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Satyarthi, l’ex ingegnere che libera i bambini schiavi L’indiano da 30 anni in prima linea contro il lavoro minorile: lavorerò con Malala Kailash Satyarthi, 60 anni, è il primo indiano a vincere il premio Nobel per la Pace Maria Grazia Coggiola | 693 parole Fino a ieri mattina, Kailash Satyarthi, era un volto pressoché sconosciuto in India, uno dei tantissimi volontari seguaci del Mahatma Gandhi che in silenzio e con ostinazione si prendono a cuore le cause che in un Paese di un miliardo e 200 milioni di persone sembrano perse in partenza. Poi la notizia del Premio Nobel per la Pace, condiviso con la pachistana Malala, ha improvvisamente catapultato questo schivo ex ingegnere di 60 anni alla ribalta mondiale e con lui anche la sua organizzazione, Bachpan Bachao Andolan (Movimento per salvare i bambini), che da tre decenni si batte contro lo sfruttamento del lavoro minorile. «D’ora in poi le voci di milioni di bambini non potranno più essere ignorate» ha detto ai primi giornalisti che si sono precipitati nel suo ufficio a Kalkaji, un caotico quartiere di New Delhi vicino a uno dei più vecchi templi induisti della metropoli. Nato nello stato del Madhya Pradesh, nel centro dell’India, ha lasciato a 26 anni una promettente carriera dopo una laurea in ingegneria per dedicarsi a tempo pieno ai diritti dell’infanzia: «È sempre stata la mia passione e a questo ho dedicato la mia vita». L’impegno di Satyarthi iniziò con incursioni in fabbriche e laboratori dove intere famiglie erano costrette a lavorare per rimborsare un prestito che avevano contratto. Incapaci di rimborsare la somma ricevuta, spesso venivano vendute e rivendute, bambini compresi. La sua associazione è nata nel 1980, conta oltre 700 organizzazioni non governative affiliate e finora ha «liberato» oltre 80 mila baby schiavi in centinaia di laboratori e fabbriche. Sembrano tanti, ma è in realtà una goccia in India dove sono svariati milioni i bambini sotto i 14 anni impiegati in diverse attività, come la produzione di «bidi», le piccole sigarette fatte a mano, lavori edili, ricami e soprattutto come domestici low-cost per la ricca borghesia delle metropoli. Appesi muri del suo ufficio ci sono i manifesti delle sue crociate. La più famosa è stata quella della «Global March» nel 1998 quando portò a Ginevra mille bambini lavoratori di tutto il mondo. È stato un punto di svolta, oltre che un successo internazionale, perché l’anno successivo le Nazioni Unite hanno approvato una convenzione contro le forme estreme di impiego minorile e da allora l’esercito dei baby schiavi si è costantemente ridotto. Un’altra battaglia è stata quella ottenere dalle multinazionali l’impegno a garantire che i loro prodotti, come i tappeti, non siano fabbricati con manodopera minorile dei Paesi poveri. Durante i Mondiali di calcio del 2006 in Germania, Satyarthi organizzò una campagna per denunciare l’uso dei bimbi di 6 anni nella cucitura di palloni e nel 2011 pubblicò uno studio in cui si rivelava che in India scompaiono 11 bambini ogni ora, vittime del traffico di esseri umani. Vestito con il tradizionale completo di casacca e pantaloni «khadi» (filati e tessuti a mano come faceva il Mahatma) e fradicio di sudore per il condizionatore rotto, Satyarthi ha ricordato anche i legami con l’Italia. «Ho lavorato tanto con Mani Tese - ha detto - e conosco molti italiani». Tra un’intervista e l’altra, in serata, ha poi sentito per telefono Malala da Birmingham. «La conosco - ha spiegato - perché ci eravamo visti l’ultima volta in Olanda durante una cerimonia. La inviterò a lavorare con me». Curiosamente, il prestigioso riconoscimento non fui mai assegnato all’apostolo della non violenza. «Sono nato dopo la morte del Mahatma Gandhi - ha ricordato l’attivista - e se il premio fosse stato assegnato a lui sarei stato più contento. Ma anche ora lo sono perché appartiene a tutti i bambini di questo Paese». Malala, festa tra i banchi d
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