Sforzo Quotes

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Fece allora un ultimo sforzo per cercare nel suo cuore il luogo dove gli si erano putrefatti gli affetti, e non poté trovarlo.
Gabriel García Márquez (One Hundred Years of Solitude)
Io mi sento me stesso solamente quando sono solo. Il rapporto con gli altri non mi viene naturale: mi richiede uno sforzo.
Peter Cameron (Someday This Pain Will Be Useful to You)
È terribile pensare che siamo tutti uomini, tutti destinati, chi più chi meno, a portare il nostro fardello sotto un cielo sconosciuto, e che non vogliamo fare il minimo sforzo per capirci a vicenda.
Georges Simenon (Lettera al mio giudice)
Non conosco nulla di più incoraggiante dell'incontestabile capacità dell'uomo di elevare la propria vita con uno sforzo cosciente.
Henry David Thoreau (Walden: Or Life in the Woods)
L'atmosfera di burocrazia ucciderebbe qualsiasi cosa respirasse aria di sforzo umano, estinguerebbe parimenti speranza e timore sotto la supremazia di carta e inchiostro.
Joseph Conrad (La linea d'ombra)
Si muoveva come raccogliendo ogni volta pezzi di se stessa che non erano destinati a rimanere insieme. Il suo corpo sembrava il risultato di uno sforzo di volontà.
Alessandro Baricco (Mr Gwyn)
Credo che l'amore sia uno sforzo continuo, una scommessa quotidiana in cui tutto dipende da quanto sappiamo giocare bene le nostre carte e quanto siamo disposti a rischiare. Un "forse".
Mirya (Di carne e di carta)
Mi diressi dalla metro verso il South Dock, attraversai il South Quay Footbridge e lo ritrovai in pochi minuti di cammino. Ogni volta che visitavo l'ex area portuale, da quand'era stata trasformata in centro direzionale dagli splendidi grattacieli in vetro e acciaio, non potevo non restare colpita dallo sforzo che era stato fatto per abbracciare la modernità senza sacrificare la bellezza. Il grattacielo dove viveva Edy, in South Quay Plaza, non faceva eccezione, anche se la zona era un po' troppo densa di cemento per i miei gusti. Mi fermai alla base dell'edificio, lasciando che il mio sguardo cercasse di raggiungere la sommità della torre di vetro. In fondo, era ovvio che Edy Thor vivesse lassù, quasi a guardare noi mortali dall'alto.
Chiara Santoianni (Missione a Manhattan)
Jimmy non era il tipo che pregava, ma aveva la sensazione che Shane sarebbe riuscito a farlo implorare con pochissimo sforzo. Era così bravo con le mani. E la bocca. Jimmy assorbì il contatto tra i loro corpi come fa il deserto con la pioggia.
Kim Fielding (Rattlesnake)
Più in generale, l'esperienza ci aveva già dimostrato infinite volte la vanità di ogni previsione: a che scopo travagliarsi per prevedere l'avvenire, quando nessun nostro sforzo, nessuna nostra parola lo avrebbe potuto minimamente influenzare?
Primo Levi (Se questo è un uomo: Versione drammatica di Pieralberto Marché e Primo Levi)
scoprii in pubblico quanto avessi imparato assistendo a quello sforzo doloroso di scavo. Parlai di come avessi cercato da sempre, per impormi, di essere maschio nell’intelligenza – io mi sono sentita inventata dai maschi, colonizzata dalla loro immaginazione, esordivo tutte le sere
Elena Ferrante (Storia della bambina perduta)
Il meccanismo della comicità è un meccanismo sovversivo. Se un gigante cerca in ogni modo di aprire una porta e non ci riesce, ma subito dopo la porta si apre a un gatto, a un bambino, a un povero vagabondo o a un vecchio senza nessuno sforzo, noi ridiamo. Perché è tutto il contrario di quanto accade nella vita. La comicità è una capriola, un uomo che si rialza dopo un capitombolo o un altro che sta sul punto di cadere ma non cade mai.
Fabio Stassi (L'ultimo ballo di Charlot)
Seduti per terra parlarono - lui e Clarissa. Senza nessuno sforzo entravano e uscivano l'uno dalla mente dell'altra.
Virginia Woolf (Mrs. Dalloway)
«Anche gli errori contano per me», disse Geralt con sforzo. «Non li cancello né dalla mia vita né dalla mia memoria. E non do mai la colpa agli altri.
Andrzej Sapkowski (Il Sangue degli Elfi (La saga di Geralt di Rivia, #1))
Indugia. Aspetta. Tra la disperazione e la speranza c'è solo un attimo. Quando cerchi di evitare qualcosa, è proprio questo sforzo che te la fa fronteggiare. Abbi coraggio......
Melania G. Mazzucco (Limbo)
Era emerso alla vita per forse un minuto cercando di dirci qualcosa, qualcosa che nessuno di noi si curava di ascoltare o cercava di capire, e lo sforzo lo aveva svuotato.
Ken Kesey (One Flew Over the Cuckoo’s Nest)
L'ho lasciata fare. Non ho detto che sarebbe andato tutto bene. Non ho fatto lo sforzo di consolarla. A volte è meglio lasciare le cose come sono, lasciare che il dolore faccia il suo corso.
Joanne Harris
Ho perso la mia anima, e non posso smettere di parlare con lei. Non posso. Ma non parlo con nessun altro. Mi sforzo di non parlare, ma non posso trattenermi. È lei che mi tira fuori le parole?
D.H. Lawrence (The Ladybird)
Lui scoppia in una risata nervosa. "Se proprio vuoi raccontarmi una balla, almeno mettici un po' di impegno, così, giusto per farmi capire che valgo lo sforzo di pensare a una cazzata decente".
Felicia Kingsley (Bugiarde si diventa)
La fatica e la pena", per ottenere i beni necessari alla vita, e il piacere di "incorporarli" sono così strettamente legati assieme nel ciclo biologico che la perfetta eliminazione della pena e dello sforzo del lavoro non solo spoglierebbe la vita biologica dei suoi piaceri più naturali, ma priverebbe la vita specificamente umana della sua stessa vivacità e vitalità. La condizione umane è tale che la pena e lo sforzo non sono semplici sintomi, che possono essere rimossi senza cambiare la vita stessa; sono piuttosto modi in cui la vita, insieme con la necessità cui è legata, si fa percepire. Per i mortali, la "facile vita degli dei" sarebbe una vita senza vitalità.
Hannah Arendt (The Human Condition)
Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiú. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo.
Haruki Murakami (Kafka on the Shore)
Ma Frank cominciava a sentirsi demoralizzato in un modo che non si poteva attribuire all'abituale tristezza della domenica sera. Quella strana, entusiasmante giornata volgeva al termine, e ora, nella luce morente, egli si rendeva conto che si era trattato soltanto di una temporanea pausa dalla tensione che l'aveva perseguitato per tutta la settimana. Già ne avvertiva il ritorno, a dispetto del senso di sicurezza che gli dava il contatto di April contro la schiena - una terribile, soffocante pesantezza di spirito, il presentimento di un'imminente, inevitabile perdita. E a poco a poco si rese conto che anche April provava la stessa sensazione: c'era una certa rigidità nel modo in cui lo stava abbracciando, l'impressione di un certo sforzo per ottenere un effetto di spontaneità, come se lei sapesse che a quel punto era prevista una pressione del viso contro la sua scapola e stesse facendo del suo meglio per soddisfare tutti i requisiti. Se ne stettero a lungo in quella posizione.
Richard Yates (Revolutionary Road)
Non è un fallimento, si dice. Non è un fallimento essere in queste stanze, nella tua pelle, a tagliare i gambi dei fiori. Non è un fallimento, ma ti chiede qualcosa: ti chiede uno sforzo; semplicemente essere, ed essere grata; essere felice (terribile parola).
Michael Cunningham (The Hours)
La vita di uno scrittore è un vero inferno, confrontata a quella di un uomo d’affari. Lo scrittore deve forzarsi a lavorare, deve imporsi un proprio orario e, se non gli va di sedersi alla scrivania, nessuno lo rimprovera. Se è un romanziere, vive nel terrore: ogni nuovo giorno esige nuove idee, e non si è mai certi che arriveranno puntuali. Dopo due ore passate si sente completamente svuotato. Durante quelle due ore s’è trovato mille miglia lontano, in un altro luogo, in compagnia di gente totalmente diversa, e lo sforzo che deve fare per tornare indietro a nuoto, nel presente, è assai grande. E’ quasi un trauma. […] Bisogna essere pazzi per fare gli scrittori. La loro sola compensazione è un’assoluta libertà. Il loro unico padrone è la loro anima ed è per questo che hanno fatto quella scelta, ne sono certo.
Roald Dahl (Boy and Going Solo (Roald Dahl's Autobiography, #1-2))
Contempla il dolore del mondo con tenerezza, ma lotta con determinazione contro l'ingiustizia. Sii riconoscente di far parte dell'universo. Non corrompere e non lasciarti corrompere. Ogni sforzo che ritieni inutile per migliorare la società fallo tre volte. Sii cavaliere dei tuoi fantasmi e danza con i tuoi peggiori incubi (ma soltanto su una grande musica). Dai piacere agli altri, soprattutto se sei infelice. Accarezza gli animali, le piante, i sassi come se fossero i tuoi bambini. Considera la mente un bel giardino e coltiva i tuoi pensieri come rose.
Diego Cugia (Nessuno può sfrattarci dalle stelle)
E così fu. Tutti i giorni, nel tardo pomeriggio, un furgone della casa editrice si fermava davanti alla loro porta e lasciava lì quattro libri, a volte di più, e così trascorrevano le serate, lei a leggere e lui a vederla leggere, tutto il mondo e tutto lo sforzo acquistavano senso per sempre.
Pedro Chagas Freitas (Prometo Falhar)
Una cosa scompare e se aspetti troppo prima di ripensarla non c'è sforzo che possa farla riapparire. Dopo tutto, la memoria non è un atto di volontà. È qualcosa che accade tuo malgrado, e quando i cambiamenti sono troppo frequenti, la mente è destinata a vacillare e le cose destinate a eclissarsi in essa.
Paul Auster (In the Country of Last Things)
Salgo sul palco e prendo posto dove non dovrei. Un piccolo sforzo, mi dico, posso farlo, solo un’altra volta. Solo tre minuti. Cosa vuoi che siano tre minuti? Tre minuti che potrebbero cambiare la mia vita, che potrebbero rendermi l’uomo più felice del mondo o farmi precipitare in un mondo senza di lei. Tre minuti, non sono nulla, ma sono la mia unica speranza.
A.S. Kelly (Tre minuti solo per me (Tre minuti di me, #2))
...oh, mi sono divertita in quegli anni, credo", stava dicendo April. "Me lo ricordo sempre come un periodo felice, stimolante, e ritengo che lo sia stato, eppure", la sua voce non era più monocorde, adesso, "eppure mi pareva ancora...non so". "Ti pareva ancora che stessi perdendo il meglio della vita?" "In un certo senso, sì. Avevo ancora l'impressione che da qualche parte esistesse tutto un mondo di gente meravigliosa, un mondo altrettanto superiore al mio di quanto lo erano le ragazze dell'ultimo anno, a Rye, quando io facevo la prima media; gente che sapeva ogni cosa per istinto, che dava alla propria esistenza la direzione che più gli garbava senza neppure il minimo sforzo, che non doveva mai far buon viso a cattivo gioco perché gli riusciva sempre tutto alla perfezione la prima volta che ci provava. Una specie di eroici superuomini, tutti belli e spiritosi e calmi e gentili, e mi sono sempre immaginata che, se mi fosse stato dato di scoprirli, subito mi sarei resa conto di appartenere anch'io alla loro razza, di essere una di loro, di essere da sempre destinata a essere una di loro, e che tutto ciò che era accaduto nel frattempo era stato un errore; e anche loro l'avrebbero capito. Ero una specie di brutto anatroccolo tra i cigni, insomma". [...] April non aveva davvero voglia di parlare; non con lui, comunque. Tutto quel che voleva era sfogarsi, liberarsi recitando la parte della malinconica e della disillusa, e aveva scelto lui come spettatore.
Richard Yates (Revolutionary Road)
Era dolce come una festa. Quell'acqua era ben altro che un alimento. Era nata dalla marcia sotto le stelle, dal canto della carrucola, dallo sforzo delle mie braccia. Faceva bene al cuore, come un regalo. Come da bambino, quando erano le luci dell'albero di Natale, la musica della messa di mezzanotte, la dolcezza dei sorrisi, a far risplendere il regalo che ricevevo.
Antoine de Saint-Exupéry (The Little Prince)
In tutta sincerità, mi sforzo di prendere la faccenda allegramente, anche se, a dispetto delle mie proteste, la maggior parte delle persone trova difficile credermi. Per favore, fidati di me. Posso davvero essere allegra. Posso essere amabile. Affettuosa. Affabile. E queste sono solo le parole che cominciano per A. Non chiedermi però di essere bella: essere bella non è da me.
Markus Zusak (The Book Thief)
Ho vissuto tanto senza aver vissuto! Ho pensato tanto senza aver pensato! Mondi di violenze immobili, di avventure trascorse senza movimento, pesano su di me. Sono stanco di ciò che non ho mai avuto e che non avrò, stanco di Dei che non esistono. Porto con me le ferite di tutte le battaglie che ho evitato. Il mio corpo è dolorante per lo sforzo che non ho nemmeno pensato di fare.
Fernando Pessoa (The Book of Disquiet)
Riconobbi in loro, padre e figlia, ciò che non avevo mai avuto e che, ora lo sapevo, mi sarebbe sempre mancato. Cos'era. Non ero in grado di dirlo con precisione: l'addestramento, forse, a sentire intimamente mie le questioni del mondo; la capacità di avvertirle come cruciali e non pura informazione da sfoggiare a un esame, in vista di un buon voto; una forma mentale che non riducesse ogni cosa a una mia battaglia individuale, allo sforzo di affermarmi.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
«Non farlo, Travis,» dice, prendendomi il viso tra le mani per non farmi allontanare. «Cosa?» «Evitare.» «Non evito.» «Tu eviti tutto, Travis: le persone, le cose che potrebbero renderti felice, le scoperte, gli incontri, la vita. Lasciati andare almeno una volta nella vita.» Incasso i suoi “complimenti”. Lo so che ha ragione, ma quando si è diversi si impara a proteggersi dalla normalità, allontanandosene il più possibile. Da bambino ho avuto un bel po’ di delusioni, di dolore e ho capito velocemente che non avrei ottenuto niente dagli altri perché non ero come loro, che non mi capivano e non avrebbero fatto nessuno sforzo per comprendermi. Nemmeno il mio stesso padre ha fatto questo sforzo, come avrei potuto chiederlo a un estraneo? È più semplice così e mi sta bene. Soffrire non è nelle mie priorità. «Mi lascio andare con te, Mack.» Mack mi sorride accarezzandomi il collo. «Allora dimmi quello che provi»
Amheliie (Road)
Con uno sforzo immenso, Vincenzo trascina la mano sana vicino alla sua. Le prende le dita piccole, coperte di rughe. «Ti ho dato abbastanza?» le chiede a fatica. «Ti ho dato quello che volevi? Hai avuto tutto?» Giulia capisce. Gli occhi le si velano di lacrime, perché sa che lui non le dirà mai parole d'amore. Dovrà essere lei a farlo per entrambi. Dice parole che mai ha osato dirgli, mentre la carne si lacera e il cuore le si spezza. «Sì, amore mio. Mi hai amato abbastanza».
Stefania Auci (The Florios of Sicily)
Spesse fiate vegnonmi a la mente le oscure qualità ch’Amor mi dona, e venmene pietà, sì che sovente io dico: «Lasso!, avviene elli a persona?»; ch’Amor m’assale subitanamente, sì che la vita quasi m’abbandona: campami un spirto vivo solamente, e que’ riman perché di voi ragiona. Poscia mi sforzo, ché mi voglio atare; e così smorto, d’onne valor voto, vegno a vedervi, credendo guerire: e se io levo li occhi per guardare, nel cor mi si comincia uno tremoto, che fa de’ polsi l’anima partire.
Dante Alighieri (Vita nuova (Italian Edition))
[Sonetto IX] Spesse fiate vegnomi a la mente le oscure qualità ch’Amor mi dona, e vienmene pietà, sì che sovente io dico: "Lasso!, avviene elli a persona?"; Ch’Amor m’assale subitamente, sì che la vita quasi m’abbandona: campami un spirto vivo solamente, e que’ riman perché di voi ragiona. Poscia mi sforzo, ché mi voglio aitare; e così smorto, d’onne valor vòto, vegno a vedervi, credendo guerire: e se io levo li occhi per guardare, nel cor mi si comincia uno tremoto, che fa da’ polsi l’anima partire.
Dante Alighieri
<>rispose Darcy << non ho mai avanzato una simile pretesa. Ho sicuramente delle mancanze, anche se non di ordine intellettuale, spero. Quanto al carattere, invece, non ci giurerei. Credo che sia troppo poco arrendevole, certo troppo poco per piacere a tutti. Non riesco a dimenticare le sciocchezze e idifetti degli altri in fretta come dovrei, nè le offese che ricevo. I miei sentimenti non si infiammano a ogni piccolo sforzo per suscitarli. Ho un carattere forse incline al risentimento: persa una volta , la mia stima è persa per sempre. >>
Jane Austen (Pride and Prejudice)
A Balbec, ero arrivato al punto di trovare il piacere d'intrattenermi in svaghi con fanciulle meno funesto alla vita intellettuale – cui, d'altronde, rimane estraneo – che non l'amicizia, il cui sforzo consiste esclusivamente nel farci sacrificare l'unica parte reale e incomunicabile (se non per mezzo dell'arte) di noi stessi a un io superficiale, che anziché trovare, come l'altro, gioia dentro di sé, prova una confusa commozione nel sentirsi sostenuto da puntelli esterni, ospitato in un'individualità estranea dove, felice della protezione accordatagli, fa rifulgere in approvazione il proprio benessere, e va in estasi di fronte a qualità che chiamerebbe difetti, e cercherebbe di correggere, in se stesso. D'altra parte, coloro che disprezzano l'amicizia possono essere, senza illusioni e non senza rimorsi, i migliori amici del mondo, così come un artista che porta in sé un capolavoro e sente che sarebbe suo dovere vivere per lavorare, ciononostante, per non apparire o rischiare d'essere egoista, dà la sua vita per una causa inutile, e con tanto maggiore ardimento quanto più disinteressate erano le ragioni per cui avrebbe preferito non darla.
Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto vol. 3)
Tu conosci quella sensazione...quando leggi un libro e sai che finirà in tragedia-disse Tessa.-Senti arrivare il freddo e l'oscurità, vedi la rete stringersi intorno ai personaggi che vivono e respirano sulle pagine. Ma sei legato alla storia come se fossi trascinato da una carrozza, e non puoi lasciarla andare o cambiarne il corso [...] Ora mi sembra che stia succedendo la stessa cosa, ma non ai personaggi su una pagina, bensì ai miei adorati amici e compagni. Non voglio starmene con le mani in mano mentre la tragedia bussa alla nostra porta. Vorrei allontanarla, e mi sforzo di scoprire come fare.
Cassandra Clare (Clockwork Princess (The Infernal Devices, #3))
Ora Edward si era stabilito al villino per almeno una settimana, perché, qualsiasi altro impegno richiedesse il suo ritorno, era impossibile che meno di una settimana fosse dedicata alla felicità di godere la compagnia di Elinor, o bastasse per dire la metà di quel che c'era da dire sul passato, il presente e il futuro; anche se, infatti, pochissime ore nello sforzo non indifferente di chiacchierare ininterrottamente basterebbero a liberare il campo di più argomenti di quanti possano averne in comune due esseri ragionevoli. Con gli innamorati è diverso. Fra di loro nessun argomento è mai finito, non viene mai presa nessuna decisione senza tornarci sopra almeno una ventina di volte.
Jane Austen (Sense and Sensibility)
Ah! Sei qui...» E mi prese per mano. Ma ancora si tormentava: «Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero...» Io stavo zitto. «Capisci? E' troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. E' troppo pesante». Io stavo zitto. «Ma sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze...» Io stavo zitto. Si scoraggiò un poco. Ma fece ancora uno sforzo: «Sara' bello, sai. Anch'io guarderò le stelle. Tutte le stelle saranno dei pozzi con una carrucola arrugginita. Tutte le stelle mi verseranno da bere...» Io stavo zitto. «Sarà talmente divertente! Tu avrai cinquecento milioni di sonagli, io avrò cinquecento milioni di fontane...» E tacque anche lui perché piangeva.
Antoine de Saint-Exupéry (The Little Prince)
Le persone, se ne hanno l'occasione, parlano di se usando espressioni di una franchezza sorprendente, del tipo: "Io sono talmente sincero e aperto da rendermi ridicolo", "Io sono troppo sensibile per trovarmi bene in un mondo come questo", "Io sono bravo a leggere nel cuore degli uomini". Ma mi è capitato molte volte di vedere persone "troppo sensibili" ferire gli altri senza alcuna necessità. E ho visto persone anche "sincere e aperte" usare la logica per imporre i propri interessi, senza neanche esserne consapevoli. Ho visto infine persone "brave a leggere nel cuore degli uomini" lasciarsi ingannare senza sforzo da adulatori visibilmente insinceri. A questo punto mi sembra naturale chiedersi che cosa ognuno di noi alla fin fine conosca di se stesso.
Haruki Murakami (Sputnik Sweetheart)
Di questa angoscia, Michele aveva un timore doloroso: avrebbe voluto non pensarci, e come ogni altra persona, vivere minuto per minuto, senza preoccupazioni, in pace con se stesso e con gli altri; "essere un imbecille" sospirava qualche volta; ma quando meno se l'aspettava una parola, un'immagine, un pensiero lo richiamavano all'eterna questione; allora la sua distrazione crollava, ogni sforzo era vano, bisognava pensare [...] "Tutta questa gente sa dove va e cosa vuole, ha uno scopo, e per questo s'affretta, si tormenta, è triste, allegra, vive, io... io invece nulla... nessuno scopo... se non cammino sto seduto: fa lo stesso". [...] avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi, anche ingannevole, e non scalpicciare così, di strada in strada, fra la gente che ne aveva uno. "Dove vado?
Alberto Moravia (The Time of Indifference)
Di pomeriggio dormo e quando non riesco a dormire, chiudo gli occhi e immagino di essere dinuovo nella casa abbandonata al 37 di Brooks Street con Alex sdraiato accanto a me. Cerco diattraversare la cortina; immagino di poter in qualche modo disfare i giorni che sono passati dalla nostrafuga, di poter riparare quello strappo nel tempo, di potermi riprendere Alex.Ma ogni volta che riapro gli occhi sono ancora qui, su un materasso per terra, e ho ancora fame. Alex è vivo. Soltanto un altro sforzo, solo uno sprint finale, e vedrai.Quando Hana e io facevamo parte della squadra di atletica leggera, c’inventavamo giochetti mentalicome questi per mantenere lo stimolo. La corsa è uno sport mentale, più di qualsiasi altra cosa. Seibravo solo quanto il tuo allenamento, e il tuo allenamento è buono solo quanto il tuo modo di pensare.Se fai tutti e dodici i chilometri senza camminare, prenderai dieci in storia. Questo è il genere di cosache dicevamo l’una all’altra. A volte funzionava, a volte no. A volte ci arrendevamo, ridendo,all’undicesimo chilometro, dicendo Ooops! Ecco che sfuma il nostro voto di storia.Il fatto era che non ci interessava poi tanto. Un mondo senza amore è anche un mondo senzaobiettivi.Alex è vivo. Spingi, spingi, spingi.....Non sono pazza. Lo so che non è vivo, non può esserlo. Non appena termino la corsa e torno nelseminterrato della chiesa, mi colpisce come un muro la stupidità di tutto questo, la sua inutilità. Alex èandato e nessun allenamento, o corsa, o sofferenza me lo riporterà mai.Lo so. Ma il fatto è questo: mentre corro, c’è sempre quella frazione di secondo in cui il dolore mi statraggendo e riesco a malapena a respirare e vedo soltanto colori e macchie e in quella frazione disecondo, proprio mentre il dolore è insopportabile e diventa troppo, e c’è un calor bianco che mi attraversa, vedo qualcosa alla mia sinistra, un guizzo di colore (capelli rossicci, che ardono, una coronadi foglie) e in quel momento so che se soltanto voltassi la testa lo vedrei lì, che ride e mi guarda, abraccia aperte.Non volto mai la testa per guardarlo, ovviamente. Ma un giorno lo farò. Un giorno lo farò e lui saràtornato, e tutto andrà a posto.E fino a quel momento: corro. Mi viene in mente, a quel punto, che anche le persone sono piene di tunnel: spazi bui e tortuosi ecaverne; impossibile conoscere tutti i posti dentro di loro. Impossibile anche soltanto immaginarli
Lauren Oliver (Pandemonium (Delirium, #2))
[...] e così come si fu mosso appena appena un pochino, i piedi uniti di don Chisciotte si spostarono, e scivolando dalla sella, l'avrebbero sbattuto al suolo, se non fosse rimasto appeso al braccio; ciò che gli procurò tanto dolore che egli credette, o che gli recidevano il polso o che gli si strappava il braccio; difatti restò così vicino al suolo, che con la punta dei piedi baciava la terra, e questo era a suo danno perché, sentendo quanto ci mancava poco per mettere le piante dei piedi al suolo, si sforzava e si stirava per toccar terra, proprio come quelli posti alla tortura della carrucola, che stanno fa tocca, non tocca, e son loro stessi la causa che fa accrescere il loro dolore, per lo sforzo che fanno a stirarsi, ingannati dall'illusione che si fanno, che basti allungarsi un poco per arrivare a terra.
Miguel de Cervantes Saavedra (Don Quixote)
Può non essere sempre evidente ed esplicito nella forma del nome il nesso necessario con la sua ragione prima, ma ciò è dovuto soltanto all'ignoranza degli uomini, alla fuga del tempo, ed i sapienti, i saggi, i maghi e gli dèi sono tali in ragione delle loro maggiore o assoluta conoscenza di questi nessi. In origine ogni nome è una kenning. Ora essa, qual è praticata dagli scaldi, ci appare nel suo aspetto intellettualistico e concettoso di indovinello, nel riferimento ad una sapienza esclusiva ed esoterica, ma nostro è l'abbaglio nel percepirla così: nella struttura e nel senso suo più genuino essa è il modello originario del nome nel mito, un modello che può riflettersi in sé, nei suoi elementi costitutivi, all'infinito; primo e ultimo frutto dello sforzo di appropriazione del passato e del presente, di fare il mito.
Giorgio Dolfini (The Prose Edda: Norse Mythology (Penguin Classics))
«Volevo che vedessi che non mi avevi spezzato,» continuò Jesse. «È meschino, lo so, ma volevo sbatterti in faccia il mio successo. Non puoi nemmeno immaginare come mi sono sentito quel giorno, quando ti sei allontanato da me, come se noi due non avessimo significato nulla. Come se io non avessi significato nulla.» A Shane si ritorse lo stomaco nel sentire quelle parole, e fece ogni sforzo per mantenere un’espressione imperturbabile. Aveva ferito Jesse, lo sapeva. Non avrebbe mai dimenticato. Mai, ma Jesse aveva fatto molto di più. «Cazzo, e anch’io facevo parte del tuo giochetto?» Jesse abbassò lo sguardo. La vergogna sfrecciò attraverso i suoi lineamenti. «No. Non volevo che succedesse. Il piano era fare in modo che tu mi desiderassi, e ho persino cercato di resisterti quella notte. Ma quando mi hai baciato, io… io non sono riuscito a fermarmi. E così ho pensato che se fossi stato sopra, se fossi stato quello dominante, allora avrei avuto la situazione sotto controllo.» Alzò gli occhi e incrociò di nuovo lo sguardo di Shane, gli occhi grigi oscurati dal rimorso. «Mi dispiace. Sono stato uno stupido, e ho sbagliato. Il sesso non doveva farne parte, ma ho sempre avuto intenzione di rivelare chi ero a Chicago. All’inizio sembrava… giusto.» Shane fece un verso di scherno. «Già, scommetto. Farmi soffrire nello stesso posto in cui io ho fatto soffrire te.» Jesse diventò ancora più rosso dalla vergogna. «Sì,» ammise. «Il piano era quello. E ho continuato a pensare che fosse un buon piano finché non ho visto la tua reazione. Quando ho visto la tua faccia, quando ho visto che avevi capito, mi sono reso conto di quanto seriamente avessi rovinato le cose. Dopo tutti questi anni, dopo tutto il rancore che provavo per te, non pensavo che ferirti avrebbe fatto male anche a me.»
Piper Vaughn (Moonlight Becomes You (Lucky Moon, #1))
Piano piano, senza fretta, cresce l'amore colpevole. Ha già affondato profondamente le sue tortuose radici nel cuore dell'uomo quando spunta il primo, fragile fiore. E sembra così gracile, così piccolo, che l'uomo lo contempla non tanto per ammirarlo quanto per inebriarsi del proprio potere. Si sente così forte... Un solo gesto, un leggero sforzo, e tutto sarà finito, strappato, morto per sempre nel suo cuore... Che ha da temere, allora?... Sorride, con aria di sfida e commiserazione. «Ebbene sì, questo comincia a essere amore... Ma di che cosa posso aver paura, alla mia età?... So che, se lo lasciassi crescere, mi darebbe solo infelicità...». Ma, dal giorno in cui ha nominato l'amore, in cui ha acconsentito a vederlo, egli misura per la prima volta la propria vulnerabilità. Morbide e tenaci radici affondano sempre più profondamente in lui. E l'istante stesso in cui finalmente trema, in cui pensa: «Basta, adesso, basta, il gioco è finito» è proprio l'istante in cui soccombe, in cui si arrende all'amore, in cui ama la propria sofferenza, e allora non resta altro che aspettare, aspettare che il tempo e la stanchezza abbiano distrutto il tenace, fragile e velenoso fiore.
Irène Némirovsky (The Wine of Solitude)
Quei giudici, il cancelliere, i gendarmi, quella folla di teste crudelmente curiose, egli le aveva già viste una volta, molto tempo addietro, ventisett'anni prima. Ritrovava quelle cose funeste: eran lì, si movevano, esistevano. Non era più lo sforzo della sua memoria, un miraggio del suo pensiero; eran gendarmi, veri giudici, vera folla e uomini in carne ed ossa. Era finita! Vedeva riapparire e rivivere intorno a sé, con la evidenza della realtà, gli aspetti mostruosi del suo passato. Quella scena gli stava dinanzi come un abisso. Ne ebbe orrore, chiuse gli occhi ed esclamò nel più profondo dell'animo: no, mai! E per un giuoco tragico del destino, che faceva tremare tutte le sue idee e lo rendeva quasi pazzo, colui che vedeva era un altro se stesso; quell'uomo che veniva giudicato era da tutti chiamato Jean Valjean. Aveva sotto gli occhi, inaudita visione, una specie di rappresentazione del momento orribile della sua vita, recitato dal suo fantasma. Nulla mancava: era lo stesso apparato, la stessa ora notturna, quasi le stesse facce di giudici, di soldati e di spettatori. Soltanto, sopra il capo del presidente v'era un crocifisso, mancava ai tribunali del tempo della sua condanna. Quando l'avevan giudicato, Dio era assente.
Victor Hugo (Les Misérables)
«Hai letto la lettera a Grindelwald, vero?» «Sì, io... sì». Esitò, turbata, cullando la tazza di tè nelle mani fredde. «È la parte peggiore. Lo so che Bathilda credeva che fossero solo parole, ma ‘Per il Bene Superiore’ è diventato il motto di Grindelwald, il suo alibi per tutte le atrocità che ha commesso in seguito. E... dalla lettera... sembra che sia stato Silente a dargli l’idea. Dicono che ‘Per il Bene Superiore’ fosse inciso anche all’ingresso di Nurmengard». «Cos’è Nurmengard?» «La prigione che Grindelwald aveva costruito per rinchiudervi gli oppositori. Ci finì anche lui, quando Silente lo catturò. Comunque è... è un pensiero orribile che le idee di Silente abbiano aiutato Grindelwald a salire al potere. Ma nemmeno Rita può sostenere che si siano frequentati per più di qualche mese di una sola estate, quando erano tutti e due molto giovani e...» «Sapevo che l’avresti detto». Harry non voleva sfogare la sua rabbia contro di lei, ma dovette fare uno sforzo per controllare il tono di voce. «Sapevo che avresti detto ‘erano giovani’. Avevano la nostra stessa età. Noi siamo qui a rischiare la vita per combattere le Arti Oscure e lui era pappa e ciccia col suo nuovo migliore amico, a tramare l’ascesa al potere sui Babbani».
J.K. Rowling (Harry Potter and the Deathly Hallows (Harry Potter, #7))
”(…) spesso sto davanti a me stesso come davanti a un estraneo, quando in ore tranquille un enigmatico riflesso del passato mi mostra, come in uno specchio appannato, i contorni del mio essere attuale: e allora mi stupisco come quell’elemento misteriosamente attivo, che si chiama vita, abbia potuto adattarsi anche ad una forma siffatta. Tutte le altre manifestazioni sono come in letargo, la nostra esistenza è soltanto un ininterrotto vigilare contro la minaccia della morte. Questa vita ci ha ridotti ad animali appena pensanti, per darci l’arma dell’istinto; ci ha impastati di insensibilità, per farci resistere all’orrore che ci schiaccerebbe se avessimo ancora una ragione limpida e ragionante; ha svegliato in noi il senso del cameratismo, per strapparci all’abisso del disperato abbandono; ci ha dato l’indifferenza dei selvaggi per farci sentire, ad onta di tutto, ogni momento della realtà, e per farcene come una riserva contro gli assalti del nulla. Così meniamo un’esistenza chiusa e dura, tutta in superficie, e soltanto di rado un avvenimento accende qualche scintilla. Ma allora divampa in modo inatteso una fiammata di passione aspra e terribile. Sono questi i momenti pericolosi, che ci rivelano come il nostro adattamento sia tutto artificiale; come esso non sia affatto la calma, ma uno sforzo terribile per mantenere la calma.”
Erich Maria Remarque
È facile giudicare, per i lettori, guardando dal loro angolino tranquillo e dalla cima del quale si apre l’orizzonte su quello che succede in basso, dove all’uomo si rivela solo l’oggetto vicino. E in tutta la storia universale dell’umanità ci sono interi secoli che sembra siano da cancellare e da distruggere perché inutili. Sono stati fatti, al mondo, molti errori che, probabilmente, oggi non farebbe neanche un bambino. Che strade curve, cieche, strette, impraticabili, laterali, ha imboccato l’umanità nello sforzo di raggiungere l’eterna verità, quando davanti a sé aveva, aperta, una via dritta, la retta via, che portava alle splendide stanze destinate allo zar nella sua reggia. Più larga e migliore di tutte le altre vie, rischiarata dal sole e illuminata dai fuochi tutta la notte, e gli uomini passano di fianco a lei nell’oscurità cieca. E quante volte già, guidati da un segno che viene dal cielo, sono stati ancora capaci di scostarsi e smarrirsi da un lato, sono stati capaci dal bianco del giorno di finire di nuovo in un impraticabile buco, sono stati capaci di gettarsi ancora polvere negli occhi a vicenda e, trascinandosi oltre i fuochi fatui, sono stati capaci di arrivare perfino sul limitar del burrone, per poi con orrore chiedersi: dov’è l’uscita, dov’è la strada? Adesso la generazione presente vede tutto con chiarezza, si meraviglia degli errori, ride dell’irragionevolezza dei suoi antenati, senza vedere che questa cronaca è tracciata da una fiamma celeste, che ogni sua lettera grida, che da ogni riga un dito accusatore è puntato su di lei, sulla generazione presente: ma ride, la generazione presente, e, presuntuosa, orgogliosamente comincia una serie di nuovi errori, sui quali allo stesso modo rideranno poi i posteri.
Nikolai Gogol (Dead Souls)
Narciso gli disse: "Sono così contento che tu sia ritornato! Mi sei mancato tanto, ho pensato a te ogni giorno e spesso avevo paura che tu non volessi ritornare più." Boccadoro scosse la testa: "Via, la perdita non sarebbe stata grande". Narciso, a cui bruciava il cuore di dolore e di affetto, si chinò lentamente verso di lui e fece quello che in tanti anni della loro amicizia non aveva mai fatto, sfiorò con le sue labbra i capelli e la fronte di Boccadoro. Questi s'accorse di ciò che accadeva, prima con stupore, poi con commozione. "Boccadoro", gli sussurrò l'amico all'orecchio, "perdonami di non avertelo saputo dire prima. Avrei dovuto dirtelo allora, quando venni a cercarti nella tua prigione, nella residenza del vescovo, o quando vidi le tue prime figure, o qualche altra volta. Lascia che te lo dica oggi quanto ti voglio bene, quanto tu sei sempre per me, come hai arricchito la mia vita. Per te non avrà molta importanza. Tu sei abituato all'amore, esso non è nulla di strano per te, sei stato amato e viziato da tante donne. Per me è un'altra cosa. La mia vita è stata povera d'amore, mi è mancato il meglio. Il nostro abate Daniele mi diceva un giorno ch'io gli sembravo orgoglioso: forse aveva ragione. Io non sono ingiusto verso gli uomini, mi sforzo di essere giusto e paziente con loro, ma non gli ho mai amati. Di due eruditi che ci siano nel convento, il più erudito mi è più caro; a un debole scienziato non ho mai potuto voler bene, passando sopra alla sua debolezza. Se tuttavia so cos'è l'amore, è per merito tuo. Te ho potuto amare, te solo fra gli uomini. Tu non puoi misurare ciò che significhi. Significa la sorgente in un deserto, l'albero fiorito in un terreno selvaggio. A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia.
Hermann Hesse (Narcissus and Goldmund)
Benché Levin gioisse del bel tempo inatteso, il suo piacere era temperato da una punta di abituale tristezza di fronte all’implacabile ritmo della natura: mutamento decretato da una forza che produceva, lui volente o nolente, la primavera di oggi, il gelo di domani, la vecchiaia, la morte, ma che non era opera dell’uomo; mutamento che non era mutamento, in cicli eternamente uguali, una ripetizione di cui lui faceva parte, e dunque com’era possibile conquistare la libertà dentro e fuori di sé? Era per questo che la sua vita, malgrado lo sforzo risoluto di strapparsi da ciò che aveva già vissuto, restava sempre la stessa? E che, essendo lui fatto in un certo modo e vivendo le esperienze che egli stesso generava, non aveva ottenuto niente di più che brevi momenti di soddisfazione, non tanto lunghi da poter smettere di domandarsi se li aveva avuti davvero? Se solo sapessi vivere ammettendo ciò di cui sono convinto, pensava Levin. Quante volte mi sono detto che la felicità non è una cosa che si riesce a stanare con una spedizione di caccia, un graal nascosto e complicato che tocca a chi lo vede per primo, ma che invece è la grazia che va a posarsi sullo spirito, quando c’è il desiderio della vita. Siamo qui per poco, spesso nelle peggiori circostanze: è probabile che l’uomo, un giorno, venga soffiato via dalla punta delle dita di Qualcuno; una battaglia perduta prima ancora di sapere cosa stavamo facendo, eppure quanto è bello, e nobile, anche solo essere esistiti. Me lo sono ripetuto molte volte in varie circostanze, dunque perché non riesco a smettere di preoccuparmi dell’arrivo o della durata della felicità, posto che arrivi mai, o che duri? La scontentezza non porta né denaro sonante né vero amore, dunque perché non godersi questa tenera, stupenda giornata invece di salutarla con la storia di tutto ciò che non ho avuto?
Bernard Malamud (A New Life)
- Chissà se voi sapete quel che è bene per me... o se ve ne importa. - Se lo so state sicura che me ne importa. E devo dirvelo, che cos’è? Che non vi tormentiate. - Che non tormenti voi, suppongo vogliate dire. - Questo non potete farlo; sono a tutta prova. Prendetevela meno. Non state tanto a chiedervi se questo o quello va bene per voi. Non interrogate tanto la vostra coscienza... si scorderà come un pianoforte strimpellato. Tenetela in serbo per le grandi occasioni. Non sforzatevi tanto di formarvi il carattere... sarebbe come aprire a forza una tenera rosellina chiusa. Vivete come meglio vi piace, e il carattere ci penserà da sé a formarsi. Quasi tutto va bene per voi, con rarissime eccezioni, e una buona rendita non è fra queste. - Ralph tacque e sorrise; Isabel l’aveva ascoltato con viva attenzione. - Avete troppa facoltà di pensare, troppa coscienza soprattutto - aggiunse Ralph. - È irragionevole, il numero delle cose che non ritenete giuste. Mettete indietro l’orologio. Frenate la vostra febbre. Aprite le ali; libratevi sulla terra. Far questo non è mai sbagliato. Ella aveva ascoltato avidamente, come ho detto; e per natura era pronta a capire. - Mi domando se vi rendete conto di quello che dite. Se sì, vi prendete una bella responsabilità. - Mi spaventate un po’, ma penso di aver ragione - disse Ralph, continuando a sorridere. - Tuttavia quello che dite è verissimo - proseguì Isabel. - Non potreste dire niente di più vero. Sono assorbita in me stessa, considero troppo la vita come una prescrizione medica. E in realtà, perché star sempre a pensare se le cose vanno bene per noi, come se fossimo degenti di un ospedale? E perché dovrei aver sempre tanta paura di non agire bene? Come se al mondo importasse molto che io agisca bene o male! - Siete un tipo adatto a prender consigli - disse Ralph; - togliete il vento dalle mie vele! Lei lo fissò come se non l’avesse udito, benché stesse seguendo il filo di pensiero che proprio lui aveva suscitato. Mi sforzo di occuparmi del mondo più che di me, ma finisco sempre col tornare a me stessa. Perché ho paura. - S’interruppe; la sua voce aveva tremato un poco. - Sì, ho paura; non so spiegarlo. Un gran patrimonio vuol dire libertà, e di questo ho paura. È una cosa così bella, e bisognerebbe farne così buon uso. Altrimenti ci sarebbe da vergognarsi. E bisogna pensare e pensare; è uno sforzo continuo. Non so se non sia una felicità più grande non avere questo potere. Per chi è debole non ho dubbi che sia una felicità più grande. I deboli debbono fare un grande sforzo per non essere vili. E come fate a sapere che non sono debole? - chiese Isabel. - Oh - rispose Ralph, e Isabel vide un rossore affluirgli al viso - se lo siete, sono proprio spacciato!
Henry James (The Portrait of a Lady)
L’incanto della costa mediterranea, a conoscerla meglio, non faceva che divenire più profondo per la nostra eroina, poiché era la soglia d’Italia, la porta delle meraviglie. L’Italia, ancora veduta e sentita in modo imperfetto, le si stendeva dinanzi come una terra promessa, come una terra in cui l’amore del bello poteva essere confortato da un sapere senza fine. Tutte le volte che andava per la spiaggia con il cugino - gli era compagna nella passeggiata quotidiana - guardava al mare, con occhi bramosi, verso là dove sapeva che sorgeva Genova. Era contenta, però, di sostare sulla soglia di questa immensa avventura; anche in questi indugi preliminari c’era di che fremere. E poi le faceva l’effetto di un interludio di pace, di un placarsi del tamburo e del piffero in una vita che aveva scarse prove sinora per considerare agitata, ma che nondimeno dipingeva costantemente a se stessa alla luce delle sue speranze, dei suoi timori, delle sue fantasie, delle sue ambizioni, delle sue predilezioni, e che rifletteva codeste accidentalità soggettive in maniera sufficientemente drammatica.[...]Si smarriva in un groviglio di visioni: le cose belle da fare per una ragazza ricca, indipendente, generosa, che in quanto ad occasioni ed obblighi era di larghe, umane vedute, erano un ammasso imponente. Il suo patrimonio divenne perciò, nei suoi pensieri, una parte del suo io migliore; le conferì importanza, le conferì persino, nella sua immaginazione, una certa ideale bellezza. Quel che fece per lei nell’immaginazione degli altri è un altro affare, e a suo tempo dovremo parlare anche di questo punto. Le visioni di cui ho parlato or ora si mischiavano ad altri travagli. A Isabel piaceva di più pensare al futuro che al passato; ma a volte, mentre ascoltava il mormorio delle onde del Mediterraneo, il suo sguardo volava all’indietro. Si fermava su due figure che, nonostante l’aumentare della distanza, erano ancora sufficientemente evidenti; ed erano riconoscibili senza difficoltà come quelle di Caspar Goodwood e di Lord Warburton. Era strana la rapidità con la quale queste potenti immagini erano cadute nello sfondo della vita della nostra signorina. Era proprio della sua natura, sempre, di perder fede nella realtà delle cose assenti; questa fede poteva riconvocarla, in caso di bisogno, con uno sforzo, ma lo sforzo era spesso penoso anche quando la realtà era stata piacevole. Il passato era soggetto ad apparire cosa morta, e la sua resurrezione proiettava quasi una livida luce da giorno del giudizio. Per di più la ragazta non era incline ad ammettere di vivere nella mente altrui: non era così fatua da credere di lasciar tracce indelebili. Era capace di rimanere ferita se veniva a scoprire di essere stata dimenticata; ma di tutte le libertà quella che stimava più dolce era la libertà di dimenticare.
Henry James (The Portrait of a Lady)
Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio ,oltre che intellettuale,anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento,è un ambito acquisito con lo sforzo,la noia e anche la sofferenza
Antonio Gramsci
Ha sempre sospettato che la signora madre, in un lontano passato in cui era giovanissima e immaginosa, ha scelto di farsi morta per non dovere morire. Da lì deve venire quella sua speciale capacità di accettare ogni noia col massimo della condiscendenza e il minimo dello sforzo.
Dacia Maraini (La larga vida de Marianna Ucrìa)
Infine, last but not least, la chiesa cattolica, apostolica e romana aveva molti motivi per essere soddisfatta di se stessa. Convinta sin dal principio che l'abolizione della morte poteva essere stata solo opera del diavolo e che per aiutare dio contro le opere del demonio niente è più potente della perseveranza nella supplica, aveva accantonato la virtù della modestia che coltivava normalmente con non piccolo sforzo e sacrificio per felicitarsi, senza riserve, per l'esito della campagna nazionale di preghiere il cui obiettivo, ricordiamolo, era stato implorare dio affinché provvedesse al ritorno della morte il più rapidamente possibile per risparmiare all'umanità i peggiori orrori, fine della citazione. Le preci avevano impiegato quasi otto mesi ad arrivare in cielo, ma c'è da pensare che solo per raggiungere il pianeta marte ce ne vogliono sei, e il cielo, com'è facile immaginare, sarà certamente molto oltre, tredici milioni di anni luce di distanza dalla terra, cifra tonda.
José Saramago (Death with Interruptions)
A volte, quando si investe tante energie in qualcosa, si rischia di innamorarsi più dello sforzo che si è fatto, che di quello che si è ottenuto, e in quei casi si ha paura di buttare via tutto.
Alessandro Cattelan (Ma la vita è un'altra cosa)
Matty non conosceva mezze misure. Era ambizioso, motivato e, secondo Rob, irrimediabilmente destinato a carriere che gli avrebbero spezzato il cuore… Questo sforzo nel conseguire i suoi egoistici obiettivi era adorabile, di grande ispirazione e persino sexy, ma il pattinaggio artistico era, e sarebbe sempre stato, il punto d’origine del suo peggior trauma, e allenare gli altri non si era dimostrato molto diverso fino a quel momento.
Leta Blake (Training Complex (Training Season, #2))
Simon?’’ disse Clary. ‘‘Ho una domanda stupida.’’ ‘‘E sarebbe?’’ ‘‘Hai dormito con Isabelle?’’ Simon fece un verso come se soffocasse. Clary si girò lentamente. ‘‘Tutto bene?’’ gli chiese. ‘‘Credo di si.’’ rispose Simon, recuperando con uno sforzo evidente un pò di contegno. ‘‘Parli seriamente?’’ ‘‘Be’, sei stato fuori tutta la notte…’’ Simon rimase in silenzio per un lungo momento. Alla fine disse: ‘‘Non sono sicuro che siano affari tuoi. In ogni caso, no.’’ ‘‘Bene’’ disse Clary dopo una pausa assennata. ‘‘Immagino che non avresti approfittato di lei, in un momento così doloroso.’’ Simon ridacchiò. Se mai incontrerai l’uomo che riesce ad approfittare di Isabelle, fammelo sapere, perchè vorrei stringerli la mano. O scappare a gambe levate, non so bene quale delle due.
Cassandra Clare (City of Glass (The Mortal Instruments, #3))
Se hai ottant’anni e vuoi ancora provare il miglior orgasmo della tua vita: vai, tenta. Se hai novant’anni e vuoi ancora scrivere il libro della tua vita: vai, tenta. La cosa più probabile è che tu non ci riesca. Ma solo l’improbabile merita lo sforzo. Persino la felicità, se è prevedibile, è una tristezza. Credere nell’improbabile è, probabilmente, la migliore decisione che si possa prendere nella vita.
Pedro Chagas Freitas (Prometo Falhar)
Disprezzo è quando qualcuno non perde nemmeno un istante del suo tempo a guardarti, perché non vali nemmeno quello sforzo.
Cristina Caboni (La custode del miele e delle api)
La sofferenza non è necessariamente un segno di debolezza; con uno sforzo di volontà è possibile sopportarla: la forza di volontà nasce da un severo autocontrollo, che è di per sè una forma di sofferenza volontaria
Gregory David Roberts (Shantaram)
Ha dato tutto per scontato, ha dato per scontato che fossero solo parole dette a caso senza fare lo sforzo di ascoltare e capire. Le parole non sono solo lettere, le parole fanno male e rendono felici allo stesso tempo.
Sara Dardikh (Baci nell'ombra)
Nella nuova situazione di agio e sicurezza perfetti, quell’energia irrequieta che per noi era forza diventa inevitabilmente debolezza. Persino nel nostro tempo certe tendenze e certi desideri, una volta necessari alla sopravvivenza, sono una fonte costante di insuccessi. Il coraggio fisico e l’amore per la battaglia, per esempio, non sono di grande aiuto all’uomo civile, anzi, possono essere un intralcio. E in uno stato di equilibrio fisico e sicurezza, il potere, intellettuale nonché fisico, sarebbe fuori luogo. Dovevo pensare che da anni innumerevoli non c’era più stato il rischio di una guerra o di qualche solitario atto di violenza, nessun pericolo da parte di animali feroci, nessuna malattia debilitante che richiedesse una costituzione sana e solida, nessun bisogno di lavorare. In una vita così, quelli che definiamo deboli sono equipaggiati bene quanto i forti, non sono più deboli. Anzi, sono più adatti, perché i forti si troverebbero logorati da un’energia che non sono in grado di sfogare. La squisita bellezza degli edifici che vedevo era senza dubbio il risultato dell’ultimo grande sforzo di un’energia ora divenuta inutile prima che il genere umano si concedesse alla perfetta armonia della nuova condizione che aveva raggiunto, la realizzazione di quel trionfo che aveva dato inizio all’ultimo grande periodo di pace. Tale è sempre stato il destino dell’energia in condizioni di sicurezza: scivola nell’arte e nell’erotismo e da lì nel languore e nella decadenza. Ma persino questo slancio artistico alla lunga è destinato a morire, ed era quasi morto nel tempo da me visitato. Adornarsi di fiori, danzare, cantare al tramonto: ecco cosa restava dello spirito artistico e niente di più. E anche quello alla fine si sarebbe spento nell’inattività appagata.
H.G. Wells
Quando dico che erano intrappolati, non intendo un pochino intrappolati. Non come se avessero messo un piede nel fango e per uscirne bastasse fare uno sforzo, e una volta fuori, l'unica perdita fosse quella di un bel paio di scarpe nuove nel fango. No, intendo totalmente intrappolati. Come se fossero immersi nel fango fino al mento, fino agli occhi, al di là di ogni possibile sforzo. Come se potessero muovere solo le braccia ogni tanto e girare la testa di qualche grado, ma non poterssero uscire, e l'unica cosa che si vedeva in qualsiasi direzione, quando riuscivano a girare la testa ancora un po', fosse altro fango. Sempre lo stesso.
Kent Haruf (The Tie That Binds)
[...] quando in una famiglia c'erano più lavoratori che membri non lavoratori, la famiglia riduceva lo sforzo lavorativo complessivo una volta assicurata la produzione sufficiente.
James C. Scott (Against the Grain: A Deep History of the Earliest States)
Il mio più gran dietto è la bontà illimitata. Io devo semplicemente fare del bene. Ma sono un nano ragionevole e so che non riuscirò mai a farlo per tutti. Se provassi a essere buono con tutti, col mondo intero e con tutte le creature che lo popolano, sarebbe una goccia nel mare: in altre parole, uno sforzo inutile. Perciò ho deciso di fare del bene in modo concreto, così che non vada sprecato. Sono buono con me e con chi mi è più vicino.
Andrzej Sapkowski (Baptism of Fire (The Witcher, #3))
Istruzione, affari e industria, viaggi e logistica, banche, vendita al dettaglio e shopping, intrattenimento, welfare e sanità, politica e relazioni sociali, in breve la vita stessa per come la conosciamo oggi è diventata inconcepibile senza la presenza di pratiche, prodotti, servizi e tecnologie digitali. Chiunque non sia stupito di fronte a una tale rivoluzione digitale non ne ha afferrato la portata. Stiamo parlando di un nuovo capitolo della storia umana. Naturalmente, molti altri capitoli l'hanno preceduto. Erano tutti ugualmente significativi. L'umanità ha sperimentato un mondo prima e dopo la ruota, la lavorazione del ferro, l'alfabeto, la stampa, il motore, l'elettricità, la televisione o il telefono. Ogni trasformazione è unica. Alcune di queste hanno cambiato in maniera irreversibile il modo in cui comprendiamo noi stessi, la nostra realtà e l'esperienza che ne facciamo, con implicazioni complesse e di lungo periodo. Stiamo ancora scoprendo nuovi modi per sfruttare la ruota, basti pensare alla ghiera cliccabile dell'iPod. Al contempo, è inimmaginabile ciò che l'umanità potrà ottenere grazie alle tecnologie digitali. Nessuno nel 1964 (vedi capitolo 1) avrebbe potuto immaginare come sarebbe stato il mondo solo cinquant'anni dopo. I futurologi sono i nuovi astrologi. Eppure, è anche vero che la rivoluzione digitale accade una volta sola, e cioè adesso. Questa particolare pagina della storia umana è stata voltata ed è iniziato un nuovo capitolo. Le generazioni future non sapranno mai com'era una realtà esclusivamente analogica, offline, predigitale. Siamo l'ultima generazione che l'avrà vissuta. Il prezzo di un posto così speciale nella storia lo si paga con incertezze che destano preoccupazioni. Le trasformazioni indotte dalle tecnologie digitali sono sorprendenti. Giustificano un po' di confusione e di apprensione. Basta guardare i titoli dei giornali. Tuttavia, il nostro posto speciale in questo spartiacque storico, tra una realtà completamente analogica e una sempre più digitale, porta con sé anche straordinarie opportunità. Proprio perché la rivoluzione digitale è appena iniziata, abbiamo la possibilità di plasmarla in modi positivi che possono fare progredire sia l'umanità sia il nostro pianeta. Come disse una volta Winston Churchill, "prima siamo noi a dare forma agli edifici; poi sono questi a dare forma a noi". Siamo nella primissima fase di costruzione delle nostre realtà digitali. Possiamo costruirle bene, prima che inizino a influenzare e modellare noi e le generazioni future nel modo sbagliato. La discussione sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno è inutile perché la questione davvero interessante è come possiamo riempirlo. Per individuare la strada migliore da percorrere nello sviluppo delle nostre tecnologie digitali, il primo, fondamentale passo è cercare di averne una maggiore e migliore comprensione. Non dovremmo sonnecchiare nella creazione di un mondo sempre più digitale. L'insonnia della ragione è vitale, perché il suo sonno genera errori mostruosi. Comprendere le trasformazioni tecnologiche in atto sotto i nostri occhi è cruciale, se vogliamo guidare la rivoluzione digitale in una direzione che sia preferibile (equa) dal punto di vista sociale e sostenibile da quello ambientale. Ciò può tradursi solo in uno sforzo collaborativo. Pertanto, in questo libro, offro il mio contributo condividendo alcune idee su un particolare tipo di tecnologia digitale, l'intelligenza artificiale (IA), e un problema specifico, la sua etica.
Luciano Floridi (Etica dell'intelligenza artificiale)
Alla donna si richiede un doppio sforzo: agire con un'energia maschile per essere nel mondo, e ritrovare poi l'energia femminile per essere sé stessa e per dare spazio alla sua natura. Noi dobbiamo fare entrambe le cose tutti i giorni. E invece io voglio essere ciclica. Io sono la luna.
Mattia Torre (In mezzo al mare. Sette atti comici)
La Breve storia dell’anima che proponiamo non è una summa sistematica e completa del tema, non è neppure un saggio accademico destinato agli addetti ai lavori, non è un testo di approfondimento teorico, desideroso di inoltrarsi su vie inesplorate. Il metodo adottato è quello suggerito da Italo Calvino in una delle sue Lezioni americane. È la tecnica dello scultore che non aggiunge ma toglie, scalpellando senza sosta l’enorme blocco di marmo per far emergere un volto o un torso. Abbiamo pensato di adottare come schema simbolico per questa ricerca nell’orizzonte dell’anima quello della navigazione. Varie sono le tappe del viaggio. Prima però di imbarcarsi, è necessario un itinerario di avvicinamento al fiume transitando nelle culture primitive, nelle antiche e gloriose civiltà dell’Egitto, della Mesopotamia, dell’India e dell’Arabia, visitando anche luoghi reconditi, quasi simili a grotte oscure, come nel caso della metempsicosi, dello spiritismo, della metapsichica. Il grande fiume dell’anima che dobbiamo navigare, circondato da queste terre, rivela due sorgenti specifiche che lo hanno alimentato in modo copioso. Da un lato, c’è la «Sorgente sacra» delle Scritture bibliche con il loro originale e variegato messaggio che ha alcuni apici nel libro della Genesi e nelle parole di Cristo e di san Paolo. D’altro lato, ecco l’«Altra sorgente», quella della cultura greca, ove appaiono i miti affascinanti di Psiche e di Orfeo, ma anche si stagliano pensatori eccelsi come Platone, Aristotele e Plotino. Dalle sorgenti la navigazione s’inoltra poi nel corso tortuoso del fiume: si devono percorrere secoli e secoli di storia. Tre sono i profili dell’anima che entrano in scena. C’è anzitutto quello disegnato dalla teologia cristiana nel suo incessante interrogarsi, nelle risposte del Magistero ecclesiale ufficiale, nell’elaborazione intensa dei suoi pensatori e anche nel suo sforzo ardito di affacciarsi sull’oltrevita dell’anima, al di là del confine della morte. C’è, poi, la complessa riflessione della filosofia occidentale, a partire da Cartesio, dal cui dualismo si diramano sia i grandi «spiritualisti» come Spinoza e Hegel, sia l’aspra reazione dei «materialisti», negatori convinti dell'anima. È il capitolo dell’«Anima filosofica» che si apre anche a teorie innovative, come quelle dell’evoluzionismo e della psicologia/psicoanalisi. Infine c’è il profilo dell’«Anima poetica»: è uno sguardo gettato sul mistero dello spirito dall’intuizione letteraria. Si va, allora, dalle scene create dal genio di Dante al terribile patto tra Faust e Mefistofele descritto da Goethe, dai dialoghi tra anima-corpo-natura immaginati da Leopardi, Rosenzweig o Péguy fino alle sorprendenti proposte di Pirandello e di tanti altri autori. Si giunge così a una tappa conclusiva: si penetra nell’odierno inquietante ma anche affascinante laboratorio delle neuroscienze per incontrare quell’«uomo neuronale» che alcuni vorrebbero spogliato dell’anima e ridotto a cervello. Quando si sarà conclusa la navigazione lungo il fiume della storia dell’anima, si avrà forse un’impressione antitetica rispetto alla voce dell’indigeno amazzone: l’anima è ben più veloce e vivace della civiltà moderna. È ciò che affermava nel V secolo uno scrittore spirituale, Giovanni Cassiano: «Stiamo sicuramente andando indietro quando ci accorgiamo di non essere andati avanti: l’anima non può rimanere ferma».
Gianfranco Ravasi
Come un'ideologia, l'amore ci costringe di continuo a mettere in discussione le nostre vite, a sostenere dei valori, a coltivare il cambiamento. Decidere di aderire all'amore è un percorso lungo e difficile che pochi hanno il coraggio di intraprendere. Tutti o quasi lo sperimentano a un certo punto, ma farne una prassi richiede uno sforzo in più che non tutti sono disposti a compiere.
Jennifer Guerra (Il capitale amoroso: Manifesto per un eros politico e rivoluzionario)
Gli occhi della profetessa incrociarono per l’ennesima volta quelli di Francesca, e stavolta lei vi lesse solo una terribile esitazione. Con uno sforzo che le cancellò ogni residuo di fiato si gettò in avanti e abbracciò le gambe dell’uomo facendolo piombare a terra, e nel contempo gridò alla sua amica: «Va’ via! Vai!».
Luca Tarenzi (La guerra (L'ora dei dannati #3))
«Sento di aver fatto qualcosa di creativo quando mi dedico con tutto il cuore a qualcosa e lotto senza riserve fino alla fine; così vinco una battaglia per crescere. È questione di sudore e lacrime. La vita creativa esige uno sforzo costante per migliorare i nostri pensieri e le nostre azioni. Forse la cosa importante è il dinamismo implicito nello sforzo. «Si passa attraverso tempeste e si possono subire sconfitte. L’essenza della vita creativa è perseverare nonostante le sconfitte e inseguire l’arcobaleno che c’è nei nostri cuori. L’indulgenza e l’indolenza non sono creative. Lamentele e indecisioni sono da vigliacchi e corrompono la naturale tendenza della vita alla creatività. Chi smette di lottare per la creatività si avvia verso l’inferno che ne distruggerà la vita.» Mi irrigidii. Shock da riconoscimento. Il resto del discorso lo percepii come una serie di colpi di martello che mi arrivavano dritti nel cervello. «Non ci si deve mai rilassare negli sforzi per costruire una nuova vita. Creatività significa aprire la pesante porta della vita. Non è una lotta facile. Anzi, può essere il compito più difficile del mondo. Aprire la porta della propria vita è più difficile che aprire le porte ai misteri dell’universo. «Ma l’atto di aprire la porta dimostra la fondatezza dell’esistenza di un essere umano, e rende la vita degna di essere vissuta. Nessuno è più solo e infelice di chi non conosce la pura gioia di creare da solo la propria vita. Essere umano non significa solo camminare su due gambe e manifestare ragione e intelligenza: essere umano nel pieno senso della parola significa vivere una vita creativa.» Bernie piegò il foglio di carta e guardò i fedeli. «Ritengo il fatto che siete tutti qui presenti la prova che Geoff ha vissuto una vita creativa. Grazie.»
Edward Canfor (Il Budda Geoff e io)
La mia ricerca dell’esattezza si biforca in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni e dimostrare teoremi; e dall’altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose.
Italo Calvino (Six Memos for the Next Millennium)
sono due metà di un solo spirito, uno spirito troppo grande per essere contenuto in un solo corpo. Sono esseri liminali, metà umani, metà divini, e devono essere onorati come gli si confà, se non addirittura adorati. Il secondo gemello, in particolare, il changeling e il trickster, meno affascinato dalle cose del mondo rispetto al primo, viene sulla terra con grande riluttanza e vi rimane con un maggiore sforzo, consumato dalla nostalgia per i regni spirituali. Alla vigilia del giorno in cui i due gemelli nasceranno, ognuno nel proprio corpo fisico, il secondogenito, scettico, dice al primo: <>. Il primo gemello, Taiyewo (dallo yoruba to aiye wo, <>), vedendo che la sua metà non torna, si appresta senza fretta a raggiungere il suo Taiyewo, degnandosi di assumere una forma umana. Gli yoruba quindi considerano Kehinde il più grande: nato per secondo, ma più saggio, e quindi <>. (pag. 89 "La bellezza delle cose fragili")
Taiye Selasi (Ghana Must Go)
Quindi, con il tempo, è probabile che tu recuperi alcune funzioni al di sotto della vita. Ma quando uscirai dall'ospedale sarai su una sedia a rotelle." "Si sa per quanto tempo dovrò usarla?" "I medici dicono..." Rebecca dovette fare uno sforzo per non piangere. "Devi prepararti alla possibilità che il danno sia permanente." Bernd distolse lo sguardo. "Sono un paralitico." "Ma siamo liberti. Siamo a Berlino Ovest. Siamo scappati." "Scappati verso una sedia a rotelle." "Non vederla in questo modo." "Cosa accidenti farò?" "Ci ho pensato." Rebecca assunse un tono deciso e sicuro, più di quanto si sentisse lei. "Mi sposerai e riprenderai a insegnare." "E'improbabile." "Ho già telefonato ad Anselm Weber. Come ricorderai. è preside di una scuola di Amburgo. Ha lavoro per tutti e due, a cominciare da settembre." "Un insegnante in sedia a rotelle?" "Che differenza fa? Sarai comunque in grado di spiegare la fisica in modo tale che la capisca anche lo studente più ottuso. Non ti servono le gambe per quello." "Tu non vuoi sposare un paralitico." "No. Però voglio sposare te. E lo farò." "Non puoi sposare un uomo che sotto la cintola non funziona più" disse Bernd amareggiato.
Ken Follett (Edge of Eternity (The Century Trilogy, #3))
Il suo volto era disegnato da un'estesa ragnatela di sconfitte - a suggerire che al di sotto del collo viveva un parassita che con graduale intenzionalità divorava gli elementi che negli esseri umani si aggregano per generare soddisfazione e appagamento. Era graziosa, lineamenti sobri, occhi distanti, il naso forte e diritto, ma più la guardavo più mi ricordava un vaso greco o romano andato in pezzi e riassemblato. Se pure ne ammiravi la bellezza e l'eleganza della fattura, lo sguardo continuava a tornare sulle giunture e le crepe riempite con qualche oscura sostanza coesiva, sui manici mancanti e sui buchi. Riconoscere la persona che la signora Park era stata prima di incontrare il signor Park richiedeva uno sforzo di immaginazione.
Gary Shteyngart (Super Sad True Love Story)
Cominciò a dire “Chi?...Che cosa?”, ma la risposta fu un rantolo prolungato, seguito da una serie di conati, mentre il corpo che teneva tra le braccia tremava in modo incontrollabile. Piano piano cominciò a notare il soprabito sporco di un colore indefinibile, i piedi nudi, i capelli raggrumati in configurazioni improbabili. Allora, con estremo sforzo, con le due mani a metà tra le guance ed il collo provò a sollevare lentamente il viso di questo corpo. Vide due immensi occhi gialli, persi nel nulla, secchi, la pupilla nera dilatata all'impossibile. Le guance scavate con le ossa del cranio che premevano sulla pelle rinsecchita dove le rughe si diramavano dagli occhi e dalle labbra come le crepe di un deserto. E ancora disse e continuò a ripetere: “Chi sei? Cosa vuoi? Perché?” Ma infine la risposta che non voleva accettare si fece strada nel caos. No, non era possibile. No, non era un mostro venuto dallo spazio, né l'incubo di qualcun altro, ma semplicemente era suo figlio.
Piero Olmeda
Ognuno dei mille passi che hanno costituito il cammino dell’uomo è nato dallo sforzo del pensiero di qualcuno che ha voluto vedere in un preciso luogo e momento qualcosa che prima nessuno aveva visto”.
Fabrizio Santi (Il settimo manoscritto)
Pensò, provando una sorta di stupore, all'inutilità biologica del dolore e della paura, e al tradimento del corpo, che puntualmente si immobilizza in un'accidia mortale tutte le volte in cui è necessario produrre uno sforzo straordinario. [...] Lo colpì il pensiero che nei momenti di crisi non si combatte tanto contro un nemico esterno, quanto contro il proprio corpo.
George Orwell (1984)
Quand'è che quello spirito ha cominciato a cambiare? Quando hanno cominciato a cambiare loro? O hanno semplicemente smesso di essere come avrebbero voluto essere, E sono tornate a essere come sono? A che punto il gioco dell'invenzione si è trasformato in sforzo di costruzione, impegno dopo impegno, vincolo dopo vincolo? Quand'è che la leggerezza si è trasformata in peso?
Andrea De Carlo (L'imperfetta meraviglia)
Questi elogi del tipo «te lo spiego io di cosa parla il tuo libro» sono tutti appunti che ho mandato agli amici a proposito dei loro libri. La mia tendenza è sempre quella di spingere il libro verso l’astratto, verso la tristezza, verso le tenebre, verso la duplicità, verso diciassette tipi di ambiguità. Mi sforzo sempre di leggere la forma come contenuto, lo stile come significato. In un certo senso il libro balbetta sempre sul suo stesso linguaggio. Dipingo sempre me stesso e l’autore come le uniche fonti di un’oscura sapienza, sono sempre il paladino della disperazione spensierata, volo sempre troppo alto. Metafisico è grande. Nella mia formulazione, il soggetto del libro non è mai quello che sembra. Dico spesso che secondo tutti il libro riguarda X ma in realtà riguarda Y. Leggo sempre il libro come un’allegoria, una tesi filosofica mascherata. Uno dei termini ricorrenti è esistenza, così come umano, animale, sesso, cazzo e violenza. Adoro gli avverbi potentemente ed enormemente e instancabilmente e infinitamente. Uso di continuo indagine ed esplorazione e scavo ed esame e rigoroso. Dove andrei a finire senza meditazione? Sotto sotto c’è sempre una storia d’amore tra me e l’autore: io che amo il libro e l’autore. La chiave è il candore: essere disposto a dire ciò che nessuno è disposto a dire. Il gesto di scrivere è sempre visto come un atto di coraggio (impavido imperversa). La vita è dura, e a volte perfino una noia: il linguaggio è una (piccola) consolazione. Nessun altro coglie quello che stai facendo: solo io ci arrivo. Siamo io e te, baby. Intimità. Urgenza. Solo noi capiamo la vita. Te lo spiego io il tuo libro, il testo. Te lo spiego io di cosa parla il tuo libro. La vita è una merda. Noi siamo delle merde. Solo questo ci salverà: questa dichiarazione.
David Shields (Reality Hunger: A Manifesto)
Che l'allievo di tanto in tanto incontri un professore pieno di entusiasmo che sembra considerare la matematica per se stessa, e la insegna come una delle Belle Arti e la fa amare in virtù della sua personale vitalità, e grazie al quale lo sforzo diventa un piacere, questo dipende dalla casualità dell'incontro, non dalla genialità dell'Istituzione.
Daniel Pennac (Comme un roman)
Una cosa succede a chi è convinto di non avere la possibilità di fare una cosa perché ha sempre pensato che quel qualcosa "non si potesse fare": non investe realmente nelle proprie possibilità. Bisogna proprio essere dei sognatori per immaginare ciò che si ritiene impossibile, o così improbabile da non meritare lo sforzo di un desiderio. Oppure bisogna essere dei ribelli. O entrambe le cose.
Francesca Vecchioni (T'innamorerai senza pensare)
«Contro questa esigenza del perfezionamento per sforzo proprio, la ragione, naturalmente restìa alla preparazione morale, invoca, col pretesto della sua incapacità naturale, ogni sorta di idee religiose impure.»39 Questo è proprio il contrario del vero, perché uno verifica che non è così. Cosa vuol dire il contrario del vero? Il problema è la concezione di ragione La ragione cerca di farcela da sola e invece scopre che veramente non ce la fa. No, il punto è il metodo da cui parte l’osservazione! Per noi l’osservazione parte da un dato di fatto, dal fatto; per lui parte da un a priori. Il danno è proprio dimenticare le tre premesse de Il senso religioso, e innanzitutto la prima: il realismo.
Luigi Giussani (L'autocoscienza del cosmo - Quasi Tischreden - Volume 4 (Italian Edition))
Oggi nessuna saggezza può pretendere di dare di più. La rivolta cozza instancabilmente contro il male, dal quale non le rimane che prendere un nuovo slancio. L'uomo può signoreggiare in sé tutto ciò che deve essere signoreggiato. Deve riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Dopo di che i bambini moriranno sempre ingiustamente, anche in una società perfetta. Nel suo sforzo maggiore l'uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo.
Albert Camus (The Rebel)
Proprio nello sforzo enorme e coraggioso di vincere la fatica riusciamo a provare, almeno per un istante, la sensazione autentica di vivere. Raggiungiamo la consapevolezza che la qualità del vivere non si trova in valori misurabili in voti, numeri e gradi, ma è insita nell'azione stessa, vi scorre dentro. Quando tutto va bene. "L?arte di correre
Haruki Murakami
Che fra Sette e Ottocento Alfieri e Manzoni guardassero a Firenze e alla Toscana, si spiega. Ma oggi, e da assai tempo in qua, la situazione è diversa. A nessuno è passato o passa per la testa che debbano essere risciacquati in Arno I Malavoglia e La coscienza di Zeno. E in fatto di lingua e letteratura italiana ieri l’altro si poteva da ogni parte d Italia guardare a Firenze perché ci vivevano e c’insegnavano uomini come Parodi e Rajna, senza preoccuparsi che l’uno (benché ligure) scrivesse bene e l’altro (non perché fosse di Sondrio) male, e ieri perché c’insegnava Barbi, e oggi perché c’insegnano uomini come Migliorini, ma chi mai, che in Italia avesse da dire o da scrivere qualcosa negli ultimi cento anni, è corso più a Firenze con la fede del D’Ovidio secondo cui «il fiorentino odierno si dovrà tener sempre come un vivo specchio d’ italianità sincera e fresca»? Senza dubbio, Firenze è stata nel nostro secolo, ed è, letterariamente ben viva, ma non mi sembra che questa sua vitalità sia stata caratterizzata da preoccupazioni linguistiche, di lingua intendo fiorentina o toscana piuttosto che italiana. Direi anzi che, per buoni motivi, se anche sui risultati si possa distinguendo discutere, a Firenze lo sforzo si sia nel nostro secolo esercitato in direzione diametralmente opposta a quella segnata dai linguaioli municipali del secolo scorso. A tal punto che poi venne giorno in cui ci piacque, con Pancrazi, ritrovare la freschezza semplice di quella vena sepolta. Mi pare ad ogni modo chiaro che la penultima, se non l’ultima, stagione della letteratura militante fiorentina si sia tutta sviluppata al segno, lontano, del Gabinetto Vieusseux, non a quello dell’Accademia della Crusca e neppure a quello dell’Istituto di studi superiori. Insomma, «laissons-là, Bembo». D’accordo, e non da oggi. E Manzoni anche, fermo restando che al di là del manzonismo degli stenterelli, e proprio perché questo ci fu, tanto ancora dobbiamo imparare da lui. E anche, su altro piano, Croce, fermo restando che la lezione della sua prosa non è esausta, e che l'unico a tutt'oggi formidabile erede, fra Otto e Novecento, della grande erudizione italiana è stato, ed è, lui. Ma non possiamo permetterci il lusso di mettere da parte Ascoli, o per altro verso Comparetti, gli uomini della nuova Italia, duri come il macigno, senza retorica e senza poesia, alieni da ogni tesi conciliativa, fosse quella del D’Ovidio o la buona intesa del mio maestro V. Cian; non gli uomini che primi sulle macerie trite della questione della lingua e della congiunta «grammatica» fondarono la storia e la scienza della lingua italiana e inaugurarono il linguaggio europeo della filologia italiana.
Carlo Dionisotti
Finché l’uomo vive nel suo ambiente e in condizioni normali, gli elementi del curriculum vitae rappresentano per lui periodi importanti e svolte significative della sua vita. Ma appena il caso o il lavoro o le malattie lo separano dagli altri e lo isolano, questi elementi di colpo cominciano a scolorirsi, si inaridiscono e si decompongono con incredibile rapidità, come una maschera di cartone o di lacca senza vita, usata una volta sola. Sotto questa maschera comincia a intravedersi un’altra vita, conosciuta solo a noi, ossia la “vera” storia del nostro spirito e del nostro corpo, che non è scritta da nessuna parte, di cui nessuno suppone l’esistenza, una storia che ha molto poco a che fare con i nostri successi in società, ma che è, per noi, per la nostra felicità o infelicità, l’unica valida e la sola davvero importante. Sperduto in quel luogo selvaggio, durante le lunghe notti, quando tutti i rumori erano cessati, Daville pensava alla sua vita passata come a una lunga serie di progetti audaci e di scoraggiamenti noti a lui solo, di lotte, di atti eroici, di fortune, di successi e di crolli, di disgrazie, di contraddizioni, di sacrifici inutili e di vani compromessi. Nelle tenebre e nel silenzio di quella città che ancora non aveva visto ma in cui lo attendevano, senza dubbio, preoccupazioni o difficoltà, sembrava che nulla al mondo si potesse risolvere né conciliare. In certi momenti gli pareva che per vivere fossero necessari sforzi enormi e per ogni sforzo una sproporzionata dose di coraggio. E, visto nel buio di quelle notti, ogni sforzo gli sembrava infinito. Per non fermarsi e rinunciare, l’uomo inganna se stesso, sostituendo gli obiettivi che non è riuscito a raggiungere con altri, che ugualmente non raggiungerà; ma le nuove imprese e i nuovi tentativi lo obbligheranno a cercare dentro di sé altre energie e maggiore coraggio. Così l’uomo si autoinganna e col passare del tempo diviene sempre più e senza speranza debitore verso se stesso e verso tutto quello che lo circonda.
Ivo Andrić (Travnička Kronika)
«Eniwetok e il luna park». Può sembrare strana l'accoppiata fra il luogo dove fu fatto il primo test della bomba H, nelle isole Marshall, e la fiera dei divertimenti di Parigi, così amata dai surrealisti. Ma l'interminabile serie di telegiornali dedicati alle esplosioni nucleari che vedemmo negli anni sessanta (una vera e propria istigazione all'immaginazione psicotica che autorizzava qualsiasi cosa) aveva davvero un'aria carnevalesca. Stanley Kubrick colse perfettamente questa caratteristica dei media nel finale del suo Dottor Stranamore. Mi immagino questi pazienti fare ogni sforzo, a imitazione di Warhol, nel mescolare Freud e Liz Taylor, rifugiandosi immancabilmente a casa ai primi segni di crollo nervoso del proprio dottore. Originariamente la dedica di La mostra delle atrocità avrebbe dovuto essere «Ai pazzi». A loro devo tutto.
J.G. Ballard
Era da tempo che non la vedevo così. No, non è esatto. Sono mesi che sembra contenta e, quando me ne rendo conto, è come se un piccolo spillo mi avesse punto il petto. È tornata. La donna che ho sposato, che ha plasmato la nostra vita senza alcuno sforzo, che si è presa cura dei nostri figli, di sé stessa, di tutti noi, è tornata.
Kennedy Ryan (Before I Let Go (Skyland, #1))
A Naïma piace la gente che invecchia senza rammollirsi. Sono uno sforzo e un rischio notevoli: con l'età il corpo sopporta meno i colpi. Decidere di restare saldo e ritto in piedi significa rischiare la frattura netta delle ossa o dell'ego.
Alice Zeniter (L'Art de perdre)
È l'ora in cui le cose perdono la consistenza d'ombra che le ha accompagnate nella notte e riacquistano poco a poco i colori, ma intanto attraversano come un limbo incerto, appena sfiorate e quasi alonate dalla luce: l'ora in cui meno si è sicuri dell'esistenza del mondo. Agilulfo, lui, aveva sempre bisogno di sentirsi di fronte le cose come un muro massiccio al quale contrapporre la tensione della sua volontà, e solo così riusciva a mantenere una sicura coscienza di sé. Se invece il mondo intorno sfumava nell'incerto, nell'ambiguo, anch'egli si sentiva annegare in questa morbida penombra, non riusciva più a far affiorare dal vuoto un pensiero distinto, uno scatto di decisione, un puntiglio. Stava male: erano quelli i momenti in cui si sentiva venir meno; alle volte solo a costo d'uno sforzo estremo riusciva a non dissolversi. Allora si metteva a contare: foglie, pietre, lance, pigne, qualsiasi cosa avesse davanti. O a metterle in fila, a ordinarle in quadrati o in piramidi. L'applicarsi a queste esatte occupazioni gli permetteva di vincere il malessere, d'assorbire la scontentezza, l'inquietudine e il marasma, e di riprendere la lucidità e compostezza abituali.
Italo Calvino (Il cavaliere inesistente)
C'é infatti un numero considerevole di persone di cultura convinte che qualsiasi sforzo riuscito per rendere le idee vive, intellegibili e interessanti sia una manifestazione di scarso rigore professionale. E' questa la fortezza dentro la quale regolarmente si rifugiano.
John Kenneth Galbraith (A History of Economics: The Past as the Present)
Io mi sento me stesso solamente quando sono solo. Il rapporto con gli altri non mi viene naturale: mi richiede uno sforzo. Con i miei mi sento abbastanza a mio agio, ma qualche volta anche con loro sento la fatica di non essere da solo.
Peter Cameron (Someday This Pain Will Be Useful to You)
Il volgare, invece, tirava fuori la parte peggiore dell’uomo; era troppo diretto, troppo immediato, troppo passionale. Chi, come Dante, se ne serviva per fare poesia finiva, infatti, per apparire egli stesso come un cane rancoroso, in luogo di un poeta sublime e raffinato. Inoltre – dichiarava Giovanni – quel suo sforzo di «portare la conoscenza», di spiegare l’universo e l’oltretomba «alle bestie» era vano perché «le bestie» – per definizione – non hanno capacità di comprenderlo: Ma è più facile che con questa cetra tu riesca a commuovere il delfino ricurvo, e che Davo risolva gli enigmi della sfinge misteriosa, piuttosto che il volgo ignorante possa raffigurarsi gli abissi del Tartaro e i segreti del cielo. (Giovanni a Dante, Egloga I, 8-11)
Chiara Mercuri (Dante: Una vita in esilio (Italian Edition))