In Altre Parole Quotes

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Un soldato nemico non era mai solo - un essere umano di fronte a un altro - ma portava con sé una folla innumerevole di fantasmi, i fantasmi degli assenti e dei morti. Non ci si rivolgeva a un uomo ma a una moltitudine invisibile; così nessuna delle parole pronunciate era detta semplicemente e come tale ascoltata; si aveva sempre la strana sensazione che a parlare fosse soltanto una bocca, che parlava per tante altre, mute.
Irène Némirovsky (Suite Francaise)
Alcuni dicono che la vita è solo un insieme di sventure; in altre parole, che la vita è una sventura; ma se la vita è una sventura, la morte deve essere sicuramente il contrario, cioè una fortuna, dato che la morte è l'opposto della vita. Questa conclusione sembrerebbe inevitabile. Ma coloro che parlano così sono sicuramente malati o poveri, fossero in buona salute, avessero la borsa ben fornita, l'allegria in cuore, delle Cecilie, delle Marine e la speranza di altre cose ancor migliori, allora cambierebbero sicuramente parere. Io li considero una razza di pessimisti che si alligna solo tra i filosofi spiantati e i teologhi bricconi e atrabiliari. Se il piacere esiste e lo si può godere solo da vivi, la vita è una fortuna.
Giacomo Casanova (Memorie scritte da lui medesimo)
In altre parole, io non ci riesco a prendermi le cose che voglio. Mi sembra ridicolo pensare che le cose siano semplicemente lì, e che è colpa tua se non te le prendi. Non ci ho mai creduto alla storia che bastasse allungare la mano. E il fatto che un altro ci riesca non mi convince nemmeno per un attimo che sia vera, e questo è tutto.
Diego De Silva (Non avevo capito niente)
Ci sono parole che hanno il potere di cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime. Parole che sono palle di fucile, come altre sono note di violino. Ci sono parole che possono sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore, e poi si possono anche inviare in aiuto come squadre di soccorso quando i giorni sono avversi e noi forse non siamo nè vivi né morti. Ma le parole da sole non bastano e finiamo a perderci nelle lande desolate della vita se non abbiamo nient'altro che una penna cui aggrapparci.
Jón Kalman Stefánsson (Himnaríki og helvíti)
A volte le parole distruggono, è vero, però altre volte creano o salvano.
Elisa Fumis (Parole Sbagliate)
Lo sa qual è l'unico modo per far ridere il buon Dio?". Esitazione all'altro capo del filo. "Raccontargli i propri progetti." In altre parole, niente panico, non c'è nulla che vada come previsto, è l'unica cosa che ci insegna il futuro quando diventa passato.
Daniel Pennac (Chagrin d'école)
Lo scrittore tossicodipendente è nient'altro che un tossicodipendente, sono tutti, in altre parole, comunissimi ubriaconi e drogati. La pretesa che droghe e alcol siano necessari per sopire una sensibilità più percettiva non è che la solita stronzata autogiustificativa.
Stephen King (On Writing: A Memoir of the Craft)
Voglio dirti una cosa che non dovresti dimenticarti mai. Se qualcuno ti dà fastidio una volta e poi un'altra e un'altra e un'altra ancora, qualcuno con delle ambizioni, qualcuno avido di territorio, la prima regola da osservare è mirare in alto. In altre parole, al massimo livello. È Lassù che stanno perdendo il controllo della situazione. In altre parole, bisogna andare dritti al vertice. Bisogna fare fuori il numero uno. In altre parole, bisogna fare in modo che al vertice ci sia un uomo nuovo che capisca il messaggio e cambi politica. Se tagli la testa, la coda non si dimena più.
Don DeLillo (Libra)
Perché il predatore di Red Bank Avenue non sceglie le sue vittime a caso, o non del tutto. Sapeva che Ellen viveva da sola. Sapeva che Cary viveva da solo. Potrebbe aver scoperto che la madre di Pete Steinman aveva un problema con l’alcol. Sapeva che Bonnie aveva rotto da poco con il fidanzato, e che i suoi rapporti con la madre erano parecchio tesi. In altre parole, il predatore disponeva di parecchie informazioni. E sceglieva i suoi bersagli.
Stephen King (Holly)
In altre parole, uno degli scopi fondamentali delle emozioni è fornirci una scala di valori, in modo da poter scegliere che cosa è importante, costoso, bello o prezioso. In assenza di emozioni tutto ci sembrerebbe uguale, quindi ci ritroveremmo nella situazione paralizzante di non riuscire a compiere una scelta. Gli scienziati stanno quindi cominciando a capire che le emozioni, lungi dall'essere un lusso, sono uno dei fondamenti dell'intelligenza.
Michio Kaku (Physics of the Impossible)
Le donne che leggono libri sono pericolose sanno parlare e sanno ascoltare sanno usare bene le mani indicano la strada giusta così come seguono le frasi belle sui libri sanno sottolineare le parole curiose e sanno sottolineare la vita le occasioni gli amori e le cazzate evidenziano le cose importanti e fanno la piega là dove son rimaste una piega che durerà poco perché presto ritorneranno le donne che leggono libri fanno paura hanno la borsetta più pesante delle altre non hanno solo il rossetto lo specchio il mascara e il burrocacao no, loro hanno anche un libro pieno di punti di riferimento pieno di somiglianze e ricordi pieno di bussole che non le faranno mai perdere le donne che leggono libri sono pericolose perché sono forti sanno quello che vogliono e sanno dove stanno andando sanno sfogliare le persone si baciano appena l’indice e girano le pagine della loro vita come se al mondo non ci fosse niente di più facile è solo per questo che scrivo libri perché faccio il tifo per le donne pericolose.
Gio Evan (Ormai tra noi è tutto infinito)
So che stai leggendo tardi questa poesia, prima di lasciare l' ufficio con l'abbagliante lampada gialla e la finestra nel buio nell'apatia di un fabbricato sbiadito nella quiete dopo l'ora di traffico. So che stai leggendo questa poesia in piedi nella libreria lontano dall'oceano in un giorno grigio di primavera, fiocchi sparsi di neve spinti attraverso enormi spazi di pianure intorno a te. So che stai leggendo questa poesia in una stanza dove tanto è accaduto che non puoi sopportare dove i vestiti giacciono sul letto in cumuli stagnanti e la valigia aperta parla di fughe ma non puoi ancora partire. So che stai leggendo questa poesia mentre il treno della metropolitana perde velocità e prima di salire le scale verso un nuovo tipo d'amore che la vita non ti ha mai concesso. So che stai leggendo questa poesia alla luce del televisore dove immagini mute saltano e scivolano mentre tu attendi le telenotizie sull'intifada. So che stai leggendo questa poesia in una sala d'attesa Di occhi che s'incontrano sì e no, d'identità con estranei. So che stai leggendo questa poesia sotto la luce al neon nel tedio e nella stanchezza dei giovani fuori gioco, che si mettono fuori gioco quando sono ancora troppo giovani. So che stai leggendo questa poesia con una vista non più buona, le spesse lenti ingigantiscono queste lettere oltre ogni significato però continui a leggere perché anche l'alfabeto è prezioso. So che stai leggendo questa poesia mentre vai e vieni accanto alla stufa scaldando il latte, sulla spalla un bambino che piange, un libro nella mano poiché la vita è breve e anche tu hai sete. So che stai leggendo questa poesia non scritta nella tua lingua indovinando alcune parole mentre altre continui a leggerle e voglio sapere quali siano queste parole. So che stai leggendo questa poesia mentre ascolti qualcosa, diviso fra rabbia e speranza ricominciando a fare di nuovo il lavoro che non puoi rifiutare. So che stai leggendo questa poesia perché non rimane nient'altro da leggere là dove sei atterrato, completamente nudo.
Adrienne Rich (An Atlas of the Difficult World)
Quasi sempre alla luce del giorno la gente è al sicuro da spettri e mostri e morti viventi e ne è normalmente al sicuro di notte, quando si è in compagnia di altre persone, ma quando si è soli nel buio, non c'è più niente da fare. Uomini e donne soli nel buio sono come porte aperte, Jessie, e se gridano o invocano aiuto, chi sa quali orribili creature risponderanno? Chi sa che cosa hanno visto certi uomini e certe donne nell'ora della loro morte solitaria? È così difficile credere che alcuni di loro siano morti di paura, quali che siano le parole scritte sui loro certificati di decesso?
Stephen King (Gerald's Game)
In altre parole, a chi scelga una professione terziaria o quartana occorrono doti e attitudini di tipo politico. La politica, come tutti sanno, ha cessato da molto tempo di essere scienza del buon governo, ed è diventata invece arte della conquista e della conservazione del potere. Così la bontà di un uomo politico non si misura sul bene che egli riesce a fare agli altri, ma sulla rapidità con cui arriva al vertice e sul tempo che vi si mantiene. E la lotta politica, cioè la lotta per la conquista e la conservazione del potere, non è ormai più -apparenze a parte - fra stato e stato, tra fazione e fazione, ma interna allo stato, interna alla fazione.
Luciano Bianciardi (La vita agra)
Quali sentimenti proverei se fossi un altro ragazzo? Quali sentimenti proverei se fossi una persona normale? Fui ossessionato da queste domande. Mi torturarono, distruggendo istantaneamente e radicalmente persino quell’unico frammento di felicità che avevo creduto di possedere per certo. A lungo andare la “recita” è diventata una parte integrante della mia natura, riconobbi fra me. Non è più una recita. La consapevolezza con cui continuo a camuffarmi da individuo normale ha corroso addirittura quel minimo di normalità che magari possedevo in origine, e ha finito così col farmi dire e ridire a me stesso che anche questa era una semplice parvenza di normalità. In altre parole, sto diventando una di quelle persone incapaci di credere a nulla che non sia contraffatto.
Yukio Mishima (Confessions of a Mask)
Amava le parole e le immagini. "Blu" era uno dei vocaboli che pridiligeva. Gli piaceva la sensazione che provava sulle labbra e sulla lingua quando lo pronunciava. Le parole avevano una loro fisicità, non si limitavano a significare qualcosa, ricordava di aver pensato da giovane. Apprezzava anche altre parole, quali "distante", "fumo di legna", "superstrada", "antico", "passaggio", "viaggiatore" e "India", per il loro suono, il loro sapore e per le immagini che evocavano nella sua mente. Teneva affissi nella sua stanza gli elenchi delle parole che amava di più. Poi aveva raggruppato le parole in frasi e aveva affisso anche quelle: Troppo vicino al fuoco. Giunsi dall'est con un gruppetto di viaggiatori. Il costante cinguettio di coloro che volevano salvarmi e di coloro che volevano vedermi. Talismano, talismano, mostrami i tuoi segreti. Timoniere, timoniere, conducimi a casa. Sdraiato nudo là dove nuotano le balene azzurre. Lei gli augurò treni a vapore che partivano da stazioni invernali. Prima di diventare uomo, fui freccia, tanto tempo fa. [...] Con il tempo, i fogli coperti di parole, frasi e luoghi avevano finito per coprire completamente le pareti della stanza.
Robert James Waller (The Bridges of Madison County)
Amava troppo il mondo, la gente. Amava fare lunghe passeggiate nel tardo pomeriggio osservando ciò che la circondava. Amava il verde del mare, la luce del crepuscolo, i sassi sparsi sulla sabbia. Amava il sapore di una pera rossa in autunno, la luna piena e pesante d’inverno che brillava fra le nuvole. Amava il calore del suo letto, un buon libro da leggere senza interruzione. Per godere di questo, sarebbe vissuta per sempre.
Jhumpa Lahiri (In altre parole (Italian Edition))
Noi ci siamo ricordati di quello che la maggior parte degli uomini ha dimenticato, in quest'epoca di brutto, infruttifero lavoro delle falsificazioni: che è possibile essere felici, che il lavoro può essere un piacere, anzi, che l'essenza del piacere si trova nel lavoro se questo è giustamente indirizzato, ossia incamminato verso il raggiungimento di quelle funzioni che le persone sagge e sane desiderano vedere realizzate; in altre parole, se il principio che lo muove è l'aiuto reciproco. In breve, noi artisti ci troviamo in questa situazione: siamo i rappresentanti dell'artigianato che si è estinto nella produzione commerciale. Facciamo perciò del nostro meglio per diventare i migliori artigiani possibili; e se non possiamo essere buoni artigiani ad un certo livello, fermiamoci ad un livello inferiore in modo da trovare il nostro posto nelle arti, ove rendere pienamente; insomma se siamo artisti possiamo essere certi che troveremo ciò che siamo in grado di far bene, anche se non sarà molto facile.
William Morris (Opere)
Il ruolo del logoterapeuta consiste nell’ampliare ed estendere il campo visivo del paziente così che possa vedere l’intero spettro di significato potenziale. Dichiarando che l’uomo è responsabile e deve realizzare il significato potenziale della sua vita, voglio però sottolineare anche che il vero significato della vita deve essere cercato nel mondo piuttosto che all’interno dell’uomo o nella sua psiche, anche se è un sistema chiuso. Ho denominato questa caratteristica costitutiva “l’autotrascendenza dell’esistenza umana”. L’essere umano punta sempre verso qualcosa o qualcuno, piuttosto che verso se stesso – sia questo un significato da raggiungere o un altro essere umano da incontrare. Più uno si dimentica di se stesso – dedicandosi a una causa da seguire o ad un’altra persona da amare – più è umano e più realizza se stesso. Ciò che viene chiamata autorealizzazione non è in assoluto un obiettivo raggiungibile, per la semplice ragione che più uno si sforza di raggiungerlo più non ci riesce. In altre parole, l’autorealizzazione è possibile solo come effetto collaterale della trascendenza di se stessi.
Viktor E. Frankl (L'uomo in cerca di senso: Uno psicologo nei lager e altri scritti inediti)
Pensai a tutte le parole che avevo raccolto da Mabel, da Lizzie e da altre donne: donne che sventravano il pesce o tagliavano i tessuti o pulivano i bagni pubblici femminili di Magdalen Street. Esprimevano le proprie opinioni usando parole adatte a loro e si dimostravano deferenti mentre io le trascrivevo sulle schede. Per me queste schede erano preziose e le nascondevo nel baule per proteggerle. Ma da che cosa? [...] Il mio Dizionario delle parole perdute non era diverso dell’inferriata nella Ladies’ Gallery della Camera dei Comuni: nascondeva ciò che si sarebbe dovuto vedere e azzittiva ciò che si sarebbe dovuto udire. Dopo la scomparsa mia e di Mabel, il baule non sarebbe stato altro che una bara.
Pip Williams (The Dictionary of Lost Words)
Una volta hai osservato che certe parole erano considerate più importanti di altre semplicemente perché erano state scritte. Argomentavi che, per difetto, le parole degli uomini istruiti erano più importanti delle parole delle classi non istruite, tra le quali rientravano le donne. Continua su questa strada, mia cara Esme: prendi in considerazione le parole che noi usiamo e registriamo. Una volta che la questione del suffragio politico delle donne sarà stata risolta, bisognerà affrontare disuguaglianze meno evidenti. Senza rendertene conto, tu stai già lavorando per questa causa. Come diceva il nonno, sarà una partita lunga. Gioca in una posizione in cui sei brava e lascia che gli altri giochino nella loro.
Pip Williams (The Dictionary of Lost Words)
I fisici di questo cosa dicono? Niente di che. Perlopiú alzano gli occhi al cielo. Non sono tipi kantiani. Il problema con l'assoluto inconoscibile è che se si potesse dirne qualcosa non sarebbe piú l'asso- luro inconoscibile. Si può passare dal noumenico al feno- menico stando comodamente seduti in poltrona. In altre parole, niente può essere estratto dall'assoluto senza essere reso percettivo. Tenendo presente che attribuire real tà all'inconoscibile è già glossolalia. Il guaio con il mondo perfetto e oggettivo - di Kant o di chiunque altro - è che è inconoscibile per definizione. Anche se amo la fisica io non la confondo con la realtà assoluta. È la nostra realtà. I concetti matematici hanno una durata a scaffale conside- revole. Esistono nell'assoluto? E possibile? Mi sono chiesta. Ma poi la me che se l'è chiesto è diventata un'altra. Com'è giusto. E si è portata via la matematica. Il concetto. Un lungo periodo di incertezza. Quando sono tornata a connettere ero da un'altra parte. Quasi mi fossi sottratta al mio stesso cono luce. Fuggita in quello che un tempo chiamavano l'altrove assoluto. all'altro capo di quelle equazioni. Non capisco. Lo so. Nemmeno io. È solo che allora credevo non si potesse cavare qualcosa dall'assoluto senza cavarlo dall'assoluto. Senza convertirlo in qualcosa di fenome- nologico. Facendolo cosí diventare una nostra proprietà tutta ricoperta dalle nostre impronte digitali e a quel punto l'assoluto si è volatilizzato. Adesso non sono piú Cosí convinta. Possiamo parlare del Kid? Certo. E che cazzo.
Cormac McCarthy
I fisici di questo cosa dicono? Niente di che. Perlopiú alzano gli occhi al cielo. Non sono tipi kantiani. Il problema con l'assoluto inconoscibile è che se si potesse dirne qualcosa non sarebbe piú l'asso- luro inconoscibile. Si può passare dal noumenico al feno- menico stando comodamente seduti in poltrona. In altre parole, niente può essere estratto dall'assoluto senza essere reso percettivo. Tenendo presente che attribuire real tà all'inconoscibile è già glossolalia. Il guaio con il mondo perfetto e oggettivo - di Kant o di chiunque altro - è che è inconoscibile per definizione. Anche se amo la fisica io non la confondo con la realtà assoluta. È la nostra realtà. I concetti matematici hanno una durata a scaffale conside- revole. Esistono nell'assoluto? E possibile? Mi sono chiesta. Ma poi la me che se l'è chiesto è diventata un'altra. Com'è giusto. E si è portata via la matematica. Il concetto. Un lungo periodo di incertezza. Quando sono tornata a connettere ero da un'altra parte. Quasi mi fossi sottratta al mio stesso cono luce. Fuggita in quello che un tempo chiamavano l'altrove assoluto. all'altro capo di quelle equazioni. Non capisco. Lo so. Nemmeno io. È solo che allora credevo non si potesse cavare qualcosa dall'assoluto senza cavarlo dall'assoluto. Senza convertirlo in qualcosa di fenome- nologico. Facendolo cosí diventare una nostra proprie- tà tutta ricoperta dalle nostre impronte digitali e a quel punto l'assoluto si è volatilizzato. Adesso non sono piú cosí convinta. Possiamo parlare del Kid? Certo. E che cazzo.
Cormac McCarthy (McCarthy Cormac 2 Books Collection Set [The Passenger & Stella Maris] (The Passenger 2 book series))
E fu inevitabile. In ogni rapporto con gli altri occorre trovare un moyen de vivre. Con te dovevo rinunciare a me stesso o a te. Non potevano esistere altre alternative. Per un profondo anche se malriposto affetto per te: per una grande pietà per i tuoi difetti di carattere e temperamento: per la mia stessa proverbiale bontà d’animo e la mia celtica pigrizia: per la mia avversione da artista alle scene volgari e alle cattive parole: per quell’incapacità a covare risentimenti di qualsiasi specie, tanto caratteristica a me in quei tempi: per il disgusto di vedere l’esistenza resa infelice e ingrata a causa di quelle che a me, con gli occhi intenti a ben altre cose, apparivano sciocchezze troppo banali per meritare più d’un minuto di riflessione o d’interesse: – per tutte queste ragioni, per quanto semplici possano parere, ti cedetti sempre.
Oscar Wilde (De Profundis)
La popolazione era presa costantemente d'assedio dalla tubercolosi, dal morbillo, dal rachitismo, dallo scorbuto, da due tipi di vaiolo (confluente ed emorragico), dalla scrofola, dalla dissenteria e da un vasto, amorfo assortimento di flussi e febbri (febbre terzana, febbre quartana, febbre puerperale, febbre navale, febbre quotidiana, febbre a macchie) così come di «frenesie», «mali impuri» e altre curiose malattie di vaghi e numerosi tipi. [...] Meno di tre mesi dopo la nascita di William, la sezione sepolture del registro parrocchiale della chiesa di Holy Trinity di Stratford riporta le sinistre parole: Hic incepit pestis, qui comincia la peste, accanto al nome di un bambino chiamato Oliver Gunne. L'epidemia del 1564 fu terribile. [...] In un certo senso, la più grande conquista di William Shakespeare non fu quella di aver scritto l'Amleto o i Sonetti, ma semplicemente di essere sopravvissuto al suo primo anno di vita.
Bill Bryson (Shakespeare: The World as Stage)
«Cosa mi stai facendo?» «Ti sto amando,» risposi. Non esistevano parole diverse da queste. In ogni tocco, in ogni parola e in ogni mio gesto si nascondeva l’amore che sentivo per lui. Il desiderio incontrollabile di vivergli attaccato per ventiquattr’ore al giorno. «Sei entrato nella mia testa... ma sei anche pericoloso... tu sei malvagio...» «Lo sono?» chiesi, interrompendolo. Non mi rispose. Alzò il volto e puntò lo sguardo sul mio. I suoi occhi color ghiaccio mi incantarono. Si avvicinò lentamente alle mie labbra e fu bello vedere come si stesse lasciando andare a quello che sapevo provasse; arrendersi era l’unica soluzione possibile. Mi baciò. Non c’era urgenza, ma aveva scelto di farlo e per me questo valse più di molte altre risposte che avrebbe potuto darmi. Sentii gli occhi di tutti su di noi, ma non prestai loro attenzione; scivolai con la mano dietro al suo collo e lo avvicinai maggiormente a me, poi schiusi le sue labbra, senza attendere il permesso, come questa mattina, e intrecciai la lingua con la sua
Luisa D. (Il Principe del male (Italian Edition))
E' un meccanismo di sopravvivenza che chi è come me conosce anche troppo bene: quando si comincia a comprendere che la maggior parte dei problemi e degli ostacoli percepiti come insormontabili sono il risultato di una dissonanza tra sé e il resto del mondo, nella maggior parte dei casi si comincia a imitare gli altri, a conformarsi. Nell'autismo questo tentativo frequente di conformità al gruppo di appartenenza viene definito masking, indossare una maschera che copre interamente il volto. Col tempo ne crei una per il lavoro, un'altra per le uscite con gli amici, una per le relazioni affettive. Osservi quello che fanno gli altri, cerchi di imitarne i comportamenti, quel modo di ridere a battute che a te sembrano insignificanti, oppure l'andatura, la prosodia. Ma il discorso vale anche se da adolescente scopri che invece delle ragazze ti piacciono i compagni di scuola, quegli stessi ragazzi che invece manifestano la loro eterosessualità con esuberanza spesso facendo in tua presenza commenti terribili contro chiunque abbia un orientamento differente dal loro. Indossi la maschera se percepisci il tuo genere diverso da quel lo che la società si aspetta tu debba sentire, oppure se non se felice della vita che hai. Quando sei con gli altri, sei gli altri. Poi torni nella solitudine della tua camera e a volte quella maschera si è talmente appiccicata sul tuo volto che non viene via del tutto; col tempo nemmeno ricordi più chi sei, cosa ti faceva emozionare.
Fabrizio Acanfora (In altre parole. Dizionario minimo di diversità)
Là in Kakania, in quello Stato incompreso, che ormai non esiste più e che in tante cose fu un modello ingiustamente sottovalutato, c’era anche velocità, ma non troppa. Quando si era all’estero e si ripensava a questo paese, sorgeva davanti agli occhi il ricordo di quelle sue strade bianche, larghe e comode, risalenti al tempo delle marce a piedi e dei postali, strade che si diramavano in tutte le direzioni, come le vie di trasmissione del regolamento, come i nastri del traliccio chiaro nelle uniformi dei soldati, e che cingevano le province con il braccio bianco-cartaceo dell’amministrazione. E che province! Ghiacciai e mari, il Carso e i campi di grano della Boemia, notti sull’Adriatico percorse dallo stridio inquieto dei grilli, e villaggi slovacchi dove il fumo usciva dai camini come da narici camuse e il villaggio se ne stava rannicchiato tra due collinette, quasi che la terra avesse dischiuso un poco le labbra per riscaldare il suo bambino. Naturalmente su quelle strade si incontravano anche automobili; ma non troppe. Ci si preparava anche là alla conquista dell’aria; ma senza eccedere in solerzia. Di quando in quando si faceva partire una nave per il Sudamerica o per l’Estremo Oriente; ma non troppo spesso. Non si ambiva al dominio del mondo, né dal punto di vista economico né da quello politico; si era al centro dell’Europa, dove si intersecano gli antichi assi del mondo; le parole “colonia” e “oltremare” risuonavano ancora come un qualcosa di remoto e di non sperimentato. Si viveva nel lusso, ma di certo non con l’estrema raffinatezza dei francesi. Si praticava lo sport, ma non da forsennati come gli anglosassoni. Si spendevano somme ingenti per l’esercito, ma solo quel tanto che bastava per esser certi di rimanere la penultima delle grandi potenze. Anche la capitale, pur essendo una delle città più grandi del mondo, era un po’ più piccola di tutte le altre, ma notevolmente più grande di quanto lo siano di solito le grandi città. E l’amministrazione di questo paese, illuminata, discreta, volta a smussare prudentemente tutti gli spigoli, era nelle mani della migliore burocrazia d’Europa, alla quale si poteva rimproverare un solo difetto: ritenere saccenteria e presunzione il genio e la geniale intraprendenza dei privati che non fossero legittimati a ciò dal privilegio di alti natali o di un incarico statale. E d’altronde, c’è forse qualcuno cui piaccia farsi comandare da chi non è autorizzato? In Kakania, poi, un genio passava sempre per uno sciocco, ma a differenza di quel che capitava dalle altre parti, non succedeva mai che uno sciocco passasse per un genio.
Robert Musil (The Man Without Qualities)
«Non tutte le parole sono precipitate al suolo» disse Lucio, trovando infine il coraggio di guardarmi negli occhi. Mi sforzai di dire qualcosa. «No?» «No» continuò, il volto ammorbidito. Era sollevato che avessi deciso di aprire bocca. «Sembra che alcune parole siano più pesanti di altre».
Roberto Bommarito (Parole)
Julien le aveva chiesto cosa l’aveva spinta verso la matematica e lei aveva risposto che la trovava rassicurante. «Io la definirei piuttosto come qualcosa che intimidisce, mi sembra più pertinente.» «È anche questo.» Pari aveva detto che trovava consolazione nella stabilità delle verità matematiche, nella mancanza di arbitrarietà e nell'assenza di ambiguità. Nel sapere che le risposte potevano essere elusive, ma che si potevano trovare. Erano lì che aspettavano sulla lavagna, qualche passaggio più sotto. «In altre parole, niente di simile alla vita» aveva commentato Julien. «Dove le domande o non hanno alcuna risposta o ne trovano una ingarbugliata.»
Khaled Hosseini (And the Mountains Echoed)
Tradizionalmente, i Prescrittivisti tendono a essere conservatori politici e i Descrittivisti tendono a essere liberali. Ma in realtà ad avere più influenza sulle norme dell’inglese pubblico è una forma austera e rigorosa di Prescrittivismo liberale. Mi riferisco all’Inglese politicamente corretto (Ipc), secondo le cui convenzioni i poveri diventano “economicamente svantaggiati” e le persone in sedia a rotelle “diversamente abili”. Sebbene sia comune fare battute sull’Ipc, sappiate che le varie pre- e proscrizioni dell’Inglese politicamente corretto sono prese molto sul serio dai college e dalle aziende […] L’opinione personale di questo recensore è che l’Ipc prescrittivista non è solo sciocco ma è ideologicamente confuso e dannoso alla sua stessa causa. Ed ecco la mia argomentazione. L’uso di una lingua è sempre politico, ma lo è in modo complesso. Rispetto, per esempio, al cambiamento politico, le convenzioni dell’uso possono funzionare in due modi: da un lato possono essere un riflesso del cambiamento politico e dall’altro possono essere uno strumento del cambiamento politico. La cosa importante è che queste due funzioni sono ben distinte e tali devono restare. Confonderle dà luogo alla bizzarra convinzione che l’America smetta di essere élitaria o ingiusta per il semplice fatto che gli americani smettono di usare un certo vocabolario che è storicamente associato all’élitarismo e all’ingiustizia. Questa è la pecca fondamentale dell’Ipc – che la modalità espressiva di una società produca i suoi atteggiamenti piuttosto che essere un prodotto di tali atteggiamenti – e naturalmente non è altro che l’inverso dell’illusione dello Snob conservatore secondo cui il cambiamento sociale può essere ritardato limitando il mutamento nell’uso standard della lingua. L’Inglese politicamente corretto ha in sé un’ironia ancora più macroscopica. E cioè sebbene l’Ipc abbia la pretesa di essere il dialetto della riforma progressista, di fatto è – nella sua sostituzione orwelliana degli eufemismi dell’eguaglianza sociale al posto dell’effettiva uguaglianza sociale – molto più di aiuto ai conservatori e allo status quo di quanto non siano mai state le tradizionali prescrizioni Snob […] in altre parole, l’Ipc agisce come una forma di censura, e la censura è sempre al servizio dello status quo. Nella pratica, dubito fortemente che un uomo con quattro figli piccoli e uno stipendio di dodicimila dollari l’anno si senta più forte o meno bistrattato da una società che ha la premura di chiamarlo “economicamente svantaggiato” invece che “povero”. Anzi, se fossi in lui, probabilmente mi sentirei offeso dal termine Ipc – non solo perché è paternalista (cosa che comunque è) ma perché è ipocrita e teso al vantaggio di chi lo pronuncia in un modo che di solito la gente trattata con paternalismo capta al volo. L’ipocrisia di base riguardo a espressioni come “economicamente svantaggiato” e “diversamente abile” è che i sostenitori dell’Ipc credono che i beneficiari della compassione e della generosità di questi termini siano i poveri e la gente in sedia a rotelle, e trascurano di nuovo una cosa che tutti sanno ma che nessuno cita mai – e cioè che parte del motivo per cui qualsiasi parlate usa un certo vocabolario è sempre il desiderio di comunicare qualcosa su se stesso. L’Ipc ha la funzione primaria di segnalare e congratulare certe virtù nel parlante – scrupoloso egualitarismo, preoccupazione per la dignità di tutti, sofisticatezza riguardo alle implicazioni politiche della lingua – e di conseguenza serve gli interessi egoistici del Pc molto più di quanto serva qualsiasi persona o gruppo da esso ribattezzato.
David Foster Wallace (Consider the Lobster and Other Essays)
All'improvviso, mi ronzarono le orecchie ed ebbi un forte capogiro che mi costrinse a chiudere gli occhi. Era come se fossi su una giostra che ruotava vorticosamente, facendomi perdere il senso dell'orientamento e del tempo. Udii fragori di spade, grida di dolore, ni-triti inferociti, parole che non comprendevo, nomi che non conoscevo. Finché una voce eterea non si sovrappose alle altre. «Aër.»
Chiara Cilli (I quattro Protetti (La guerra degli Dei, #1))
Se il Paese diventa terra di conquista Francesco Manacorda | 673 parole Da ieri, con la stretta finale delle trattative per l’ingresso della China National Chemical Corporation nella società che controlla la Pirelli con oltre il 26% del capitale, il termine «scatole cinesi» ha in Italia un significato più letterale. Le scatole cinesi sono quelle società che incastrate una sopra l’altra consentono all’azionista che sta in cima di controllare le attività che stanno sotto con un impegno di capitale limitato. È ad esempio il metodo che ha consentito a Marco Tronchetti Provera di controllare la Pirelli, di cui è presidente e amministratore delegato, con una partecipazione che di fatto ammonta a poco più del 6% del capitale della società produttiva. Ma tra poco, appunto, sopra la Pirelli ci sarà una vera scatola cinese, visto che quella quota del 26% e rotti con cui la finanziaria Camfin la controlla verrà ceduta a una nuova società il cui azionista di maggioranza dovrebbe essere proprio il colosso chimico di Pechino. Sarebbe un esercizio inutile e anche un po’ stucchevole lamentare il passaggio del controllo di un altro grande gruppo italiano nelle mani di un socio di maggioranza straniero. In un’epoca di mercati aperti - anche se non simmetricamente aperti, visto che per gli europei è decisamente più difficile investire in Cina che non viceversa - non ci deve essere scandalo nella mobilità dei capitali. E un «mercatista» puro zittirebbe qualsiasi obiezione con pochi numeri: i cinesi valorizzano il titolo Pirelli 15 euro per azione, un livello che non raggiungeva da un quarto di secolo; ne beneficia ovviamente Tronchetti, ma ne beneficeranno anche tutti gli altri azionisti grandi e piccoli del gruppo, visto che la nuova società dovrebbe lanciare un’Opa a 15 euro per levare la Pirelli da Piazza Affari e poi riportarne in Borsa una parte dopo qualche anno. Ma non pare nemmeno che si possa gioire troppo, esaltando una presunta attrattività del sistema italiano per gli investitori stranieri: i cinesi non vengono certo ad aprire una fabbrica partendo dal nulla, attratti dalle ottime condizioni che l’Italia pratica per le imprese; invece acquisiscono di fatto brand e tecnologie di una società che fa la gran parte del suo fatturato all’estero e offrono - almeno a giudicare dal primo comunicato emesso ieri mattina - solo l’assicurazione che Pirelli «manterrebbe gli headquarter in Italia» - particolari garanzie di radicamento. Meglio concentrarsi allora su un paio di elementi che sono assai sintomatici della situazione italiana. Il primo è che nella maggior parte dei casi le aziende italiane invece di aggregare altre società dello stesso settore all’estero - Fca, Autogrill e Luxottica sono alcune delle eccezioni che vengono in mente, ma ce ne sono altre, anche se di taglia più ridotta - vengono aggregate. È una condanna di aziende sottocapitalizzate e di dimensioni grandi, ma non abbastanza grandi da competere da sole sul mercato globale. Ed è una condanna dell’Italia, dove questa tipologia di società abbonda. Il secondo tema è quello della distinzione tra proprietà e controllo di un’azienda. Spesso nelle aziende a proprietà familiare la presenza di manager esterni viene vista come un fattore positivo. In Pirelli l’inversione di questo meccanismo è evidente: Marco Tronchetti Provera, azionista «in chiaro» con poco più del 6% è presidente e ad. E in tutti i passaggi di questi anni in cui ha trovato soci da far entrare nel capitale - prima i genovesi Malacalza con i quali non è finita benissimo, poi i russi di Rosneft, ostacolati dalle sanzioni Ue contro la Russia - è stato attento a mantenere le sue cariche. Lo farà anche adesso, visto che la previsione è che resti al suo posto ancora per un quinquennio. Ruoli manageriali immutabili e azionisti che preferiscono non aprire il portafoglio, insomma, sembrano un buon viatico per diventare prede invece di cacciatori.
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Parole d'oltre un secolo fa, "Non hanno aspetto d'uomini". Sempre, l'identico equivoco di chi vede una popolazione primitiva nella luce sbagliata di un'umanità inferiore alla nostra, quasi ferina; quando invece si trata di gruppi umani diversi solo perché proiettati in una dimensione storica che non è la nostra. Tanto noi siamo corsi incontro al tempo in una vertiginosa sfida per annullarlo e superarlo con le conquiste di un progresso sopratutto meccanico, tanto i primitivi hanno invece rinunciato a questa gara, scegliendo una realtà immobile, uguale a se stessa giorno per giorno. I primitivi: il mondo s'occupa di loro, oggi, perché sono un'alternativa, sono un'emblematica presenza accanto a noi a indicarci altre strade cui l'uomo poteva indirizzarsi iniziando la sua corsa nel tempo.
Folco Quilici (L'alba dell'uomo)
quando l’isis «insegna» Distruggendo i reperti di Mosul e Nimrud i terroristi hanno paradossalmente dimostrato di capire cosa rappresentino e quanto siano preziosi Luigi Giaccone | 339 parole Dobbiamo essere «molto riconoscenti» verso quei militanti dell’Isis che hanno distrutto reperti assiri a Mosul e a Nimrud, perché ci hanno dimostrato di aver capito perfettamente ciò che quei resti testimoniano. Afferma Domenico Quirico su questo giornale: «La storia è il principale avversario dello Stato totalitario, di ogni Stato totalitario». Studiare la storia, e soprattutto quei periodi che sembrano più lontani da noi, significa confrontarsi con ciò che è diverso da noi, uscire dal guscio asfittico in cui siamo soliti muoverci e che vediamo come unico universo possibile. Quest’avventura, che ci apre alla conoscenza di mondi nuovi e di culture altre, ha una straordinaria valenza formativa, in quanto palestra di democrazia e di educazione allo spirito critico e al confronto delle idee, ma proprio per questo costituisce una minaccia per qualunque forma di pensiero unico, di qualunque matrice. Tutti i regimi autoritari si sono misurati con questa pericolosa infezione. In alcuni casi si sono limitati a distruggere ogni testimonianza del passato, a far tabula rasa di tutto ciò che potesse minacciare l’unica ideologia ammessa: oggi l’Isis in Iraq, ieri i talebani in Afghanistan, i khmer rossi in Cambogia, la rivoluzione culturale in Cina. Le dittature europee del Novecento hanno invece trovato un sistema più subdolo, strumentalizzando il passato ed estrapolando figure e momenti esemplari, da proporre come precursori per giustificare il proprio operato; hanno disinfettato la storia dal virus eversivo dell’alterità per omologarla alle proprie ideologie, appiattendo il passato sul presente: così è stato per l’impero romano con il fascismo, la società spartana con il nazismo, l’icona di Spartaco con i regimi comunisti. Che lo studio della storia, anche di quella meno recente, sia fondamentale, l’Isis e i vari Stati autoritari hanno dimostrato di averlo capito: perché noi l’abbiamo dimenticato? Insegnante al Liceo Cavour di Torino
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Alla sfida mondiale dei robot c’è una star ed è «made in Italy» Lorenza Castagneri | 454 parole L’umanoide del futuro, il robot che potrebbe sostituire l’uomo in molte emergenze, è italiano. Ha l’altezza di un corazziere - 1 metro e 85 - e mani agilissime. Pesa più di 100 chili, sa camminare, può aprire le porte, usare il trapano, afferrare un oggetto dietro la schiena senza voltarsi, perché ha braccia capaci di piegarsi all’indietro e piegarsi in avanti per raccogliere un oggetto. Si chiama Walkman (nelle foto) e l’hanno inventato all’Iit, l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, in collaborazione con il Centro di ricerche «E. Piaggio» dell’Università di Pisa e grazie al contributo della Commissione Europea. Tra meno di un mese parteciperà a una competizione internazionale lanciata dalla Darpa, l’agenzia per la ricerca avanzata del dipartimento della Difesa americano. Obiettivo: definire gli standard tecnologici per i robot da impiegare in caso di disastri ambientali, alluvioni, terremoti e incendi. La gara si chiama «Darpa robotics challenge» e si svolgerà il 5 e il 6 giugno a Pomona, Los Angeles. Walkman e gli scienziati che lo guideranno saranno gli unici a rappresentare il nostro Paese e l’Europa. L’invito a prendere parte alla competizione è arrivato dagli organizzatori a fine 2013: «Considerata la forza delle idee dell’Iit, siamo certi che la sua partecipazione aumenterà la qualità della competizione», ha scritto Gill Pratt, responsabile dell’evento a Nikolaos Tsagarakis, che guiderà il team genovese. Da allora è cominciata una corsa contro il tempo per mettere a punto Walkman, che dovrà vedersela con le creature messe a punto da altre 24 squadre, tra cui la stessa Darpa e la Nasa, provenienti non solo dagli Usa, ma anche da Giappone, Corea, Cina e Hong Kong. I robot dovranno dimostrare, tra l’altro, di sapersi muovere e prendere decisioni in autonomia, salire le scale, oltrepassare ostacoli. Persino guidare un veicolo tipo Ranger: la prova più complicata che attende i ricercatori dell’Iit. E per rendere la situazione più realistica, in più fasi delle prove, le comunicazioni robot-scienziati saranno interrotte. «Siamo orgogliosi. Walkman è la dimostrazione che anche l’Europa, e su tutti l’Italia, gioca un ruolo decisivo per lo sviluppo del settore», ha commentato Roberto Cingolani, il direttore scientifico dell’Iit. Tanto che presto il robot sarà messo alla prova in situazioni di emergenza vere, definite con la Protezione civile. Ma quella della Darpa sarà una sfida che coinvolgerà anche i team che comandano i robot. Per individuare i primi tre classificati - a cui andrà un finanziamento di 3 milioni e mezzo di dollari - saranno valutati il software e l’interfaccia di controllo, oltre che le tecnologie per garantire alla macchina equilibrio, agilità ed efficienza energetica.
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«Isarma!» mormorò lei. «Aiutami, e aiuta il bambino!» E come un eco si udirono quindi altre parole: «Possa il frutto della nostra vita essere vincolato a te con sigillo, o Madre, o Donna Eterna, che tieni la vita interiore di ciascuna tua figlia nelle mani posate sul suo cuore...» Nel contemplare il volto pallidissimo che aveva davanti, Viviana comprese che anche Ana aveva sentito quelle parole, e per un momento entrambe cessarono di essere madre e figlia per essere soltanto due donne, sorelle vincolate l'una all'altra e alla Grande Madre di vita fin da prima che i Saggi giungessero dal mare.
Marion Zimmer Bradley (Lady of Avalon (Avalon, #3))
Il corpo è la casa del tempo, dentro di lui muoiono gli anni, e con loro noi stessi. Amavo davvero una volta, le speranze erano sogni nei quali credevo, ho lasciato mi rubassero tutto, non mi sono difesa. Ora ho un cuore in rovina, ma sulle sue macerie, ho costruito il mio impero. [...] Da adolescente ero all'inizio di tutto, ero il contrario della fine, ero ciò che si perde, e non ti ridà più nessuno. Se penso ai miei sedici anni, mi chiedo se sono esistiti davvero, ero così diversa, completamente un'altra persona. Non è vero che si cresce, si crepa. Crescere è un assassinio, non esistono altre parole, ti ritrovi a camminare sullo scheletro dei tuoi ricordi, la tua vita diventa un cimitero, e tu la bara di tutto.
Isabella Santacroce (Supernova (Italian Edition))
«Mi piacciono le parole che sono già una descrizione di se stesse», bisbigliò Perdu. Aveva gli occhi chiusi. «‘Brezza notturna’. ‘Ostinazione’. In questa parola vedo una bambina che lotta contro tutto ciò che non vuole. Brava, magra e leggera. La piccola cavallerizza Ostinazione contro le forze oscure della ragione.» «Ci sono parole con cui ci si ferisce», intervenne Vitale. «Sono come lamette nell’orecchio e sulla lingua. ‘Disciplina’. ‘Addestramento’. Oppure ‘raziocinio’.» «Raziocinio occupa così tanto la bocca che impedisce ad altre parole di entrarci»
Nina George (The Little Paris Bookshop)
Ippoterapia, zoo ucraini e soap opera Le interpellanze assurde in Europa I parlamentari italiani sfornano quesiti a raffica per non passare da “fannulloni” Ma ogni interrogazione costa 1500 euro tra registrazione e traduzioni Marco Zatterin | 692 parole Lara Comi ha avuto un martedì da grafomane. La contabilità dell’Europarlamento rivela che ieri mattina sono state recepite 82 interrogazioni scritte alla Commissione Ue dalla deputata forzista, il 15% di quelle catalogate a Strasburgo in 24 ore. Spaziano dalla Garanzia Giovani alle imprese cipriote, dalla lotta alla disoccupazione spagnola e alla crisi olandese. Una crisi di attivismo? «L’ho fatto apposta» dice lei. Vuol far saltare le classifiche «falsate» del lavoro degli onorevoli europei in cui si fanno punti per ogni domanda, qualunque essa sia. «Ci sono colleghi sempre assenti che sono in vetta», accusa. Difficile contraddirla. Avviene proprio così. Da anni. Il costo della democrazia L’interrogazione parlamentare è un dono democratico. Consente agli eletti di controllare il potere a dodici stelle e farsi voce degli elettori. Possono essere orali o scritte, le prime vengono risolte in emiciclo, le seconde tornano sul pc dopo un paio di mesi. Nell’Ue hanno un solo difetto. Costano. Perché ogni testo va registrato, tradotto, studiato dall’esecutivo Ue, spedito al Parlamento, ritradotto. Un conto della commissione Bilancio è che ogni «question» pesa circa 1500 euro. Implica che per le 82 domande della Comi sono partiti 120 mila euro. «Lo so, sono molti - ammette lei -, ma è una guerra per la meritocrazia». Come sempre è meglio non esagerare, pure nella consapevolezza che se l’interrogazione è buona, pagare per renderla disponibile a tutti è un dovere. Il guaio è quando i numeri diventano alti e i testi vani. Dal luglio del reinsediamento in Europa, la leghista Mara Bizzotto ha firmato 228 testi (340 mila euro), quasi uno al giorno, dopo i 1344 nella passata legislatura. Sono questioni importanti, l’immigrazione e l’economia, in mezzo a altre bizzarre e fuori dallo spettro Ue: il 17 aprile ha chiesto notizie sugli animali dello zoo di Kharkiv in pericolo; le hanno fatto sapere che «la Commissione non ha competenze in merito per quanto riguarda l’Ucraina». Scalare la vetta C’è un motivo valido e due meno per scrivere un’interrogazione. Il primo lo si è visto, si fa pressione e si scruta l’operato dell’Europa. Gli altri lasciano a desiderare. Uno è che la mossa diventa pezza da appoggio per il collegio, col rischio di sollevare casi che fuori dalla pista Ue. L’altro è quello del ranking. I siti «Votewatch» e «MepRanking» misurano l’attività dei deputati con vari criteri omogenei. Presentare un’interrogazione vale quando essere relatore. Il che, ovviamente, non funziona: si sembra e non si è. Nell’Europa, genere trascurato, i deputati tendono a scomparire dai radar e molti cercano di recuperare spingendo sulle interrogazioni, principio anche nobile. Salta all’occhio la gara, interessante, fra i due grillini Corrao e Castaldo, entrambi con 127 domande da luglio, concreti sebbene non privi di sbavature. Come quando si interroga la Commissione su se sia consapevole del fatto che «la soap opera Agrodolce cofinanziata da Rai e da Regione Siciliana attraverso i fondi Fas si è conclusa bruscamente nel marzo 2011». Ce n’è per tutti i gusti. Solo qualche esempio: Michela Giuffrida (Pd) che si occupa del «cedimento di un pilone dell’A19 Palermo-Catania»; il leghista Buonanno che denuncia gli auricolari sporchi e paventa un rischio Ebola (!); Raffaele Fitto che parla delle migrazioni come d’un deliberato tentativo islamista di destabilizzare l'Italia; e la stessa Comi che domanda a Bruxelles se non abbia piani per l’ippoterapia, ottenendo una replica asciutta: «I programmi non prevedono azioni in materia». A 1500 euro a colpo si fa presto a spender troppo, così c’è anche chi immagina di regolamentar
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I voraci figli di Achille: tutto a spese di Ferrovie Nord Auto, multe e scommesse sportive: a pagare era il papà presidente E nelle carte dell’inchiesta spuntano anche i quadri per Formigoni Norberto Achille, l’ex presidente di Ferrovie Nord destituito con un provvedimento del Gip Paolo Colonnello | 675 parole La famiglia prima di tutto. Ma poi anche gli amici, gli sponsor politici e perfino i magistrati. Con la carta di credito aziendale delle Ferrovie Nord, Norberto Achille, presidente della società quotata in Borsa, destituito l’altra sera con un provvedimento del gip di Milano e l’accusa di peculato e truffa aggravata, pagava davvero di tutto: dalle multe alle scommesse sportive dei figli, fino a dei quadri che sarebbero finiti a casa di Roberto Formigoni e «pranzi e cene a magistrati». Quasi 17 anni ai vertici di Ferrovie Nord, la società che ogni mattina scodella milioni di pendolari in Lombardia, non passano invano: negli ultimi 4 anni, le spese «pazze» dell’ex presidente e della sua «family» ammonterebbero a oltre 300 mila euro. Le multe del figlio Commercialista, inserito in diversi Cda, il figlio Marco amava usare la Bmw aziendale destinata a papà, e con questa avrebbe accumulato, solo di multe per eccesso di velocità, spese per oltre 120 mila euro. L’altro figlio, Filippo, invece alternava all’altra Bmw direttamente l’auto presidenziale con autista, al quale toccava anticipare anche gli spiccioli: «Non più di 50 però, eh?», si raccomanda Norberto. Auto, telefoni e benzina «Quel pezzo di m... se l’è goduta per cinque anni quella macchina, eh?», inveisce Filippo che ha problemi di gelosia col fratello Marco e non solo. Perchè mentre lui è da un po’ che non può più usare l’auto, Marco, un giorno che rimane con una gomma a terra, pretende dal padre che la Bmw gli venga sostituita con l’Audi A6 della presidenza. Auto che, testimoniano gli autisti, di solito «viene consegnata il venerdì sera a Norberto Achille con il pieno e restituita il lunedì con il serbatoio vuoto». Tutta colpa dei week end settimanali a Forte dei Marmi dove la simpatica famigliola si reca a spese della società partecipata da Regione Lombardia e Ferrovie dello Stato, caricando pure 900 euro di benzina delle altre auto di famiglia. Al telefono Marco Achille sostiene che «i giornalisti tirano conclusioni affrettate». Però suo padre un giorno esplode: «Ma non ti vergogni?» e minaccia di fargli staccare il telefono, aziendale pure quello, ovviamente. Un benefit che il «presidente» ha esteso a tutta la famiglia, dalla moglie ai figli, costo per la collettività: 124 mila e 296 euro. Poi si calma e dà un buon consiglio a Marco: «Non andare in giro col Rolex d’oro, hai capito?». Chissà cosa dirà adesso la Rolex. Carte di credito aziendali La ricostruzione delle spese fatta dai Carabinieri non lascia scampo: «Ristoranti e locali notturni: 17.232 euro; pay tv: 7634 euro; spese varie: 30 mila euro; connessioni internet: 934 euro; abbigliamento: 14mila e 500 euro; spese effettuate per scommesse: 3749 euro». Da segnalare, ad esempio, 900 euro pagate al Twiga di Briatore a Forte dei Marmi per una serata. La cosa bella è che alcuni scontrini sono stati presentati anche per ottenere un rimborso dalla tesoreria della società per un totale di 21 mila euro. Quadri a Formigoni Sarà perché è stato nominato dall’ex governatore ciellino, ma Norberto Achille non si dimentica del suo sponsor politico e pare gli regali quattro quadri «che si troverebbero presso l’abitazione dell’ex presidente» (due da 4000 euro nel 2010, uno da 9000 nel 2011, uno da 1400 nel 2012) come risulta a quelli dell’Audit che, per tutelarsi dalle pressioni interne, registrano le conversazioni con i membri del Cda. Altri 30 mila euro finiscono alla Regione non si sa bene a che titolo. Achille spiega anche di essersi «trovato a pagare cene e pranzi per Pomodoro, Grechi e anche diversi magistrati», ovvero gli ex president
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Miliardi e Mondiali La macchina da soldi che non conosce soste L’ultimo caso per la federazione la scelta di Russia e Qatar Giulia Zonca | 824 parole Trovare l’uomo chiave dell’operazione Fifapulita è praticamente impossibile. Troppi soldi, troppe mazzette vere o presunte e troppi giri d’affari concentrici che prima di chiamare denaro ne producono in abbondanza. La Fifa si basa su un sistema fatto di soldi, tanti dichiarati, incalcolabili quelli in nero, non tutti e non sempre sono spesi male, anzi, ma il circolo infinito di dollari che non conosce crisi crea un vortice in stile deposito di Zio Paperone dove avidità chiama altra avidità. E non c’è pace. Cambiare tutto La Fifa si ritrova nelle stesse condizioni in cui stava il Comitato olimpico prima degli scandali del 2002 e ora se vuole reggere dovrà fare la stessa mossa. La rivoluzione. Nuovi nomi e altre regole ma al momento il sistema Fifa si basa proprio sull’immutabilità, sul circolo chiuso, su un potere che resta sempre nelle stesse mani, garantisce a tutti grandi introiti e visto dall’interno funziona benissimo. Ogni uomo preso con le mani nella marmellata sa che verrà abbandonato, però sa anche che fino a lì vivrà alla grande. La perdita di credibilità non è mai sembrata un problema al governo di pallone. Ogni voce considerata frottola, ogni frode un male inevitabile ed arginabile. Il pantano perpetuo. L’inchiesta dell’Fbi parte dal 1991 e traccia una scia di bigliettoni che rimbalzano dai conti alle Cayman, girano sulle banche di Hong Kong e tornano in Svizzera. Fondi alleggeriti e pronti ad altro uso. Il mondo del pallone ha dichiarato 4,826 miliardi di dollari di incasso dall’ultimo quadriennio mondiale. Già: la parola magica che attira sponsor, apre porte, unge canali ed evidentemente fa dimenticare ogni decenza. Non è solo la manifestazione più vista al mondo a solleticare scambi illeciti, dentro il calderone della frode denunciato dall’accusa americana ci sono Confederations Cup, tornei minori, pacchetti di diritti tv e persino la Coppa America del 2016 che si gioca proprio negli Stati Uniti. Al Bureau non hanno indagato a caso. La doppia assegnazione Lo scandalo più evidente e cristallino resta l’assegnazione dei Mondiali 2018-2022, doppio pacco per essere sicuri di mescolare abbastanza le carte e sovrapporre gli illeciti. La confusione e la molteplicità degli interessi in ballo è sempre lo sfondo in cui si muove la Fifa. L’edizione 2018 è andata alla Russia e quella del 2022 al Qatar, voto segreto deciso da 22 persone: dovevano essere 24 ma due erano già tagliati fuori da un’inchiesta di corruzione. Tanto per capire. E qui siamo agli atti non alle speculazioni. Sempre fatti concreti escono dal rapporto Garcia, una memoria investigativa seguita alle proteste per quei Mondiali assegnati in modo così strano. I conti non tornavano a nessuno il che significa che hanno provato a farli tutti e che il famoso voto di scambio, di cui ci si preoccupava all’inizio del dicembre 2010, era davvero in atto. Doveva esserci un asse Inghilterra-Australia, uno Spagna-Portogallo-Qatar: tu muovi consensi per il 2018, io per il 2022 e siamo tutti contenti. Era già molto al limite però almeno non ancora fraudolento. Peccato che il giochino sia scoppiato perché sono intervenuti fattori esterni. Le bustarelle. L’indagine censurata L’indifferente Blatter ha tentato di mostrarsi magnanimo. Ha varato una commissione etica, ci ha messo dentro Michael Garcia, ex procuratore federale americano, e qui parte il labirinto. Garcia ha redatto un rapporto, mai reso noto ufficialmente, la Fifa ne ha prodotto una sintesi e ha concluso che non c’era stata manipolazione nel voto. Garcia ha rigettato la tesi e ha dato le dimissioni. Vi gira la testa? Chiaro, i nonsense si rincorrono e la trasparenza è impossibile perché la Fifa è uno statuto autonomo, risponde solo a se stessa. Non ha pubblicato gli esiti dell’indagine e la normale conseg
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La notte, dal letto, fisso sulle pareti screpolate della cella le parole che voglio scrivere, e fatico nel trovare lo spazio in cui inserirle. Le pareti sono piene di grida murate e piaghe scalfite, parti di tanti che prima di me le hanno vissute, e parti di me e di chi con me le vive. Prudente, mi muovo preciso, per non sovrapporre le mie alle altre, per non far morire, sepolte dalle mie, le parole, le grida e le piaghe di chi prima di me ha fissato pezzi di vita. Un giorno ciò che resta nelle pareti sarà testimone di questo mio pezzo di vita, e sarà interesse di altri. Chi è oppresso ha il dovere di custodire le prove degli oppressi che l’hanno preceduto.
Totò Cuffaro (L'uomo è un mendicante che crede di essere un re (Italian Edition))
Ci sono le dita di un postino oggi in Italia che si prenderanno cura delle mie parole. Potessi farti anch'io una carezza da lontano, potessi io un poco del tuo sole. Ci sono le dita di un postino oggi nel mondo che ci faranno sentire più vicini del vero: potessi essere io ancora un bambino, e volare come una lettera magica nel tuo cielo straniero (Claudio Lolli, Dita) C'è un vecchietto alla fine della via che l'aspetta tutti i santi giorni, alla stessa ora. Nel mondo digitale, dove tutti si scambiano email, e tra poco si consegneranno plichi coi droni, sono in pochi a scrivere e leggere lettere calligrafiche stese a mano da mani desiderose. “Lui aspetta sempre la lettera di suo figlio, che vive all'estero,” racconta la postina. “Quando mi vede, chiede subito: allora , è arrivata? Lei lo sa, vero, che vive in America?” E quando la mattina è in ufficio e l'addoccia, Filomena è contenta è non vede l'ora di arrivare da quelle parti per dargliela-Conosce il potere benefico della missiva, sa che il vecchio la leggerà e la rileggerà più volte con gli occhi umidi, conservandola come tutte le altre in un cassetto del comò, insieme alle fotografie e ai ricordi più cari.
Angelo Ferracuti (Andare, camminare, lavorare: L'Italia raccontata dai portalettere)
Si dicono più o meno sempre le stesse cose alle persone che si amano. Passano gli anni e lo schiacciasassi ha la meglio su tutto. Niente e nessuno è molecolarmente indispensabile, tutti vengono rimpiazzati. Le persone che ritenevamo preziose – svanite, morte o abbandonate – si fondono con nuove persone che ci sforziamo di ritenere preziose finché queste non diventano prima importanti, poi necessarie, e così ogni nuovo conoscente diventa sempre più in fretta <>, <>, <>, <>, ma ai nostri occhi non è che la magra sovrapposizione di altre persone, e il risultato è una nebbiolina grigioazzurra che storpia volti e sensazioni, con la cupa paura di svelare ciò che stiamo trattenendo. E così ci condanniamo a collezionare addii sempre più dilazionati e meno sofferti – come se la persona condannata all'addio sia in ritardo per un treno che non vuole partire. Arrivati davanti alla carrozza cerchiamo di individuare il posto assegnato, in attesa delle ultime parole, nella segreta speranza che si possa tornare indietro, prima del passo definitivo sul predellino. No ci si guarda neppure. La conversazione o il silenzio, non cambia, scandiscono l'attesa, come se la decisione fosse un testa o croce di cui si è dimenticata la scelta. Quale che sia questa scelta, dopo siamo disintegrati e più violentemente soli. – La casa mangia le parole
Luccone Leonardo G.
I flagelli, invero, sono una cosa comune ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre, tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini impreparati. Il dottor Rieux era impreparato come lo erano i nostri concittadini; e in tal modo vanno intese le sue esitazioni. In tal modo va inteso anche come egli sia stato diviso tra l'inquietudine e la speranza. Quando scoppia una guerra la gente dice "Non durerà, è una cosa troppo stupida". E non vi è dubbio che una guerra sia davvero una cosa troppo stupida ma questo non le impedisce di durare….I nostri concittadini erano al riguardo come tutti quanti, pensavano a se stessi. In altre parole erano degli umanisti: non credevano ai flagelli. Il flagello non è commisurato all'uomo, ci si dice quindi che il flagello è irreale, è un brutto sogno che passerà. Ma non passa sempre, e di cattivo sogno in cattivo sogno,sono gli uomini che passano, e gli umanisti in primo luogo, in quanto non hanno preso le loro precauzioni. I nostri concittadini non erano più colpevoli di altri, dimenticavano di essere modesti, ecco tutto, e pensavano che tutto era ancora possibile per loro, il che supponeva impossibili i flagelli. Continuavano a concludere affari e preparare viaggi, avevano delle opinioni. Come avrebbero pensato alla peste che sopprime il futuro, i mutamenti di luogo e le discussioni? Essi si credevano liberi ma nessuno sarà mai libero fin tanto che ci saranno i flagelli" - La Peste
Albert Camus
«Tutto bene?» Cam annuì. «Sì. È stato… cazzo.» Non aveva altre parole. La sua lingua era inerte e gonfia, e la sua mente era troppo confusa per pensare. Si sentiva sottosopra. Rivendicato, desiderato e... amato. Si sentiva completo
Garrett Leigh (Bones (Blue Boy, #2))
«Sei fortunato ad avere Jude, anche se è lontano,» si trovò a dire, quasi sorpreso dal modo in cui quel pensiero, fino a poco prima impensabile, scivolava sulla lingua con la naturalezza delle verità meno dure.Raven sorrise, lanciando uno sguardo al vetro della finestra, buio e liscio come uno specchio: la luce sembrava tagliare fuori il cielo dove, in qualche punto imprecisato dello spazio aereo, il suo ragazzo sorvolava il continente, diretto verso la vita che stava costruendo altrove. «Lo so,» ammise. «Ma la fortuna può avere tante forme diverse. A volte è amore, altre amicizia,» aggiunse, spostando lo sguardo su di lui e rendendolo più complice. «Altre ancora entrambe le cose.»«Come capisci la differenza?» chiese Carlos, a bassa voce.Sulla loro testa, nel silenzio, la luce sfrigolò appena.«Penso che vari da persona a persona,» rispose Raven, con una scrollata di spalle. «E forse anche nel tempo. L’importante, per me, è sempre stato non lasciarmi frenare da questioni esterne. Come il nome che scegli di dare alle cose. O quello che pensi potrebbe pensare la gente.»«Sì,» disse lui lentamente, mentre l’eco di quelle parole si spegneva e lasciava altro spazio al silenzio. «Penso che tu abbia ragione»
Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))
Ma alla fine un desiderio non è altro che un bisogno folle.
Jhumpa Lahiri (In altre parole (Italian Edition))
Ero fatta, o almeno credo, per le parole, i libri, le note musicali e la danza - le cose impalpabili che nutrono l’esistenza, tracciano prospettive nuove, disegnano altre proporzioni -, ero fatta per tutte le cose che abbattono i muri e amplificano le nostre vite. “Danzando sull’orlo dell’abisso
Grégoire Delacourt
Era l' alba quando disse. -Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco. - Ne resta una di cui non parli mai. Marco Polo chinò il capo. - Venezia, - disse il Kan. Marco sorrise. -E di che altro credevi che ti parlassi? L' imperatore non battè ciglio. - Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome. E Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. - Quando ti chiedo d' altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia. - Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia. - Dovresti allora incominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così com'è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei. L' acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell' antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano. - Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, - disse Polo - Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse parlando d' altre città, l'ho già perduta a poco a poco.
Italo Calvino (Invisible Cities)
Voleva generare un’altra versione di se stessa, nello stesso modo in cui poteva trasformare un testo da una lingua a un’altra.
Jhumpa Lahiri (In altre parole (Italian Edition))
«Hai mai pensato che, forse, il punto non è che dovresti risolvere tu qualcosa? Non è una responsabilità che ti spetta.»«E cosa dovrei fare, allora?»Sembrava una domanda sincera. Come se davvero stesse chiedendo il suo consiglio – come se finalmente si stesse lasciando guardare, dopo tutto quel tempo – e a Carlos neanche interessava più che si fossero appena rivisti dopo settimane di silenzio, e una frattura che non si era ancora risanata: l’unica cosa importante, in quel momento, era trovare le parole per comunicare a quel ragazzo una verità confusa che neanche lui comprendeva del tutto, e a cui nonostante questo credeva ciecamente. In modo del tutto intuitivo.«A volte ho l’impressione che tendiamo a metterci troppo al centro del mondo,» cominciò lentamente, concentrandosi per tradurre in parole quell’idea astratta che gli era cresciuta dentro in quei mesi, modellata dalle persone che aveva conosciuto, dalle storie che aveva visto e sfiorato. «Siamo convinti che l’importante sia quello che facciamo, il modo in cui possiamo agire sugli altri. Nel bene e nel male. Influenzandoli. Ma forse il punto non è quello che facciamo, non davvero. Soltanto quello che siamo. E quanto lasciamo che gli altri lo vedano. Io non ho mai voluto che tu fossi diverso, Viv,» proseguì, il tono di colpo fervido, convinto. «Non ho mai voluto cambiarti. Avrei solo voluto che tu mi lasciassi vedere quello che sei, che fossi te stesso al mio fianco. Senza nasconderti. Senza bisogno di proteggerti. E forse questo vale anche per tuo fratello, forse vale per tutti.» Una pausa, dolorosa. Inevitabile. «Anche con te, a volte, ci sono stati momenti in cui avrei voluto abbracciarti ma non l’ho fatto, e sono rimasto a guardare mentre ti facevi consumare da qualche veleno segreto. Il giorno in cui abbiamo litigato… Non avrei dovuto forzarti, lo so, ma…» Si strinse nelle spalle. «Non sono bravo a bruciare in silenzio, io,» «E non dovresti esserlo,» ribatté Viv. «Né diventarlo. È questo che intendo, Carlos. Ti meriti qualcuno che non ti faccia sentire in quel modo.»«Potresti smettere di usare quella parola, almeno per questa sera?» L’irritazione si riaccese di colpo, come brace nella cenere. «Per te è importante solo questo, che cosa voglio io non conta?»«E cos’è che vuoi, Carlos?» ribatté l’altro, quasi con sfida.Lui lo guardò negli occhi. «Te,» disse, e non provò neanche imbarazzo. Era la verità, lo era dall’inizio; aveva impiegato troppo tempo ad ammetterla con se stesso, non aveva intenzione di continuare a nasconderla. Viv lo guardò, immobile, occhi sgranati e lucidi, labbra socchiuse. «E in questo momento?» domandò, con un filo di voce. «Più concretamente?»«Voglio abbracciarti,» rispose lui, azzardandosi infine a tendere la mano. La guancia di Viv era liscia, fredda; toccarlo fu un brivido. Lui girò la mano in modo che al posto delle nocche lo accarezzasse il palmo, e mosse lentamente il pollice sul suo zigomo. «Posso?»L’altro annuì, senza parlare; sembrò deglutire a fatica.Quando Carlos scivolò più vicino sul letto e gli passò un braccio intorno alla schiena, lo sentì rigido come doveva essere stato lui la prima volta che Viv l’aveva toccato, e al tempo stesso mille volte più fragile e inflessibile, più ferito. Per un istante ci fu solo l’eco del sangue, di nuovo fortissimo, nelle orecchie e nei polsi, alla giugulare. Poi, come in un miracolo improvviso, il corpo tesissimo che sentiva premere contro il fianco si sciolse in una postura più morbida e Viv nascose il volto contro la sua spalla; se lo ritrovò in braccio come era accaduto altre volte, in passato, su quello stesso letto, ma a differenza di allora la tensione sessuale rimase in sottofondo, una vibrazione distante
Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))
Il miglior consiglio menzionato praticamente in tutti i trattati sulla peste è: Cito, longe fugeas et tarde redeas. Vale a dire: Presto, fuggi lontano e torna tardi. In altre parole, taglia la corda e stattene via più che puoi. E' il celebre "rimedio dei tre avverbi": prosto, lontano, tardi". In latino: Cito, Longe, Tarde.
Fred Vargas (Have Mercy on Us All (Commissaire Adamsberg #4))
Non avevo voglia di aprirmi fino in fondo, gli avrei dovuto spiegare che di rassegnazione nelle mie parole non ce n’era, parlerei piú di accettazione, che significa prendere atto della realtà senza star lí a sprecare energie vitali. La distinzione è sottile, ma importante: la rassegnazione è una resa, l’accettazione è un punto di partenza. La prima ci obbliga a rinunciare a modificare le cose, a trasformare le situazioni, accettare invece ci dà la possibilità di spostare l’attenzione su altro, di restare vivi e ripartire, cercando di modellarci sul presente, di assecondare con i nostri movimenti gli attacchi della vita, come il judoka, che sa che contrastare aggredendo spesso porta solo a un dispendio di forze. Io, caro padre, accetto, non mi rassegno. Accetto di non poter cambiare alcuni aspetti di me e della mia vita, o di poterli cambiare solo grazie a enormi sacrifici. Accetto di non poter contrastare fino in fondo le mie paure, le fobie, le debolezze. Accetto quei muri grigi e la porticina laterale. Accetto di essere ipocondriaco. Non mi rassegno a dover morire, questo no, ma accetto di non poter fare nulla per contrastare questo. In fondo si tratta di accogliere l’idea che dalle cellule alle stelle tutto muore, e che un domani anche la mia fine servirà, grazie alle morti di ciascuno di noi la vita avrà lo spazio per rigenerarsi, ed evolvere. La caduta dell’albero permette alla luce di raggiungere nuovamente il terreno sottostante, cosí da far nascere un nuovo tronco. Gli atomi di cui sono composto, che forse un tempo sono appartenuti a un dinosauro, a un faraone, a Buddha, chissà, questi stessi atomi che provengono da una stella esplosa lontano, in altre galassie, dopo la mia morte rimarranno qui e torneranno in circolo, finiranno in milioni di altri organismi, senza mai fine. Si tratta forse di curvare quella che crediamo essere una linea retta fino ad avere un cerchio: non nascita, vita, morte, ma nascita, vita, morte, nascita, vita, morte, nascita, vita, morte… nascita. «La vita è solo un breve periodo di tempo in cui sei vivo». Lo disse quel genio di Philip Roth. Solo un breve periodo di tempo in cui siamo vivi. È una parentesi, in fondo, la nostra vita, e dico questo non perché voglia fare il pesante, il pessimista e il menagramo, no. Ho scherzato fino a ora e continuerò a farlo, tenterò di tenere a bada l’ansia con l’ironia e quella leggerezza che ad alcuni dà fastidio e altri non riconoscono. Ma non voglio parlare di me, desidero disquisire di vita, e di come la spendiamo. Perciò cito le parole di Roth e parlo di piccola parentesi, perché credo che il primario compito di ognuno sia rendere degna la propria esistenza, combattere con tutte le forze affinché sia tale, per non sentire di avere sprecato l’unica grande occasione che ci è stata data. Abbiamo il dovere di riempire questa parentesi di piú cose possibili, di piú cose meravigliose possibili. Dobbiamo approfittare del tempo, anzi approfittare del fatto che il tempo è poco, per lasciare un segno del nostro passaggio terreno. Lo diceva il giovane Seneca a soli venti anni: «La vita che ci è data è lunga a sufficienza per compiere grandissime imprese, purché sia spesa bene». Lo cantava anche Omero nell’Iliade: «Come stirpi di foglie, cosí le stirpi degli uomini; | le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva | fiorente le nutre al tempo di primavera; | cosí le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua». E chissà che un giorno non ci ritroveremo a volare liberi nell’aria per poi posarci sulla spalla di un nostro caro, come le farfalle monarca del Messico. «Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla», è una meravigliosa frase taoista. Ecco, questo paragrafo, questo piccolo pensiero, caro padre, è il mio atto di fede, il mio tentativo. Esisto, e un domani sarò esistito, come disse pure Margherita Hack. «Qualcuno si ricorderà di me. E se cosí non fosse, non importa».
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
Ero fatta, o almeno credo, per le parole, i libri, lento musicali e la danza - le cose impalpabili che nutrono l'esistenza, tracciano prospettive nuove, disegnano altre proporzioni -, ero fatta per tutte le cose che abbattono i muri e amplificano le nostre vite. "Danzando sull'orlo dell'abisso
Grégoire Delacourt
«Trasformare ogni "così fu" in un "così volli che fosse"! - solo questo può essere per me redenzione». Julius capì che le parole di Nietzsche significavano che doveva scegliere la propria vita: doveva vivere piuttosto che essere vissuto dalla vita. In altre parole, avrebbe dovuto amare il suo destino. E sopra a tutto c'era la domanda, così spesso ripetuta da Zarathustra, se saremmo stati pronti a ripetere precisamente la stessa vita che avevamo vissuto, sempre e in eterno nei secoli. Un curioso esperimento del pensiero; e tuttavia, più ci pensava, più la cosa gli procurava una guida: il messaggio che Nietzsche ci rivolgeva era di vivere la vita in modo tale da avere voglia di ripetere la stessa vita in eterno.
Irvin D. Yalom
Zarek era stato forte per tutta la vita e voleva continuare a esserlo. Non l'avrebbe mai legata a sé. Non sarebbe stato giusto. A volte una stella cade sulla terra. Sentì le parole di Acheron in testa. Aveva ragione; a volte succedeva, ma col tempo quella stella si omologava alla banalità e alla sporcizia del mondo. La sua era speciale. Non avrebbe permesso che diventasse come le altre. Non avrebbe permesso che venisse infangata e perdesse la sua unicità. No, il suo posto era nel cielo. Con la sua famiglia.
Sherrilyn Kenyon (Dance with the Devil (Dark-Hunter, #3))
Alla gente tutta quella falsità non fa né caldo né freddo, forse perché l'ininterrotta propaganda commerciale della vita americana le ha instillato soglie eccezionalmente alte di tolleranza per le simulazioni, le gonfiature, le distorsioni, le stronzate e le vere e proprie menzogne, in altre parole per la pubblicità in ogni sua forma.
Ben Fountain (Billy Lynn's Long Halftime Walk)
Il primo paradosso del tempo è inerente alla consapevolezza che ognuno ha di vivere in un tempo che precedeva la sua nascita e che continuerà dopo la sua morte. Questa consapevolezza individuale del finito e dell’infinito vale simultaneamente per il singolo e per la società. Infatti l’individuo che si trasforma, cresce e poi invecchia, prima di scomparire un giorno o l’altro, assiste in quel mentre alla nascita e alla crescita degli uni e all’invecchiamento e alla morte degli altri. Invecchia in un mondo che cambia, se non altro perché gli individui che ne fanno parte invecchiano anche loro e vedono generazioni più giovani prendere progressivamente il loro posto. Ci sono spiegazioni di tipo intellettuale per questo primo paradosso: sono tutte le teorie che, in un modo o nell’altro, inscenano il ritorno del medesimo. Nella maggioranza delle società studiate dall’etnologia tradizionale esistono rappresentazioni dell’eredità molto elaborate che tendono a ritenere la morte degli individui non una fine in sé quanto l’occasione per ridistribuire e riciclare gli elementi che li compongono. Le teorie della metempsicosi sono solo un tipo particolare di tali rappresentazioni. In Africa, per esempio, l’idea del ritorno degli elementi liberati dalla morte non è associata a quella del ritorno degli individui in quanto tali, anche se, nelle grandi chefferies o nei regni, la logica dinastica spinge in quella direzione. Altre istituzioni, come le classi di età, o taluni fenomeni religiosi ritualizzati, come la possessione, rientrano in quella visione immanente del mondo che tende a relativizzare l’opposizione tra vita e morte in virtù di un’intuizione non lontana dal principio scientifico secondo il quale nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Il secondo paradosso del tempo è quasi l’inverso del primo e riguarda la difficoltà per uomini mortali, e quindi tributari del tempo e delle idee di inizio e fine, di pensare il mondo senza immaginarsene una nascita e senza assegnargli un termine. Le cosmogonie e le apocalissi, in varie modalità, sono una soluzione immaginaria per rispondere a questa difficoltà. Il terzo paradosso del tempo rimanda al suo contenuto o, se vogliamo, alla storia. È il paradosso dell’evento, del fatto sempre atteso e sempre temuto. Per un verso sono gli eventi che rendono sensibile il passaggio del tempo e che servono anche a datarlo, a ordinarlo secondo una prospettiva diversa dal semplice ripresentarsi delle stagioni. Ma per un altro verso l’evento comporta il rischio di una rottura, di una lacerazione irreversibile con il passato, di un’intrusione irrimediabile del nuovo nelle sue forme più pericolose. Per un lungo periodo della storia umana le catastrofi ecologiche, meteorologiche, epidemiologiche, politiche o militari avevano il potere di minacciare l’esistenza stessa del gruppo, e lo sviluppo delle società non ha fatto svanire la consapevolezza di rischi del genere: li ha solo collocati su una scala diversa. Il controllo intellettuale e simbolico dell’evento è sempre stato al centro delle attenzioni dei gruppi umani. Lo è ancora oggi; cambiano solo le parole e le soluzioni. È anzi possibile che il paradosso dell’evento sia al suo culmine: mentre la storia accelera sotto la spinta di eventi di ogni genere, noi pretendiamo di negarne l’esistenza, come nelle epoche più arcaiche, per esempio celebrandone la fine.
Marc Augé (Che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo)
La conversazione è un pretesto per altre più sottili forme di comunicazione; quando queste ultime sono inoperanti, la conversazione diviene una cosa morta. Se due persone sono intente a comunicare l'una con l'altra, la conversazione può diventare sconcertante finché si vuole e questo non ha la benché minima importanza. Le persone che pretendono chiarezza e logica, spesso non riescono a farsi capire. Sono sempre in cerca di una trasmittente più perfetta, ingannati dalla supposizione che la mente sia l'unico strumento per lo scambio dei pensieri. Quando si incomincia a parlare sul serio, ci si libera; le parole vengono sparse senza troppo riflettere, e non contate come monetine. Non ci si cura degli errori grammaticali o di fatto, delle contraddizioni, delle menzogne e così via. Si parla. Se si sta parlando con qualcuno che sa ascoltare, questa persona capisce perfettamente, anche se le parole non hanno alcun senso. Quando incomincia questo genere di conversazione, ha luogo un matrimonio, e non importa se si sta parlando con un uomo o con una donna. Gli uomini che parlano con altri uomini hanno tanta necessità di questo genere di matrimonio quanto le donne che parlano con donne. Le coppie sposate di rado possono godere una conversazione come questa, per ragioni anche troppo ovvie.
Sexus, Henry Miller.
Perché mi interessa, da adulta, da scrittrice, questa nuova relazione con l’imperfezione? Cosa mi offre? Direi una chiarezza sbalorditiva, una consapevolezza più profonda di me stessa. L’imperfezione dà lo spunto all’invenzione, all’immaginazione, alla creatività. Stimola. Più mi sento imperfetta, più mi sento viva. Scrivo fin da piccola per dimenticare le mie imperfezioni, per nascondermi sullo sfondo della vita. In un certo senso la scrittura è un omaggio prolungato all’imperfezione.
Jhumpa Lahiri (In Other Words)
Il mio più gran difetto è la bontà illimitata. Io devo semplicemente fare del bene. Ma sono un nano ragionevole e so che non riuscirò mai a farlo a tutti. Se provassi a essere buono con tutti, col mondo intero e con tutte le creature che lo popolano, sarebbe una goccia nel mare: in altre parole, uno sforzo inutile. Perciò ho deciso di fare del bene in modo concreto, così che non vada sprecato. Sono buono con me e con chi mi è più vicino.
Andrzej Sapkowski (Baptism of Fire (The Witcher, #3))
Per lui i punti cardinali non significano granché. Gli è del tutto indifferente che direzione prendere, pur di non stare con le mani in mano. Un principio davvero degno di uno strigo. Il mondo è pieno di Male, basta solo seguire il proprio naso e distruggere il Male che s'incontra lungo la strada, servendo in tal modo la causa del Bene. Il resto viene da sé. In altre parole: il movimento è tutto, lo scopo non significa nulla.
Andrzej Sapkowski (Baptism of Fire (The Witcher, #3))
Uccidere una donna è una cosa grave. Esiste un codice ancestrale in base al quale si fa la guerra solo per proteggere dal mondo esterno la propria casa - cioè la donna che la abita, che nella casa ha il suo regno, il suo santuario. L'onore di un uomo si misura dalla sua capacità di tenere gli altri lontano dalla casa e dalla moglie. La guerra, in altre parole, si fa solo per evitare che la guerra varchi la porta di casa. La guerra si fa tra i forti, gli attivi: gli uomini, solo gli uomini.
Alice Zeniter (L'Art de perdre)
Anche scrivere un SMS mi pesa, come se costringere la lettura in luoghi angusti fosse una mancanza di rispetto. O levare ossigeno alle parole.
Michele Serra (La sinistra e altre parole strane)
Io in principio mi sforzai di tenerle dietro, ma presto di parole per l'esame ne ebbi fin troppe, e più riempivo schede più mi pareva che l'alfabeto, la grafia fonetica, perdessero terreno, lasciassero fuori gran parte del suo napoletano. Niente - pensavo - riesce davvero a fissare questa sua giostra, questo materiale sempre eccedente. E più lei diventava incontenibile, più io tendevo a concludere: basta, perché seguito a scrivere schede, la scrittura è un altro coperchio calcato su questa povera vecchia, finiamola. Intanto però mi incantavo, lasciavo che seguitasse a scoperchiarsi, a scummigliarsi. Cosa che le arricchiva i toni, le alzava il volume della voce, la infervorava al punto che come nei suoi occhi mi pareva ci fossero altri occhi, così nei suoi gesti mi pareva ci fossero altri gesti, nella sua bocca altre bocche, nelle sue parole molte, moltissime parole altrui, un vocìo sregolato che nessuno strumento era in grado di registrare, figuriamoci la scrittura.
Domenico Starnone (Vita mortale e immortale della bambina di Milano)
Non abbiamo ancora preso piena coscienza della profonda trasformazione che si sta producendo nel nostro tempo: la fine di una civiltà vecchia di sedici secoli. Dopo molte esitazioni, uso questa agghiacciante parola: “agonia”. Infatti la morte della cristianità non è affatto una morte improvvisa. D’altronde, salvo poche eccezioni, le civiltà non conoscono una morte improvvisa: si estinguono a poco a poco, in numerosi sussulti. La cristianità combatte da due secoli per non morire, e in questo consiste quella commovente ed eroica agonia. È così antica che ha creduto all’inizio di poter beneficiare di una sorta di immortalità: non era forse segnata dal sigillo della trascendenza? E poi si è creduta, come certi anziani, troppo vecchia per morire. La Chiesa è eterna per i cattolici: ci sarà sempre un gruppo di fedeli, sia pure sparuto, a costituirla. Ma la cristianità è qualcosa di completamente diverso. Si tratta della civiltà ispirata, ordinata, guidata dalla Chiesa. Sotto questo aspetto possiamo dire che la cristianità è durata sedici secoli, dalla battaglia del fiume Frigido, nel 394, fino alla seconda metà del XX secolo, con il successo dei sostenitori dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Le cosiddette riforme sociali sono essenziali per capire l’inizio e la fine. Infatti questa è davvero una civiltà, in altre parole: un certo modo di vivere, una visione dei confini tra il bene e il male. L’incredibile energia con cui la cultura cristiana lotta da due secoli per non morire dimostra chiaramente che ha davvero formato un mondo, un mondo coerente in tutti gli ambiti della vita, chiamato cristianità. Non sono d’accordo con Emmanuel Mounier quando dice che non c’è stata alcuna civiltà cristiana: «La cristianità è una “spaventosa illusione” […]. Il cristianesimo è un’alternativa nel fondo del cuore […], non un consolidamento che si stabilisce con il tempo e con il numero» . Mounier descrive qui il suo desiderio, non certo la realtà. Il cristianesimo ha costruito una civiltà, che è vissuta secondo le sue leggi e i suoi dogmi, tra mille difficoltà, per sedici secoli …
Chantal Delsol (La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo)
«Secondo la fortunata definizione del comparatista americano Henry H. Remak, «la letteratura comparata è lo studio della letteratura di là dai confini di un paese particolare e lo studio dei rapporti tra letteratura, da una parte, e, dall’altra, altre aree della conoscenza e delle opinioni, come le arti (per es. la pittura, la scultura, l’architettura, la musica), la filosofia, le scienze sociali (per es. la politica, l’economia, la sociologia), le scienze, la religione etc. In breve, è il confronto tra una letteratura e un’altra o altre, e il confronto tra la letteratura e altre sfere dell’espressione umana». Il comparatismo rivolge un’attenzione speciale alla dinamicità delle strutture e degli stili. Considera il testo nella sua instabilità temporale e quindi lo sottopone a continui test di verifica da punti di vista diversi: storico, linguistico, formale, morale, filosofico, estetico, antropologico. Lo vede formarsi, non formato, e lo considera parte di un certa cultura, non monade a sé stante di valori incondivisibili. Dunque, il comparatismo si applica altrettanto bene al singolo che alla coppia di autori (secondo il paradigma della synkrisis ellenistica, ripreso da Plutarco nelle sue Vite parallele) o a un periodo di tempo. È piuttosto un atteggiamento critico che un procedimento pratico. Di qui la varietà delle sue manifestazioni: sono ugualmente comparatisti, almeno oggi, tanto chi studia la formazione dei generi letterari attraverso l’evoluzione delle forme in una o più letterature quanto chi spiega i generi sessuali attraverso i procedimenti linguistici del narratore. In entrambi i casi si tratta di stabilire le tecniche dell’identità e i modi della rappresentazione (o, con il fortunatissimo termine di Aristotele, della mimesi). Il comparatismo è insito nell’esercizio stesso del leggere. Non si dà mai lettore così sprovveduto che non stabilisca di volta in volta, entrando in rapporto con la scrittura di altri, confronti con letture già fatte o anche solo con referenti reali (la sua vita e il suo universo di conoscenze), né scrittore così originale che non convogli nel suo testo suggestioni esterne, derivate dalla sua esperienza del mondo e di opere altrui. Comparare, dunque, pertiene alla natura stessa dell’esperienza letteraria, sia quella dell’autore che quella del fruitore, in quanto atto creativo della memoria. Tanto è vero che certe opere, lette dopo certe altre, assumono sensi e sovrasensi che, lette prima, non assumerebbero. Un atto comparativo, appunto, è la lettura per Virginia Woolf: «“We have only to compare” – with those words […] the true complexity of reading is admitted», «“dobbiamo solo essere comparativi” – con tali parole […] è riconosciuta la vera complessità della lettura» (How Should One Read a Book?, 1926, poi nel volume di saggi The Common Reader, 1932). In letteratura non c’è individuo che, a un’analisi approfondita, non riveli di appartenere contemporaneamente a più ordini di caratteristiche e di tempi e che quindi non si possa prestare a un’indagine comparatistica. Di qui anche la molteplicità dei metodi comparatistici. Al comparatista l’individuo, cioè il singolo testo o il singolo aspetto di un’opera, appare, insomma, non tanto come il punto di una retta quanto come il punto di intersezione di rette virtualmente infinite. Il modello della letteratura comparata non è la linea di una progressione, cioè il modello della storia letteraria e delle letterature nazionali, bensì la zona in cui insiemi diversi si sovrappongono. Tutte le più grandi personalità dell’arte e della letteratura giungono a determinare inconfondibilmente la loro fisionomia attraverso un ravvicinato confronto con l’opera dei contemporanei e dei predecessori e non attraverso l’isolamento e l’obliterazione dei contatti. Per questo alcuni autori sono particolarmente adatti alle indagini comparatistiche, anzi, con la loro complessità culturale, hanno determinato ... >>
Nicola Gardini (Letteratura comparata: Metodi, periodi, generi)
Chi ha detto che sei materia inerte, quasi un vegetale estirpabile con un cucchiaio? Se voglio liberarmi di te, sostengono, questo è il momento. Anzi il momento incomincia ora. In altre parole, avrei dovuto aspettare che tu diventassi un essere umano con gli occhi e le dita e la bocca per ammazzarti. Prima no. Prima eri troppo piccolo per essere individuato e strappato. Sono pazzi.
Oriana Fallaci (Letter to a Child Never Born)
Mi occupo di ciò che c'è da fare, di quello che è alla portata delle mie capacità di bambina. Concedo respiro allo zio e alla mamma, mi sento buona e amata. Una brava bambina diligente. Quando la zia muore, io ho dodici anni e mi sento di colpo sola. "Questo lavoro, si vede che ti fa star male, allora perchè lo fai?" "Faccio questo lavoro perchè l'ho scelto, signora, perchè ho fatto una promessa. E non sono abituata a scappare solo perchè le cose sono troppo difficili." "Ma non puoi nemmeno rovinarti la vita per una promessa. Neanche se quella promessa l'hai fatta a te stessa". Credi di avere tutto sotto controllo. Pensi di essere nel posto giusto, nel pieno del tuo potenziale, a fare quel che vuoi. E poi basta una cosa così, bastano una domanda e due parole dette da un'estranea. E di colpo, nel riflesso dello specchio, ti sembra di scorgere un viso che non riconosci più. (...) Però, se siamo qui, significa che siamo state tutte toccate, in un modo o in un altro, dalla sua maniera accogliente di stare al mondo. "Speravo di non trovarti ancora qui. A volte ci sono cose che facciamo perchè dobbiamo. Altre che invece facciamo perchè vogliamo. Il fatto è che siamo spesso i nostri peggiori nemici, perchè preferiamo fare quello che ci riesce, o ciò che le persone che amiamo si aspettano da noi, piuttosto che fare quello che ci piace davvero. Preferiamo sentirci adatti a un ruolo già scritto, andare sul sicuro. E alla mia età posso dirtelo serena: è un gran peccato". "Perchè si preoccupa tanto? Perchè si interessa del mio lavoro?" "Perchè l'interessamento dev'essere a senso unico? Solo tu puoi prenderti cura di me?" "Beh, l'infermiera sono io". "E questo stabilisce parti impermeabili? Sei tu quella che cura, allora credi di non poter star male? Di non aver mai bisogno di aiuto?" "E da cosa avrei bisogno di essere salvata, io?" "Forse da te stessa. Forse la rabbia non è l'unica gabbia dentro la quale si può rimanere prigionieri. Il senso di responsabilità, il timore di deludere o ferire chi ci ama, possono essere anche peggio. Io ho fatto esperienza di entrambi, per questo so riconoscerli negli occhi delle persone". Basta questa frase, e sento la mia intera vita traballare. Pensi che a te non succederà mai. Credi di sapere chi sei, l'hai sempre saputo, hai cominciato presto a nutrire i tuoi obiettivi e ti sei costruita con cura, un pezzettino per volta. Sei convinta che questo ti terrà al riparo da tutto. E invece, in un pomeriggio di metà agosto, capisci che non stai combattendo i mostri ma che il tuo mostro ha divorato te. Rifletto sulle sue parole e mi rendo conto che a portarmi qui, a trattenermi negli anni, è stata quella bambina che credeva di poter essere amata solo facendo la brava, quella che esisteva esclusivamente attraverso l'approvazione degli altri, tormentata dall folle e inconfessata paura che, se avesse smesso di compiacerli, il loro amore sarebbe scomparso. Quella che non si era mai concessa la possibilità di fare una cosa sbagliata, di correre un rischio, di accettare di sentirsi sola o spaesata. Quella che adesso, d'un tratto, in una camer d'ospedale, davanti a una donna vicina alla fine, si accorge di aver scalato una montagna che non era la sua. Un paio di occhi buoni, quella mattina, mi cambiano la vita in un attimo.
Matteo Bussola (Il rosmarino non capisce l'inverno)
parli
Jhumpa Lahiri (In altre parole (Italian Edition))
Hai una mente interessante e preziosa, piccolo Taylor, sarebbe stato uno spreco ucciderti" rispose, confondendo ancora di più le idee del minore, che aggrottò le sopracciglia. "N-non credo sia possibile, voglio dire, non s-sono neanche così intelligente, non ho doti particolari..." sussurrò, scervellandosi per comprendere le parole dell'altro, che alzandosi con fare predatorio si avvicinò lentamente a lui. "Stai forse insinuando che io sia un bugiardo? O che mi sia sbagliato?" domandò Dunken, chinandosi davanti alla poltrona sgangherata sulla quale era seduto il ragazzo. A quelle parole Taylor alzò il voltò, puntando gli occhi perplessi in direzione del maggiore. Una mano di Dunken, più calda di molte altre volte, sfiorò la sua guancia, come faceva spesso, mentre con il pollice tracciava una linea immaginaria sul suo labbro inferiore, fermandosi lì, al centro della sua bocca carnosa, in un gesto che Taylor aveva compreso piacere molto all'uomo. "N-no, non è così, è che io davvero n-non so cosa ci sia di prezioso o speciale in me" si giustificò il ragazzo, parlando contro il pollice del killer, ancora fermo sul suo labbro. "Il modo in cui ragiona la tua mente, sei un bellissimo enigma, tanto forte quanto fragile, mai solo una delle due cose. Fidati di me, sei un vero diamante" bisbigliò Dunken, affondando le dita - con movimento lento e delicato - tra i capelli del minore, che a quel gesto socchiuse gli occhi, beandosi del tocco gentile dell'uomo
Elena Grimaldi (Hunted: Tematica gay)
«Siamo lupi, Faith. Non ci serve tempo per capire le cose, lo sentiamo con l’istinto, lo fiutiamo tramite i nostri poteri. Lo senti che sono sincero, lo sai quanto ti voglio. Eppure, a te non basta.» Mi scosto della sua carezza, quello che dice è vero. Noi lupi non abbiamo bisogno di tempo per capire quello che prova un altro lupo e, forse non mi basta per perdonarlo. Però farò il mio dovere, farò quello che devo fare. Anche se mi fa molta paura. «No, hai ragione. Non mi basta per perdonarti, ma mi legherò a te e ti darò dei figli.» Il suo sguardo è durissimo e, poi scoppia a ridere. Di una risata però amara e triste e, io lo osservo mentre continua a parlarmi. «E come pensi di fare? Chiuderai gli occhi rimanendo inerme nel letto finché non ho finito?» «Io non…» Abbasso lo sguardo abbattuta da quello che ha appena detto. Lo so che in questo momento succederebbe proprio questo, io non lo so se sono in grado di permettergli di nuovo di avvicinarsi ancora al mio corpo in quel modo. Non so se sono in grado di rifare di nuovo l'amore con lui. Mi alza dolcemente il viso e i nostri occhi si incontrano nuovamente. «Faith, io ti voglio davvero. Guardarmi.» Rimango in silenzio e ascolto le altre parole che ha da dirmi. Con il cuore che mi batte fortissimo, per una serie di emozioni differenti. «Ti voglio come compagna. Voglio complicità, voglio fiducia e rispetto reciproci. Voglio sapere che ti senti davvero mia e che ti senti fiera di me come lupo e come leader.» «Io in questo momento ho solo tanta paura.»
Barbara Pedrollo (Il bacio del lupo (Italian Edition))
Quando ho capito che le differenze che vedevo nascere in me rappresentavano (incomprensibilmente) solo problemi, ho deciso che forse sarebbe stato più saggio non mostrarle al mondo. Con grande dolore, perché erano parte di me. È proprio lì che è nata l'ambivalenza del mio sentimento verso l'idea di diversità: da un lato l'ho sempre considerata come la cosa più naturale del mondo, siamo tuttə diversə, le differenze sono quello che rendono il mondo un posto in cui valga la pena vivere e per questo vanno tutelate e rispettate. D'altra parte ho cominciato a soffrire al pensiero che proprio questa varietà, questa idea così complessa e quasi indefinibile, dovesse essere a sua volta infilata in una categoria e, secondo i metodi utilizzati per definire la normalità, suddivisa in tante altre piccole categorie. Oggi so che questa mia insofferenza verso la tassonomizzazione della diversità nelle sue molteplici espressioni ha a che fare con la convinzione - che fino a poco tempo fa era un'idea senza nome - che la diversità sia intersezionale; non mi è mai piaciuto dover definire la diversità solo in quanto opposta alla normalità, perché utilizzando questo sistema sarà sempre qualcosa di inferiore. Se non siamo in grado di definire la diversità come un concetto autonomo e non necessariamente come contrario di normalità, non riusciremo a liberarla dallo stigma sociale. Altrimenti l'inclusione resterà sempre un processo che parte dalla normalità - percepita come la cosa giusta - e investe una diversità tutto sommato passiva, desiderosa di entrare a far parte del club delle persone sane, normali, di quelle che non vengono additate come difettose o strane. È questa l'idea di diversità che non mi piace, una diversità dipendente dall'idea di una normalità che, paradossalmente, è inesistente in natura.
Fabrizio Acanfora (In altre parole. Dizionario minimo di diversità)
Bisogna vigilare attentamente, porsi domande, informarsi; è necessario comprendere il significato delle parole che utilizziamo perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, esse contribuiscono a formare la realtà nella quale viviamo tanto nel bene come nel male. La diversità, quando intesa come naturale varietà dell'esperienza umana, è in realtà un vaccino che, inoculato in una cultura, la protegge dal conformismo e dalle ideologie repressive, dalla censura e dal pensiero unico.
Fabrizio Acanfora (In altre parole. Dizionario minimo di diversità)
Sveglia, ero oppressa da un incubo: nell'appartamento di sopra, in quello contiguo, nei bianchi casamenti moderni che sorgevano accanto al nostro, in tutte le case di Roma, in tutte le case del mondo, vedevo le donne sveglie nel buio, dietro l'invalicabile muro delle spalle maschili. Parlavamo lingue diverse, ma tutte tentavamo invano di far udire le stesse parole: nulla poteva attraversare l'incrollabile difesa di quelle spalle. Bisognava rassegnarsi ad essere sole, dietro il muro, e stringerci tra noi, sorreggerci, formare un grumo di sofferenza e di attesa. Era il solo conforto che ci fosse consentito, insieme a quello di lavorare, partorire, piangere, e questo davvero era il nostro sollievo: piangere, sole, sedute nelle cucine azzurre che al tramonto divengono livide e tristi, nelle cucine grigie dove i ragazzini giuocano in terra e spesso anche loro piangono con voci lugubri e già adulte. Alcune tra noi, come la Nonna, si appagavano nell'esser padrone dei grandi armadi della biancheria, cupi e solenni come bare: altre, senza saperlo, si riducevano addirittura a dimenticare se stesse in un seguito di giorni ricchi, futili, mondani. Ma tutte, talvolta o sempre, dormivano nel freddo, dietro un muro. Tutte. Le sentivo gemere, implorare, senza essere udite: perché la voce di una donna è solamente povero fiato; e il muro è pietra, cemento, mattoni. ("Dalla parte di lei")
Alba de Céspedes
Dov'era Amore (o l'Es, parafrasando Freud), là sarà l'io (o l'anima razionale, o il libero arbitrio); è esattamente su questo punto che Dante prende le distanze dalle gru guinizzelliane e dalle parole di Francesca, e s'innalza al proprio paradiso in cui ragione e talento, disio e velle sincronizzano i propri moti come ingranaggi di un ordigno celeste, affidandosi al solo Amore con la maiuscola, alla sola ipostasi, che d'altra parte non è più un'ipostasi perché gode di esistenza reale: l'energia cosmica, la potenza divina che move il sole e l'altre stelle.
Francesco Fioretti (Di retro al sol: Scritti danteschi (2008-2015))
Il mio più gran dietto è la bontà illimitata. Io devo semplicemente fare del bene. Ma sono un nano ragionevole e so che non riuscirò mai a farlo per tutti. Se provassi a essere buono con tutti, col mondo intero e con tutte le creature che lo popolano, sarebbe una goccia nel mare: in altre parole, uno sforzo inutile. Perciò ho deciso di fare del bene in modo concreto, così che non vada sprecato. Sono buono con me e con chi mi è più vicino.
Andrzej Sapkowski (Baptism of Fire (The Witcher, #3))
Sapete molto del purgatorio? È il luogo tra il paradiso e l'inferno, dove coloro che sono rimasti indietro, incapaci di entrare in paradiso, continuano a soffrire, un luogo di lotta e dolore. In altre parole, il mondo in cui ci troviamo ora.
Vincent Volaju
Di solito i giovani non fanno quello che fanno perché devono farlo, perché lo considerano imperdonabile. Al contrario: non appena si accorge che qualcosa deve essere fatto, che è inevitabile, cercherà di evitarlo e, se non ci riesce, porterà a termine il compito con tristezza e riluttanza. La mancanza di logica che ciò implica appartiene al magnifico tesoro di incongruenze in cui, fortunatamente, consiste la gioventù. Il giovane si imbarca con entusiasmo solo in quelle occupazioni che gli sembrano revocabili, cioè non forzate, che potrebbero benissimo essere sostituite da altre, né più né meno opportune e consigliabili. Deve pensare che in qualsiasi momento è in suo potere lasciare quel lavoro e passare a un altro, evitando così di sentirsi prigioniero di un unico compito. Insomma, il giovane non si attacca a ciò che fa, o, in altre parole, anche se lo fa con grande cura ed eroismo, non lo fa quasi mai in tutta serietà, ma nel suo intimo segreto rifiuta di sentirsi irrevocabilmente impegnato e preferisce rimanere permanentemente disponibile a fare qualcos'altro e persino il contrario.
José Ortega y Gasset (Misión del bibliotecario)
Che cos'è, in letteratura filosofica, un capolavoro? È un'opera inedita quanto a forma e sostanza, un'opera che non si può duplicare e dopo la quale, nell'ambito in questione, le cose non possono essere più come prima. È un'opera che non si esaurisce mai, per quante volte la leggiamo. In altre parole, è un testo che le riletture non riescono ad esaurire e di cui anzi queste riletture contribuiscono ogni volta ad aumentare il livello di comprensione rispetto alle pagine che già conosciamo. È un'opera in cui si concentrano altre opere, un'opera che quando è giovanile come in questo caso, ne può contenere altre in germe, oppure un'opera che raccoglie anni di letture, di meditazioni, di riflessioni, di scritture. È un'opera impossibile da riprodurre in quanto tale senza evitare il pericolo di plagio, ma che inevitabilmente spinge i suoi lettori a scrivere altre opere, teoriche o pratiche. È un'opera che cambia la vita del suo lettore: la sua visione del mondo. La sua teoria(l'etimologia fa derivare da questa parola da “contemplazione”), ma anche il suo modo di stare al mondo, la sua esistenza concreta, la sua partica esistenziale. È un'opera che non riprendiamo mai senza tremare di felicità.(Cfr. pag 95 "L'ordine libertario" - Vita filosofica di Albert Camus
Michel Onfray
Divorzio e referendum sul divorzio. La norma religiosa nello spazio pubblico Il secondo punto che avrei voluto discutere con Giussani riguarda un episodio raccontato nel libro, che merita a mio avviso una riflessione più profonda, più dettagliata, perché ha un significato più che storico. Riguarda, infatti, la posizione della religione nello spazio pubblico, allora e oggi. Si tratta del coinvolgimento di CL nel referendum Fanfani del 1974, che cercava di abrogare la legge che permetteva il divorzio. CL, guidata da Giussani, sosteneva il «Sì» seguendo fedelmente le indicazioni della CEI. C’era qualche voce dentro il movimento (vedi a pagina 458) che consigliava diversamente, e non per ragioni di principio ma di opportunità politica. Come sappiamo, la proposta abrogativa fu sconfitta clamorosamente. All’indomani del voto Giussani ha reagito in modo assai militante, quasi amaro. Ma in dieci anni il suo pensiero è diventato più sottile. Cito da pagina 459: il referendum «portò alla ribalta una situazione fino ad allora non da tutti chiaramente percepita; e soprattutto poco percepita all’interno della Chiesa istituzionale, dove spesso si continuava malgrado tutto a credere che l’Italia fosse un paese ancora incontestabilmente e largamente cattolico. […] Valutando la questione a posteriori penso di poter concludere che una presa di coscienza della situazione così chiara ed inequivocabile, anche se brutale, fu meglio per la Chiesa di quel che altrimenti sarebbe potuto accadere: che cioè il declino della presenza cattolica nella società italiana continuasse in modo strisciante, ed inavvertito da molta parte della Chiesa istituzionale». Se avessi avuto la possibilità di discutere con Giussani, gli avrei domandato: «Secondo lei, se la situazione sociale in Italia fosse stata diversa, cioè se il Paese fosse stato ancora incontestabilmente e largamente cattolico, sarebbe stata una giustificazione per votare “SÌ” all’abrogazione?». A mio umile avviso, anche in queste condizioni sarebbe stato un errore votare «SÌ», perché in questo modo si nega la volontà di Dio e, se ho capito bene, anche l’insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto fra la religione e il potere coercitivo dello Stato. Come ha spiegato con chiarezza e coraggio Benedetto XVI davanti al Bundestag, esistono norme religiose che, pur essendo religiose, sono spiegabili nei termini della semplice ragione di cui Dio ha dotato tutti gli esseri umani. Il monito: «Non uccidere» si trova nei Dieci Comandamenti, parole rivelate direttamente di Dio. Ma anche senza questa rivelazione sarebbe giustificabile davanti ai credenti e ai non credenti. La sua coincidenza con la rivelazione può aggiungere un’ulteriore motivazione per il credente, per il quale uccidere non sarà solo un reato contro la legge e contro le norme morali e l’etica generale, ma anche un peccato davanti a Dio. E il credente, senza alcuna esitazione, può mobilitarsi perché diventi legge generale applicata e tutelata dallo Stato con tutto il suo potere coercitivo. Ma l’indissolubilità del matrimonio cattolico è una questione diversa. È, infatti, espressione del concetto di matrimonio «sacramentale» (la parola non ha alcun significato nel vocabolario dello Stato non confessionale), che distingue lo sposo cattolico non soltanto dai suoi concittadini non credenti, ma anche dai credenti di altre religioni (come Protestanti, Ebrei e Musulmani che, pur avendo il matrimonio sacramentale, prevedono la possibilità del divorzio). C’è un elemento molto particolare nel matrimonio cattolico (che secondo tanti è un elemento molto nobile), perché esso è concepito come un’unione che coinvolge tre parti, i due sposi e Dio, che assegna a tale unione un valore addirittura sacramentale, che assegna una certa santità (un’altra parola che non esiste nel vocabolario dello Stato non confessionale) al matrimonio e che ne spiega e giustifica l’indissolubilità in termini religiosi. Il matrimonio civile, però, è del tutto diverso. Per la mia
Alberto Savorana (Un'attrattiva che muove: La proposta inesauribile della vita di don Giussani)
La compagnia non è la semplice evoluzione della tua capacità affettiva, ma è un’opera che lo Spirito costruisce sulla fragilità del tuo sì... Secondo me, se ripetete cento volte questa frase, è molto meglio che cercare altre parole con cui spiegarla.
Luigi Giussani (Affezione e dimora - Quasi Tischreden - Volume 5 (Italian Edition))
In uno dei suoi saggi, Javier Marías indica che i suoi libri riguardano tanto ciò che non è successo quanto ciò che è successo. In altre parole, la maggior parte di noi crede che siamo ciò che siamo per via delle decisioni che abbiamo preso, per via degli eventi che noi abbiamo plasmato, per via delle scelte delle persone intorno a noi. Di rado prendiamo in considerazione il fatto che siamo altresì formati dalle decisioni che non abbiamo preso, dagli eventi che avrebbero potuto succedere ma non si sono potuti verificare, o anche, in effetti, dalla nostra mancanza di scelte.
Rabih Alameddine (La traduttrice)
Quello che si svolgeva alla Deutsche Eiche quella sera, come migliaia di altre sere, era il rito di una comunità. Gli atteggiamenti, i gesti, le parole, l’abbigliamento, quegli stivali e quelle borchie, tutto era coerente allo svolgimento di una liturgia dalla quale Leo si sentiva profondamente escluso ma che, nello stesso tempo, gli apparteneva. E se lui spiava quei comportamenti, se, in sostanza, stava bene in quel posto era perché era consapevole di assistere al modo in cui una minoranza risolveva il problema della propria diversità. Non partecipava a quella messinscena. Ma ne riconosceva la motivazione. E riconoscendola la legittimava”
Pier Vittorio Tondelli
Ascoltami Daemon. Questo non è colpa tua. Non cambierei assolutamente nulla. D’accordo? Sì, le cose sono andate male, ma passerei tutto di nuovo se dovessi farlo. Ci sono cose che, potendo, mi piacerebbe cambiare, ma non te… mai. Ti amo. E questo non cambierà mai”. Le sue labbra si socchiusero in un sospiro, “Dillo di nuovo,” mormorò. Passai il polpastrello del mio dito sul suo labbro inferiore, “Ti amo.” Mordicchiò il mio dito. “Anche le altre parole.” Inclinandomi, gli baciai la punta del naso. “Ti amo. E questo non cambierà mai”.
Jennifer L. Armentrout (Origin (Lux, #4))
I ragazzini sono degli stronzetti. A scuola tutti pensano solo all’apparenza. È così che funziona. Hai degli amici in polizia? A loro non importa che aspetto hai. Gli interessa se fai il tuo lavoro e se gli copri le spalle quando serve.” Si allungò un po’ in avanti e gli sorrise. “Ti renderai conto che è anche quello che vogliono un compagno o un amante. A loro importa come sei come amante. Se ti importa di loro, se li ami, se li ascolti. In altre parole, quanto bene fai il lavoro di essere il compagno di qualcuno, e sì, vogliono anche sapere che gli coprirai le spalle quando serve. Tu tutto questo sai farlo. Fai in modo che si veda. E piantala di ascoltare quella vocina che continua a dirti che tu non sei abbastanza, perché lo sei.” “Vorrei che fosse così facile,” mormorò Red. Dio, lo voleva più di qualsiasi altra cosa. “Niente che valga la pena di ottenere è facile, lo sai, quindi ci dovrai lavorare. Ma se Terry ti piace quanto penso, ne varrà la pena
Andrew Grey (Fire and Water (Carlisle Cops, #1))
«Io non ho mai fatto intendere nulla a miss Harrison – sussurrò contro la sua pelle – l'ho sempre rifiutata come avete visto voi stessa». «Forse vi devo anche ricordare che nel nostro accordo c'è la libertà di non essere fedeli l'uno all'altra?» disse ancora la donna. Ma la sua voce era roca, disturbata dal calore del corpo di Roderick e dal suo profumo. «E io non intendo avvalermi di tale clausola» confermò lui con voce rotta. «Perché non dovreste farlo?». Scese un silenzio denso durante il quale le braccia forti del conte Chesterton non la lasciarono libera e le sue labbra cominciarono a baciare le sue spalle nude per poi salire verso il collo e arrivare all'orecchio. «Perché sono innamorato di te» soffiò pianissimo. Elinor percepì il calore del suo respiro dolce e fu invasa dal suo profumo e dalla confusione. «Perché l'unica donna che mi accende i sensi – riprese lui – l'unica donna che voglio nella mia vita e nel mio letto sei tu, le altre non riesco nemmeno più a vederle». Elinor sentì che presto avrebbe ceduto al pianto. La confusione che stava straziando la sua anima stava diventando insopportabile. Avrebbe voluto dirgli che anche lei era innamorata di lui, che lui era l'unico che occupava i suoi pensieri e le sue fantasie ma sapeva che se voleva mantenere fede a se stessa e provare a diventare la persona che aveva sempre desiderato diventare avrebbe dovuto lasciarlo, partire per Parigi, andare lontano da lui. La lontananza avrebbe procurato uno strappo tra di loro che sarebbe stato forse impossibile ricucire, anche se si fossero impegnati a mantenere un contatto attraverso il debole filo di un rapporto epistolare. Le lettere, però, erano solamente parole scritte su un pezzo di carta. Roderick Chesterton aveva chiaramente dichiarato di non essere incline a comunicare attraverso missive e lei sapeva che il motivo era il fatto che le parole, seppur scritte, non potevano compensare la presenza fisica di una persona, non potevano compensare il contatto di due corpi, i baci o gli abbracci, non potevano rendere forti le fondamenta di una relazione. Quelle stesse parole con il tempo sarebbero diventate solo simboli svuotati del loro stesso significato. In quel momento lui avrebbe sentito il bisogno di cercare il calore di un'altra donna, di un'altra relazione, sarebbe stato in quel momento che lo avrebbe perso definitivamente, senza possibilità di recupero. Le labbra del conte raggiunsero le sue baciandole con passione. Il sapore di crema della bocca di lei si mischiò ai baci bollenti e intensi che lui non interrompeva, mentre le sue braccia stringevano il corpo di Elinor quasi soffocandola. «Io amo te – concluse l'uomo con voce rotta senza smettere di baciarla – io voglio solo te».
Carragh Sheridan (Fin de Siècle. Dove prendono casa gli Angeli (Italian Edition))
Danijar riprese il canto. L’inizio era sempre così timido, malsicuro, ma a poco a poco la voce prese forza, riempì la valle, andò a risvegliare l’eco nelle rocce lontane. Ciò che mi sorprendeva di più era la passione, l’ardore che permeava la melodia stessa. Non sapevo come chiamare tutto questo, e non lo so tuttora, o più esattamente non posso dire se quella fosse soltanto la voce o qualche cosa di ben più importante che usciva dal cuore stesso dell’uomo, qualche cosa capace di suscitare negli altri una simile emozione, capace di animare i più segreti pensieri. Se mi fosse possibile, in qualche modo, riprodurre la canzone di Danijar! In essa non c’erano quasi parole, essa apriva senza parole l’anima profonda dell’uomo. Né prima, né dopo, mai ho udito una canzone simile: non somigliava né alle canzoni kazake, né alle canzoni kirghise, ma c’era in essa qualcosa delle due e delle altre. La musica di Danijar portava in sé tutte le più belle melodie dei due popoli fratelli e le fondeva in una sola canzone impossibile a ripetersi. Era una canzone dei monti e delle steppe, che ora s’alzava sonora come i monti kirghisi e ora si stendeva senza barriere come la steppa kazaka.
Chingiz Aitmatov (Jamilia)
Se i film scomparissero dal mondo. Una cosa è il fenomeno per cui un oggetto sparisce dal mondo, un'altra è la realtà a esso collegata. In altre parole, quello che pesava maggiormente non era la scomparsa dell'oggetto fisico in sè, ma la portata della sua scomparsa. La scomparsa di qualcosa non può essere espressa in cifre. Anche gli oggetti più piccoli, impossibili da riconoscere a occhio nudo, nel loro piccolo potevano avere un impatto enorme sulle nostre vite al punto da stravolgerle da cima a fondo. Anche tutte le cose in apparenza superflue erano in realtà preziose per il mondo. Insieme, plasmavano i contorni delle figure umane. Io stesso sono l'insieme degli innumerevoli film che ho visto e dei ricordi che hanno evocato. Un insieme di sequenze in cui si vive, si piange, si grida, si ama. In cui si susseguono le belle canzoni, i paesaggi commoventi, le immagini nauseanti. Immagini che albergavano nel mio animo assieme alle persone che mi avevano accompagnato in quelle stesse avventure. Io sono i miei ricordi, i mille e più film visti fino a questo momento. Ogni singolo frammento di memoria era meraviglioso e commovente. Uno dopo l'altro, ho cominciato a disporli in sequenza e sgranarli al pari di un rosario. Stavo costruendo la mia corona di preghiera, dove speranza e disperazione erano tenute insieme da un filo. Non mi ci è voluto molto per comprendere che tutte le coincidenze della vita costituivano una sola, grande inevitabilità.
Genki Kawamura (If Cats Disappeared from the World)
Se gli orologi scomparissero dal mondo. Mi sentivo perso e senza punti di appoggio. Quanti minuti erano trascorsi da quando mi ero svegliato? In genere controllavo l'ora sulla sveglia accanto al letto, ora però mi era impossibile perchè gli orologi erano scomparsi. Cominciavo a sentirmi trascinato in un vortice senza tempo e senza età. Gli esseri umani dormono, si svegliano, lavorano e mangiano in base a una tabella oraria stabilita da loro stessi. Conducono un'esistenza impostata sugli orologi. In altre parole, prima hanno inventato il sistema dei giorni, dei mesi e degli anni, ovvero del tempo in generale, per imporsi dei limiti, poi hanno inventato gli strumenti per misurare quegli stessi limiti. La libertà comporta ansia e insicurezza. Gli esseri umani avevano ceduto la libertà totale in cambio dalla certezza data dalle regole e dalle abitudini. Tutti i momenti che avevo vissuto più o meno in maniera inconsapevole cominciavano ora ad acquisire importanza. Quante altre mattine mi sarei alzato insieme a Cavolo? Nel tempo che mi rimaneva, quante altre volte avrei ascoltato la mia canzone preferita? Quante altre volte avrei bevuto il caffè? Mentre ci pensavo, ho udito il ticchettio delle lancette di un orologio. Al colmo dello stupore, mi sono voltato di scatto verso il letto, ma ovviamente la sveglia non era al suo posto. Però avvertivo la presenza di qualcosa alle mie spalle, qualcosa che mi dava sostegno. Ho cominciato a udire milioni e milioni di ticchettii, che nel breve intervallo di un istante si sono trasformati nel battito dei cuori di tutte le persone che vivevano in questo mondo. La torre dell'orologio illuminata dai primi raggi di sole. Fidanzati che si danno appuntamento ai piedi della torre. Salto sul tram che è arrivato in ritardo. Arrivo davanti a un piccolo negozio di orologi. Odo il ticchettio Scandiscono il tempo. E' un suono familiare, lo conosco da quando ero piccolo. Regola la mia vita e la rende libera. Il mio cuore comincia a trovare la pace. E, poco alla volta, il suono si allontana fino a scomparire.
Genki Kawamura (If Cats Disappeared from the World)
Perché certe parole sembrano davvero battezzare le cose, mentre altre le nominano soltanto? Voleva vedere i coralli perché coralli era il nome e non è possibile essere tanto vicini a qualcosa che ci chiama corallo e non voler vederla a tutti i costi. (Angelo Argera)
A.A.V.V. (L'ordine sostituito)
I veicoli elettrici sono meccanicamente molto più semplici da progettare. La maggior parte del loro valore aggiunto - e il profitto che consentono - deriva dal software che le governa e connette l'auto al cloud e dai dati che derivano da questo. La grande inflazione, in altre parole, sta costringendo l’industria tedesca a produrre beni che si affidano molto di più al capitale cloud che a quello tradizionale. Il problema allora è questo: paragonati ai loro corrispettivi americani e cinesi, i capitalisti tedeschi non sono riusciti a capire abbastanza in fretta i benefici dell’ investire nel capitale cloud- del diventare cloudalisti- e sono rimasti molto indietro in questa nuova partita. In termini pratici, si stanno mettendo fuori da una posizione competitiva. Incapaci di raccogliere sufficienti rendite cloud, i plusvalori tedeschi soffriranno e così sarà per l’economia dell’ Unione Europea - e la sua cittadinanza- dipendente dai plusvalori tedeschi.
Yanis Varoufakis (Tecnofeudalesimo: Cosa ha ucciso il capitalismo (Italian Edition))
Secondo la "Raccolta degli insegnamenti orali", tutte le forme di vita dell’universo, a prescindere dalla loro condizione temporale, sono essenzialmente dirette verso la Buddità. In altre parole, l’impulso fondamentale della vita è l’aspirazione alla Buddità, l’impulso a unirsi alla forza vitale cosmica e a ritornare alla sua essenza. Questo impulso, che è più forte dell’amore, dell’odio, della ragione, del desiderio e addirittura della volontà di vivere, si trova nel nucleo più intimo di ogni vita individuale, anche se spesso è celato dal desiderio e dall’ignoranza. Tuttavia esiste in tutti gli esseri, ed è il più fondamentale desiderio umano.
Daisaku Ikeda (La vita: Mistero prezioso (Italian Edition))
...in un suo scritto Nichiren definisce il primo dei dieci fattori, l’apparenza, come “la forma e il colore del nostro corpo”. In altre parole, l’apparenza rappresenta l’aspetto fisico della vita.
Daisaku Ikeda (La vita: Mistero prezioso (Italian Edition))
...Nichiren afferma: “Apparire e accomiatarsi corrispondono alla nascita e alla morte. [...] Apparire è la concentrazione del cosmo in una mente, accomiatarsi è la dispersione di una mente nell’universo.” In altre parole, la nascita indica la concentrazione della vita universale in un Sé individuale, mentre la morte è la dispersione del Sé individuale nel continuum universale. [...] Nel momento della morte, il Sé entra nello stato di kū, in cui si confonde con tutti i generi di forze potenziali, proprio come nell’etere le onde radio sono mescolate tra loro. Quando il “ricevitore” adatto è disponibile, il Sé può riapparire come un’entità percettibile nel mondo fenomenico.
Daisaku Ikeda (La vita: Mistero prezioso (Italian Edition))
[...] che vedi che anche se hanno la stessa iniziale mamma madre e maestra sono cose diverse, cioè mamma e madre sono la stessa cosa, mamma e maestra sono cose diverse, come madre e maestra sono cose diverse. Che hanno la stessa iniziale montagna madre mamma maestra, come mare miracolo mistico mio meraviglia me more, sono tutte parole che hanno la stessa iniziale ma sono cose diverse, tranne madre e mamma che sono la stessa cosa e mi capiscono le altre sono cose diverse e non mi capiscono.
Carrese Massimo Gerardo (SpuntiSunti)
«Non lasciarmi mai, Yah. In altre parole, tienimi la mano. Riempi il mio cuore di canzoni e fammi cantare per sempre. Sei tutto ciò che desidero. Tutto quello che venero e adoro. In altre parole, per favore sii sincero. In altre parole, ti amo» − disse Betenos.
DD Davide Dedeva (Ci chiamarono Déi, Il trono degli Elohim (Episodio I): La vera storia degli alieni che crearono l'uomo (Ci chiamarono Dei Vol. 1) (Italian Edition))