Ben Dover Quotes

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... dove trovare il tempo per leggere? grave problema. che non esiste. nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. poiché, a ben vedere, nessuno ha mai tempo per leggere. né i piccoli, né gli adolescenti, né i grandi. la vita è un perenne ostacolo alla lettura. "leggere? vorrei tanto, ma il lavoro, i bambini, la casa, non ho più tempo..." "come la invidio, lei, che ha tempo per leggere!" e perché questa donna, che lavora, fa la spesa, si occupa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, frequenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova il tempo per leggere, e quel casto scapolo che vive di rendita, no? il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (come il tempo per scrivere, d'altronde, o il tempo per amare.) rubato a cosa? diciamo, al dovere di vivere. [...] il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
Daniel Pennac
Il suo stile [di Milano, n.d.r.] lo sintetizzerei con tre D: discrezione, disciplina, dovere. In un mondo che tende alla cialtroneria, all’anarchia dei comportamenti e alla furberia, ben venga il calvinismo milanese! Giovanni Iozzi, Class, marzo 1998
Giorgio Armani (I cretini non sono mai eleganti: Giorgio Armani in parole sue)
Let's see... "Advanced Flanking Theory", by U.R. Skrood. "Fighting on the Grid", by Minnie Churse. "Moving on Diagonals", by Wun and Ahaff. Ah ha! Here it is: "Attacks of Opportunity Explained", by Ben Dover and Taye Kitt.
Rich Burlew
Quella sensazione mi confondeva, non avevo mai sentito il bisogno di prendermi cura di qualcun altro in quel modo. Mi ero sempre preso cura di mia madre, fin da quando papà se n’era andato, ma quello era un tipo di bisogno diverso. Era differente da un obbligo nei confronti della mia famiglia o dal dovere di proteggere i miei compagni soldati; era diverso dall’assicurarmi che i miei amici più cari stessero bene, che il mio cane fosse ben nutrito e in salute e che i veterani del Centro ricevessero le attenzioni di cui avevano bisogno e fossero felici. O almeno, felici quanto avrebbero mai potuto esserlo. C’era un bisogno completamente nuovo dentro di me, che non sentiva ragioni e non offriva alcuna spiegazione
Teodora Kostova (Cookies (Cookies, #1))
Se non si ha la propria terra sotto i piedi - anche questo però deve essere sperimentato per essere compreso - ci si tiene meno diritti, si perde sicurezza, si diventa diffidenti verso se stessi. Non esito a confessare che dal giorno in cui dovetti vivere con documenti o con passaporti effettivamente stranieri non mi sono più sentito completamente legato a me stesso. È rimasta per sempre distrutta una parte della mia naturale identità con il mio io originario. Sono divenuto molto più riservato di quanto sia nella mia indole; io, il cosmopolita di un giorno, ho oggi incessantemente l’impressione di dover render grazie per ogni boccata d’aria che respirando tolgo a un altro popolo. Si capisce che a mente lucida riconosco l’assurdità di simili fisime, ma quando mai la ragione può qualcosa contro un sentimento istintivo? Poco mi è servito avere educato per quasi mezzo secolo il mio cuore a battere da cosmopolita, da citoyen du monde: il giorno in cui perdetti il mio passaporto, scopersi a cinquantott’anni che perdendo la patria si perde ben più che un circoscritto pezzo di terra.
Stefan Zweig (The World of Yesterday)
In realtà, non si può fuggire sempre. Talvolta, ci si ritrova di fronte a dei problemi che non si possono nascondere in fondo a una scatola. Bisogna affrontarli, essere forti, attingere in se stessi per trovare i mezzi di affrontarli, di sormontarli. Non ci viene nemmeno data una scelta, ci piacerebbe ignorarli, fare come se non ci fossero perché è più semplice, ma no, loro sono lì, ben presenti e noi abbiamo il dovere di affrontarli. Tuttavia è nei nostri geni, nel nostro istinto scappare da quello che ci mette in pericolo. Ma il pericolo non è sempre quello che si crede che sia, e spesso lo si può solo affrontare. Faccio parte di quelle persone che pensano che bisogna confrontarsi con un problema, con una difficoltà, non si deve metterli in un angolo ma si deve esaminarli da cima a fondo, affrontarli come due gladiatori nell'arena per trovare la soluzione e sbarazzarsene per poter andare avanti. Ogni problema ha la sua soluzione, ogni difficoltà ha la sua semplificazione. Niente è troppo insormontabile e detesto quelle persone che fuggono di fronte alle avversità. Non riesco a comprenderle, anche se qualche volta mi sarebbe piaciuto. Quello che più mi fa arrabbiare questa sera, è il fatto di aver capito che Travis è un fifone che fugge quando si rende conto che è molto più impegnato di quanto non pensi nei confronti di un’altra persona, perché oggi ha capito chiaramente che c'era qualcosa tra noi. Lo sguardo che mi ha lanciato, il suono della sua voce quando mi ha fatto capire che il comportamento del cameriere non gli piaceva. Quando mi ha detto che era geloso sono rimasto di sasso. Mi aspettavo di dover leggere tra le righe e la sua franchezza, lì per lì, mi ha sconcertato. Il problema con Travis, è che appena si comincia a rompere un po’ il suo guscio e inizia ad aprirsi, scatta un meccanismo in lui che lo fa chiudere di nuovo: si apre, confessa delle cose che non ha mai confessato prima, e poi si mostra contraddittorio, si mura dietro il silenzio e infine fa delle scelte stupide. E, ieri sera ha fatto proprio una scelta stupida
Amheliie (Road)
Considerare il diavolo un partigiano del Male e l'angelo un combattente del Bene significa accettare la demagogia degli angeli. La faccenda, in realtà, è più complessa. Gli angeli sono partigiani non del Bene, ma della creazione divina. Il diavolo, invece, è colui che nega al mondo divino un senso razionale. Come si sa, angeli e demoni si spartiscono il dominio del mondo. Tuttavia, per il bene del mondo non occorre che gli angeli abbiano il sopravvento sui demoni (come credevo quando ero bambino), ma che i poteri degli uni e degli altri siano all'incirca in equilibrio. Se nel mondo c'è un eccesso di senso incontestabile (dominio degli angeli), l'uomo soccombe sotto il suo peso. Se il mondo perde tutto il suo senso (dominio dei demoni), è altrettanto impossibile vivere. Le cose che vengono private di colpo del loro senso presunto, del posto assegnato loro nel preteso ordine delle cose (un marxista formatosi a Mosca che crede agli oroscopi), provocano in noi il riso. All'origine, il riso appartiene dunque al diavolo. Vi è in esso qualcosa di malvagio (le cose si rivelano di colpo diverse da come volevano farci credere di essere), ma anche una parte di benefico sollievo (le cose sono più leggere di come apparivano, ci lasciano vivere più liberamente, smettono di opprimerci con la loro austera serietà). Quando l'angelo udì per la prima volta il riso del maligno, restò sbalordito. Accadde durante un banchetto, la sala era gremita e i presenti durino conquistati uno dopo l'altro dal riso del diavolo, che era contagioso. L'angelo capiva benissimo che quel riso era diretto contro Dio e contro la dignità della sua opera. Sapeva di dover reagire subito, in un modo o nell'altro, ma si sentiva debole e inerme. Non riuscendo a inventare niente di nuovo, scimmiottò il suo rivale. Aperta la bocca, emise un suono intermittente, spezzato, alle frequenze più alte del suo registro vocale [...], ma dandogli un significato opposto: Mentre il riso del diavolo alludeva all'assurdità delle cose, l'angelo, col suo grido, voleva rallegrarsi che tutto, quaggiù, fosse ordinato con ragione, ben concepito, bello, buono e pieno di senso. Così l'angelo e il diavolo si fronteggiavano e, mostrandosi l'un l'altro la bocca spalancata, emettevano all'incirca lo stesso suono, ma ciascuno esprimeva col suo clamore cose radicalmente opposte. E il diavolo guardava l'angelo ridere e rideva ancora di più, ancora meglio e con più gusto, perché l'angelo che rideva era infinitamente comico. Un riso ridicolo è un fallimento. Ciò non toglie che gli angeli abbiano ottenuto comunque un risultato. Ci hanno ingannati tutti con un'impostura semantica. Per indicare sia la loro imitazione del riso, sia il riso originale (quello del diavolo), c'è una parola sola. Ormai non ci rendiamo nemmeno più conto che la stessa manifestazione esteriore nascoste due atteggiamenti interiori assolutamente opposti. Esistono due tipi di riso e noi non abbiamo parole per distinguerli l'un l'altro.
Milan Kundera (The Book of Laughter and Forgetting)
Più amici metti insieme, più saranno i funerali a cui finirai per dover andare. Più persone da rimpiangere quando scompariranno. Quanto più ti esponi, tante più pietre potranno tirarti. Ma chi è solo delude solo se stesso. Questo, pensavo.
Johan Harstad (Buzz Aldrin, waar ben je gebleven?)
Non era neppure l’acquerugiola a infastidirlo, ma l’idea di dover aprire l’ombrello. Era così elegante, così affusolato, piegato e ben riposto nella fodera! Un ombrello chiuso è tanto elegante quanto è brutto un ombrello aperto. «Questa storia di doversi servire delle cose, di doverle usare, è davvero una disgrazia», pensò Augusto. «L’uso guasta la bellezza, la distrugge perfino. La più nobile funzione degli oggetti è quella di lasciarsi contemplare. Com’è bella un’arancia prima di pranzo! Sarà diverso in paradiso, quando ogni nostra occupazione si ridurrà, o meglio si estenderà, alla pura contemplazione di Dio e di ogni cosa in Lui. Quaggiù, in questa misera vita, non ci preoccupiamo che di servirci di Dio: pretendiamo di aprirlo, come un ombrello, perché ci protegga da tutte le disgrazie».
Miguel de Unamuno (Niebla)
There was a fisherman named Fisher who fished for some fish in a fissure. Till a fish with a grin, pulled the fisherman in. Now they're fishing the fissure for Fisher.   2 How many cookies could a good cook cook If a good cook could cook cookies? A good cook could cook as much cookies as a good cook who could cook cookies.
Ben Dover (Tongue Twisters For Kids: More Than 98 Ways To Tie Your Tongue...AGAIN!)
Perché nella maternità adoriamo il sacrificio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. È una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un certo punto della vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene chi ci generò; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato adeguatamente l’olocausto della persona diletta. Allora riversiamo sui nostri figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e offrendo un nuovo esempio di mortificazione, di annientamento. Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità? Allora si incomincerebbe a comprendere che il dovere dei genitori s’inizia ben prima della nascita dei figli, e che la loro responsabilità va sentita innanzi, appunto allora che più la vita egoistica urge imperiosa, seduttrice. Quando nella coppia umana fosse la umile certezza di possedere tutti gli elementi necessari alla creazione d’un nuovo essere integro, forte, degno di vivere, da quel momento, se un debitore v’ha da essere, non sarebbe questi il figlio? Per quello che siamo, per la volontà di tramandare più nobile e più bella in essi la vita, devono esserci grati i figli, non perché, dopo averli ciecamente suscitati dal nulla, rinunziamo all’essere noi stessi…
Sibilla Aleramo (A Woman)
E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual è la buona nuova che annunziate a' poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo.
Alessandro Manzoni (I promessi sposi (Italian Edition))
Mentre mi sporgo verso il mobiletto di fianco al letto alla ricerca di un tovagliolo, o qualcosa col quale togliere tutto il ben di Dio che si trova sul mio stomaco e che la forza di gravità sta inesorabilmente facendo scivolare lungo i miei fianchi, mi rendo conto che neanche questa volta Leon ha risposto alla mia confessione. Non mi aspetto che lo faccia. Non pretendo che lo faccia. Non voglio che si senta costretto a dirmi che mi ama solo perché io gliel’ho detto. Se mai succederà – e Dio, quanto lo spero – voglio che sia perché è ciò che prova davvero. E non ciò che sente di dover provare.
Sara Coccimiglio (Come il giorno e la notte)
Quando si è vicini alla fine della vita ci si rende conto che le cose importanti sono ben altre, che l'impronta da dover lasciare non è di pietra e non ha un peso. Non c'entrano neanche le feste o gli anni compiuti. No. Quando si avverte l'ombra della morte avvicinarsi, ci si volta indietro, ci si guarda attorno, e allora si comprende che la più importante delle domande è: Quante persone ho reso felici?
David Lozano Garbala (Il ladro di minuti)
Ben had noticed Dover didn’t care much for clothes. Ben was okay with that.
C.W. Gray (The Guppy Prince (The Silver Isles #1))
«Jack, all'inizio...» sussurrò piano, «... forse qualche settimana fa, mi sarei accontentato di una stronzata del genere da parte tua. Diavolo, quando abbiamo cominciato, praticamente ti avevo in pugno. Ti ho comprato. Ho pagato per averti. Nella mia mente eri solo un'altra pedina da utilizzare nel grande gioco degli Hayes per ottenere ciò che volevo.» Frustrato, chinò il capo, passandosi una mano sul volto. Come spiegare a Jack quanto fosse cambiato, dannazione? «Tu non significavi nulla per me. E Beth...» S'interruppe, ben sapendo di dover essere del tutto sincero sulla questione, se voleva che Jack si fidasse delle sue parole. «... neanche Beth significava nulla per me. Quando Steve mi raccontò cosa le era accaduto, decisi di sfruttare la cosa per fottere la mia famiglia, e per farlo avrei usato te.» S'interruppe di nuovo. Era dura essere onesto, considerato che significava aprirsi a quel modo. «Non so se riuscirò mai a perdonarti per questo,» mormorò Jack a mezza bocca, e Riley sentì il suo stomaco contrarsi e il cuore spezzarsi. «Però io non sono così, Jack. Quello non è il vero me. Non voglio far male a nessuno. Non sono il tipo d'uomo che compra la gente. Non sono come loro. Ma... non mi aspetto che tu mi creda sulla parola.» Si strinse le ginocchia al petto, avvolgendole con le braccia e poggiandovi il mento. Era una delle conversazioni più difficili che avesse mai avuto. «Se l'unico modo che avevo di batterli era stare al loro gioco, allora, dannazione, sapevo di poterci riuscire. Perciò in quel momento, quando ti avvicinai per la prima volta, non avevo intenzione di aiutare Beth o d'innamorarmi di te. Eri solo merce, qualcosa che avrei potuto sfruttare a mio vantaggio.» Jack lo guardò di sottecchi. Evidentemente, aveva captato un paio di cose nelle sue parole. «Hai tradito la fiducia di Steve. Era tuo amico.» «Il mio unico, vero amico, a parte Eden,» sospirò Riley, tristemente. «E, sì, anche lui era solo un'altra pedina. Un giorno forse mi perdonerà, ma non me lo aspetto. Non è venuto a farmi visita in ospedale, era lì solo perché Beth aveva bisogno di lui.» «Non ti distrugge che il tuo unico amico ti odii per ciò che hai fatto?» Riley lo fulminò con lo sguardo. Che cosa pretendeva? «Vuoi che me ne stia qui seduto a piangere, per dimostrare quanto mi fa male? Perché, se basta questo a convincerti, lo faccio. Potrei mostrarti quanto la cosa mi divori dall'interno, anche subito, ma non posso permettermelo. Se cominciassi a tirare fuori i miei veri sentimenti, sento che mi ucciderebbero.» Jack annuì. «Quindi è così che è cominciata,» lo esortò a continuare, offrendogli un po' di silenzio da riempire. «Ma poi qualcosa è cambiato. Non so quando o come. Vorrei tanto poter tornare indietro e toccarlo, tenere stretto il minuto esatto in cui il vero Riley ha cominciato a venire alla luce. Forse è stato quando ho visto Beth così palesemente incinta, così pallida, oppure quando Steve mi ha tirato un cazzotto dicendo che mi odiava. O forse è successo proprio ora, quando ti ho ferito senza riflettere. Non lo so. So solo che quello che c'è tra noi, comunque tu lo voglia etichettare e per quanto potrà durare, è reale.»
R.J. Scott (The Heart of Texas (Texas, #1))