Dell Premier Quotes

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tu n'es peut ĂȘtre pas son premier,son dernier ou son unique. Elle a aimĂ© avant,elle pourra aimer Ă  nouveau. Mais si elle t'aimes maintenant qu'est ce qui importe? Elle n'est pas parfaite,toi non plus.Et vous ne serez peut ĂȘtre jamais parfaits ensembles,mais si elle peut te faire rire,rĂ©flĂ©chir deux fois et qu'elle admet qu'elle est humaine et qu'elle fait des erreurs. Accroche toi Ă  elle et donne lui tout ce que tu as Ă  donner.Elle peut ne pas penser Ă  toi chaque seconde de sa journĂ©e. Mais elle te donnera un part d'elle qu'elle sait que tu pourrais briser son coeur. Donc ne la blesse pas,ne l'analyse pas et n'attend pas d'elle plus que ce qu'elle peut t'offrir. Souris quand elle te rend heureux,fais lui savoir quand elle te déçoit,et qu'elle te manque quand elle n'est pas lĂ .
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Abir Berrahal
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Le premier empereur est appelĂ© l'Empereur du Ciel. Il a dĂ©terminĂ© l'ordre du temps qu'il a divisĂ© en dix troncs cĂ©lestes et douze branches terrestres, le tout formant un cycle. Cet empereur vĂ©cut dix-huit mille ans. Le second empereur est l'Empereur de la Terre ; il vĂ©cut aussi dix-huit mille ans : on lui attribue la division du mois en trente jours. Le troisiĂšme empereur est l'Empereur des Hommes. Sous son rĂšgne apparaissent les premiĂšres Ă©bauches de la vie sociale. Il partage son territoire en neuf parties, et Ă  chacune d'elles il donne pour chef un des membres de sa famille. L'histoire cĂ©lĂšbre pour la premiĂšre fois les beautĂ©s de la nature et la douceur du climat. Ce rĂšgne eut quarante-cinq mille cinq cents ans de durĂ©e. Pendant ces trois rĂšgnes qui embrassent une pĂ©riode de quatre-vingt-un mille ans, il n'est question ni de l'habitation, ni du vĂȘtement. L'histoire nous dit que les hommes vivaient dans des cavernes, sans crainte des animaux, et la notion de la pudeur n'existait pas parmi eux. A la suite de quels Ă©vĂ©nements cet Ă©tat de choses se transforma-t-il ? L'histoire n'en dit mot. Mais on remarquera les noms des trois premiers empereurs qui comprennent trois termes, le ciel, la terre, les hommes, gradation qui conduit Ă  l'hypothĂšse d'une dĂ©cadence progressive dans l'Ă©tat de l'humanitĂ©.
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Tcheng-Ki-Tong (Les Chinois peints par eux-mĂȘmes)
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Charlotte se trouvait seule ; aucun de ses frĂšres et sƓurs n’était autour d’elle ; elle s’abandonnait Ă  ses rĂ©flexions, qui passaient doucement sa situation en revue. Elle se voyait pour jamais unie Ă  un homme dont elle connaissait l’amour et la fidĂ©litĂ©, Ă  qui elle Ă©tait dĂ©vouĂ©e, dont le calme, la soliditĂ©, semblaient destinĂ©s par le ciel mĂȘme Ă  fonder, pour la vie, le bonheur d’une honnĂȘte femme ; elle sentait ce qu’il serait toujours pour elle et pour sa famille. D’un autre cĂŽtĂ©, Werther lui Ă©tait devenu bien cher ; dĂšs le premier moment oĂč ils avaient appris Ă  se connaĂźtre, la sympathie de leurs caractĂšres s’était rĂ©vĂ©lĂ©e de la maniĂšre la plus heureuse ; leur longue liaison, tant de situations diverses oĂč ils s’étaient trouvĂ©s, avaient fait sur le cƓur de Charlotte une impression ineffaçable. Tous les sentiments, toutes les pensĂ©es qui l’intĂ©ressaient, elle Ă©tait accoutumĂ©e Ă  les partager avec lui, et le dĂ©part de Werther menaçait de faire dans toute son existence un vide, qui ne pourrait plus ĂȘtre comblĂ©. Oh ! si elle avait pu dans ce moment le changer en un frĂšre ! qu’elle se serait trouvĂ©e heureuse !
 Si elle avait osĂ© le marier avec une de ses amies, elle aurait pu espĂ©rer de rĂ©tablir tout Ă  fait la bonne intelligence entre Albert et lui. Elle avait passĂ© en revue toutes ses amies, et trouvait Ă  chacune quelque dĂ©faut ; elle n’en voyait aucune Ă  qui elle eĂ»t donnĂ© Werther volontiers. En faisant toutes’ces rĂ©flexions, elle finit par sentir profondĂ©ment, sans se l’expliquer d’une maniĂšre bien claire, que le secret dĂ©sir, de son cƓur Ă©tait de le garder pour elle, et elle se disait en mĂȘme temps qu’elle ne pouvait, qu’elle ne devait pas le garder ; son Ăąme pure et belle, jusqu’alors si libre et si courageuse, sentit le poids d’une mĂ©lancolie Ă  laquelle est fermĂ©e la perspective du bonheur. Son cƓur Ă©tait oppressĂ©, et un sombre nuage couvrait ses yeux.
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Johann Wolfgang von Goethe (The Sorrows of Young Werther)
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Neanche l’1% delle proposte degli onorevoli diventa legge Carlo Bertini | 344 parole Non dovrebbe essere solo il premier a spingere perchĂ© gli onorevoli lavorino cinque giorni a settimana, visto che ancora servono in media tre giri di valzer nei due rami del Parlamento per veder approvata una legge. A spulciare qualche numero delle statistiche elaborate dal sito Openpolis emerge che forse dovrebbero essere gli stessi parlamentari a preoccuparsi di trovare il modo per riuscire a portare a casa qualcosa della sterminata mole di proposte che avanzano ogni mese. Quelle di iniziativa parlamentare che vanno a buon fine sono una percentuale infinitesimale. Neanche l’un per cento dei disegni di legge presentati dagli onorevoli eletti nel 2013 Ăš diventato legge. CioĂš dei 4000 disegni di legge presentati in questa legislatura solo 26 hanno visto la luce, pari allo 0,66%. Ben maggior successo hanno riscosso le proposte governative, pari al 20% come riporta l’analisi dettagliata di Openpolis. E anche nei tempi di approvazione il governo surclassa i parlamentari: 77 giorni in media per veder varata una sua legge, contro i 245 che mediamente impiegano quelle dei parlamentari. CuriositĂ : tra i partiti vince Sel di Vendola. Ne ha presentate 89 e viste approvate 4 con il 4,46%. Il Pd invece ne ha presentate 1400 con la solita bulimia e ne ha viste approvate solo lo 0,77%, battuto perfino dall’1,11% di Forza Italia. Missing Italicum La commissione affari costituzionali del Senato si sta occupando della riforma della pubblica amministrazione, una riforma complessa che potrebbe da sola impegnare i lavori nelle prossime settimane. Peccato che anche la legge elettorale dovrebbe essere discussa e approvata dalla stessa commissione. Il renziano Roberto Giachetti da giorni chiede conto e ragione di quella che definisce una «melina». Indignandosi che la legge elettorale sia sparita dai radar, «missing». E avvertendo che di questo passo non si riuscirĂ  a varare l’Italicum entro l’anno come promesso. Ma nulla si sbloccherĂ  fino a quando Pd e Forza Italia non troveranno un’intesa sul ballottaggio tra coalizioni o tra liste...
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Anonymous
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E-commerce e tv digitale, parte la sfida Ue dei tablet senza frontiere L’Europa vuole creare un mercato unico del web, ma finora chi ha un abbonamento per film e partite di calcio non puĂČ usarlo su smartphone e computer se si trova all’estero Marco Zatterin | 801 parole Il nemico si chiama «geoblocking» e colpisce un consumatore europeo su due. Gli appassionati di calcio, ad esempio. Succede a chi ha comprato un abbonamento per vedere le partite della squadra del cuore sul tablet, perchĂ© vuol essere sicuro di non perdere neanche un match, ovunque si trovi. Ha firmato un contratto con l’operatore nazionale e lo ha pagato con la gioia delle grandi occasioni. Poi, un giorno, decide di regalarsi un viaggio all’estero, convinto che i suoi campioni lo seguiranno. Invece no. Appena passato il confine, la sua tavoletta diventa «straniera» e il servizio inaccessibile. Inutile aver pagato, inutile arrabbiarsi. I diritti finiscono con la frontiera nazionale, sono bloccati dalla geografia. Dal «geoblocking», per l’appunto. Il danno per i consumatori «E’ un male per i consumatori e non aiuta lo sviluppo dell’industria», tuona Andrus Ansip, ex premier estone, responsabile Ue per tutto ciĂČ che Ăš digitale. Bruxelles vorrebbe che il mercato comunitario - dove circolano liberamente cittadini, merci e capitali - fosse un terreno di gioco senza limitazioni ingiustificate anche per il digitale. Se lo immagina come gli Usa, dove Internet e telefonia non cambiano se si Ăš a New York o San Francisco. Da noi i navigatori del web sono 315 milioni, ma solo il 4% dell’offerta di beni e servizi Ăš transfrontaliera. Comandano i mercati nazionali. Se cosĂŹ non fosse, si avrebbero 415 miliardi di affari in piĂč. Il che conviene a tutti. Il progetto di Bruxelles La Commissione si dĂ  cinque anni per creare un «mercato unico digitale» e riformare tutto, dagli acquisti «on line» alle telefonate. Il primo problema che si pone Ăš quello dei diritti. Riguarda la televisione «on demand», quella che si puĂČ ordinare lĂŹ per lĂŹ col telecomando, come il calcio, «il settore piĂč complesso da affrontare». Ogni emittente acquista i diritti della singola serie tv o di un campionato puntando a una fetta precisa di continente. Al contempo, si protegge per evitare che la regola venga violata e «geoblocca». Anche se il limite viene aggirato grazie a furbizie informatiche semplici come Anonymox che cambia la nazionalitĂ  dell’indirizzo Internet. Bruxelles propone di aprire il mercato rivedendo le regole del diritto d’autore, ferme al 2001, anno in cui la «tv on demand» era quasi fantascienza. Suggerisce di elaborare schemi in grado di attraversare le frontiere nel rispetto di creativi e produttori. Si tratta di studiare un meccanismo perchĂ© ovunque in Europa si possa accedere a qualunque contenitore digitale pagando il giusto. «Si amplia la platea e si scoraggia la pirateria», assicurano alla Commissione. Dove si ammette che il caso pesa di piĂč per le emittenti di lingua inglese che italiana, data l’audience potenziale. Ma che, questo, non modifica l’esigenza. Il «geoblocking» riguarda molti siti commerciali. In Belgio, per esempio, Ăš impossibile comprare un computer dal sito francese di una grande marca che ha un frutto come simbolo: si viene reindirizzati alla pagina bruxellese; la geografia blocca l’acquisto e limita la scelta. Se invece si affitta un’auto in Spagna, ci sono possibilitĂ  che - letto l’indirizzo di provenienza del contatto - la stessa vettura costi di piĂč per un tedesco piuttosto che per uno sloveno. In questo caso, la geografia penalizza. In generale, il 52% tutte le esigenze di acquisti transfrontalieri non viene esaudito in un altro paese. «Meno clienti, meno incassi», sottolinea Ansip. Il freno all’e-commerce Lo shopping online viene frenato pure dalla posta. Il 57% dei cittadini dice che il prezzo della spedizione Ăš la ragion per cui non comprano all’estero. Colpa del mercato che non
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Anonymous
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La guerra in Spagna era da qualche mese ïŹnita, e stava per cominciare quella mondiale, quando in una bottega di vecchi libri mi sono imbattuto nel grosso volume delle Obras di josĂ© Ortega y Gasset pubblicato dalla Espasa—Calpe (Bilbao— Madrid—Barcelona: e questi nomi di citta‘ erano per me ancora intrisi della passione con cui avevo seguito le vicende della guerra civile) nel 1932. Un volume rilegato in tela arancione e stava accanto ad un altro di uguali dimensioni rilegato in tela rossa e che portava il timbro di un circolo socialista di Zaragoza: El capital di Marx. Era facile pensare che qualcuno li avesse portati dalla Spagna come preda di guerra: e mi commuoveva l’immagine di quel reduce dalla guerra fascista che chi sa per quale sentimento, interesse o intento si era caricato di quei due pesanti volumi, portandoli dalla Spagna in Italia. Era un’immagine che dava alla fantasia e inclinava alla retorica. Mi faceva affiorare alla mente quella frase di Shakespeare che l’anno prima il premier inglese Chamberlain aveva declamato tornando da Monaco: “Dentro una selva di pericoli abbiamo colto questo ïŹore” (e intendeva, il pover’uomo, il ïŹore della pace). Dentro i disagi, i pericoli e lo strazio della guerra — e di una guerra di cui altro non sapeva che era contro quei “rossi” di cui nulla sapeva — ecco che l’ignoto reduce italiano aveva riportato, come un ïŹore, dei libri. E forse non per sĂš. Per me, in deïŹnitiva.
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Leonardo Sciascia (Ore di Spagna)
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les jours passent vite alors qu’on aurait pu croire le contraire lorsqu’on est lĂ , assis, Ă  attendre je ne sais quoi, Ă  boire et Ă  boire encore jusqu’à devenir le prisonnier des vertiges, Ă  voir la Terre tourner autour d’elle mĂȘme et du Soleil mĂȘme si je n’ai jamais cru Ă  ces thĂ©ories de merde que je rĂ©pĂ©tais Ă  mes Ă©lĂšves lorsque j’étais encore un homme pareil aux autres, faut vraiment ĂȘtre un illuminĂ© pour dĂ©biter des Ă©normitĂ©s de ce genre parce que moi, Ă  vrai dire, quand je bois mon pot,quand je suis assis peinard Ă  l’entrĂ©e du CrĂ©dit a voyagĂ©, je ne rĂ©alise pas que la Terre que je vois lĂ  puisse ĂȘtre ronde, qu’elle puisse s’amuser Ă  tourner au tour d’elle-mĂȘme et autour du Soleil comme si elle n’avait rien d’autre Ă  foutre que de se causer des vertiges d’avion Ă  papier, qu’on me dĂ©montre donc Ă  quel moment elle tourne autour d’elle-mĂȘme, Ă  quel moment elle arrive Ă  tourner autour du Soleil, faut ĂȘtre rĂ©aliste, voyons, ne mous laissons pas embobiner par ces penseurs qui devaient se raser Ă  l’aide d’un vulgaire silex ou d’une pierre maladroitement taillĂ©e pendant que les plus modernes d’entre eux utilisaient de la pierre polie, en fait, grosso modo, si je devais analyser tout ça de trĂšs prĂšs, je dirais qu’on distinguait jadis deux grandes catĂ©gories de penseurs, d’un cĂŽtĂ© y avait ceux qui pĂ©taient dans les baignoires pour crier Ă  plusieurs reprises « j’ai trouvĂ© , j’ai trouvĂ© », mais qu’est-ce qu’on en a foutre qu’ils aient trouvĂ©, ils n’avaient qu’à garder leur dĂ©couverte pour eux, moi j’ai eu Ă  m’immerger quelques fois dans la riviĂšre Tchinouka qui a emportĂ© ma pauvre mĂšre, je n’ai rien trouvĂ© de spectaculaire dans ces eaux grises oĂč tout corps qu’on y plonge ne subit mĂȘme pas la fameuse poussĂ©e verticale de bas en haut, c’est d’ailleurs pour cela que toute la merde de notre quartier Trois – cents est tapie au fond des eaux, qu’on me dise alors comment cette merde arrive Ă  Ă©chapper Ă  la poussĂ©e d’Archimerde, et puis y avait la deuxiĂšme grande catĂ©gorie d’illuminĂ©s qui n’étaient que des oisifs, des vrais fainĂ©ants, ils Ă©taient toujours assis sous un pommier du coin et attendaient de recevoir des pommes sur la tĂȘte pour une histoire d’attraction ou de pesanteur, moi je suis contre ces idĂ©es reçues, et je dis que la Terre est plate comme l’avenue de l’indĂ©pendance qui passe devant Le CrĂ©dit a voyagĂ©, y a rien a rajouter, je proclame que la Terre est tristement immobile, que c’est le Soleil qui s’excite autour de nous parce que je le vois moi-mĂȘme parader au dessus de la toiture de mon bar prĂ©fĂ©rĂ©, qu’on ne me raconte pas d’histoire Ă  dormir debout, et le premier qui vient encore m’expliquer que la Terre est ronde, qu’elle tourne autour d’elle –mĂȘme et autour du Soleil, celui lĂ  je le dĂ©capite sur le champ, mĂȘme s’il s’écrie « et pourtant elle tourne »
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Alain Mabanckou (Broken Glass)
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Pendant des millĂ©naires, l'homme a Ă©tĂ© le dĂ©tenteur du pouvoir ; il ne supporte pas l'idĂ©e que cela va finir avec lui, il veut le transmettre Ă  un autre ĂȘtre, semblable Ă  lui. Qui a le pouvoir jouit d'un grand prestige ; il prend la dimension d'un symbole, il a le droit et le devoir de se rĂ©aliser au maximum, on attend de lui qu'il devienne un individu, il est considĂ©rĂ© pour ce qu'il sera. On attend de la femme qu'elle soit un objet, et elle est considĂ©rĂ©e pour ce qu'elle donnera. Deux destins tout Ă  fait diffĂ©rents. Le premier implique la possibilitĂ© d'utiliser toutes les ressources personnelles, les ressources du milieu et celles d'autrui pour se rĂ©aliser, c'est le laissez-passer pour le futur, le bien-ĂȘtre par l'Ă©goĂŻsme. Le second destin prĂ©voit au contraire le renoncement aux aspirations personnelles et l'intĂ©riorisation de ses propres Ă©nergies pour laisser aux autres toutes les possibilitĂ©s. Le monde se maintient justement par la mise en rĂ©serve de toutes les Ă©nergies fĂ©minines, qui sont lĂ  comme un grand rĂ©servoir, Ă  la disposition de ceux qui emploient les leurs Ă  la poursuite de leurs ambitions de pouvoir.
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Elena Gianini Belotti (Dalla parte delle bambine)
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La mort est aussi une chose merveilleuse – aprĂšs qu’on a fini de vivre. Seul, celui qui comme moi a su ouvrir la bouche et parler, seul, celui qui a su dire Oui, Oui, Oui et encore Oui ! a le droit d’ouvrir tout grands les bras Ă  la mort, sans avoir peur d’elle. La mort en tant que rĂ©compense, oui ! La mort en tant que fruit de l’accomplissement, oui ! La mort en tant que couronne et bouclier, oui ! Mais non pas la mort qui vous prend aux racines, qui isole les hommes, qui les rend amers et peureux et solitaires, leur donne une Ă©nergie stĂ©rile et les emplit d’une volontĂ© qui ne sait dire que Non ! Le premier mot que trace quiconque a fini par se trouver soi-mĂȘme, par trouver son rythme, qui est le rythme de vie, ce premier mot c’est Oui ! Tout ce qu’il Ă©crira ensuite, ce sera Oui, Oui, Oui – Oui de mille et mille façons.
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Henry Miller (Tropique du Capricorne / Tropique du Cancer)
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Si on lui avait demandĂ© ce qui Ă©tait l’essentiel de sa vie, malgrĂ© sa passion pour le Journal du soir oĂč il travaillait comme reporter, il n’aurait pas hĂ©sitĂ©, c’est Nine qu’il aurait dĂ©signĂ©e. Ils Ă©taient tombĂ©s amoureux au premier regard, s’étaient jetĂ©s l’un sur l’autre Ă  la seconde rencontre, le corps de Nine Ă©tait la rĂ©ponse Ă  toutes ses attentes, il n’avait plus un millimĂštre d’elle Ă  dĂ©couvrir et son odeur, sa peau, sa chaleur, ses lĂšvres, ce satin, sa toison, ce velours, Ă©taient devenus, en quatre ans, le pays qu’il habitait. Nine, souvent silencieuse, se pendait Ă  son cou et donnait l’impression, elle aussi, d’ĂȘtre arrivĂ©e quelque part et de ne plus vouloir s’en aller quoiqu’elle refusĂąt toujours d’envisager une vie commune.
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Pierre Lemaitre (Le Silence et la ColĂšre)