))
Crisi Esistenziale” - (Testo e Musica : Savio De Martino) CHI SONO IO PER SENTIRMI UN DIO, E CHI SEI TU PER DECIDERE, CHI SIAMO NOI NON LO SAPREMO MAI, MA CERTO STA’ CHE NON SIAMO EROI, IL MONDO VA’ CONSUMANDOSI, LA TERRA E’ ORMAI FUOCO E CENERE, LA GIOVENTU’ NON LAVORA PIU’, L’ECONOMIA NON PRODUCE.. RIT. FERMATI, NON COMMETTERE ALTRI DANNI, BASTA METTERSI NEI PANNI, DI CHI HA PERSO OGNI RAGIONE, E VORREBBE QUALCOSA DI PIU’, RITROVANDO QUEI VALORI, QUI SI MUORE PER UN NIENTE, TUTTI SANNO MA SI MENTE, E LA GENTE NON CE LA FA’ PIU’… A PAGARE GLI ERRORI DI CHISSA’, A PARLARE DI COSE CHE NON SA’, NON C’E’ PIU’ SENSO DI DOVERE E SENSO DI MORALITA’, NON C’E’ VITA CHE POSSA TOGLIERE IL DIRITTO DI VIVERE PERCHE’, OGNI ANIMA E’ UN DONO E VA VISSUTA E UN’OPPORTUNITA’.. CHI SONO IO FRA MILIARDI NOI, SEMBRIAMO ORMAI SOLO NUMERI, E CHI SEI TU CHE HAI SETE DI POTERE, CHE PENSI DI DOVER COMANDARE, E NON E’ MAI TARDI PER CAMBIARE, LA LIBERTA’ STA ANCHE NELLO SPERARE, IL MONDO E’ LIBERO DI AMARE, E LO SI FA’ SENZA GUERRE.. RIT. FERMATI, NON COMMETTERE ALTRI DANNI, BASTA METTERSI NEI PANNI, DI CHI HA PERSO OGNI RAGIONE, E VORREBBE QUALCOSA DI PIU’, RITROVANDO QUEI VALORI, QUI SI MUORE PER UN NIENTE, TUTTI SANNO MA SI MENTE, E LA GENTE NON CE LA FA’ PIU’… NON CE LA FA PIU’… NOI SIAMO UNA GENERAZIONE, CHE NON SA’ PIU’ DOVE ANDARE, COLPA DI UNA CONFUSIONE, CHE CI PORTA A SBAGLIARE QUI C’E’… CRISI ESISTENZIALE..CRISI ESISTENZIALE..CRISI ESISTENZIALE…!
Savio De Martino
il passato, la valorizzazione di un passato. L’educazione cristiana non può non partire da un passato. Il cristianesimo si pone come un avvenimento accaduto, che arriva fino a qui, fino al giorno che io vivo».51
Alberto Savorana (Vita di Don Giussani)
... vi si trova, lampeggiante nelle tenebre di allora e di oggi, allora di incredibile azzardo ma lasciata cadere con incredibile e adorabile noncuranza, la frase che io considero del più sublime laicismo: "Dopotutto, è un mettere le proprie congetture a ben alto prezzo, il volere, per esse, fare arrostire vivo un uomo". Quell'impagabile "dopotutto", quel ridurre a "congetture" tutte le fanatiche e potenti certezze! (su un passo degli Essais di Montaigne)
Leonardo Sciascia (La sentenza memorabile)
Ma prima ancora che tutto questo accadesse io ero già spezzato a metà. Mio Dio, quante volte una persona può morire prima di morire davvero? Allora morire è solo uno stupido atto fisico, è come scopare, è come mangiare, perché morire davvero è quello che ho vissuto io più e più volte, rimanendo vivo.
Marzia Sicignano (Dove si nascondono le lacrime (Italian Edition))
12. Lucrezia, da una settimana mi telefoni quattro volte al giorno, mi lasci un biglietto tre volte al giorno, bussi alla mia porta due volte al giorno, chiedendomi che certifichi d’urgenza per iscritto che sei assolutamente sana di mente. Lucrezia, è l’insistenza con cui lo chiedi che non mi consente di farlo. 16. Lucrezia, da tre mesi mi telefoni tre volte al giorno, per essere sicura che sono vivo. Lucrezia, continua cosí e mi ammazzi tu. 17. Lucrezia, mi telefoni a mezzanotte perché hai delle ansie notturne. Lucrezia, le tue ansie notturne non fanno dormire me. 19. Lucrezia, da tre mesi mi telefoni tre volte al giorno, per essere sicura che sei viva. Lucrezia, ora vengo lí e ti ammazzo io.
Paolo Milone (L'arte di legare le persone)
Vivo ora, qui, con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente, mai ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.
Tiziano Terzani (Un altro giro di giostra)
Winston riflettè per qualche momento. "Ti è mai venuto in mente" disse "che per noi due la cosa migliore da fare sarebbe quella di uscire di qui prima che sia troppo tardi e non rivederci mai più?" "Sì, caro, ci ho pensato parecchie volte, però ugualmente non ho alcuna intenzione di farlo." "Finora la fortuna ci ha assistiti" disse Winston, "ma non potrà durare a lungo. Tu sei giovane, sembri una persona norale, innocente. Se ti tieni alla larga da gente come me potrai vivere per altri cinquant'anni." "No. Ci ho pensato, quello che farai tu, lo farò anch'io. E non ti scoraggiare. Conosco fin troppo bene l'arte del vivere." "Possiamo restare insieme per altri sei mesi, forse per un anno, ma è certo che alla fine ci separeremo. Ti rendi conto di quale sarà allora la nostra solitudine? Una volta che ci avranno presi non ci sarà nulla, letteralmente, che l'uno potrà fare per l'altro. Se confesso, ti spareranno, e se mi rifiuto di confessare ti uccideranno lo stesso. Nulla che io possa fare o dire o astenermi dal dire varrà a rinviare anche solo di cinque minuti la tua morte. Nessuno di noi due saprà mai se l'altro è vivo o morto. Non potremo fare nulla. E comunque, anche se nemmeno questo cambirerbbe alcunchè, l'unica cosa che conta è che nessuno di noi tradisca l'altro." "Quanto al confessare" disse Julia "confesseremo certamente. Lo fanno tutti. è impossibile fare altrimenti: ti torturano. " "Non intendo questo. Confessare non è tradire. Non importa quello che dici o non dici, ciò che conta sono i sentimenti. Se riuscissero a fare in modo che io non ami più... quello sarebbe tradire." Julia restò per qualche attimo a riflettere "Non lo possono fare." disse infine. "è l'unica cosa che non possono fare. Possono farci dire tutto, tutto, ma non possono obbligarti a crederci. Non possono entrare dentro di te." "No" disse Winston un po' rinfrancato, "No, quel che dici è verissimo, non possono entrare dentro di te. Se riesci a sentire fino in fondo che vale la pena di conservare la propria condizione di esseri umani anche quando non ne sortisce alcun effetto pratico, sei riuscito a sconfiggerli.
George Orwell (1984)
Io so cos'è la passione Ma non lo so se è veleno Io non so più cosa sono Né se ragiono o se sogno Annego e il mare è lei Sento i sentimenti miei Che non ho sentito mai L'onda che non affrontai Mi distruggerai Mi distruggerai E ti maledirò finché avrò vita e fiato Mi distruggerai Mi distruggerai Tu mi hai gettato nell'abisso Di un pensiero fisso Tu mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai Io cado in te, tentazione E tutto al diavolo va La scienza e la religione E virtù e castità Io guardo un orlo di gonna E vedo abissi di donna La gonna gira e mai Mai per me la toglierai Mi distruggerai Mi distruggerai E maledico te, perché di te non vivo Mi distruggerai Mi distruggerai Ti abbraccio in sogno tutto il giorno E sto di notte sveglio Tu mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai E quel mio cuore d'inverno È un fiore di primavera Che brucia dentro l'inferno Come se fosse di cera Sei tu che soffi sul fuoco Tu, bella bocca straniera Ti spio, ti voglio, ti invoco Io sono niente e tu vera Mi distruggerai Mi distruggerai E ti maledirò finché avrò vita e fiato Mi distruggerai Mi distruggerai Tu mi hai gettato nell'abisso Di un pensiero fisso Tu mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai Mi distruggerai Il Gobbo di Notre Dame, Musical
RICCARDO COCCIANTE
La verità, tuttavia, non è nulla di fronte alla falsità nei riguardi di se stessi e i principi non hanno alcun valore se l'idealista non riesce a vivere in base ai propri criteri. Questa, quindi, è una via migliore. Io vivo con molti rammarichi, per il mio popolo, per me stesso, ma so- prattutto per quel maestro d'armi, per me ormai perduto, che mi ha mostrato come e perché usare una lama. Non esiste dolore più grande di questo; né la ferita inferta da un pugnale dalla lama seghettata, nel fuoco dell'alito di un drago. Nulla brucia nel nostro cuore come il vuoto lasciato dalla perdita di qualcosa, di qualcuno, prima di averne compreso veramente il valore. Ora levo spesso la mia coppa in un brindisi vano, una richiesta di perdono rivolta a orecchi che non possono sentire. A Zak, colui che ha ispirato il mio coraggio.
R.A. Salvatore (Dungeons & Dragons: Drizzt #1 (of 5))
Sterzò e fece percorrere al trabi una lunga traiettoria che terminò con un'inversione di rotta. Fece tornare indietro il veicolo, verso la direzione dalla quale era venuto, senza aumentare né diminuire la velocità. Si mise a volare nella direzione opposta. Per tornare all'accademia. Continuava a piangere. Le sue lacrime diventavano più grandi e dolorose di momento in momento. "Sto andando nella direzione sbagliata" pensò. "Herb ha ragione: devo allontanarmi dall'accademia. Adesso, l'unica cosa che potrei fare lì sarebbe assistere a qualcosa che non sono più in grado di controllare. Vivo all'interno di un dipinto, di un affresco. Esisto in due sole dimensioni. Io e Jason Taverner siamo figure di un vecchio disegno infantile. Persi nella polvere.
Philip K. Dick
Lo spirito di sacrificio, l'etica e l'etichetta del sacrificio non sono per me. Detesto tutto ciò, e la lotta eroica, la catarsi: io voglio vivere e essere felice, e voglio che il mio compagno viva e sia felice, ho dunque vera ripugnanza per il suo sacrificio. È dovere di un militante essere vivo e felice, non morto e eroe.
Marco Pannella (La rosa nel pugno. Interviste e interventi, 1959-2015)
Felicità da me provata nel tempo [4418]del comporre, il miglior tempo ch'io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch'io vivo. Passar le giornate senza accorgermene; parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle.
Giacomo Leopardi (Zibaldone di Giacomo Leopardi (Italian Edition))
Tu sei lontano da me. E io accetto questa distanza dolorosa. E non so come tu mi ami. Non dirmelo. Difendi da me la tua vita, conservala per te. Ne hai il diritto. E se non l'avessi, questo diritto, dovresti conquistartelo. Ma io ti amo. Non te lo dirò. Lo dico a me stessa. Perché dovrei porre un freno a ciò che è così potente dentro di me? Ti amo. Forse per un tempo brevissimo, forse per sempre. Nessuno lo sa. Nell'amore non ci sono né perfezione né eternità prestabilite. L'amore batte secondo le pulsazioni del tempo, come battono tutte le cose viventi. Si rafforza e si sgretola, declina e si risolleva. Se è vivo può morire. Ed è questo il suo bello. Una cosa è grande e commovente solo quando contiene una possibilità di morte. Lotta e protezione, lotte congiunte del corpo e del cuore. Sconfitta o vittoria di un'ora sull'ora precedente... Andare avanti passo dopo passo... Rischi. Bellezza immutabile di un amore eterno e perfetto? Bellezza tragica di un amore che muore? Bellezza folgorante di un amore che nasce? Vertigine di un mondo nuovo... Sì, conosco... Ma a tutte quelle bellezze ne preferisco un'altra. Non è né immutabile né folgorante né tragica: è più gravosa, più ardua, più vera. E' la bellezza di un amore non nel momento in cui nasce o in cui muore, ma nel momento in cui vive...
Madeleine Bourdouxhe (À la recherche de Marie)
Più volte la mia vita è stata in pericolo per cose che non ho fatto, ed è stata salvata per altre che avrebbero dovuto portarmi al patibolo. Se penso al passato, debbo constatare che veramente la vita degli uomini è legata a certe circostanze, a certi casi... Io dovevo essere morto, e sono ancora vivo per un complesso di circostanze assolutamente imprevedibili, inspiegabili. Penso anche che tanti avvenimenti che, al momento, mi sembravano negativi per me, a distanza di tanto tempo si sono rivelati sorprendentemente positivi. Tutto questo mi sta convincendo di quanto sia vano fare tanti programmi, tante strategie con l'illusione di guidare il proprio destino e quello degli altri. Davvero la vita, la storia, mi pare sempre più condotta non dagli uomini ma dal caso. Se poi questo caso sia teleguidato dall'alto io non lo so. Qui si entrerebbe nel trascendente, e non ho gli strumenti per osservarlo. Però se non credi nei miracoli, devi credere in qualche cosa di irrazionale.
Indro Montanelli
Tutto quello che so è ch'io vivo con un sentimento perpetuo di piacere e dolore.
Ugo Foscolo
E l'aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com'è, che s'avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle cane costruzioni. La città è lontana. Me ne giunge, a volte, nella calma del vespro, il suono delle campane. Ma ora quelle campane le odo non più dentro di me, ma fuori, per sé sonare, che forse ne fremono di gioja nella loro cavità ronzante, in un bel cielo azzurro pieno di sole caldo tra lo stridio delle rondini o nel vento nuvoloso, pesanti e così alte sui campanili aerei. Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l'ho più questo bisogno, perché muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.
Luigi Pirandello (Uno, nessuno e centomila)
PROVERBIOS Y CANTARES XXVI Poned sobre los campos un carbonero, un sabio y un poeta. Veréis cómo el poeta admira y calla, el sabio mira y piensa... Seguramente, el carbonero busca las moras o las setas. LlevadIos al teatro y sólo el carbonero no bosteza. Quien prefiere lo vivo a lo pintado es el hombre que piensa, canta o sueña. El carbonero tiene llena de fantasías la cabeza.
Antonio Machado (Campos de Castilla)
Io non chiudo le cose e non mi nascondo. Io vivo, e se questo significa andare incontro alla bufera, lo faccio. Non mi blocco. Non esito. Non ho ripensamenti. Affronto la vita. Altrimenti perché diavolo saremmo vivi? Perché siamo qui se lasciamo vincere i nostri demoni? A loro non frega un accidente. Fanno quello che hanno in mente. Anche tu dovresti farlo. Sei già passata attraverso l'inferno. Perché hai ancora paura? Non lascerò mai che un'esperienza infelici condizioni il resto della mia vita.
Tijan (Logan Kade (Fallen Crest High, #5.5))
Perché non per astratto ragionamento, ma per un’esperienza che brucia attraverso tutta la mia vita, per una adesione innata, irrevocabile, del più profondo essere, io credo, Tullio, alla poesia. E vivo della poesia come le vene vivono del sangue. Io so che cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima e bere con quelli l’anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore. Perché per me Dio è e non può essere altro che un Infinito, il quale, per essere perennemente vivo e quindi più Infinito, si concreta incessantemente entro forme determinate che ad ogni attimo si spezzano per l’urgere del fluire divino e ad ogni attimo si riplasmano per esprimere e concretare quella Vita che, inespressa, si annienterebbe. Ora Lei vede che un Dio così non si può né chiamare né pregare né porre lungi da noi per adorarLo; Lo si può soltanto vivere nel profondo, poi che è Lui l’occhio che ci fa vedere, la voce che ci fa cantare, l’amore, ed il dolore che ci fa insonni. E questa nostra vita irrimediabile, questo nostro cammino fatale, in cui ad ogni istante noi realizziamo, noi creiamo, per così dire, Dio nel nostro cuore, altro non può essere che l’attesa del gran giorno in cui l’involucro si spezzerà e la scintilla divina balzerà nuovamente in seno alla grande Fiamma. Ora, di questo Dio che non si lascia staccare dalla vita, dove possiamo avere più immediato il senso che nei momenti in cui più la lotta si acuisce tra lo spirito e le forme che inceppano il suo fluire? E non è la poesia uno di questi momenti? L’estasiata gioia del sogno non si sconta forse nel bisogno e nella fatica di gettare quel sogno in parole? e un po’ dell’assolutezza divina non riluce forse nell’atto di quella fatica? Io credo che il nostro compito, mentre attendiamo di tornare a Dio, sia proprio questo: di scoprire quanto più possiamo Dio in questa vita, di crearLo, di farLo balzare lucendo dall’urto delle nostre anime con le cose (poesia e dolore), dal contatto delle nostre anime fra di loro (carità e fraternità). Per questo, Tullio, a me è sacra la poesia; per questo mi sono sacre le rinunce che mi hanno tolto tanta parte della giovinezza, per questo mi sono sacre le anime ch’io sento, di là dalla veste terrena, in comunione con la mia anima.
Antonia Pozzi (L'Antonia. Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi scelte e raccontate da Paolo Cognetti)
Lui inizia a correre in direzione della bestia e poi si ferma e spara ancora, spara e spara e non prende niente, e io penso che se ci fosse stato un lupo arrabbiato lo avrebbe già morso alla faccia, alla gola, all’altezza del mento, allora mi avvicino e lo supero, cerco il cinghiale come se cercassi me stessa. Mi vedo a quattro zampe nel bosco, che tento la fuga dalle responsabilità dei miei quasi delitti, dalle male parole, dai gesti furibondi, dalle dolcezze che non ho saputo dare, dalla tenerezza che non ho potuto ricevere, dal mio futuro, sono io che arranco e mi accuccio e ho il pelo irto e duro, una corazza di animalità coriacea, io grugnisco, io annuso, io non voglio che nessuno mi fermi, mi processi, mi accusi, poi alzo il fucile, che è corpo per me, oggetto vivo, capacità, e prendo la mira, una delle poche cose che so fare e che saprò sempre fare.
Giulia Caminito (L'acqua del lago non è mai dolce)
Bellezza Ti do me stessa, le mie notti insonni, i lunghi sorsi di cielo e stelle – bevuti sulle montagne, la brezza dei mari percorsi verso albe remote. Ti do me stessa, il sole vergine dei miei mattini su favolose rive tra superstiti colonne e ulivi e spighe. Ti do me stessa, i meriggi sul ciglio delle cascate, i tramonti ai piedi delle statue, sulle colline, fra tronchi di cipressi animati di nidi – E tu accogli la mia meraviglia di creatura, il mio tremito di stelo vivo nel cerchio degli orizzonti, piegato al vento limpido – della bellezza: e tu lascia ch'io guardi questi occhi che Dio ti ha dati, così densi di cielo – profondi come secoli di luce inabissati al di là delle vette –
Antonia Pozzi
Ella è cosa forse o poco o nulla o non abbastanza osservata che la speranza è una passione, un modo di essere, così inerente e inseparabile dal sentimento della vita, cioè dalla vita propriamente detta, come il pensiero, e come l'amor di se stesso, e il desiderio del proprio bene. Io vivo, dunque io spero, è un sillogismo giustissimo,
Giacomo Leopardi (Zibaldone di Giacomo Leopardi (Italian Edition))
«Ti amo, mio bellissimo lupo. Ti amo più della mia stessa vita.» Faith per me rappresenta non soltanto il mio presente, ma soprattutto il mio futuro e devo a lei ogni cosa. «Mi hai salvato due volte. La prima insegnandomi ad amare e la seconda hai riportato letteralmente il mio cuore a battere. E credo, Faith Grayson, che il tuo amore mi salverà sempre.» Dagli occhi bellissimi di Faith scendono ancora molte lacrime che io raccolgo con un polpastrello. Le sorrido e lei allora si rilassa e mi sorride a sua volta, perché sa che sono vivo in tutti i sensi solamente grazie a lei e a tutto il suo amore. Quello che proviamo l'uno per l'altra è stato in grado di sconfiggere persino la morte. Le accarezzo lentamente il ventre e, lei appoggia la sua mano sulla mia. Entrambi sentiamo l'energia del figlio che sta crescendo dentro di lei e, io in questo preciso istante ho la consapevolezza che tutto può accadere, che tutto si può modificare e che nulla accade per caso. Il mio amore per Faith non cambierà mai, rimarrà esattamente com’è adesso. Immutato nel tempo, forte, passionale, ma anche gentile e tenero. Perché l'amore deve essere tutte queste cose messe insieme, un equilibrio perfetto di sensazioni e di emozioni. Alzo lo sguardo verso la mia compagna, verso tutto il mio mondo, verso la mia vita, e mi metto a ridere forte di una felicità che non credevo nemmeno esistesse
Barbara Pedrollo (Il bacio del lupo (Italian Edition))
Non avevo voglia di aprirmi fino in fondo, gli avrei dovuto spiegare che di rassegnazione nelle mie parole non ce n’era, parlerei piú di accettazione, che significa prendere atto della realtà senza star lí a sprecare energie vitali. La distinzione è sottile, ma importante: la rassegnazione è una resa, l’accettazione è un punto di partenza. La prima ci obbliga a rinunciare a modificare le cose, a trasformare le situazioni, accettare invece ci dà la possibilità di spostare l’attenzione su altro, di restare vivi e ripartire, cercando di modellarci sul presente, di assecondare con i nostri movimenti gli attacchi della vita, come il judoka, che sa che contrastare aggredendo spesso porta solo a un dispendio di forze. Io, caro padre, accetto, non mi rassegno. Accetto di non poter cambiare alcuni aspetti di me e della mia vita, o di poterli cambiare solo grazie a enormi sacrifici. Accetto di non poter contrastare fino in fondo le mie paure, le fobie, le debolezze. Accetto quei muri grigi e la porticina laterale. Accetto di essere ipocondriaco. Non mi rassegno a dover morire, questo no, ma accetto di non poter fare nulla per contrastare questo. In fondo si tratta di accogliere l’idea che dalle cellule alle stelle tutto muore, e che un domani anche la mia fine servirà, grazie alle morti di ciascuno di noi la vita avrà lo spazio per rigenerarsi, ed evolvere. La caduta dell’albero permette alla luce di raggiungere nuovamente il terreno sottostante, cosí da far nascere un nuovo tronco. Gli atomi di cui sono composto, che forse un tempo sono appartenuti a un dinosauro, a un faraone, a Buddha, chissà, questi stessi atomi che provengono da una stella esplosa lontano, in altre galassie, dopo la mia morte rimarranno qui e torneranno in circolo, finiranno in milioni di altri organismi, senza mai fine. Si tratta forse di curvare quella che crediamo essere una linea retta fino ad avere un cerchio: non nascita, vita, morte, ma nascita, vita, morte, nascita, vita, morte, nascita, vita, morte… nascita. «La vita è solo un breve periodo di tempo in cui sei vivo». Lo disse quel genio di Philip Roth. Solo un breve periodo di tempo in cui siamo vivi. È una parentesi, in fondo, la nostra vita, e dico questo non perché voglia fare il pesante, il pessimista e il menagramo, no. Ho scherzato fino a ora e continuerò a farlo, tenterò di tenere a bada l’ansia con l’ironia e quella leggerezza che ad alcuni dà fastidio e altri non riconoscono. Ma non voglio parlare di me, desidero disquisire di vita, e di come la spendiamo. Perciò cito le parole di Roth e parlo di piccola parentesi, perché credo che il primario compito di ognuno sia rendere degna la propria esistenza, combattere con tutte le forze affinché sia tale, per non sentire di avere sprecato l’unica grande occasione che ci è stata data. Abbiamo il dovere di riempire questa parentesi di piú cose possibili, di piú cose meravigliose possibili. Dobbiamo approfittare del tempo, anzi approfittare del fatto che il tempo è poco, per lasciare un segno del nostro passaggio terreno. Lo diceva il giovane Seneca a soli venti anni: «La vita che ci è data è lunga a sufficienza per compiere grandissime imprese, purché sia spesa bene». Lo cantava anche Omero nell’Iliade: «Come stirpi di foglie, cosí le stirpi degli uomini; | le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva | fiorente le nutre al tempo di primavera; | cosí le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua». E chissà che un giorno non ci ritroveremo a volare liberi nell’aria per poi posarci sulla spalla di un nostro caro, come le farfalle monarca del Messico. «Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla», è una meravigliosa frase taoista. Ecco, questo paragrafo, questo piccolo pensiero, caro padre, è il mio atto di fede, il mio tentativo. Esisto, e un domani sarò esistito, come disse pure Margherita Hack. «Qualcuno si ricorderà di me. E se cosí non fosse, non importa».
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
Rimango immobile in mezzo alla stanza, incapace di fare qualsiasi cosa se non ascoltare i battiti impazziti del mio cuore frastornato.Poi, come se fossi una marionetta a cui qualcuno avesse tagliato i fili, crollo scompostamente sul pavimento gelido.Non riesco ad ignorare la sensazione che sta crescendo rapidamente nel mio petto. Un sentimento al quale non voglio dare un nome ma che non posso reprimere.Gratitudine Perché sono ancora vivo.È giusto che io la provi?Le parole di Nove, però, mi echeggiano con forza nella testa.Non hai nessun controllo sulla tua vita.Adesso puoi morire come preferisci.Sono saltato due volte, e tutte e due le volte la morte mi è stata preclusa. Evidentemente, per quanto ci provi, non è ancora giunta la mia ora
Sara Coccimiglio (Il lato oscuro della Luna (Cremisi Vol. 1))
Se non fossi saltato da quel palazzo non sarebbe successo niente. Se avessi voluto tenermi stretta la mia vita non sarei stato portato qui da Shinobu.La mia vita.La mia vita è importante, è la cosa più importante che mi rimane. L'unica cosa che mi rimane. I miei genitori me l'hanno regalata ventitré anni fa ed io ho infangato ancora di più il loro ricordo cercando di disfarmene.Si può morire di rimpianti?Se la risposta è sì, mi chiedo come mai io sia ancora vivo.Un lampo illumina la stanza passando attraverso le tende della finestra, subito seguito da un tuono improvviso e violento che fa vibrare i vetri. Sobbalzo e mi nascondo sotto le coperte, sperando di usarle come scudo.È colpa mia
Sara Coccimiglio (Il lato oscuro della Luna (Cremisi Vol. 1))
«Non l’ho fatto di proposito. Non completamente, in ogni caso. Ero solo così stanco. Volevo qualche minuto di pace dal tormento costante che c’è nel mio cervello. Non appena ne ho prese un paio, mi sono vergognato. Sapevo che mi avresti odiato. Sei un marine e un pompiere, sei un uomo incredibile e meriti molto di più di un cazzo di drogato di merda.» Il mio corpo è devastato dai singhiozzi e in un baleno mi ritrovo avviluppato tra le braccia di Thane. «Saresti dovuto venire da me. Non sapevo fosse così grave. Ti prego non lasciarmi così. Dio, Madden, ti amo così tanto, cazzo. Non farlo mai più.» Il davanti del camice dell’ospedale inizia a bagnarsi delle lacrime di Thane mentre affonda il viso nel mio petto e si aggrappa a me come se fossi una scialuppa di salvataggio. «Mai, lo prometto. Mi dispiace tanto. Mi spiace tanto, cazzo. Ti amo tantissimo anche io.» La sua bocca trova la mia mentre le nostre lacrime si mischiano, godo della sensazione di essere vivo e Thane, senza dubbio, che si assicura che io lo sia
K.M. Neuhold (Rescue Me (Heathens Ink #1))
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire partecipare. Chi vive veramente non può non essere cittadino partecipe. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Io partecipo, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, partecipo. Perciò odio chi non partecipa, odio gli indifferenti.
Gramsci, Antonio
Vita: innalzi la sua bandiera sul sangue ancora caldo, che ne sai tu di cosa palpita, negli oceani infiniti del possibile, chi sei tu per poter decidere? Ti chiami vivente ma il tuo cuore è inerte, mentre io palpito e gioisco, io sono ancor più vivo!
Mila Fois (ARDA 2300 - Kronos ed Aion Due nomi per il tempo)