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Cosa diventò il ragazzo per lei, in quel periodo? Una smania sessuale che la teneva in uno stato di permanente fantasticheria erotica; un avvampare della testa che voleva essere all’altezza di quella di lui; soprattutto un astratto progetto di coppia segreta, chiusa dentro una specie di rifugio che doveva essere mezzo capanna per due cuori, mezzo laboratorio di idee sulla complessità del mondo, lui presente e attivo, lei un’ombra incollata alle sue calcagna, suggeritrice prudente, devota collaboratrice. Le rare volte che riuscivano a stare insieme non per pochi minuti ma per un’ora, quell’ora si trasformava in un flusso inesausto di scambi sessuali e verbali, un complessivo star bene che al momento della separazione rendeva insopportabile il ritorno alla salumeria e al letto di Stefano.
«Non ne posso più».
«Neanch’io».
«Che si fa?».
«Non lo so».
«Voglio stare con te sempre». O almeno, aggiungeva lei, per qualche ora tutti i giorni.
Ma come ritagliarsi un tempo costante, al sicuro? Vedere Nino a casa era pericolosissimo, vederlo per strada ancora più pericoloso. Senza contare che a volte Stefano telefonava in salumeria e lei non c’era e dare una spiegazione plausibile era arduo. Così, stretta tra le impazienze di Nino e le rimostranze del marito, invece che riguadagnare il senso della realtà e dirsi con chiarezza che si trovava in una situazione senza sbocco, Lila cominciò ad agire come se il mondo vero fosse un fondale o una scacchiera, e bastasse spostare uno scenario dipinto, muovere un po’ di pedine, ed ecco che il gioco, l’unica cosa che davvero contasse, il suo gioco, il gioco di loro due, poteva continuare a essere giocato. Quanto al futuro, il futuro diventò il giorno dopo e poi l’altro e poi ancora l’altro. O immagini improvvise di scempio e di sangue, molto presenti nei suoi quaderni. Non scriveva mai morirò ammazzata, ma annotava fatti di cronaca nera, a volte li reinventava. Erano storie di donne assassinate, insisteva sull’accanimento dell’assassino, sul sangue dappertutto. E ci metteva i dettagli che i giornali non riportavano: occhi cavati dalle orbite, danni causati dal coltello alla gola o agli organi interni, la lama che trapassava la mammella, i capezzoli tagliati, il ventre aperto dall’ombelico in giù, la lama che raschiava nei genitali. Pareva che anche alla realistica possibilità di morte violenta volesse togliere potenza riducendola a parole, a uno schema governabile.
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