Grande Bellezza Quotes

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Ma io non voglio il cibo dalla sua bocca. Non voglio nemmeno il cibo dal mio piatto, ecco il punto. Ma fammi il favore! Un bambino con il mio potenziale! Le mie doti! Le mie prospettive!... con tutti i doni che Dio mi ha elargito in bellezza cervello, mi si lascerà morire di inedia senza un motivo al mondo? Voglio che la gente disprezzi un ragazzino rachitico per tutta la vita, o ammiri un uomo? Voglio essere emarginato e preso in giro, voglio essere un mingherlino che la gente spazza via con uno starnuto, voglio incutere rispetto? Cosa voglio diventare da grande, debole o forte, un successo o un fallimento, un uomo o un topo?
Philip Roth (Portnoy’s Complaint)
La vita è una grande opportunità, traine profitto. La vita è bellezza, ammirala. La vita è benedizione, sperimentalo. La vita è un sogno, realizzalo. La vita è una sfida, accettala. La vita è un dovere, portalo a termine. La vita è un gioco, giocalo. La vita è un bene, salvaguardalo. La vita è amore, godilo. La vita è un mistero, scoprilo. La vita è una promessa, adempila. La vita è dolore, superalo. La vita è un canto, cantalo. La vita è una lotta, accettala. La vita è una tragedia, sappi tenerle testa. La vita è un'avventura, osala. La vita è vita, preservala. La vita è una fortuna, approfittane. La vita è troppo preziosa, non distruggerla!
Kathryn Spink (Madre Teresa)
«Io non voglio diventare ricco, non voglio diventare famoso, non voglio vivere con l'assillo di essere di più o di meno degli altri!» Esplose, finalmente. «Quella vita lì è un inferno, l'ho visto quando mio padre è diventato sindaco, che avevamo tutti quei giornalisti in casa... A me non interessa. Mio fratello scrive sulle riviste d'ingegneria aerospaziale» sorrise, «gli pubblicano gli articoli con il suo nome, bello grande neanche fosse Obama... Io voglio essere invisibile, capisci? Non voglio lasciare traccia, voglio solo svegliarmi la mattina e stare bene!» Gridava. «Non posso sentirmi in colpa per questo. Non voglio vendermi la vita. Mio nonno si metteva a piangere quando gli moriva un vitello, quando ne vedeva nascere uno... Era un uomo felice!»
Silvia Avallone (Marina Bellezza)
[Canzone IV] Quantunque volte, lasso!, mi rimembra ch’io non debbo già mai veder la donna ond’io vo sì dolente, tanto dolore intorno ’l cor m’assembra la dolorosa mente, ch’io dico: "Anima mia, ché non ten vai? ché li tormenti che tu porterai nel secol, che t’è già tanto noioso, mi fan pensoso di paura forte". Ond’io chiamo la Morte, come soave e dolce mio riposo; e dico: "Vieni a me " con tanto amore, che sono astioso di chiunque more. E’ si raccoglie ne li miei sospiri un sono di pietate, che va chiamando Morte tuttavia: a lei si volser tutti i miei disiri, quando la donna mia fu giunta da la sua crudelitate; perché ’l piacere de la sua bieltate, partendo sé da la nostra veduta, divenne spirital bellezza grande, che per lo ciclo spande luce d’amor, che li angeli saluta, e lo intelletto loro alto, sottile face maravigliar, sì v’è gentile.
Dante Alighieri
Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi – e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento. Una meta, una sola, si proponeva Siddhartha: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a se stesso, non essere più «Io», trovare la pace con il cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta. Quando ogni residuo dell’Io fosse superato ed estinto, quando ogni brama e ogni impulso tacesse nel cuore, si sarebbe destata allora l’ultima essenza, lo strato più profondo dell’essere, quello che non è più Io: il grande mistero.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Quello era l’esatto contrario dell’arte, pensava Faulques. L’armonia di linee e di forme non aveva altro oggetto che arrivare alle chiavi intime del problema. Niente a che vedere con l’estetica, né tanto meno con l’etica che altri fotografi usavano – o dicevano di usare – come filtro dei loro obiettivi e del loro lavoro. Per lui tutto si era ridotto a muoversi nell’affascinante reticolo del problema della vita e i suoi danni collaterali. Le sue fotografie erano come gli scacchi: dove altri vedevano lotta, dolore, bellezza o armonia, Faulques osservava solo combinazioni di enigmi. Lo stesso valeva per il grande dipinto a cui lavorava adesso. Quanto cercava di risolvere su quella parete circolare era agli antipodi da ciò che la maggior parte delle persone chiamava arte. O forse accadeva che, una volta lasciato dietro di sé un certo punto ambiguo e senza ritorno dove, ormai prive di passione, languivano etica ed estetica, l’arte si trasformava – e forse le parole adeguate erano di nuovo – in una formula fredda e in qualche modo efficace. Uno strumento impassibile per contemplare la vita.
Arturo Pérez-Reverte (El pintor de batallas)
Penso a ciò che mi disse Hobie: la bellezza cambia la venatura della realtà. E continuo a pensare anche a una verità più convenzionale: ovvero, che la ricerca della bellezza pura è una trappola, una scorciatoia per l’amarezza e il dolore, che la bellezza dev’essere sempre associata a qualcosa di più profondo. Ma cos’è quel qualcosa? Perché sono fatto così? Perché tengo alle cose sbagliate, e non mi curo di quelle giuste? O, per metterla in un altro modo: come è possibile che, pur rendendomi conto che tutto quel che amo o che m’interessa è un’illusione, io continui a sentire che tutto ciò per cui vale la pena vivere risiede proprio in quell’illusione? Un grande dolore, che comincio a comprendere solo adesso: il cuore non si sceglie. Non possiamo obbligarci a desiderare ciò che è bene per noi o per gli altri. Non siamo noi a determinare il tipo di persone che siamo. Perché – non ci martellano forse fin dall’infanzia con l’idea opposta, un luogo comune profondamente radicato nella nostra cultura, da William Blake a Lady Gaga, da Rousseau a Rumi alla Tosca a Mister Rogers, un messaggio curiosamente uniforme, trasversale: se sei in dubbio, cosa fai? Come fai a sapere cosa è giusto per te? Ogni psicologo, ogni consulente del lavoro, ogni principessa Disney conosce la risposta: «Sii te stesso». «Segui il tuo cuore.» Ma ecco ciò che vorrei davvero che qualcuno mi spiegasse. Cosa succede se ti ritrovi con un cuore inaffidabile? Se questo cuore, per ragioni imperscrutabili, ti porta ostinatamente, avvolto in una nube di indicibile fulgore, lontano da tutto ciò che è sano, dal conforto dei piaceri domestici, dal senso civico e dai legami sociali e da tutte quelle che vengono comunemente considerate virtù per trascinarti invece verso uno stupendo falò di rovina, immolazione e disastro? […] Se il tuo io più profondo ti conduce cantando dritto verso il fuoco, devi voltargli le spalle? Tapparti le orecchie con la cera? Ignorare il perverso splendore che il cuore ti grida contro? […] O è meglio tuffarsi di testa e con una risata nel sacro fuoco che chiama il tuo nome?
Donna Tartt (The Goldfinch)
sapeva infatti che Isabel non aveva il dono di saper produrre impressioni studiate. Gli faceva l’effetto di avere una gran voglia di movimenti, di gaiezza, di ore piccole, di lunghe scarrozzate, di stanchezza; una smania di venire intrattenuta, di venire interessata, di venire persino annoiata, di fare conoscenze, di vedere la gente di cui si parlava, di esplorare i dintorni di Roma, di entrare in relazione con alcune delle più ammuffite reliquie di quella vecchia società. In tutto questo c’era molto meno discriminazione che in quella sua brama di riuscire ad attingere lo svolgersi delle cose, sulla quale egli era stato solito di far dello spirito. C’era una specie di violenza in alcuni degli impulsi di lei, di grossolanità in alcune delle sue esperienze, che riusciva a sorprenderlo; gli sembrava addirittura che parlasse più in fretta, si movesse più in fretta, respirasse più in fretta che prima del matrimonio. Era caduta senz’altro nell’esagerazione, lei che prima amava tanto la pura verità; e mentre una volta trovava grande godimento nel lieto discutere, nel giuoco intellettuale (mai appariva affascinante come quando, nel vivace ardore della discussione, riceveva un colpo schiacciante in pieno viso e se lo toglieva via come una piuma), ora sembrava pensare che non ci fosse niente su cui valesse la pena di dissentire o di trovarsi d’accordo. Una volta era stata curiosa, e adesso era indifferente; pure, nonostante la sua indifferenza, si dava da fare ora come non mai. Ancora snella, ma più bella di prima, non aveva acquistato gran maturità d’aspetto; pure c’era una grandiosità ed uno splendore nel suo modo di abbigliarsi che dava un tocco d’insolenza alla sua bellezza. Povera Isabel dal tenero cuore, da quale perversità era stata morsa? Il suo passo lieve si tirava dietro una massa di drappeggi; la sua testa intelligente sosteneva un’acconciatura maestosa. La ragazza libera, viva, si era fatta tutt’altra persona; ciò che egli vedeva era la bella dama che doveva rappresentare qualcosa. «Che cosa rappresentava Isabel?» si chiedeva Ralph; e non poteva rispondere altrimenti che dicendo che rappresentava Gilbert Osmond. «Santo cielo, che funzione!» esclamava allora costernato. E si smarriva nello stupore di fronte al mistero delle cose.
Henry James (The Portrait of a Lady)
Simone de Beauvoir che scrive la leggenda di Sartre, scolpendo la statua del grand'uomo, sacrificando tutta la verità alla mitologia, fornisce la versione parigina e quindi francese, e quindi europea, e quindi mondiale, della vicenda. Ne “La forza delle cose, scrive: “Di fronte a un vasto pubblico egli (Camus) dichiarò: “amo la Giustizia, ma prima di essa difenderò mia madre” il che significava mettersi dalla parte dei pieds-noirs. Il peggio era che al tempo stesso dava a intendere che si manteneva al di sopra della mischia, avvallando così quanti desideravano ocncilaire questa guerra e i suoi metodi con l'umanesimo borghese.” È lo stesso libro in cui la liberazione di Sartre dallo stalag nell'aprile del 1941, dovuta probabilmente a un intervento del filo nazista Drieu la Rochelle, si trasforma in un'evasione; in cui la partecipazione di Sartre alla rivista collaborazionista Comoedia durante la guerra viene presentata come un errore commesso una sola volta nel 1941, (mentre sappiamo che in realtà ancora nel settembre del 1943 il filosofo entra a far parte di una giunta organizzata dal giornale e il 5 febbraio del 1944 scrive l'elogio funebre di quel Giradoux che aveva celebrato le virtù del Reich nazista), e varie altre verità sulla Resistenza della famosa coppia. Camus paga per la rettitudine, per l'integrità, per la correttezza delle proprie battaglie, paga per l'onestà, per la passione nei confronti della verità, paga per aver partecipato alla Resistenza quando molti avevano resistito così poco, paga per i propri successi, per le vendite formidabili dei propri libri, paga per il talento e paga, ovviamente, per il Nobel, paga per il fatto di non essere corruttibile, di non aver bisogno di mentire quando si è trattato di tracciare la retta via, paga per la giovinezza, la bellezza, il successo con le donne, paga per la vita filosofica che suona come un rimprovero di fronte all'esistenza di tanti falsari, paga per la fedeltà all'infanzia passata in mezzo alla gente umile, paga per non aver tradito e venduto niente, paga per essere entrato con effrazione, lui figlio di povera gente, nel mono bene di Saint-Germain-des-Prés, paga per aver scelto la Giustizia, la libertà e il popolo in un universo di intellettuali affascinati dalla violenza, dalla ferocia e dalle idee, paga per essere un autodidatta riuscito, paga per aver scritto lui, figlio di un'analfabeta, libri che non avrebbe mai dovuto scrivere perché riservati all' élite, paga perché a fare da legge, sono il risentimento, l'invidia, l'astio e la gelosia.
Michel Onfray
- Che cosa non darei per tornare alla vostra età - proruppe ella una volta, con un’amarezza che, per quanto diluita nella vastità consueta del suo garbo, non riusciva così a celarsi del tutto. - Se soltanto potessi ricominciare... se potessi aver la vita davanti! - La vita è ancora davanti a voi - rispose Isabel in tono gentile, perché era vagamente sbigottita. - No; la parte migliore se n’è andata, e se n’è andata per niente. - Non per niente, ne sono certa - disse Isabel. - Perché no... che mi resta? Né marito, né figli, né fortuna, né posizione, né le tracce di una bellezza che non ho mai avuto. - Avete molti amici, mia cara. - Non ne sono sicura! - esclamò Madame Merle. - Oh, vi sbagliate. Avete ricordi, pregi, talento...Ma Madame Merle la interruppe. - Che cosa mi ha fruttato il mio talento? Niente, se non la necessità di farne un uso continuo per trascorrere le ore, gli anni, per ingannare me stessa con qualche pretesto di varietà, di oblìo. In quanto ai miei pregi e ai miei ricordi, meno se ne parla e meglio è. Sarete amica mia finché non troverete da fare un uso migliore della vostra amicizia. - Starà a voi badare che non lo faccia - disse Isabel. - Sì; vorrei tentare di non perdervi. - E la sua compagna la fissò gravemente. - Quando dico che mi piacerebbe avere i vostri anni, intendo dire con le vostre qualità: franca, generosa, sincera come voi. In tal caso avrei fatto qualcosa di meglio della mia vita. - Che cosa vi sarebbe piaciuto fare e non avete fatto?[...] - Sono molto ambiziosa! - rispose alla fine. - E le vostre ambizioni non sono state appagate? Dovevano essere grandi. - Erano grandi. Parlandone mi renderei ridicola. Isabel si chiedeva quali mai avessero potuto essere... se Madame Merle avesse aspirato a portare una corona. - Non so quale possa essere la vostra idea del successo, ma a me sembra che lo abbiate avuto. Per me siete proprio una splendida immagine del successo. Madame Merle lasciò cadere la musica con un sorriso. - Qual è la vostra idea del successo? - Ritenete evidentemente che debba essere un’idea molto banale. E di vedere avverarsi qualche sogno di gioventù. - Oh - esclamò Madame Merle - e io non l’ho mai capito! Ma i miei sogni erano così grandi... così assurdi. Il cielo mi perdoni, sto sognando ancora! - E si voltò verso il piano e cominciò a suonare con trasporto. L’indomani disse a Isabel che aveva dato una definizione molto bella ma spaventosamente triste del successo. A misurare con tale metro, chi mai aveva avuto successo? I sogni di gioventù, che cose incantevoli, divine! Chi mai li aveva veduti farsi realtà? - Io stessa... qualcuno l’ho visto avverarsi - si arrischiò a rispondere Isabel. - Di già? Dovevano essere sogni del giorno prima. - Ho cominciato molto presto a sognare - sorrise Isabel. - Oh, se intendete le aspirazioni della fanciullezza... di avere una sciarpa rosa e una bambola che chiude gli occhi... - No, non voglio dir questo. - O un giovane con splendidi baffi che vi cade in ginocchio dinanzi. - No, nemmeno questo - dichiarò Isabel con foga ancor più grande. Madame Merle parve notare il suo ardore. - Sospetto che intendiate proprio questo. Tutte noi abbiamo avuto un giovane coi baffi. È il giovane inevitabile; non conta.
Henry James (The Portrait of a Lady)
A San Daniele dove il prosciutto unisce tre culture La chiesa La trecentesca chiesa di Sant’Antonio Abate, i cui affreschi, di due secoli successivi, costringono alla sosta pure il viaggiatore più goloso, è in cima al colle di San Daniele, che domina il bacino idrico del Tagliamento, uno dei pochi fiumi europei che ancora segua il proprio corso naturale, ricco di laghi e insenature da scoprire, e raccoglie il vento fresco di Carnia Federico Francesco Ferrero | 670 parole Non esiste un’altra regione d’Italia dove si possa percepire in maniera così chiara il concetto di «diversità». Il Friuli Venezia Giulia costituisce, da secoli, uno spazio di complesso contatto culturale, linguistico, gastronomico. Le basi dell’attuale variabilità sono da ricondurre a fatti storici di immigrazione e insediamento, che hanno collocato, uno a fianco all’altro, i romani, i germani e gli slavi, generando comunità che, ancora oggi, risultano solo apparentemente integrate. Italiano, «marilenghe» («lingua madre» o friulano), veneto, germanico e slavo, sono gli indicatori di una complessa realtà geografica, che si può riconoscere nel piatto prima ancora che nell’accento. Il clima Il baricentro e l’apice gastronomico di quest’area, si potrebbero indicare issando un vessillo sulla collinetta di San Daniele, proprio accanto alla trecentesca chiesa di Sant’Antonio abate, i cui affreschi, di due secoli successivi, costringono alla sosta pure il viaggiatore più goloso. La recente nevrosi meteorologica poi ci ha insegnato come solo alla provincia di Udine e a quella di Cuneo appartenga, per la loro collocazione in pianure strette tra monti e mare, una singolare specificità climatica. Copiose precipitazioni nevose e persistenza di venti freschi e asciutti, alternati a refoli umidi e salmastri, sono le condizioni ideali per la stagionatura di Sua Maestà il Prosciutto, la vetta più alta della gastronomia italiana, a torto umiliata dall’omologo spagnolo. Questo colle, che domina il bacino idrico del Tagliamento, uno dei pochi fiumi europei che ancora segua il proprio corso naturale, ricco di laghi e insenature da scoprire, raccoglie il vento fresco di Carnia. Bisogna avventurarsi tra quelle cime per scoprirne la bellezza austera, l’abbondanza di fiori e di tradizioni millenarie, tra cui una delle cucine più interessanti d’Italia, magistralmente ridotta a canone tradizionale e propulsore per l’innovazione, dal grande scomparso Gianni Cosetti. E lì, a Sauris, si trova un altro grande prosciutto, che la penuria di sale legata al dazio aveva costretto a conservare con una leggera affumicatura: ecco un primo esempio di diversità da scoprire. Nei boschi carnici il vento raccoglie i sentori resinosi che a San Daniele incontrano i profumi salmastri della laguna e della costa. Nel vicino Mare Adriatico si pescano molluschi e naselli impareggiabili e i bassi fondali garantiscono, già in primavera, lunghe, ristoratrici, passeggiate nell’acqua iodata. Luce dell’Est Per trovare un grande prodotto da gustare e da portare a casa sono necessarie però molte prove, finché si troverà, da un piccolo appassionato artigiano, una coscia di maiale che abbia riposato con il proprio piedino per almeno 24 mesi, da affettare al coltello e consumare a temperatura ambiente. Non è il pane ma l’asparago bianco di queste pianure, appena scottato in acqua dolce, il complemento più interessante. E una volta giunti fin qui non si può rinunciare a raggiungere la pianura di Cormons, per mettere alla prova un altro grande rivale: il prosciutto affumicato al camino in maniera artigianale. Il suo sapore avvolgente accompagnerà mirabilmente i grandi bianchi della regione circostante. Anche qui però i vicini di origine slava non sarebbero d’accordo. Alla coscia preferiscono la spalla, bollita a lungo sulla stufa, affettata spessa e condita con una generosa grattugiata di «cren», il rafano. E bisogna spingersi ancora più a Est, nelle collin
Anonymous
Non c'è più futuro, - pensava, - temo i rimorsi, le cose che fanno finta di andarsene, poi tornano e divorano il cuore. Non ho che queste sere dall'oro al rosa, alla gamma dei grigi, questi preludi a un passaggio più grande. Non riusciva a vedere fuori, se il cielo era nuvoloso sui pini o fitto di stelle.
Francesco Biamonti (Le parole la notte)
sono due metà di un solo spirito, uno spirito troppo grande per essere contenuto in un solo corpo. Sono esseri liminali, metà umani, metà divini, e devono essere onorati come gli si confà, se non addirittura adorati. Il secondo gemello, in particolare, il changeling e il trickster, meno affascinato dalle cose del mondo rispetto al primo, viene sulla terra con grande riluttanza e vi rimane con un maggiore sforzo, consumato dalla nostalgia per i regni spirituali. Alla vigilia del giorno in cui i due gemelli nasceranno, ognuno nel proprio corpo fisico, il secondogenito, scettico, dice al primo: <>. Il primo gemello, Taiyewo (dallo yoruba to aiye wo, <>), vedendo che la sua metà non torna, si appresta senza fretta a raggiungere il suo Taiyewo, degnandosi di assumere una forma umana. Gli yoruba quindi considerano Kehinde il più grande: nato per secondo, ma più saggio, e quindi <>. (pag. 89 "La bellezza delle cose fragili")
Taiye Selasi (Ghana Must Go)
Ero spossato. Tutte le folli passioni contrastanti si erano esaurite e mi avevano lasciato esausto e vuoto. Sano di mente. Ero stanco di quella gente. Detestavo tutto di loro, il riso e le lacrime, l’adulazione e l’invidia, la vanità e gli inganni. E odiavo quel posto. Odiavo le montagne e le colline, i fiumi e la pioggia. Odiavo i suoi tramonti qualunque colore avessero, odiavo la sua bellezza e la sua magia e il segreto che non avrei mai conosciuto. Odiavo la sua indifferenza e la crudeltà che faceva parte del suo incanto. Soprattutto odiavo lei. Perché lei apparteneva a quella magia e a quell’incanto. Mi aveva lasciato assetato e tutta la mia vita sarebbe stata sete e desiderio di ciò che avevo perduto prima ancora di trovarlo.
Jean Rhys (Wide Sargasso Sea)
Ma il loro tesoro era rimasto, oro e non soltanto oro. Qualcosa si trova ancora — ma chi la trova non lo dice mai perché, vedi, gliene resterebbe solo un terzo: questa è la legge per chi trova i tesori. Loro vogliono tutto, così non ne parlano. A volte oggetti preziosi, a volte gioielli. È incredibile tutto quello che la gente trova e vende in gran segreto a qualche individuo guardingo che pesa e misura, esita, fa domande che restano senza risposta, poi dà in cambio del denaro. [...]In tutte le isole, da nessuna parte, non si sa da dove. Perché è meglio non parlare di tesoro. Meglio non dirlo. Sì, meglio non dirlo. Non ti dirò che a malapena ascoltavo i tuoi racconti. Desideravo la notte e il buio e l’ora in cui si aprono i fiori lunari. Cancella la luna, tira giù le stelle, Amami al buio, perché il buio è il nostro destino presto, presto. Come gli spavaldi pirati, approfittiamo al massimo di ciò che abbiamo, nel migliore e nel peggiore dei modi. Non dare un terzo ma tutto. Tutto… tutto… tutto. Non tenerti nulla… No, avrei detto… sapevo quello che avrei detto. — Ho fatto un errore terribile. Perdonami. Lo dissi, guardandola, vedendo l’odio nei suoi occhi — e sentendo il mio odio che sprizzava incontro al suo. Di nuovo quel cambiamento da vertigine, l’ossessione del ricordo, lo sconvolgente ritorno all’odio. Mi hanno comprato col tuo sporco denaro, me, hanno comprato. Tu li hai aiutati. Mi hai ingannato, tradito, e farai ancora peggio, se ne avrai la possibilità. [...] … Se ero destinato all’inferno, che sia l’inferno. Basta coi falsi paradisi. Basta con la maledetta magia. Tu mi odi e io ti odio. Vedremo chi sa odiare meglio. Ma prima — prima voglio distruggere il tuo odio. Il mio odio è più freddo, più forte, e tu non avrai più nessun odio che ti scaldi. Tu non avrai più nulla. E lo feci. Vidi l’odio scomparire dai suoi occhi. Lo costrinsi a scomparire. E con l’odio scomparve la sua bellezza. Lei non fu più che un fantasma. Un fantasma nella luce grigia del giorno. Non rimase che la disperazione. Dimmi muori e morirò. Dimmi muori e guardami morire.
Jean Rhys (Wide Sargasso Sea)
Dáimōn è una parola greca da cui deriva il termine Eudaimonia: la buona riuscita del tuo demone, la tua autorealizzazione. Ciascuno di noi ha dentro di sé un demone, una virtù, una capacità. Che cos’è la tua virtù? Perché sei nato? Che cosa vuoi fare nella vita? Che cosa ti spinge a fare l’attore, piuttosto che il pittore, piuttosto che l’ingegnere? E come faccio a sapere qual è il mio demone? Devi conoscere te stesso. Perché se tu non conosci te stesso come fai a sapere qual è il tuo demone? Cosa fai, guardi la televisione e vedi quello che ti piacerebbe fare a partire da lì? No, devi fare un lavoro di autoriflessione, capire chi sei. Devi realizzare il tuo demone secondo misura. Cosa significa? Magari sei un attore ma non sei bravo magari come Marcello Mastroianni; allora non tentare di essere bravo come lui o più di lui. Esamina le tue capacità, collocati là dove sei, non oltrepassare la misura. Perché altrimenti prepari la tua rovina. La giusta misura è in tutte le cose. Anche la bellezza consiste nella giusta proporzione degli elementi. I greci avevano questa categoria (la giusta misura) derivante dal fatto che l’uomo è mortale. I greci, all’epoca di Omero, usano la parola -Protos- per dire uomo: colui che è destinato a morire. Siamo mortali, basta. Questa è la misura. E allora quando ti arriva la felicità, la forza, la potenza della vita espandila più che puoi. Quando sopraggiunge il dolore reggilo ed evita di metterlo in scena. [..] La cultura e l’etica greca sarebbe una grande etica che dovrebbe intervenire nell’occidente, a contenere la sua volontà di potenza; a contenere la riduzione della terra dal luogo di abitazione dell’uomo a materia prima, non da usare, da usurare. E qual è il limite? — Dialoghi sull'anima dell'educazione
Umberto Galimberti
«La provocatrice non sopporta il provocatore. Sì chiama fascismo» [Jep Gambardella]
Paolo Sorrentino (La grande bellezza)
È stata una giornata fantastica, ma alla fine siamo rimasti tutti sorpresi da un incredibile tramonto. È il tramonto più affascinante di sempre. "Rio ed io eravamo seduti e ci siamo fermati un attimo a godercela, ammirando i colori che c'erano nel cielo: era come guardare un quadro vivente". ​ “Questa è la storia di Martine e Rio. Il loro amore per i vecchi tempi - come le fedi nuziali che Rio teneva segretamente in una vecchia busta sigillata con lo stemma della sua famiglia o la collezione di cappelli di paglia vintage di Martine - ci ha semplicemente lasciato senza fiato. Ecco qua abbigliamento taglie comode, l'Italia, come una vecchia signora incantevole e misteriosa, che si mostra davanti a noi in tutta la sua preziosa e grande bellezza. “Semplicemente il posto migliore per una storia d'amore senza tempo: abbiamo suggerito a Martine e Rio di intraprendere la loro intima fuga nelle lussureggianti terre della Val D'Orcia. Una giornata lenta e serena per entrambi per godersi l'atmosfera di un matrimonio italiano. I colori più romantici e intangibili, un vento estivo caldo e gentile, creavano vibrazioni perfette e nostalgiche insieme. I nostri cuori si sono disperatamente innamorati del loro amore e delle loro azioni reciproche.
gillneit
La vista che si offre allo sguardo dall'alto dei rilievi circostanti è di grande bellezza: migliaia di ville, il vecchio e il nuovo Schloss, la Stiftskirche, l'Opera, i musei e quelli che un tempo erano i parchi reali. Ovunque un'infinità di Höhenrestaurants, sulle cui ampie terrazze la gente di Stoccarda soleva trascorrere le calde sere d'estate, bevendo vino del Neckar o del Reno e ingozzandosi di enormi quantità di cibo: insalate di carne e patate, Schnitzel Holstein, Bodenseefelchen, trote della Foresta Nera, salsicce calde di fegato e sanguinaccio con i crauti, Rehrücken con Preiselbeeren, tournedos in salsa bernese e Dio sa cos'altro, il tutto seguito da una straordinaria scelta di torte farcite, guarnite di panna montata. Se i cittadini di Stoccarda si fossero dati la pena di alzare gli occhi dal piatto, avrebbero visto, tra gli alberi e i cespugli di alloro, la foresta che si stendeva per chilometri e chilometri, e il Neckar che scorreva lento tra i dirupi, i castelli, i pioppeti, le vigne e le antiche città, verso Heidelberg, il Reno e il Mare del Nord.
Fred Uhlman (L'amico ritrovato)
No, la vera bellezza ha bisogno di silenzio. Una sola parola può distruggerla. La bellezza, la grande bellezza, può essere dolorosa: ci sono momenti in cui si vuole solo piangere, e il rumore di una voce umana, di una macchina, di una radio, perfino il gracchiare di un corvo possono essere tanto distruttivi quanto un sasso scagliato in uno stagno pieno di ninfee rosse e bianche.
Fred Uhlman (Un'anima non vile)
«Forse è questa la loro caratteristica [delle parole, cioè] che più colpisce: il loro bisogno di cambiamento. Dovuto al fatto che la verità che esse provano ad afferrare è sfaccettata, e la trasmettono facendosi esse stesse sfaccettate, mostrandosi in un modo, poi nell’altro. Così, le parole possono significare qualcosa per qualcuno e qualcos’altro per qualcun altro: sono incomprensibili ad una generazione e chiare come il sole alla successiva. È proprio a causa di tale complessità che esse sopravvivono. Forse una ragione per cui oggi non abbiamo un grande poeta, un grande scrittore o critico risiede nel nostro rifiuto di concedere alle parole la loro libertà. Noi le fissiamo in un significato, il loro senso utile, quel senso che ci permette di prendere il treno, quel senso che ci fa superare l’esame. E quando le parole vengono immobilizzate piegano le proprie ali e muoiono. Infine, per dirlo con più enfasi, le parole – proprio come noi – per sentirsi a proprio agio, hanno bisogno di intimità. Indubbiamente preferiscono che si rifletta e ci si emozioni prima di utilizzarle ma, allo stesso modo, vogliono che ci arrestiamo; per farci incoscienti. La nostra incoscienza è la loro intimità: la nostra oscurità la loro luce… L’interruzione è stata fatta, quel velo di oscurità è stato fatto cadere per consentire alle parole di fondersi in una di quelle rapide unioni perfette ad immaginare e creare la bellezza eterna.»
Virginia Woolf (Sul Cinema)
JEP: Che belle persone che siete. ALFREDO: Anche tu sei una bella persona, Jep. Abbiamo solo orari diversi.
Paolo Sorrentino (La grande bellezza)
Una volta la grande bellezza italica era anche il mare, ma negli ultimi 25 anni le nostre coste si sono sostanzialmente trasformate in aree urbane. Se aggiungiamo che siamo il paese più caro del Mediterraneo, per quale ragione i turisti stranieri dovrebbero venire, e soprattutto tornare, al mare da noi?
Anonymous
Nella nuova situazione di agio e sicurezza perfetti, quell’energia irrequieta che per noi era forza diventa inevitabilmente debolezza. Persino nel nostro tempo certe tendenze e certi desideri, una volta necessari alla sopravvivenza, sono una fonte costante di insuccessi. Il coraggio fisico e l’amore per la battaglia, per esempio, non sono di grande aiuto all’uomo civile, anzi, possono essere un intralcio. E in uno stato di equilibrio fisico e sicurezza, il potere, intellettuale nonché fisico, sarebbe fuori luogo. Dovevo pensare che da anni innumerevoli non c’era più stato il rischio di una guerra o di qualche solitario atto di violenza, nessun pericolo da parte di animali feroci, nessuna malattia debilitante che richiedesse una costituzione sana e solida, nessun bisogno di lavorare. In una vita così, quelli che definiamo deboli sono equipaggiati bene quanto i forti, non sono più deboli. Anzi, sono più adatti, perché i forti si troverebbero logorati da un’energia che non sono in grado di sfogare. La squisita bellezza degli edifici che vedevo era senza dubbio il risultato dell’ultimo grande sforzo di un’energia ora divenuta inutile prima che il genere umano si concedesse alla perfetta armonia della nuova condizione che aveva raggiunto, la realizzazione di quel trionfo che aveva dato inizio all’ultimo grande periodo di pace. Tale è sempre stato il destino dell’energia in condizioni di sicurezza: scivola nell’arte e nell’erotismo e da lì nel languore e nella decadenza. Ma persino questo slancio artistico alla lunga è destinato a morire, ed era quasi morto nel tempo da me visitato. Adornarsi di fiori, danzare, cantare al tramonto: ecco cosa restava dello spirito artistico e niente di più. E anche quello alla fine si sarebbe spento nell’inattività appagata.
H.G. Wells
Vale la pena soffermarci su quest’incubo [della fine della letteratura e delle arti], per come Borges ce lo racconta in una sua conversazione sui sogni e gli incubi. Il terribile sogno è del poeta inglese William Wordsworth e si trova nel secondo [rectius: quinto] libro del poema The Prelude — un poema autobiografico, come dice il sottotitolo. Fu pubblicato nel 1850, l’anno stesso della morte del poeta. Allora non si pensava, come invece oggi, a un possibile cataclisma cosmico che annientasse ogni grande opera umana, se non l’umanità interamente. Ma Wordsworth ne ebbe la preoccupazione e, in sogno, la visione. Ed ecco come Borges l’assume e riassume nel suo discorso: “Nel sogno la sabbia lo circonda, un Sahara di sabbia nera. Non c’è acqua, non c’è mare. Sta al centro del deserto — nel deserto si sta sempre al centro — ed è ossessionato dal pensiero di come fare per sfuggire al deserto, quando vede qualcuno vicino a lui. Stranamente, è un arabo della tribù dei beduini, che cavalca un cammello e ha nella mano destra una lancia. Sotto il braccio sinistro ha una pietra; nella mano una conchiglia. L’arabo gli dice che ha la missione di salvare le arti e le scienze e gli avvicina la conchiglia all’orecchio; la conchiglia è di straordinaria bellezza. Wordsworth ci dice che ascoltò la profezia (‘in una lingua che non conoscevo ma che capii’): una specie di ode appassionata, che profetizzava che la Terra era sul punto di essere distrutta dal diluvio che l’ira di Dio mandava. L’arabo gli dice che è vero, che il diluvio si avvicina, ma che egli ha una missione: salvare l’arte e le scienze. Gli mostra la pietra. La pietra, stranamente, è la Geometria di Euclide pur rimanendo una pietra. Poi gli avvicina la conchiglia, che è anche un libro: è quello che gli ha detto quelle cose terribili. La conchiglia è, anche, tutta la poesia del mondo, compreso, perche' no?, il poema di Wordsworth. Il beduino gli dice: ‘Devo salvare queste due cose, la pietra e la conchiglia, entrambi libri’. Volge il viso all’indietro, e vi è un momento in cui Wordsworth vede che il volto del beduino cambia, si riempie di orrore. Anche lui si volge e vede una gran luce, una luce che ha inondato metà del deserto. Questa luce è quella dell’acqua del diluvio che sta per sommergere la Terra. Il beduino si allontana e Wordsworth vede che è anche don Chisciotte, che il cammello è anche Ronzinante e che allo stesso modo che la pietra è il libro e la conchiglia il libro, il beduino è don Chisciotte e nessuna delle due cose ed entrambe nello stesso tempo”... l’immagine di don Chisciotte che si allontana invincibilmente richiama quella dipinta da Daumier, forse contemporaneamente. E ci è lecito, in aura borgesiana, chiederci se il poeta e il pittore non abbiano fatto lo stesso sogno.
Leonardo Sciascia (Ore di Spagna)
«Era tutto così bello, ed era tutto per gli esseri umani che non sapevano cosa farsene di tanta bellezza. Possedevano il più grande dei doni e non lo capivano, non lo curavano e si ostinavano a edificare, ad ammucchiare pietre su altre pietre, case su altre case. Avrebbero distrutto ogni cosa, e io sarei stata costretta a sopportare la disfatta della natura contro l'essere umano. Lei, madre della loro vita, stava poco a poco soccombendo a causa loro. Ci avrebbero uccisi tutti prima o poi. Ma si può davvero uccidere la morte?»
Silvia A.G. Mirth (Possessum (Possessum, #1))
Tu sei lontano da me. E io accetto questa distanza dolorosa. E non so come tu mi ami. Non dirmelo. Difendi da me la tua vita, conservala per te. Ne hai il diritto. E se non l'avessi, questo diritto, dovresti conquistartelo. Ma io ti amo. Non te lo dirò. Lo dico a me stessa. Perché dovrei porre un freno a ciò che è così potente dentro di me? Ti amo. Forse per un tempo brevissimo, forse per sempre. Nessuno lo sa. Nell'amore non ci sono né perfezione né eternità prestabilite. L'amore batte secondo le pulsazioni del tempo, come battono tutte le cose viventi. Si rafforza e si sgretola, declina e si risolleva. Se è vivo può morire. Ed è questo il suo bello. Una cosa è grande e commovente solo quando contiene una possibilità di morte. Lotta e protezione, lotte congiunte del corpo e del cuore. Sconfitta o vittoria di un'ora sull'ora precedente... Andare avanti passo dopo passo... Rischi. Bellezza immutabile di un amore eterno e perfetto? Bellezza tragica di un amore che muore? Bellezza folgorante di un amore che nasce? Vertigine di un mondo nuovo... Sì, conosco... Ma a tutte quelle bellezze ne preferisco un'altra. Non è né immutabile né folgorante né tragica: è più gravosa, più ardua, più vera. E' la bellezza di un amore non nel momento in cui nasce o in cui muore, ma nel momento in cui vive...
Madeleine Bourdouxhe (À la recherche de Marie)
Da quando lo aveva perso, Aurora non era più la stessa. Era diventata una maniaca dell'ordine, della pulizia. Come se mettere ordine in casa, fosse sintomo di ordine mentale, del cuore. Ma non lo era. In quel disordine, c'era tutto tranne che amore. Tutto tranne abbracci, strette di mano silenziose. Tutto tranne gambe incrociate, piumoni tirati da una parte del letto. Però aveva imparato. Aveva imparato a sentirsi comoda in un letto troppo grande per lei. Aveva imparato a comprarsi le rose. Quelle belle, strada vedi e te ne innamori. Tanto le hanno già tirate via, almeno ne approfittava per po' di bellezza. C'è bellezza in ogni cosa, quando ti hanno tolto tutto Solo che inizialmente non lo vedi. Inizialmente vedi Isolo un letto vuoto che ha bisogno di essere riempito. Vedi un appendiabiti con un giubbotto soltanto e pensi "Beh, il suo qui, ci starebbe proprio bene". Non te ne accorgi della bellezza, a volte addirittura, la calpesti, la scansi, la sorpassi. E non ti accorgi che il mondo va avanti lo stesso. Che non esistono graffi più profondi di quelli che possiamo provocare a noi stessi.
Francesco Cristofaro (Distanze)