Ci Vediamo Quotes

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Mi succede sempre così, a me, coi problemi. Da lontano, mi fanno fare un sacco di discorsi complicati. Quando poi ci vediamo, troviamo sempre il modo di metterci d'accordo.
Diego De Silva (Non avevo capito niente)
L’amore non finisce se noi non ci vediamo.
Alessia Esse (La tentazione di Laura (Nel cuore di New York, #1))
Grazie, Josh. Ci vediamo domani" fu tutto ciò che Isaac disse. E così, quando avevo più bisogno di lui, scelse me.
N.R. Walker (Through These Eyes (Blind Faith, #2))
Perché vediamo solo quello che conosciamo. Siamo convinti che gli altri siano capaci di fare solamente ciò che sappiamo fare anche noi, nel bene e nel male. Per questo riconosciamo come amore solo quello che corrisponde all'immagine che ne abbiamo. Vogliamo essere amati come amiamo noi. Ogni altro modo ci è estraneo, lo guardiamo con sfiducia, ne fraintendiamo i segni, non capiamo la sua lingua. Accusiamo. Affermiamo che l'altro non ci ama. E invece forse ci ama in un modo tutto suo, che noi non conosciamo.
Jan-Philipp Sendker (L'arte di ascoltare i battiti del cuore)
È il petto di un'altra persona a spalleggiarci, ci sentiamo realmente spalleggiati solo quando abbiamo qualcuno dietro, lo dice la parola stessa, alle nostre spalle, come in inglese, to back, qualcuno che magari non vediamo e che ci copre le spalle col petto che è sul punto di sfiorarci e che alla fine sempre ci sfiora, e a volte, addirittura, questo qualcuno ci mette una mano sulla spalla con la quale ci tranquillizza e al tempo stesso ci sottomette. In questo modo dormono o credono di dormire gran parte delle coppie, dopo la buonanotte i due si girano dallo stesso lato, di modo che uno dà le spalle all'altro per tutto il tempo e si sente spalleggiato da lui o da lei, e quando nel pieno della notte si sveglia di soprassalto per un incubo o non riesce a prender sonno, soffre per la febbre o si crede solo e abbandonato al buio, non deve far altro che voltarsi e vedere, di fronte a sé, il volto di colui che lo protegge, che si lascerà baciare quel che si può baciare in un volto (naso, occhi e bocca; mento, fronte e guance, tutto il volto) o che magari, mezzo addormentato, gli metterà una mano sulla spalla per tranquillizzarlo, o per sottometterlo, o forse per aggrapparsi. (da Un cuore così bianco, pag. 72)
Javier Marías (A Heart So White)
- E' che le ragazze sono fatte così in un certo modo, - disse lui. - Tra i venti e i ventun anni tutto a un tratto sviluppano un modo di pensare molto concreto. Cominciano a diventare realistiche. E le cose che fino a quel momento trovavi adorabili in loro cominciano a sembrarti banali e noiose. Ogni volta che ci vediamo, in genere dopo che siamo andati a letto, mi chiede che cosa ho intenzione di fare dopo l'università.
Haruki Murakami (Norwegian Wood)
«Mi sta bene che andiamo avanti. Ci vediamo, andiamo a letto insieme, tutto quello che vuoi fare per trascorrere del tempo con me. E prometto che non avrò alcuna aspettativa quando te ne andrai.» I suoi occhi si assottigliano dubbiosi. «Ma?» «Ma devi promettere che, oltre alla possibilità di partire, prenderai in considerazione anche quella di restare. Penso che dovresti concederti la possibilità che tu possa desiderare di restare.» Gli occhi di Kyle si scuriscono immediatamente con evidente dolore. È proprio qui… scritto sul suo volto. Gli ho appena chiesto di fare la cosa più impossibile al mondo, e so che ci crede con ogni fibra del suo essere. Per qualche ragione, Kyle crede profondamente di non avere altra scelta, se non quella di andarsene, e questo mi confonde, perché c’è sempre una scelta.Ma piuttosto che negare la mia richiesta, mi rivolge un piccolo sorriso e mente senza ritegno. «Okay… lascerò la possibilità aperta.»
Sawyer Bennett (Finding Kyle)
Senti l'abisso, è dentro di te. Non ti muovi, lo ignori, ignori la pazzia, il suo soffiare. Ti dice cosa credevi di fare, ti dice davvero ci vuoi riprovare, ti dice vuoi andare? va bene, puoi andare. Vediamo quanto sei veloce a scappare.
Eleonora C. Caruso (Le ferite originali)
Persino l’atto così elementare che chiamiamo “vedere una persona conosciuta” è in parte un atto intellettuale. Noi riempiamo l’apparenza fisica dell’individuo che vediamo con tutte le nozioni che possediamo sul suo conto, e nell’immagine totale che di lui ci rappresentiamo queste nozioni hanno senza dubbio la parte più considerevole. Esse finiscono per gonfiare con tanta perfezione le sue guance, per seguire con tale esatta aderenza la linea del suo naso, si incaricano così efficacemente di sfumare la sonorità della sua voce, come se si trattasse soltanto di un involucro trasparente, che ogni volta che vediamo quel viso e sentiamo quella voce sono loro, le nozioni, a presentarsi al nostro sguardo, a offrirsi al nostro ascolto
Marcel Proust (Du côté de chez Swann (À la recherche du temps perdu, #1))
- Ci sono divergenze di natura teologica su... Vediamo, per esempio sulla raffigurazione latina del purgatorio. - C'è qualcuno a cui frega una cippa di minchia della raffigurazione latina del purgatorio? - reagisce Dio, versandosi dell'altro caffè.
John Niven (The Second Coming)
C'è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi. Ed è solo in quei momenti che possiamo vederci, perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro. Quand'è che noi ci siamo trovati faccia a faccia? Non prima di aver guardato dentro le nostre reciproche crepe. Prima di allora, stavamo solo guardando le idee che avevamo dell'altro, come se stessimo osservando una tenda alla finestra, e mai la stanza dietro. Una volta che va a pezzi, però, la luce entra. Ed esce.
John Green (Paper Towns)
Ognuno all'inizio è una nave inaffondabile. Poi ci succedono alcune cose: persone che ci lasciano, che non ci amano, che non capiscono o che noi non capiamo, e ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo male, gli uni con gli altri. E lo scafo comincia a creparsi. E quando si rompe non c'è niente da fare, la fine è inevitabile. Però c'è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi. Ed è solo in quel momento che possiamo vederci, perchè vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro.
John Green (Paper Towns)
Quando vi dicevo che non ho mai lavorato presso un fotografo professionista, vediamo che, certo, questa potrebbe essere una limitazione: infatti, tecnicamente, ci sono fotografi professionali assolutamente strepitosi, davanti ai quali io mi levo tanto di cappello. Però l'uso delle luci, di banchi ottici, di spot, di flash, è molto convenzionale. Lavorare sul campo, lavorare all'interno del mondo, per strada, fotografare le architetture, sviluppa una sensibilità, un'attenzione nei confronti della luce che un fotografo di studio non avrà mai. Proprio perché lui ha il controllo delle luci, mentre io non ho il controllo della luce, anzi, ce l'ho, ma l'ho raggiunto attraverso una pratica diversa. Acquisisco una sensibilità nei confronti della luce. E questa, detta così, può apparire una differenza sottile, ma è fondamentale.
Luigi Ghirri (Lezioni di fotografia)
LETTERA 34 INVITO ALLA VERA AMICIZIA È vero che, anche quando si è lontani, quelli che amiamo ci danno motivo di gioia, ma essa è lieve e fugace. Invece il loro aspetto, la loro presenza, la loro conversazione danno un senso di vivo piacere, specie se vediamo non solo la persona che desideriamo, ma come la desideriamo.
Seneca
Ho notato spesso che siamo inclini a dotare i nostri amici della stabilità tipologica che nella mente del lettore acquistano i personaggi letterari. Per quante volte possiamo riaprire Re Lear, non troveremo mai il buon re che fa gazzarra e picchia il boccale sul tavolo, dimentico di tutte le sue pene, durante un'allegra riunione con tutte e tre le figlie e i loro cani da compagnia. Mai Emma si riavrà, animata dai sali soccorrevoli contenuti nella tempestiva lacrima del padre di Flaubert. Qualunque sia stata l'evoluzione di questo o quel popolare personaggio fra la prima di e la quarta di copertina, il suo fato si è fissato nella nostra mente, e allo stesso modo ci aspettiamo che i nostri amici seguano questo o quello schema logico e convenzionale che noi abbiamo fissato per loro. Così X non comporrà mai la musica immortale che stonerebbe con le mediocri sinfonie alle quali ci ha abituato. Y non commetterà mai un omicidio. In nessuna circostanza Z potrà tradirci. Una volta predisposto tutto nella nostra mente, quanto più di rado vediamo una particolare persona, tanto più ci dà soddisfazione verificare con quale obbedienza essa si conformi, ogni volta che ci giungono sue notizie, all'idea che abbiamo di lei. Ogni diversione nei fatti che abbiamo stabilito ci sembrerebbe non solo anomala, ma addirittura immorale. Preferiremmo non aver mai conosciuto il nostro vicino, il venditore di hot-dog in pensione, se dovesse saltar fuori che ha appena pubblicato il più grande libro di poesia della sua epoca.
Vladimir Nabokov (Lolita)
Lettera di Joyce a Nora Barnacle (futura moglie) "C’è una lettera che non oso essere il primo a scrivere ma che pure spero ogni giorno che mi scriverai. Una lettera solo per i miei occhi. Forse me la scriverai e placherà il mio desiderio. Che cosa può separarci ora? Abbiamo sofferto e siamo stati messi alla prova. Ogni velo di vergogna e diffidenza sembra essersi dissolto tra noi. Non vedremo negli occhil’uno dell’altra le ore e ore di felicità che ci attendono? Adorna il tuo corpo per me, carissima, sii bella e felice e amorosa e provocante, piena di ricordi, piena di desideri, quando ci vediamo. Ti ricordi i tre aggettivi che ho usato nel mio libro parlando del tuo corpo? Sono “musicale e strano e profumato”. La gelosia non è ancora del tutto spenta. Il tuo amore per me dev’essere feroce e violento…
James Joyce
A pensarci, lo dice uno scrittore russo che si chiama Viktor Erofeev, a pensarci ci son due persone che noi conosciamo senza averli mai incontrati, il babbo e la mamma. Di quasi tutte le persone che conosciamo il momento più forte, memorabile, quello dove li vediamo davvero, è il primo incontro, quando li vediamo per la prima volta, e il primo incontro con i nostri genitori non ce lo ricordiamo, è come se non ci fosse mai stato, li conosciamo senza averli incontrati.
Paolo Nori (La piccola Battaglia portatile)
Perché quando vediamo una persona svenuta proviamo il disperato bisogno di agire? Forse perché lo stato d'incoscienza è a metà strada tra la vita e la morte, e il nostro impulso naturale è impedire alla vittima di compiere l'altre metà del viaggio? O forse è per quell'istinto che tanto detesto nel genere umano, l'istinto di cercare di mettere glia altri nelle nostre stesse condizioni, anche quando sappiamo che le nostre stesse condizioni sono pericolose o poco raccomandabili: come quando i drogati vogliono convincere gli altri a bucarsi, tanto per fare un esempio banale. Assoluto conformismo, puro conservatorismo. Io sono quello che si definisce vivo, quindi anche tu devi vivere, anche se la tua vita fa schifo ed è probabile che ti vada ancora peggio, perché siamo portati a considerare la vita migliore di qualsiasi tipo di morte (ma come facciamo a saperlo, visto che mai nessuno è tornato a dirci com'è?). Ecco perché togliersi la vita viene definito con termini dispregiativi - suicidio, autodistruzione, peccato crimine - e la gente commisera chi ci prova, come quelli che per caso sono legati a chiunque ci riesca. Che stolti, questi mortali.
Aidan Chambers (Quando eravamo in tre)
[...] la schiavitù non è altro che il profitto di pochi del lavoro della massa. Perché la schiavitù possa essere abolita è necessario che gli uomini non sfruttino più le fatiche delle masse e che considerino vergognoso e vile tale sfruttamento. Intanto si fa in modo che venga nascosta la forma esteriore della schiavitù e che venga abolito il mercato degli schiavi; così facendo tendiamo a persuaderci che non esiste più la schiavitù e non vediamo e non vogliamo vedere che invece continua a esistere, dal momento che tutti gli uomini continuano a credere che sia giusto sfruttare le fatiche altrui. E poiché quest'opinione resiste, ci saranno sempre quelli più furbi e più forti che si credono in diritto di farlo. La stessa cosa accade con l'emancipazione della donna. Essa viene resa schiava perché ne possiamo approfittare a nostro piacere, e crediamo che ciò sia giusto. Ed ecco che le considerano libere, concedono loro gli stessi diritti degli uomini, ma continuano a pensarle come oggetto di piacere. Con questi principi vengono educate fin dall'infanzia e così vengono considerate in società. Ed esse saranno sempre schiave umiliate e corrotte, e altrettanto corrotto è l'uomo, il loro padrone.
Leo Tolstoy (The Kreutzer Sonata)
Pensai: ci innamoriamo di persone che sembrano vere ma non esistono, sono una nostra invenzione; questa donna così ferma, dalle frasi così scandite, questa donna senza timidezze, sferzante, non la conosco, non è Nadia. Una cosa è la persona amata, altra cosa è la persona reale che finché l'amiamo non vediamo mai davvero. Quanto tempo, mi dissi, sprechiamo nei rapporti amorosi. In questi anni ho felicemente inventato una persona. Sono entrato con grande godimento nel corpo di un mio acquerello dai colori leggeri, e ho nell'altra stanza una figlia vera di un anno che è stata partorita da una mia finzione.
Domenico Starnone (Confidenza)
Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire... Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare".
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, non ti ucciderei, purché tu fossi ragionevole. Ma prima eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello che ha determinato quella risoluzione. Io ho pugnalato quella formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora ho pensato alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani proprio come noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come le nostre per noi, e che abbiamo lo stesso terrore e la stessa morte e la stessa sofferenza… perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste uniformi, potresti essere mio fratello.
Erich Maria Remarque (All Quiet On The Western Front)
Cose che capitano nella solitudine di un'isola. Pensieri nuovi. Voci che ti dicono che il peggio non è tanto essere sull'orlo del disastro, ma il non accorgersi di esserci. Qualsiasi animale sente l'approssimarsi del pericolo. Noi non più. Siamo così narcotizzati e distanti dalla natura da non sentire che cemento e discariche, camorra e veleni ci assediano. Viaggiamo tranquilli in mezzo a penitenziari di animali pazzi e pieni di antibiotici, gabbie di reclusi pigolanti dove non fa mai notte, e non vediamo Nacht un Nebel che avanzano, a passi misurati, come Gog e Magog. Capiremo solo quando non ci sarà più niente da fare. Se domani il cielo fosse vuoto di passeri, ci metteremmo settimane a realizzarlo. Se un giorno il fiume sparisse da sotto i ponti del nostro paese, non lo noteremmo. Siamo pieni di paure, certo, ma paure di cose senza significato, e le paure a vuoto si chiamano paranoie. Ci manca il timore vero, quello supremo. L'orrore di noi stessi, incapaci di sentire il grido della natura che boccheggia e dice: "Basta".
Paolo Rumiz (Il Ciclope)
Ti scrivo mentre tu sei da qualche parte a comprare la Coca-Cola. È la prima volta in vita mia che scrivo una lettera a qualcuno seduto accanto a me su una panchina. Ma se non facessi così dubito che riuscirei a farti arrivare quello che ti voglio dire. Perché tu non ascolti niente di quello che dico, prova a dire che non è vero. “Se può interessarti, oggi tu hai fatto una cosa molto grave nei miei confronti. Non ti sei neanche accorto che ho cambiato pettinatura. Piano piano, con sacrificio, avevo aspettato che mi crescessero i capelli e lo scorso week-end finalmente mi sono fatta fare un taglio femminile. Ma tu non ci hai fatto neanche caso. Ero così sicura di essere carina nella mia nuova pettinatura che non vedevo l'ora di farti una sorpresa, tanto più che era la prima volta che ci vedevamo da tanto tempo. E tu non te ne sei nemmeno accorto! Ti rendi conto di che vuoi dire? Figuriamoci, se è per questo probabilmente non sapresti dire neanche com'ero vestita. Ma guarda che io sono una donna. Per quanti pensieri tu possa avere, potresti almeno degnarmi di uno sguardo. Sarebbe bastato poco. Se solo mi avessi detto, non dico tanto, qualcosa tipo “Carina, questa pettinatura‟, ti avrei lasciato fare come volevi, immergerti nei tuoi pensieri quanto volevi. “Perciò sto per dirti una bugia. Ti dirò che ho un appuntamento a Ginza con mia sorella. Non è vero. Pensando di restare stanotte a dormire da te mi ero portata perfino il pigiama. Sì, se lo vuoi sapere nella mia borsa ci sono pigiama e spazzolino da denti. Mi viene da ridere, se penso a quanto sono cretina. A te l'idea di invitarmi a casa tua non ti ha sfiorato nemmeno. Ma non importa. Visto che ci tieni tanto a startene da solo fregandotene altamente di me, rimani pure da solo e pensa a tutti i tuoi problemi quanto vuoi senza nessuna interferenza da parte mia. “Il guaio è che non riesco nemmeno ad avercela con te. Mi sento soprattutto sola. In fondo sei sempre stato gentile con me mentre io per te non ho fatto niente. Tu sei sempre chiuso nel tuo mondo e ogni volta che io provo a bussare e a chiamarti tu mi lanci al massimo un'occhiata e subito ti richiudi in te stesso. “Eccoti che torni con la Coca-Cola. Vieni verso di me tutto sprofondato nei tuoi pensieri. Quanto vorrei che inciampassi! Ma non inciampi, ti siedi accanto a me come prima e bevi la tua Coca. Avevo un residuo di speranza che tornando notassi qualcosa e dicessi: “Di' un po‟, ma hai cambiato pettinatura?‟ Invece niente. Se te ne fossi accorto anche in ritardo avrei strappato questa lettera e ti avrei detto: “Dai, andiamo a casa tua. Ti cucinerò una cena favolosa e poi andremo a letto felici e contenti‟. Ma tu sei ottuso come un pezzo di legno. Sayonara. P.S. La prossima volta che ci vediamo a lezione evita di rivolgermi la parola.
Haruki Murakami (Norwegian Wood)
La discriminazione contro i gruppi di minoranza non verrà meno fino a quando non verranno mutate le forze che determinano le decisioni dei guardiani. Le loro decisioni dipendono in parte dalla loro ideologia - ovvero dal sistema di credenze e di valori che determina ciò che essi considerano "bene» o «male». ... Pertanto se ci proponiamo di ridurre la discriminazione all'interno di fabbrica, di una scuola o di qualsiasi altra istituzione organizzata, dovremmo considerare la vita sociale che ivi si svolge come qualcosa che scorre attraverso certi canali. Vediamo allora che vi sono dirigenti o uffici che decidono chi fa parte dell'organizzazione o chi è escluso, chi è promosso, e cosi via. Le tecniche di discriminazione in queste organizzazioni sono strettamente connesse a quelle meccaniche che incanalano la vita dei membri di un'organizzazione in particolari direzioni. Pertanto la discriminazione è fondamentalmente connessa con i problemi della direzione, con le azioni dei guardiani che determinano ciò che deve essere fatto e ciò che non si deve fare.
Kurt Lewin
Per una tribù indigena del Paraguay, o forse della Bolivia, il passato è ciò che ci sta davanti, perché possiamo vederlo e conoscerlo, e il futuro, invece, è ciò che ci sta dietro: ciò che non vediamo né possiamo conoscere.
Juan Gabriel Vásquez
e quando ce lo domandiamo (<>) e stiamo a sentire la risposta, rimaniamo per forza un po' delusi, quasi vorremmo replicare: <>, perché non è di semplici complimenti, per quanto sinceri, che in quel momento andiamo alla ricerca, ma qualcosa di più intimamente effimero che ci descriva nell'immaginazione dell'altro.Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d'essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l'abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro.<>, questo per esempio vorremmo sentire, piuttosto che <>.C'innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l'altra persona come pensiamo che nessuno l'abbia mai vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma d'immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a quell'immagine che chiediamo aiuto quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare, allora la richiamiamo, e ci basta...
Diego Da Silva
e quando ce lo domandiamo ("Ma tu perché mi ami?") e stiamo a sentire la risposta, rimaniamo per forza un po' delusi, quasi vorremmo replicare: "Dài che puoi fare di meglio, dimmi chi sono", perché non è di semplici complimenti, per quanto sinceri, che in quel momento andiamo alla ricerca, ma qualcosa di più intimamente effimero che ci descriva nell'immaginazione dell'altro.Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d'essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l'abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro."Ti amo perché ti gratti il polso in quel modo tutto tuo", questo per esempio vorremmo sentire, piuttosto che "Ti amo perché sei generoso e affidabile".C'innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l'altra persona come pensiamo che nessuno l'abbia mai vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma d'immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a quell'immagine che chiediamo aiuto quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare, allora la richiamiamo, e ci basta...
Diego Da Silva
Sì, però, sbarcati in Europa, anche qui è come essere in un documentario perpetuo, dove vedi tutto pulito, ordinato, levigato, glossy, flashing, rifatto a nuovo, neanche uno scarto troppo vistoso, una macchina troppo squinternata, una persona veramente sdentata, un vestito davvero fuori moda, un negozio che sia rimasto come cinque anni fa, una vetrina con libri che non siano novità assolute. Andiamo in giro per Parigi e vediamo soltanto quest'altro documentario del nuovo totale, senza più niente di precario, di povero, decaduto, rimediato, tarlato dal vento, scartato dal destino. È il documentario della simulazione globale, senza luogo, senza scampo, che ci mostrano a titolo pubblicitario notte e giorno, dietro lo schermo di vetro che abbiamo in dotazione per vivere da queste parti. Ma poi si sa che quando uno è lasciato dietro a un vetro, tende a sentire che gli manca qualcosa, anche se ha tutto e non gli manca niente, e questa mancanza di niente forse conta qualcosa, perché uno potrebbe anche accorgersi di non aver bisogno davvero di niente, tranne del niente che gli manca davvero, del niente che non si può comprare, del niente che corrisponde a niente, il niente del cielo o dell'universo, o il niente che hanno gli altri che non hanno niente.
Gianni Celati
Una lezione ha un denominatore comune che ci lega l'uno all'altro come in una catena. In fondo alla catena è appeso un orologio che segna lo scorrere del tempo. Udiamo il tic tac attutito che spezza il silenzio e spesso lo vediamo, ma non lo ascoltiamo. Ogni secondo lascia un segno nella vita di ciascuno; arriva e se ne va, svanendo senza squilli di tromba, disperdendosi nell'aria come come il fumo che si leva da un dolce di Natale appena sfornato. Il tempo ci riscalda e, quando è finito, ci lascia al freddo. E' più prezioso dell'oro, dei diamanti, più prezioso del petrolio o di qualsiasi tesoro. Il tempo non ci basta mai; il tempo crea conflitti nei nostri cuori e quindi dobbiamo usarlo saggiamente. Non possiamo impacchettarlo, mettergli un fiocco e lasciarlo sotto l'albero per la mattina di Natale. Non possiamo regalare il tempo, ma possiamo condividerlo
Cecelia Ahern
quando l’isis «insegna» Distruggendo i reperti di Mosul e Nimrud i terroristi hanno paradossalmente dimostrato di capire cosa rappresentino e quanto siano preziosi Luigi Giaccone | 339 parole Dobbiamo essere «molto riconoscenti» verso quei militanti dell’Isis che hanno distrutto reperti assiri a Mosul e a Nimrud, perché ci hanno dimostrato di aver capito perfettamente ciò che quei resti testimoniano. Afferma Domenico Quirico su questo giornale: «La storia è il principale avversario dello Stato totalitario, di ogni Stato totalitario». Studiare la storia, e soprattutto quei periodi che sembrano più lontani da noi, significa confrontarsi con ciò che è diverso da noi, uscire dal guscio asfittico in cui siamo soliti muoverci e che vediamo come unico universo possibile. Quest’avventura, che ci apre alla conoscenza di mondi nuovi e di culture altre, ha una straordinaria valenza formativa, in quanto palestra di democrazia e di educazione allo spirito critico e al confronto delle idee, ma proprio per questo costituisce una minaccia per qualunque forma di pensiero unico, di qualunque matrice. Tutti i regimi autoritari si sono misurati con questa pericolosa infezione. In alcuni casi si sono limitati a distruggere ogni testimonianza del passato, a far tabula rasa di tutto ciò che potesse minacciare l’unica ideologia ammessa: oggi l’Isis in Iraq, ieri i talebani in Afghanistan, i khmer rossi in Cambogia, la rivoluzione culturale in Cina. Le dittature europee del Novecento hanno invece trovato un sistema più subdolo, strumentalizzando il passato ed estrapolando figure e momenti esemplari, da proporre come precursori per giustificare il proprio operato; hanno disinfettato la storia dal virus eversivo dell’alterità per omologarla alle proprie ideologie, appiattendo il passato sul presente: così è stato per l’impero romano con il fascismo, la società spartana con il nazismo, l’icona di Spartaco con i regimi comunisti. Che lo studio della storia, anche di quella meno recente, sia fondamentale, l’Isis e i vari Stati autoritari hanno dimostrato di averlo capito: perché noi l’abbiamo dimenticato? Insegnante al Liceo Cavour di Torino
Anonymous
Presi in giro dalla doppia ipocrisia di calcio e politica Michele Brambilla | 723 parole Sinceramente: non ne possiamo più di sentire un ministro dell’Interno che dice «nessuna clemenza» per i delinquenti che rovinano una partita di calcio. Ci sentiamo presi in giro. Sono anni che, periodicamente, siamo qui a commentare incidenti aggressioni e ferimenti prima, durante e dopo le partite. Abbiamo visto di tutto: tifosi ammazzati con una coltellata, capi ultrà che intimano ai giocatori di non giocare un derby, motorini lanciati dal secondo anello. E i ministri dell’Interno e i capi di governo che dicono: adesso basta, nessuna clemenza. Poi, tutto resta come prima. Altrettanto sinceramente: non ne possiamo più neppure di sentire ministri dell’Interno che si complimentano con le forze dell’ordine per aver «subito identificato e fermato» i delinquenti che hanno tirato le bombe carta dentro lo stadio. Eh no, signor ministro, anche qui ci sta prendendo in giro. Qualsiasi buon padre di famiglia sia andato almeno una volta allo stadio, sa che ai tornelli viene fermato, controllato, perquisito: e se ha una bottiglietta di acqua minerale, gli viene ordinato di togliere il tappo. Poi però i cosiddetti ultras possono portare dentro di tutto, compreso il materiale per fabbricare le bombe carta. Ecco perché ci sentiamo presi in giro anche per i complimenti alle forze dell’ordine che individuano e fermano: bisogna pensarci prima, signor ministro. Le «forze dell’ordine», come le chiama lei, devono perquisire i cosiddetti ultrà come intrepidamente perquisiscono i nonni. È passato un anno dalla finale di Coppa Italia che aveva fatto indignare il presidente del Consiglio. Era presente allo stadio e aveva assistito con i propri bambini allo strazio della trattativa fra un soggetto chiamato Genny ’a carogna e la polizia. Aveva dunque promesso interventi durissimi e immediati. Siamo ancora qui, come venti o trenta anni fa. E a proposito di trent’anni fa: nel 1985 ci fu la tragedia dell’Heysel, una strage provocata dai cosiddetti holligans. La Gran Bretagna decise che bisognava fare sul serio, e sul serio fece. Da allora, in Inghilterra non è più successo nulla. In Italia, invece, solo il nuovo stadio della Juventus ha provato a replicare il modello inglese. Per il resto, tutto è ancora come ai tempi di quel derby romano del 1979, quando un tifoso venne accoppato da un razzo sparato dalla gradinata opposta. Questo è dunque un fronte: l’ipocrisia delle società di calcio e della politica, capaci solo di esprimere il consueto «sdegno». Un altro fronte riguarda la domanda, che prima o poi dovremo pur porci in profondità, sull’immensa quantità di rabbia, di rancore e di violenza che si è riversata sul mondo del calcio. Non solo su quello professionistico. Chiunque abbia figli che giocano nelle giovanili sa di che cosa sto parlando. Le partite dei ragazzi e dei bambini sono ormai diventate momenti in cui genitori e ahimè spesso anche gli allenatori e i dirigenti sfogano tutto l’irrisolto che si portano dentro. Ieri ho visto una partita di uno dei miei figli e a un certo punto è entrato un ragazzo di colore. Uno degli avversari gli ha detto: «Sei venuto in Italia a rompere i c...?». L’arbitro per fortuna ha sentito e l’ha espulso. Ma mentre l’espulso, uscendo dal campo, gridava al ragazzo di colore «ci vediamo fuori», il suo allenatore, invece di zittirlo, insultava l’arbitro per aver tirato fuori il cartellino rosso per così poco. Tutto questo mentre sugli spalti i genitori delle due squadre – che avevano appena deprecato gli incidenti del derby di Torino – se ne dicevano di tutti i colori. Ecco, credo che dovremo anche chiederci come mai il calcio sia diventato il ricettacolo di tanta violenza repressa. I tifosi che gridano «uccideteli» in serie A sono immersi nello stesso odio che fa litigare anche sui campi dove sgambettano i pulcini. Insomma i fronti sono due: la politica e le società
Anonymous
Ci consideriamo i cavalieri del Santo Contatto, e questa è la menzogna numero due: la verità è che cerchiamo soltanto la gente. Non abbiamo bisogno di altri mondi, ma di specchi. Degli altri mondi non sappiamo che farcene, quello che abbiamo ci basta e ci avanza. In alcuni pianeti speriamo di trovare il modello ideale e civiltà migliori della nostra, in altri speriamo di scoprire l'immagine del nostro passato primigenio. Tuttavia, di quel mondo, c'è anche qualcosa che rifiutiamo, da cui ci difendiamo... Il fatto è che non arriviamo dalla Terra come campioni di virtù o come monumenti dell'eroismo umano: ci portiamo dietro esattamente quello che siamo e quando l'altra parte ci svela la nostra verità - il lato che ne teniamo nascosto - non riusciamo ad accettarla! - E cioè, che cosa? - chiesi dopo averlo pazientemente ascoltato. - Quello che volevamo: il contatto con un'altra civiltà. E adesso che ce l'abbiamo, vediamo che si tratta solo della nostra mostruosa bruttezza, della nostra follia e della nostra vergogna ingrandite al microscopio!
Stanisław Lem
«Ehilà, reginetta di bellezza, sei pronta?» la voce di Rhage lo raggiunse in bagno. «O hai in mente di depilarti le sopracciglia?» Qhuinn diede una rapida controllata alle basette con la mano. A posto. «Vaffanculo, Hollywood», strillò al di sopra del getto d'acqua. Chiuse il rubinetto e uscì dalla doccia, asciugandosi mentre tornava in camera da letto. Ritto accanto a un Tohr tutto sorridente, Rhage teneva le braccia dietro la schiena. «Bel modo di parlare al tuo cazzo di stilista.» Qhuinn li guardò torvo. «Se lì dietro avete un tessuto hawaiano vi uccido.» Rhage guardò Tohr, sogghignando. Quando l'altro fratello annuì, Hollywood tirò fuori quello che nascondeva dietro il corpo mastodontico. Qhuinn rimase impietrito. «Un momento… quello è uno…» «Smoking, credo che si chiami così», lo interruppe Rhage. «S–M–O–K–I–N–G.» «È della tua taglia», disse Tohr. «E Butch dice che lo stilista è il migliore su piazza.» «Ha lo stesso nome di un'automobile», bofonchiò Rhage. «Non ci si crede… uno tutto pieno di sé, con la puzza sotto il naso…» «Ehi, avete visto anche voi Honey Boo Boo?» chiese Lassiter, piombando nella stanza. «Woooow, bello smoking…» «Solo perché insisti ad accendere la tele su quell'orrore di reality nella sala del biliardo.» Hollywood si voltò proprio mentre V entrava dietro l'angelo. «Qhuinn non sapeva nemmeno cos'era, Vishous.» «Lo smoking?» V si accese una delle sue sigarette rollate a mano. «Per forza. È un vero maschio.» «Allora vuol dire che Butch è una ragazza», fece notare Rhage. «Perché l'ha comprato lui.» «Ehi, quanta gente, siamo già nel pieno della festa», esclamò Trez, sopraggiungendo insieme ad iAm. «Oh, bello smoking. Non è un Tom Ford?» «Non era un Dick Chrysler?», scherzò Rhage. «O un Harry GM… no, aspetta, questa suona come una battutaccia…» «Meglio che ti vesti, Raperonzolo.» V controllò l'orologio. «Non abbiamo molto tempo.» «Questo sì che è un signor smoking», sentenziò Phury, spalancando la porta insieme a Z. «Ne ho uno identico.» «Fritz ha già acceso le candele», annunciò Rehv alle spalle dei gemelli. «Ehi, bello smoking. Ne ho uno identico.» «Anch'io», ribadì Phury. «Il taglio è fantastico, vero?» «Le spalle, giusto? Tom Ford è il migliore…» Un pandemonio. Totale. Assoluto. Osservando la scena, con tutti quei vampiri che parlavano uno sopra l'altro, dandosi il cinque e scambiandosi pacche sul sedere, Qhuinn rimase per un attimo senza fiato. Poi abbassò gli occhi sull'anello che gli aveva regalato Blay. Avere una famiglia era… proprio, incredibilmente meraviglioso. «Grazie», disse piano. Tutti si bloccarono di colpo, voltandosi verso di lui e guardandolo, immobili, in perfetto silenzio. Fu Z a prendere la parola, con gli occhi gialli che brillavano. «Mettiti il vestito della festa. Ci vediamo giù di sotto, playboy.» Le pacche sulle spalle si sprecarono via via che tutti, uscendo, lo salutavano. Poi Qhuinn rimase da solo con il suo smoking. «Coraggio, diamoci una mossa», disse all'abito.
J.R. Ward (Lover at Last (Black Dagger Brotherhood, #11))
Perchè, per dirla alla Tina, ci sono persone di cui non vediamo l'ora di liberarci con una bella litigata, Altre che non possiamo proprio permetterci di perdere.
Chiara Gamberale (Le luci nelle case degli altri)
Sapete, alle volte è l'amore degli altri che ci innamora: vediamo una persona solo quando essa chiede i nostri occhi.
Dacia Maraini
Siamo nodi di una rete di scambi, di cui questo libro è un tassello, nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazioni e conoscenza. Ma del mondo che vediamo siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall’interno. Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie.
Carlo Rovelli (Sette brevi lezioni di fisica)
Quando nel 2010 l'Eyjafjallajökull eruttò, fermando per sei giorni il traffico aereo in tutta Europa, il rilascio di diossido di carbonio del vulcano arrivò più o meno al 40 per cento delle emissioni prodotte quotidianamente dai collegamenti aerei europei, ossia a circa 150.000 tonnellate al giorno. Bloccando tutto il traffico aereo, il vulcano è riuscito dunque ad abbassare la concentrazione di CO2 nell'atmosfera di oltre mille tonnellate, diventando così il primo vulcano ambientalista della storia. Dietro ogni cosa che facciamo c'è un fuoco che brucia e un traffico che scorre come lava incandescente. In tutto il mondo le emissioni complessive prodotte dagli esseri umani corrispondono a seicento Eyjafjallajökull che eruttino giorno e notte per tutto l'anno. Se convertissimo in vulcani le emissioni prodotte dagli statunitensi, sarebbe come se cento Eyjafjallajökull eruttassero tutti i giorni e tutte le notti; più o meno due vulcani per ciascuno stato. Il vulcano siamo noi, eppure quando ci guardiamo allo specchio non vediamo fiamme: tutto è così ben progettato che la combustione è invisibile.
Andri Snær Magnason (Um tímann og vatnið)
Noi, che vediamo le nostre città dilagare e dissolversi in anonime periferie-sprawl, e sappiamo che in quell’ambiente senz’anima cresceranno milioni di cittadini, nessuno dei quali saprà davvero che cosa è (meglio: che cosa fu) il paesaggio italiano fino a ieri celebrato. Siamo, ci sentiamo fuori luogo. Siamo spaesati, in senso sia metaforico che letterale.
Salvatore Settis (Paesaggio Costituzione cemento: La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile)
L'uomo è in grado di apprendere poche cose la volta; vediamo soltanto ciò che accade dinanzi a noi, qui e ora; non siamo capaci di figurarci una serie di processi che avvengono simultaneamente, per quanto siano legati o complementari gli uni agli altri. Questo vale anche per fenomeni relativamente semplici. La sorte di un uomo è significativa, quella di cento si può appena afferrare; ma la storia di mille, di un milione, propriamente parlando, non ci dice niente.
Stanisław Lem (Solaris)
Piange? Chi era Ecuba per lui?" (...) Ha pensato alla forza che hanno le cose di tornare e a quanto di noi stessi vediamo negli altri. E come un'onda che lo avesse investito tiepida e travolgente ha ricordato un letto di morte e una promessa fatta e mai mantenuta. (...) E ha pensato che c'è un ordine delle cose e che niente succede per caso; e il caso è proprio questo: la nostra impossibilità di cogliere i vari nessi delle cose che sono, e ha sentito la volgarità e la superbia con cui uniamo le cose che ci circondano.
Antonio Tabucchi (Il filo dell'orizzonte)
Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l’uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione.
Pope Benedict XVI (Dove era Dio?)
Potremmo chiamare Orso e sentire che fanno, ha aggiunto, e io le ho risposto che non vediamo Orso da mesi, quell’amicizia – estiva, sincera, reale – è finita come solo ciò che è vero sa finire, siamo distanti adesso, per un motivo o per l’altro, senza discussioni o strappi precisi, ci siamo allontanati.
Giulia Caminito (L'acqua del lago non è mai dolce)
Per tutto il XX secolo abbiamo preteso che la terra ci fosse utile, abbiamo voluto aumentarne la resa [...]. Buonsenso, lo abbiamo chiamato. A che ci serve una palude? Perché avere tante mosche? Perché non liberarci della concorrenza di volpi e coccodrilli? Decidiamo di salvaguardare una zona solo quando ne vediamo l'utilità pratica: la sua trasformazione in un parco nazionale o in un'attrazione turistica; e l'utilità dev'essere quantificabile, almeno in termini di profitto: occupazione, merchandising attività collegate. Quando si parla della barriera corallina si citano sempre la pesca e il turismo. L'arte, la giustifichiamo con delle vendite e il volume d'affari. La cultura e la scienza devono sempre trovare la loro legittimazione nei beni di consumo e nell'occupazione che creano.
Andri Snær Magnason (On Time and Water)
Per tutto il XX secolo abbiamo preteso che la terra ci fosse utile, abbiamo voluto aumentarne la resa [...]. Buonsenso, lo abbiamo chiamato. A che ci serve una palude? Perché avere tante mosche? Perché non liberarci della concorrenza di volpi e coccodrilli? Decidiamo di salvaguardare una zona solo quando ne vediamo l'utilità pratica: la sua trasformazione in un parco nazionale o in un'attrazione turistica; e l'utilità dev'essere quantificabile, almeno in termini di profitto: occupazione, merchandising e attività collegate. Quando si parla della barriera corallina si citano sempre la pesca e il turismo. L'arte, la giustifichiamo con le vendite e il volume d'affari. La cultura e la scienza devono sempre trovare la loro legittimazione nei beni di consumo e nell'occupazione che creano.
Andri Snær Magnason (On Time and Water)
Mi è bastato soltanto un minuto Per incontrarti per caso Un'ora per rendermi conto che tu eri diversa dagli altri Dopo un giorno era come se ti conoscessi da anni Ma non mi basterà una vita intera per dimenticarti Come una scossa 9.3 Sei l'epicentro del mio terremoto E andremo in ogni luogo dove siamo stati noi Ma il mondo non è più lo stesso ora che Mi sono perso e non so più dove mi trovo Adesso le città sembrano piccole Perché prima avevo te Prima avevo te Vorrei disegnare il mondo su un foglio di carta Così da rendere la terra piatta Così non conterà più la distanza Basterà un passo da una parte all'altra Ma nei margini non ci sono mai stato dentro come da bambino Sarà per questo che ora noi vediamo gli orizzonti e gli altri vedono confini Capirai di avere un cuore quando qualcuno te lo spezza Ma impari ad usarlo quando trovi chi lo raccoglie da terra Hai visto la parte peggiore di me E quella che nemmeno io conoscevo Ci siamo fatti la guerra ma in guerra poi nessuno vince davvero Sarà il mio silenzio a spiegarti ogni cosa che provo Ma tutto crolla quando sei con me Come una scossa 9.3 Sei l'epicentro del mio terremoto "9.3
Mr Rain
La vedevo davanti a me: una creatura scintillante, preziosa, che presto sarebbe invecchiata, presto sarebbe morta, presto avrebbe irrimediabilmente perduto questi momenti che nella loro intangibilità ci facevano sperare, a torto... a torto, in una sorta d'immortalità. Come se si trattasse di un nostro diritto innato, di cui non si afferra il significato fino a quel punto della vita in cui ci vediamo davanti solo tanti anni quanti già ce ne siamo lasciati alle spalle. Quando ogni istante, ogni istante, va prima conosciuto e poi assaporato.
Anne Rice (Interview with the Vampire (The Vampire Chronicles, #1))
Da quando nasciamo, seguiamo un sentiero, anche se non lo vediamo. Da adulti, quel percorso, ogni passo una decisione, ci plasma. I nostri ricordi definiscono chi siamo.
Michael R. Fletcher (Black Stone Heart (The Obsidian Path, #1))
Io credo che un romanzo sia riuscito quando tocca le emozioni del lettore. Lo stesso può valere per tutte le creazioni artistiche. Di sicuro è così per le cattedrali. Quando le vediamo stagliarsi contro il cielo restiamo sbalorditi, quando le visitiamo restiamo affascinati dalla loro grazia. Quando ci sediamo in silenzio proviamo un gran senso di pace. E quando una cattedrale brucia, piangiamo.
Ken Follett (Notre-Dame)
Amore ti accade, non sei tu che decidi quando, o di chi. A un certo punto ti ritrovi innamorato e non puoi far altro che constatarlo: è accaduto. Ecco dunque perché Dante dice: Amor prese costui, Amor mi prese. Amore accidit. Amore è un accidens. Dante lo ribadirà nel XVIII del Purgatorio: innamorarsi di Bianca Maria non è né buono né cattivo, né giusto né sbagliato. Accade e basta. Ma non è tutto, questo non è che uno degli aspetti dell’inferno dell’eros. Un altro aspetto terribile d’Amore è contenuto proprio in quel verso misterioso, che nelle serenate rap scriviamo sulle metropolitane: Amor ch’a nullo amato amar perdona, che non significa, come ci dicono da secoli, che ogni amore è necessariamente corrisposto. Cosa significa, allora? Tutto l’arcano di questo verso misterioso è in quel verbo perdonare usato in modo così lontano dal significato moderno. Era un termine tecnico della giurisprudenza in latino, sinonimo dell’attuale condonare. Si condona la pena, si perdona la colpa. Al tempo di Dante si perdonava ancora la pena, e, attraverso l’uso ecclesiastico di abbuonare pene del purgatorio, il senso del verbo stava slittando pian piano verso l’uso corrente. Insomma, proviamo a sostituire il verbo perdonare con condonare, vediamo che succede: “Amore che non condona a nessun amato l’amare”. Ed eccoci all’improvviso di fronte a un Amore giudice, un giudice inflessibile, che non ci condona la pena d’amare chi ci ama. Noi potremo anche non ricambiare l’amore, questo è il punto, ma lui non ce ne esenta. Amore non condona, Amore non fa sconti di pena. Non dice, il verso, che l’amore implica necessariamente la reciprocità, ma che sempre la esige. Nel momento in cui si insedia dentro di noi senza chiederci il permesso e ci impone di amare qualcuno, al tempo stesso non condona l’amare all’amata, e pretende immancabilmente la reciprocità. Insomma, nel momento in cui, senza sapere perché, ci innamoriamo, aspiriamo a essere ricambiati, desideriamo solo che chi amiamo ci riami. Amore è terribile, Amore è scostumato, e questo verso così misterioso è il vero epicentro della tragedia, dell’inferno d’amore. Perché nemmeno Gianciotto può condonare l’amare all’amata. Se è lui l’assassino, si condanna a una pena peggiore. Il suo sarà un inferno di ghiaccio.
Francesco Fioretti (Il romanzo perduto di Dante)
L’altro giorno, a cena da amici, la figlia mi dice: Io non capisco come fai a mantenerti. Quanti matti ci saranno in città? Vediamo, dico io, proviamo a contare quanti ce n’è in questo palazzo. Quanti appartamenti ci sono in tutto? Venti, risponde lei. Bene, quanti matti conosci? C’è solo il pazzo del terzo piano, quello che parla da solo. Uno schizofrenico ce l’abbiamo, bene, ora dimmi: non c’è un tossicomane da qualche parte? Sí, al primo piano. C’è per caso una ragazza magra, magra che sembra uno scheletro? Giovanna, sul nostro pianerottolo. Non c’è uno che, sera e mattina, è al bar con un bicchiere di bianco in mano? Sí, Giorgio, quinto piano. Un etilista non poteva mancare. Ora voglio sapere, non c’è un signore scavato che esce poco, non apre mai la porta, è silenziosissimo e non si spinge nemmeno sul poggiolo tutto sporco di cacche di piccione? Sí, Silvio, al terzo piano. Beccato il paranoico. Passiamo ai depressi. Hai mai sentito un vicino dire: non andiamo al mare, mia moglie sta a letto? Sí, ultimo piano. Una sola depressa? Facciamo finta che sia cosí. Chiudiamo con l’Alzheimer: non mi dire che in tutto il palazzo non c’è una vecchietta che straparla e butta oggetti dalla finestra? Per la verità, sono due. Vedi, se si curassero tutti, potrei mantenermi solo con questo palazzo.
Paolo Milone (L'arte di legare le persone)
Nel nostro mestiere ci capita spesso di conoscere le persone nei momenti più ntimi e drammatici delle loro vite. Ma poi, come le navi che passano di notte, scompaiono all'orizzonte e non le vediamo più.
Jennifer Worth (Farewell to the East End: The Last Days of the East End Midwives (Midwife Trilogy #3))
«Sembra tutto così diverso se lo si guarda da prospettive differenti, non è vero? Vediamo le cose in un certo modo e ci sembra corretto. Ma basta spostare appena l'incidenza della luce...», spostò leggermente il cucchiaio, «e di colpo le vediamo completamente diverse. [...]»
Jennifer Worth (Farewell to the East End: The Last Days of the East End Midwives (Midwife Trilogy #3))
Perché nulla è più complicato della sincerità. Fingiamo tutti spontaneamente, non tanto innanzi agli altri, quanto innanzi a noi stessi; crediamo sempre di noi quello che ci piace credere, e ci vediamo non quali siamo in realtà, ma quali presumiamo d’essere secondo la costruzione ideale che ci siamo fatta di noi stessi.
Luigi Pirandello
C’è una antica tradizione che percorre per secoli la cultura europea e insegna a rafforzare la memoria, a usarla in modo creativo, a costruire nella mente palazzi, giardini, intere biblioteche: è la tradizione dell’arte della memoria. Ad essa è dedicata la seconda aiola del nostro giardino. Troviamo qui alcuni esempi europei, come Giulio Camillo, o Opicinus de Canistris, autore di mostruose mappe profetiche del mondo, o i francescani che nel Seicento pubblicano straordinari libri illustrati che delineano le architetture del sapere. Ma vediamo anche come l’arte della memoria operi ben al di là dei confini europei, ad esempio tra gli sciamani, e in forme diverse anche ai nostri giorni, nell’esperienza dei mnemonisti, nei progetti utopici dei palazzi enciclopedici, o nelle sperimentazioni artistiche. Al di là della tradizionale divisione tra parole e immagini l’arte della memoria insegnava a tradurre le parole in immagini, e le immagini in parole. Ci può dunque fare da tramite alla nostra terza aiola, dedicata appunto a parole e immagini. Si tratta, come si vede dagli esempi scelti, di un mondo vastissimo, in cui incontriamo le più diverse tipologie: dai ritratti, alle imprese, al gioco delle sorti che diventa anche un “giardino di pensieri”, all’iconologia, ai bestiari, alle storie e ai personaggi della letteratura medievale dipinti sui muri. E ancora incontriamo il gusto collezionistico di un grande letterato come Pietro Bembo, la fortuna figurativa di Dante e di Ariosto, le misteriose immagini alchemiche, la loro storia, le loro trasformazioni. E vediamo come i poeti creano il mito di Raffaello nella Roma di Leone X. Nello stesso tempo leggiamo come questo mondo in fermento gioca gran parte nella autobiografia di un grande storico dell’arte come Michael Baxandall, e nella storia londinese del mitico istituto Warburg. Parole e immagini entrano poi in gioco nella riflessione sulla anachronic Renaissance, sui complessi rapporti con le diverse facce del tempo che un’opera può testimoniare. Un invito a varcare i tradizionali confini ci viene proposto anche dal percorso della nostra ultima aiola, dove, accanto ai classici, alle grandi figure consacrate dal canone, troviamo viaggiatori, predicatori, mistiche, poetesse a lungo dimenticate, scritti dalla linea del fronte della Prima guerra mondiale, e tanto altro ancora che lasciamo scoprire a chi si avventurerà nella lettura. Abbiamo provato a delineare un giardino con le sue aiole, ma naturalmente le aiole non segnano confini rigidi, si aprono piuttosto su molti sentieri che le legano fra di loro costruendo una rete che via via affiora. Lina Bolzoni (Introduzione)
Lina Bolzoni (Nel giardino dei libri)
Facendo le prime esperienze dentro a un corpo e con un cervello non mio, appresi che allo specchio tutti ci vediamo più simmetrici e affascinanti di come siamo in realtà. Il nostro ego inganna la vista, forse per compiacerci e infondere maggior sicurezza in noi stessi, o forse solo per l’abitudine dell’immagine che ci portiamo dietro dalla nascita e che vediamo alterarsi microscopicamente ogni giorno che passa.
Giuliano Golfieri (Alter Ego: Memorie di un viaggiatore ultracorporeo)
I nostri cuori hanno bisogno di uno specchio, Tessa. Noi vediamo il nostro io migliore negli occhi di coloro che ci amano
Cassandra Clare (Clockwork Princess (The Infernal Devices, #3))
Non cercare di riconoscere in che stazione siamo, in che città stiamo entrando o cosa ti ricorda quest'atmosfera. Spegni il vello e segui me, altrimenti rischi di perderti da queste parti. Rischi di perderti il meglio, il nuovo. So che non è facile. Non lo è per niente. Sfortunatamente, Pare che gli esseri umani siano programmati per analizzare tutto sulla base dell'esperienza. Ogni cosa che vediamo o che incontriamo o che ci ospita la scomponiamo in concetti più piccoli, più facilmente analizzabili, in modo da poter riconoscere qualcosa di già visto. Qualcosa di noto che ci faccia sentire a nostro agio. Pensa poi alle volte che hai detto ehi, in questo posto ci sono già stato e non me ne ricordavo, che sensazione è quella? Te lo dico io, è sollievo, è dire: ok sono salvo, so dove sono. Il problema, il nostro limite, è che affrontiamo ogni istante in questo fottuto modo, con un occhio costantemente rivolto al passato. Quindi è perfettamente normale che tu stia cercando i tuoi punti cardinali nell'immenso atrio di questa stazione o nelle mie parole. Però è perfettamente sbagliato. È come quando un tizio che conosci ti racconta una vicenda che gli è capitata e ti dice ad esempio, ah sai sabato sono andato a una festa, ho bevuto troppo e a ritorno una volante mi ha fermato: multa per guida in stato d'ebbrezza! Tu lo ascolti, io lo ascolto, ma il pensiero va alle feste che ho vissuto, alle volte che ho guidato ubriaco e alle mie multe e quindi risponderò, ma tu pensa che storia interessante, sai mi è successa la stessa cosa proprio un mese fa... NO! No. No. No. Qui è il problema. Non è vero. Non mi è successa la stessa cosa, perché sono due eventi unici, mentre il nostro cervello ci vuol far credere il contrario. Tutta colpa dell'esperienza. O di chi ci ha programmato per essere macchine che non sanno apprezzare le novità, costrette a interpretare il nuovo solo sulla base del passato. E se passasse un drago sopra le nostre teste proprio adesso, per non impazzire diremmo che è solo una lucertola con le ali. Quando penso che la meraviglia non esiste più, mi viene voglia di tornare bambino e toccare tutto per la prima volta. Il pavimento, il divano, i giocattoli, le mani rugose di mia nonna, la carta del primo libro illustrato, il profumo del caffè, quello dei capelli appena lavati di mia sorella, quello del mare...
Guido Tonini (Non è la luce)