Festa Delle Donne Quotes

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Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo. (…) Qualunque possa essere il loro uso nelle civiltà civilizzate, gli specchi sono indispensabili per ogni azione violenta ed eroica. Ecco perché Napoleone e Mussolini sostengono con tanta veemenza l’inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, gli uomini cesserebbero di ingrandirsi. Questo serve a spiegare in parte, il bisogno che tanto spesso gli uomini sentono delle donne. E serve a spiegare la misura del loro disagio se colpiti dalla critica femminile; l’impossibilità per la donna di dire questo libro è brutto, questo dipinto manca di personalità, o qualunque altra cosa, senza suscitare molto più dolore e molta più rabbia di un uomo che esprimesse le stesse critiche. Perchè se lei comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce; viene eliminata la sua idoneità alla vita. Come potrà continuare a giudicare, civilizzare gli indigeni, emanare leggi, scrivere libri,vestirsi a festa e sproloquiare ai banchetti, se non riesce a vedersi a colazione e a cena almeno il doppio di quanto è realmente?
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Virginia Woolf (A Room of One’s Own)
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Eccola dunque col pensiero laggiù. Le par d’essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare d’oro e di perla. La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il cortile illuminato da un fuoco d’alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei ragazzi che ballano il ballo sardo. Le ombre si muovono fantastiche sull’erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d’oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare. Noemi ricordava di non aver mai preso parte diretta alla festa, mentre le sorelle maggiori ridevano e si divertivano, e Lia accovacciata come una lepre in un angolo erboso del cortile forse fin da quel tempo meditava la fuga. La festa durava nove giorni di cui gli ultimi tre diventavano un ballo tondo continuo accompagnato da suoni e canti: Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno a lei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela d’un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaino dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile come scosse dal ritmo della danza. No, ella non ballava, non rideva, ma le bastava veder la gente a divertirsi perché sperava di poter anche lei prender parte alla festa della vita. Ma gli anni eran passati e la festa della vita s’era svolta lontana dal paesetto, e per poterne prender parte sua sorella Lia era fuggita di casa… Lei, Noemi, era rimasta sul balcone cadente della vecchia dimora come un tempo sul belvedere del prete.
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Grazia Deledda (Reeds in the Wind)
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Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo. Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai. Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più da consumarsi sui libri né da tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano oramai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai. Sì, adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato, ma in fondo - si accorse Giovanni Drogo - il tempo migliore, la prima giovinezza, era probabilmente finito. Così Drogo fissava lo specchio, vedeva uno stentato sorriso sul proprio volto, che invano aveva cercato di amare. Che cosa senza senso: perché non riusciva a sorridere con la doverosa spensieratezza mentre salutava la madre? Perché non badava neppure alle sue ultime raccomandazioni e arrivava soltanto a percepire il suono di quella voce, così familiare ed umano? Perché girava per la camera con inconcludente nervosismo, senza riuscire a trovare l'orologio, il frustino, il berretto, che pure si trovavano al loro giusto posto? Non partiva certo per la guerra! Decine di tenenti come lui, i suoi vecchi compagni, lasciavano a quella stessa ora la casa paterna fra allegre risate, come se andassero a una festa. Perché non gli uscivano dalla bocca, per la madre, che frasi generiche vuote di senso invece che affettuose e tranquillanti parole? L'amarezza di lasciare per la prima volta la vecchia casa, dove era nato alle speranze, i timori che porta con sé ogni mutamento, la commozione di salutare la mamma, gli riempivano sì l'animo, ma su tutto ciò gravava un insistente pensiero, che non gli riusciva di identificare, come un vago presentimento di cose fatali, quasi egli stesse per cominciare un viaggio senza ritorno.
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Dino Buzzati (The Tartar Steppe)