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Forse, e più ci penso più me ne convinco, l'unica soluzione possibile per continuare a vivere in quest'inferno che è il nostro mondo di malattie sarebbe quella di fuggir via dai nostri corpi, cioè dimenticarceli e cominciare a sentirci non più pesci che sguazzano in compagnia reciproca tra diagnosi, terapie, antibiotici, vaccini e prevenzioni varie, bensì parti infinitesimali, atomi, anzi fotoni, quarks, quanti o addirittura neutrini di chissà quale bella e immane natura o universo cosmo che ci circonda, anzi, in effetti, che neanche ci circonda poiché è fatto tutto di curve ed ellissi. E così immaginare di danzare di qua e di là , diventando una volta questo e una volta quello, fra stelle esplose e implose, buchi neri e spazitempi che si allargano e crescono come noi, immersi o forse neanche immersi ma continuamente capovoltati, non in quel guazzetto da pesci che è la broda panica onto-oncologica che abbiamo escogitato, ma un'infinita materia fisica e metafisica, di cui noi siamo, con tutte le nostre beghe e patologie, una parte talmente trascurabile che neanche importa se siamo vivi o morti, perché in quell'infinita materia fisica e metafisica morire non è nemmeno come galleggiare e respirare al ritmo e al passo delle onde marine, ma solo come scomparire o comparire nell'aritmia del soffio di venti poderosi, nei movimenti delle onde e delle tempeste cosmiche, delle turbolenze che spazzano le giganti rosse disperdendo le sabbie stellari. Insomma reinventarci finalmente liberi da noi stessi per dirigerci chi verso dio, chi verso il piacere, chi verso i ricordi e le immagini, chi verso le stelle e i firmamenti.
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