Viaggi Nel Tempo Quotes

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Prendiamo alla lettera molte cose dell'arte della corrispondenza, no? Le lettere come viaggi nel tempo, lettere che viaggiano nel tempo. Significati nascosti. Mi chiedo cosa vedi in quello che dico adesso.
Amal El-Mohtar (This is How You Lose the Time War)
Scese tra noi un silenzio di amicizia. Non astratto, non imbarazzante, sereno.
Raffaella Fenoglio (Gala Cox. Il mistero dei viaggi nel tempo)
L’imperfezione sarà la tua forza. Se il tuo cuore lavorerà insieme alla tua intelligenza.
Raffaella Fenoglio (Gala Cox. Il mistero dei viaggi nel tempo)
Compirai molti sbagli. Ma ricorda di andare avanti. Sempre. Se scappi non capisci.
Raffaella Fenoglio (Gala Cox. Il mistero dei viaggi nel tempo)
Se scappi non capisci.
Raffaella Fenoglio (Gala Cox. Il mistero dei viaggi nel tempo)
Charlotte faceva sempre quello che le dicevo. Tu invece no. E questo è molto scocciante. Però anche divertente. E dolce." Stavolta non fu solo il suo sguardo a farmi vacillare.
Kerstin Gier (Rubinrot (Edelstein-Trilogie, #1))
Non sei una ragazza qualunque, Gwendolyn" bisbigliò, mentre mi accarezzava i capelli. "Sei straordinaria. Non hai bisogno della magia del corvo per essere speciale per me." Il suo viso si avvicinò ancora di più. Quando le sua labbra toccarono la mia bocca, chiusi gli occhi. Okay. A questo punto potevo svenire.
Kerstin Gier
Tu... tu sei così... così un...” “Sì?” “Un pezzo di merda?” Si avvicinò ancora di un passo, a occhio e croce restava al massimo un centimetro tra di noi. “Vedi ecco qual è la differenza tra Charlotte e te: lei non avrebbe mai detto una cosa del genere”. All'improvviso avevo il fiato corto. “Forse perché tu non gliene dai mai motivo.” “No, non è per questo. Credo semplicemente che sia più educata.” “Già, e ha anche i nervi più saldi” aggiunsi. Per qualche motivo non riuscivo a togliere gli occhi dalla bocca di Gideon. “Nel per caso tu dovessi provarci un'altra volta, quando siamo ad annoiarci in un confessionale, sappi che non mi farò cogliere di sorpresa una seconda volta da te!” “Vuoi dire che non ti farai baciare da me una seconda volta?” “Esatto” bisbigliai incapace di muovermi. “Peccato” disse Gideon, avvicinando così tanto la bocca alla mia, che sentivo il suo respiro sulle labbra. Ero consapevole che non mi stavo comportando esattamente come se volessi tener fede per davvero al proposito che avevo appena espresso. Non ne avevo proprio l'intenzione. Era già tanto se mi trattenevo dal gettare le braccia al collo di Gideon. E ormai era passato da tempo il momento giusto per voltarmi o allontanarlo da me. Evidentemente anche Gideon era giunto alla medesima conclusione. La sua mano cominciò ad accarezzarmi i capelli, poi finalmente avertii il morbido contatto delle sue labbra.
Kerstin Gier (Saphirblau (Edelstein-Trilogie, #2))
Il veneziano sapeva che quando Kublai se la prendeva con lui era per seguire meglio il filo d’un suo ragionamento; e che le sue risposte e obiezioni trovavano il loro posto in un discorso che già si svolgeva per conto suo, nella testa del Gran Kan. Ossia, tra loro era indifferente che quesiti e soluzioni fossero enunciati ad alta voce o che ognuno dei due continuasse a rimuginarli in silenzio. Difatti stavano muti, a occhi socchiusi, adagiati su cuscini, dondolando su amache, fumando lunghe pipe d’ambra. Marco Polo immaginava di rispondere (o Kublai immaginava la sua risposta) che più si perdeva in quartieri sconosciuti di città lontane, più capiva le altre città che aveva attraversato per giungere fin là, e ripercorreva le tappe dei suoi viaggi, e imparava a conoscere il porto da cui era salpato, e i luoghi familiari della sua giovinezza, e i dintorni di casa, e un campiello di Venezia dove correva da bambino. A questo punto Kublai Kan l’interrompeva o immaginava d’interromperlo, o Marco Polo immmaginava d’essere interrotto, con una domanda come: – Avanzi col capo voltato sempre all’indietro? – oppure: – Ciò che vedi è sempre alle tue spalle? – o meglio: – Il tuo viaggio si svolge solo nel passato? Tutto perché Marco Polo potesse spiegare o immaginare di spiegare o essere immaginato spiegare o riuscire finalmente a spiegare a se stesso che quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si trattava del passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perchè il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto. Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti. Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi. – Viaggi per rivivere il tuo passato? – era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: – Viaggi per ritrovare il tuo futuro? E la risposta di Marco: – L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.
Italo Calvino
La tecnologia venti o trent'anni fa era già potente, non c'é dubbio, ma non era una parte così preponderante della psicologia, non aveva ancora la capacità di soddisfare immediatamente ogni pulsione, dopo averla stimolata. Lasciava a ogni singolo individuo un suo stile e una riserva di libertà che é stata totalmente dissipata, come se non avesse nessun valore. Era normalissimo assentarsi, non dare notizie di sé per giorni o per settimane. E dunque, come é logico supporre, le persone si pensavano con maggiore intensità, con maggiore pazienza, e questo pensarsi poteva essere realmente percepito, e ricambiato. C'era tutto il tempo necessario a dipingere un fantasma sulle pareti del cuore, a ritoccarne i contorni e le sfumature fino al momento in cui prendeva una vita propria, non era più un'immaginazione arbitraria ma una presenza e un ospite da onorare. Ogni atto di comunicazione, anche il più frivolo, possedeva una quantità variabile di difficoltà e memorabilità. Che qualcuno ti rispondesse al telefono, che fosse lì ad aspettare la tua chiamata, oppure che non se la aspettasse affatto, tutto questo era già di per sé un contenuto umano, un veicolo di erotismo o di amicizia o di violenza, e la stessa fila che avevi davanti alla cabina, con la pila di gettoni intiepidita nel cavo della mano, poteva decidere il senso di molte parole, farle fermentare nella testa prima che venissero pronunciate. [...] I viaggi in treno erano così lunghi che nella forzata intimità degli scompartimenti a sei posti, coi loro braccioli muniti di portacenere stracolmi di mozziconi, una civiltà narrativa secolare celebrava i suoi ultimi fasti, come solo poteva accadere tra sconosciuti che non si sarebbero più rivisti, e che quasi mai si scambiavano il nome. Alcune di quelle storie erano destinate a insediarsi per sempre in chi le ascoltava, come indistruttibili pietre di paragone, o fili d'Arianna, o farmaci per ogni tipo di incertezza.
Emanuele Trevi (Sogni e favole. Un apprendistato)