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E' possibile per uno scrittore creare, o almeno ricreare per il lettore, i piaceri primari del mangiare, o del bere, o dell'osservare, o del sesso. I romanzi hanno un loro inevitabile tour-de-force, la dorata omelette aux fines herbes punteggiata di verde, che si scioglie in una massa burrosa e profumata d'estate, o il vellutato gluteo umano, sodo e tiepido, inarcato a rivelare un caldo anfratto, qualche pelo ricciuto, una fuggevole visione del sesso. Di solito non si soffermano sul piacere altrettanto intenso della lettura. Ci sono ovvie ragioni per questo, e la più ovvia è la natura regressiva di tale piacere, addirittura una mise-en-abîme, in cui le parole attirano l'attenzione sul potere e il gusto delle parole, ad infinitum, facendo sì che l'immaginazione sperimenti qualcosa di cartaceo e arido, narcisistico eppure sgradevolmente distaccato, senza l'immediatezza dell'umore sessuale o l'aromatico bagliore ambrato del buon borgogna.
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A.S. Byatt