Prima Prime Quotes

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Alla fine noi siamo 'sta roba qua. Sopravvissuti, imperfetti, pieni di cicatrici che ci siamo fatti tra di noi. Se ci guardi da vicino, ti accorgi che, non si sa come, restiamo attaccati. Siamo tenuti insieme con lo sputo. È così, quando attraversi la vita. Ti usuri. E non puoi più tornare com'eri prima. Ci devi stare. L'importante è che capisci quali sono i pezzi più importanti, quelli di cui non puoi fare a meno, che ti fanno essere quello che sei... E te li tieni stretti.
Zerocalcare (Macerie prime. Sei mesi dopo)
È come se tutta la sua vita si fosse cristallizzata. Fissata per sempre in una condizione che non evolve mai. Come un mammut dell’era glaciale. Ma questa non è la cosa peggiore, no. La cosa peggiore è che se guardo dentro a quel blocco di ghiaccio io non ci vedo Deprecabile. Ci vedo il riflesso mio. E i plumcake col latte gelato. E le serie tv prima di dormire. Tutte le mie coperte di Linus, insomma.
Zerocalcare (Macerie prime [Macerie prime+Macerie prime. Sei mesi dopo])
Un giorno, in maniera naturale, tutto è cambiato. E niente è stato più come prima. Un mondo di certezze è stato spazzato via, travolto.
Fabio Volo (Le prime luci del mattino)
Lui sorride. L’estate ha ingranato la marcia. Posso aver perso delle prime volte piuttosto importanti con Hudson, ma uscire con Arthur ha il sapore di una nuova partenza. Ogni bacio con Arthur ha il sapore di una scoperta, come se ci sentissimo sempre più a nostro agio a ogni respiro. E non abbiamo ancora fatto sesso, il che è grandioso. Non grandioso nel senso che non volessi farlo, perché lo volevo eccome, e lo voglio ancora. Ma grandioso perché non ci stiamo sforzando solo per compiacere l’altro. Io sono giusto per lui e lui è giusto per me e questo sembra più che perfetto. L’universo sapeva che era amore prima che lo sapessimo noi
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
Poi", continuò Marguerite, "tu eri l'unica persona davanti alla quale avevo subito intuito che potevo pensare e parlare liberamente. Tutti coloro che stanno intorno alle donne come me analizzano tutto quello che diciamo, cercano di trarre delle conclusioni dalle nostre azioni più insignificanti. Per natura, non abbiamo amici. Abbiamo amanti egoisti, che dilapidano il patrimonio non certo per noi, come dicono, ma per la loro vanità. Per questi amanti, dobbiamo essere gaie quando sono allegri, in buona salute quando vogliono cenare, scettiche come loro. Ci è proibito avere un cuore, per non essere beffate e perdere il nostro credito. Noi non ci apparteniamo più. Non siamo più esseri umani, ma cose. Siamo le prime nel loro amor proprio, le ultime nella loro stima. Abbiamo amiche, ma sempre del genere di Prudence, ex mantenute, che hanno conservato il gusto dello scialo senza poterselo permettere, data l'età. Allora diventano le nostre amiche, o meglio, le nostre commensali. La loro amicizia arriva fino al servilismo, mai fino al disinteresse. Mai ci daranno un consiglio, se non venale. A loro poco importa se abbiamo dieci amanti, purché ci ricavino qualche vestito, o un braccialetto, e possano ogni tanto passeggiare nella nostra carrozza o andare al teatro nel nostro palco. Prendono i mazzi di fiori che abbiamo ricevuto il giorno prima, e si fanno prestare i nostri scialle di cachemire. Non ci fanno mai il minimo piacere senza farselo pagare il doppio di quello che vale. L'hai visto tu stesso, la sera in cui Prudence mi ha portato i seimila franchi che l'avevo pregata di chiedere da parte mia al duca: se n'è fatta prestare cinquecento che non mi restituirà mai, o che mi pagherà in cappelli che resteranno eternamente nelle loro scatole. Noi non possiamo avere, o meglio io non potevo avere che una gioia, triste come sono talvolta, sofferente come sono sempre: trovare un uomo abbastanza superiore da non chiedermi conto della mia vita, ed essere l'amante dei miei sentimenti molto più che del mio corpo. Un uomo così l'avevo trovato nel duce, ma il duca è vecchio, e la vecchiaia non protegge né consola. Avevo creduto di poter accettare la vita che mi offriva, ma che vuoi? morivo di noia, e per finire con l'uccidersi è meglio gettarsi in un incendio che asfissiarsi col carbone. Allora ho incontrato te, giovane, ardente, felice, e ho cercato di fare di te l'amante che avevo invocato nella mia rumorosa solitudine. Ciò che amavo in te non era l'uomo che eri, ma quello che dovevi essere. Tu non accetti questo ruolo, lo respingi come indegno di te, sei un amante volgare; fai come gli altri: pagami, e non ne parliamo più.
Alexandre Dumas fils (La dame aux camélias)
Sam era sempre stato diverso dalle altre ragazze, ma fu solo in terza elementare che passò da sentirsi diverso ad avvertire che c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Per la prima volta lui e i suoi compagni di classe non erano più soltanto alunni, ma vennero divisi in due gruppi: maschi e femmine. La separazione sembrò portare con sé una nuova serie di regole, divieti e aspettative invisibili che lui non aveva mai imposto a se stesso. Tutto ciò lo metteva a disagio, ma non riusciva a capire il perché. Sapeva di essere una femmina, era ovvio, ma perché non si sentiva donna? Perché dentro di sé sentiva di essere un maschio? Perché voleva essere trattato come un ragazzo? Era confuso, frustrato e si sentiva sbagliato, e quel sentimento diventò sempre più forte col passare del tempo. L’infanzia di Sam fu tormentata da domande cui non riusciva a trovare risposta. Era uno scherzo della natura? C’era qualcosa di guasto dentro di lui? Dio aveva fatto un errore? Era andato a catechismo con il suo amico Joey, e sapeva di poter imparare come pregare e chiedere a Dio di aggiustarlo. Tutte le sere Sam pregava di svegliarsi il giorno dopo nel corpo giusto, ma le sue preghiere non vennero mai esaudite. Qualche anno più tardi, le prime fasi della pubertà gli sembrarono più un dirottamento che una naturale evoluzione. Il suo corpo stava crescendo, ma sembrava tradirlo ogni giorno di più. Stava diventando qualcosa che non andava d’accordo con quello che provava. Non importava quanti video sull’argomento guardasse, l’idea di emergere dai suoi anni da teenager come donna sembrava estranea e innaturale, come un bruco che da crisalide si trasforma in ragno. Sam pensò che se avesse ignorato i cambiamenti, il suo corpo avrebbe potuto respingerli o invertirli. Invece di procurarsi un reggiseno, Sam si avvolse intorno al seno una benda elastica, in modo che il torace apparisse piatto. Più i seni crescevano più stringeva la benda, tanto che finì per ferirsi. A un certo punto comprò un reggiseno sportivo che aveva lo stesso effetto, ma fu per lui un momento di sconfitta: stava perdendo la battaglia con il proprio corpo
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
Narciso gli disse: "Sono così contento che tu sia ritornato! Mi sei mancato tanto, ho pensato a te ogni giorno e spesso avevo paura che tu non volessi ritornare più." Boccadoro scosse la testa: "Via, la perdita non sarebbe stata grande". Narciso, a cui bruciava il cuore di dolore e di affetto, si chinò lentamente verso di lui e fece quello che in tanti anni della loro amicizia non aveva mai fatto, sfiorò con le sue labbra i capelli e la fronte di Boccadoro. Questi s'accorse di ciò che accadeva, prima con stupore, poi con commozione. "Boccadoro", gli sussurrò l'amico all'orecchio, "perdonami di non avertelo saputo dire prima. Avrei dovuto dirtelo allora, quando venni a cercarti nella tua prigione, nella residenza del vescovo, o quando vidi le tue prime figure, o qualche altra volta. Lascia che te lo dica oggi quanto ti voglio bene, quanto tu sei sempre per me, come hai arricchito la mia vita. Per te non avrà molta importanza. Tu sei abituato all'amore, esso non è nulla di strano per te, sei stato amato e viziato da tante donne. Per me è un'altra cosa. La mia vita è stata povera d'amore, mi è mancato il meglio. Il nostro abate Daniele mi diceva un giorno ch'io gli sembravo orgoglioso: forse aveva ragione. Io non sono ingiusto verso gli uomini, mi sforzo di essere giusto e paziente con loro, ma non gli ho mai amati. Di due eruditi che ci siano nel convento, il più erudito mi è più caro; a un debole scienziato non ho mai potuto voler bene, passando sopra alla sua debolezza. Se tuttavia so cos'è l'amore, è per merito tuo. Te ho potuto amare, te solo fra gli uomini. Tu non puoi misurare ciò che significhi. Significa la sorgente in un deserto, l'albero fiorito in un terreno selvaggio. A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia.
Hermann Hesse (Narcissus and Goldmund)
Kircher’s system shows certain affinities with our series of quaternios. Thus the Second Monad is a duality consisting of opposites, corresponding to the angelic world that was split by Lucifer’s fall. Another significant analogy is that Kircher conceives his schema as a cycle set in motion by God as the prime cause, and unfolding out of itself, but brought back to God again through the activity of human understanding, so that the end returns once more to the beginning. This, too, is an analogy of our formula. The alchemists were fond of picturing their opus as a circulatory process, as a circular distillation or as the uroboros, the snake biting its own tail, and they made innumerable pictures of this process. Just as the central idea of the lapis Philosophorum plainly signifies the self, so the opus with its countless symbols illustrates the process of individuation, the step-by-step development of the self from an unconscious state to a conscious one. That is why the lapis, as prima materia, stands at the beginning of the process as well as at the end.113 According to Michael Maier, the gold, another synonym for the self, comes from the opus circulatorium of the sun. This circle is “the line that runs back upon itself (like the serpent that with its head bites its own tail), wherein that eternal painter and potter, God, may be discerned.”114 In this circle, Nature “has related the four qualities to one another and drawn, as it were, an equilateral square, since contraries are bound together by contraries, and enemies by enemies, with the same everlasting bonds.” Maier compares this squaring of the circle to the “homo quadratus,” the four-square man, who “remains himself” come weal come woe.115 He calls it the “golden house, the twicebisected circle, the four-cornered phalanx, the rampart, the city wall, the four-sided line of battle.”116 This circle is a magic circle consisting of the union of opposites, “immune to all injury.
C.G. Jung (Aion: Researches into the Phenomenology of the Self (Collected Works, Vol 9ii))
La casa dove tua bis-bis-bisnonna e io andammo a stare appena sposati dava sulle cascatelle [...] Aveva pavimenti di legno e finestre magnifiche e spazio sufficiente per una famiglia numerosa. Era una bella casa. Una buona casa. Ma l'acqua... diceva la tua bis-bis-bisnonna ... non riesco a sentirmi quando penso. Tempo, io la incalzavo. Datti tempo. E, lascia che te lo dica: anche se la casa era spaventosamente umida, e il prato davanti una fangaia perenne a causa degli spruzzi; anche se i muri ogni sei mesi necessitavano di riparazioni, e scaglie di pittura cadevano dal soffitto in tutte le stagioni come neve... ciò che si dice di chi abita vicino a una cascata è vero. Che cosa, chiese mio nonno, cosa si dice? Si dice che chi abita vicino a una cascata non senta l'acqua. Questo, si dice? Esatto. Naturalmente la tua bis-bis-bisnonna aveva ragione. All'inizio fu terribile. Non sopportavamo di rimanere in casa per più di poche ore di fila. Le prime due settimane furono caratterizzate da notti di sonno intermittente, litigi soltanto per il gusto di farci sentiore sopra lo scroscio. Litigavamo al solo scopo di ricordarci a vicenda che eravamo innamorati e non in preda all'odio. Però le settimane successive andò un po' meglio: era possibile dormire qualche buona oretta per notte e mangiare con un disagio sopportabile. la tua bis-bis-bisnonna ancora malediceva l'acqua [...], ma meno di frequente, e con minore furia. [...] La vita continuò perchè la vita continua, e il tempo passò, perchè il tempo passa, e dopo poco più di due mesi: Hai sentito? le domandai, una delle rare mattine in cui eravamo seduti insieme a tavola. Hai sentito? Deposi il mio caffè e mi alazi dalla sedia. La senti quella cosa? Quale? mi chiese lei. Esatto! risposi, correndo fuori per salutare a pugno teso la cascata. Esattamente! Ballammo, lanciando in aria manciate d'acqua, senza sentire proprio neinte. Alternavamo abbracci di perdono e urla di umano trionfo all'indirizzo dell'acqua. Chi vince la battaglia? Chi vince la battaglia, cascata? Noi! La vinciamo noi! E questo vivere vicino a una cascata, Safran. [..] Il timbro si sbiadisce. La lama si smussa. Il dolore si affievolisce. Ogni amore è scolpito nella perdita. [...] Ma questa non è tutta la storia, continuò la Meridiana. L'ho capito la prima volta che ho tentato di bisbigliare un segreto senza riuscirvi, o fischiettare una canzone senza insinuare la paura nei cuori di chi era nel raggio di centro metri, quando i miei colleghi della conceria mi hanno supplicato di abbassare la voce perché chi riesce a pensare se gridi in quel modo? Al che io ho domandato: STO DAVVERO GRIDANDO? * La storia della casa sulla cascata, la Meridiana
Jonathan Safran Foer (Everything is Illuminated & Extremely Loud and Incredibly Close)
I admit to some confusion as well. The fact that you acted without orders would seem to be the prime motivation behind the prosecution's charges, Ensign. Headquarters doesn't like its ensigns running around killing tens of thousands of people and blowing up space stations without orders." Jenetta grimaced. "Are they afraid I'll start a trend?" she asked facetiously. "Do they fear that ensigns everywhere will suddenly rise up and begin waging a private war against the Raiders? Oh my God— we could see the enemy dying in such great numbers that our admirals will have nothing to do." Commander Spence scowled and said, "I sincerely hope you won't act this flippant in court,
Thomas DePrima (A Galaxy Unknown (A Galaxy Unknown #1))
O dată l-am auzit pe un client obișnuit al librăriei tatei zicând că puține lucruri îl marchează pe un cititor atât de mult ca prima carte care își deschide cu adevărat drum spre inima lui, Acele prime imagini, ecoul cuvintelor pe care credem că le-am lăsat în urmă ne însoțesc toată viața și clădesc în memoria noastră un palat unde, mai devreme sau mai târziu - indiferent câte cărți am citi, câte lumi am descoperi, câte am învăța și câte am uita - ne vom întoarce.
Carlos Ruiz Zafón (The Shadow of the Wind (The Cemetery of Forgotten Books, #1))
Il tempo stava cambiando. Nuvoloni grigi spuntavano minacciosi dietro la cerchia dei monti alle spalle della città; lì il cielo era livido. Una grossa nuvola coprì il sole e la terrazza si oscurò all'improvviso. Il barone sollevò gli occhi malati e li puntò su Monte Pellegrino. Lo vedeva sfocato in lontananza, stagliato contro il cielo: ma il monte aveva già cambiato colore. Nuove sfumature - blu, viola - lo rendevano austero e minaccioso. Quella montagna dalle proporzioni perfette e dalla solida bellezza era il guardiano del golfo: una mitica fiera accovacciata e immersa a metà nel mare - groppa e gambe emergevano nelle loro forme angolose -, ma pronta a trarsi dal sonno e a drizzarsi contro chi osasse avvicinarsi alla città. Domenico Safamita amava Palermo d'una passione quasi fisica. "Si distruggono monasteri, palazzi, si sventrano quartieri. Non importa che manchi l'acqua, che le fognature siano rudimentali o inesistenti, che il popolino viva in tuguri e muoia di fame e malattie: i palermitani vogliono un nuovo grandioso teatro lirico. Sempre più bella e più abietta, mai come ora Palermo si rivela magnifica e compiaciuta di aver mantenuto la sua identità di città superlativamente cortigiana. A Palermo anche le pietre sudano sensualità." Sulla sinistra la nuova strada, larghissima, finiva a mare. Lì sembrava essere calata la notte e l'acqua era cosparsa di puntini luccicanti: le prime lampare dei pescatori. La nuvola scivolò dal sole e tutto ritornò come prima: il mare era una macchia scura senza bagliori, Monte Pellegrino, appena rosato, si stagliava netto e benigno.
Simonetta Agnello Hornby (La zia marchesa)
...Quando Isabelle alzò lo sguardo ebbe l’impressione che il cuore le si fermasse. Stava risalendo insieme a Jeanne la scalinata che dall’Orangerie riportava al castello dopo avere verificato che per loro quella poteva essere la via di fuga perfetta la sera dello spettacolo. Era emozionata e non vedeva l’ora di fare ritorno alla locanda per potere parlare liberamente dei dettagli del piano che aveva in mente con l’amica, quando all’improvviso si era trovata a guardare un uomo il cui sguardo avrebbe riconosciuto in mezzo a mille. Jacques. Lui era lì a pochi passi da lei e quell’incontro non aveva senso. Perché mai Jacques si trovava lì a Corte,a Versailles e per giunta vestito da aristocratico? No, c’era qualcosa di sbagliato. L’uomo che aveva amato e che ancora non riusciva a dimenticare non era un semplice borghese che rientrava da un viaggio all’estero? Forse però quella era semplicemente l’idea che lei si era fatta di lui, dopotutto Jacques non le aveva mai detto chi fosse realmente. «Cosa c’è?» domandò Jeanne vedendo l’amica ancora immobile e visibilmente sconvolta. Poi alzò lo sguardo anche lei e vide quel giovane bellissimo e riccamente vestito che fissava l’amica. Se però a lei quel volto non diceva nulla, diversamente fu quando il suo sguardo si spostò sull’altro uomo che intanto aveva raggiunto Jacques e si era fermato accanto a lui. «Oh mio Dio» mormorò Jeanne. La situazione che si era creata aveva qualcosa di surreale. Isabelle, Jacques, Jeanne e Nicolas che si fissavano l’un l’altro lì, immobili su quella scalinata e con le prime fredde gocce di pioggia che cominciavano a cadere sui loro visi. Il rombo del tuono annunciò che il temporale era ormai arrivato. Sembrava che il tempo fosse congelato. Nessuno osava fare un gesto o pronunciare una parola. Infine fu Isabelle a parlare per prima. «Tu...qui?» riuscì a dire. Gli occhi azzurri di Jacques puntati in quelli verde smeraldo di lei. “Dio quanto è bella” pensò l’uomo avvicinandosi alla giovane che aveva lasciato due mesi prima. Vedere quegli occhi, quei lunghi capelli corvini legati in una treccia come ricordava di averli visti quella prima sera insieme alla locanda… e poi quel semplice vestito bordeaux che metteva in risalto il colore ambrato della sua pelle nonché le sue forme che ancora ricordava così bene. Il ricordo di loro due insieme era ancora troppo forte, troppo vivo in lui e quell’incontro non aveva fatto altro che riaccendere i suoi sentimenti e il suo desiderio. «Isabelle» fu tutto quello che l’uomo riuscì a dire. Aveva sceso gli ultimi gradini della lunga scalinata che ancora lo separavano da lei e se avesse allungato un braccio avrebbe potuto sfiorarle il viso con la mano...
Marta Savarino (La Vendetta di Isabelle)
Forse c'è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: la non voglia di sognare ancora. Ci siamo spenti lentamente, assopiti senza nemmeno rendercene conto. Prima abbiamo svuotato il futuro, poi abbiamo iniziato a fare lo stesso con il quotidiano, con il presente. Quando non riesci a ottenere quello che vuoi, finisci per amare ciò che puoi
Fabio Volo (Le prime luci del mattino)
Il sorriso di Helen mi tranquillizzò; in fondo era una delle persone che amava leggere per prima i miei lavori. Intinsi la punta nell'inchiostro e scrissi le prime parole: Il cuore rivelatore.
Laura Buffa (Gli ultimi giorni del Corvo)
L'opera primaria di leader, di apripista e di creatrici principali non sempre porta a risultati positivi; è importante evitare una visione ingenua per cui tutto ciò che proviene dalle donne va bene. L'opera svolta dalle donne è fondamentale - e qui si esprime già un giudizio di valore - perché riguarda la vita, non è una primarietà "tecnica". Se il parametro di giudizio è lo schieramento etico per la vivibilità contro l'uccidibilità, allora questa primarietà risulta decisiva per l'affermazione della vita, tanto più oggi in un mondo in cui i messaggi di morte sono preminenti mentre quelli legati alla vita stentano, faticano ad affermarsi organicamente, anche se nell'esistenza prevalgono, altrimenti la nostra specie starebbe per estinguersi. Le donne sono state protagoniste anche di creazioni negative, come l'inizio di autoalienazione - comunque imparagonabile all'autoalienazione delle religioni monoteiste -, legata all'invenzione di una figura femminile al di sopra dell'umano, sacra, che regola sia il mondo naturale sia la comunità. Le donne come genere nella loro opera costante in favore della vita hanno agito anche con grandi difetti di coscienza, con una capacità universalizzante insufficiente, ad esempio concependo ed interpretando la forte tensione all'accudimento in chiave privatista, egoista, addirittura competitiva con altri gruppi umani. Possedere speciali facoltà creative non basta, queste vanno costantemente interpretate: il compiacere per esempio può essere inteso sia come "provare piacere con" sia, in senso negativo, fare qualcosa per far piacere ad altri, ai maschi in particolare, per ottenerne dei vantaggi. Per questo parliamo di fattualità e di potenzialità di una superiorità che per essere tale va scelta, non ha uno svolgimento predeterminato. Essa radica in una primarietà, in una primigenìa ricca e incompiuta ma anche largamente impedita, laddove l'incompiutezza è precedente all'instaurazione del patriarcato e con tutta probabilità è ciò che ha favorito la sua affermazione, e l'impedimento, questo sì, deriva dall'opera funesta del patriarcato che ha ostacolato il riconoscimento e lo svolgimento della primigenìa. Non è stato un impedimento assoluto, ci sono state tante eccezioni, per ora ne conosciamo soltanto una parte; nella storia del patriarcato ci sono state continue infrazioni da parte di donne che, in un modo o nell'altro, si sono sottratte, hanno scelto di essere differenti, spesso isolate, talvolta creando dei gruppi. Se l'essere prime da parte delle donne, se la primigenìa in tutte le sfere dell'esistenza fosse stata avversata e negata dai maschi fin dall'inizio la specie umana non si sarebbe affermata. È possibile rintracciare nel passato un riconoscimento elementare, intuitivo, ma determinante di questo prius e della sua naturalità (in questo caso il concetto di naturalità va inteso distinto da quello di natura umana). Con tutta probabilità le primitive e i primitivi ragionavano della natura e dell'umanità come di un unicum, delle donne e degli uomini come facenti parte della natura prima, non pienamente consapevoli della propria stessa emersione. Questo riconoscimento era intuitivo ma molto forte, tant'è vero che tutte le sacralizzazioni e poi le religioni sono nate al femminile e che anche le principali figure, i più importanti simboli e suggestioni delle religioni patriarcali sono femminili o sono reinterpretazioni di simboli legati alla figura femminile.
Sara Morace (L'origine femminile dell'Umanità. Dialoghi, lezioni, articoli)
Esistere per ottant’anni eppure non vivere, si potrebbe anche chiamare tradimento verso la vita, perché ci sono altri che nascono e muoiono prima di avere il tempo di balbettare le prime parole, prendono le coliche, un brutto raffreddore e Jón il falegname deve costruire una piccola bara, una piccola cassa da morto intorno a una vita che non è mai stata, se non per qualche notte insonne, occhi disarmanti e lacrime così piccole che sembravano miracoli. Esseri che sono rimasti al mondo poco più della rugiada. Svaniti al nostro risveglio, e tutto quello che possiamo fare è sperare nel profondo di noi stessi, dove batte il cuore e si radicano i sogni, che nessuna vita sia stata invano, sia senza uno scopo.
Jón Kalman Stefánsson (Heaven and Hell)
I genitori americani, essendo americani, sono convinti che la vita sia una corsa; prima si parte, meglio è. Un parco-giochi, in sostanza, è un’occasione preziosa per osservare la concorrenza. Se un bambino inglese viene lanciato nel mondo come un paracadutista da un aereo – che s’arrangi, in sostanza – il collega americano è una piccola formula uno. Ogni dettaglio è importante, e va curato: l’attitudine atletica, l’orgoglio, la dentatura, la scuola. La natura, in sostanza, si può migliorare. È solo questione di planning e determinazione. Uno dei modi per raggiungere il risultato è convincere il bambino che è assolutamente unico e straordinario. Occorre inculcargli self-esteem (autostima), il che significa, in sostanza, montargli la testa fin da piccolo. Se un bambino inglese apprende, tra le prime espressioni, il vocabolo please, il collega americano impara I’m great, sono grande.
Beppe Severgnini (Un Italiano in America)
Quella era una fine d’anno speciale, dopotutto, e le speranze e i timori per il futuro di ognuno sembravano affiorare in quei pochi minuti che precedevano l’arrivo del nuovo secolo. Tenendosi per mano, gli ospiti si disposero a cerchio, pronti a intonare le dolci note di Auld Lang Syne, I bei tempi andati, come voleva un’antica tradizione britannica diffusasi anche nel Nuovo Mondo. Le spalle all’ingresso del salone, come gli altri emozionata e incerta per il domani, Camille prese posto tra i Campbell. «Sarà un fantastico secolo il 1900, Camille, e tu lo percorrerai a testa alta, mia cara» le disse Agnes sorridendole. «Due minuti, signori, due minuti!» urlò il giudice Harris. Le voci si alzarono festose, per poi morire di nuovo. Il grande cerchio era ora immobile, in silenziosa attesa. Anche i camerieri avevano interrotto il loro lavoro e l’orchestra taceva. «Trenta secondi al nuovo secolo!» «Venti secondi!» Camille all’improvviso sentì la testa girarle e il cuore battere impetuoso contro il petto: Mr Campbell, alla sua destra, aveva lasciato che un’altra mano, più forte e più grande, stringesse la sua. Non capiva di chi fosse quella mano, perché Agnes sorridesse, perché tutti, in quel cerchio festoso, la guardassero. O meglio, lo capiva perfettamente ma temeva che se si fosse girata, se avesse guardato l’uomo che aveva preso il posto di Mr Campbell nel cerchio, quel sogno si sarebbe interrotto. «Cinque secondi al nuovo secolo!» sentenziò il giudice Harris. «Quattro, tre, due, uno! Buon anno!» esclamarono tutti, all’unisono. L’orchestra intonò le prime battute di Auld Lang Syne e gli ospiti incominciarono a cantare. Camille si girò con lentezza infinita verso l’uomo che stringeva con forza e dolcezza e speranza la sua mano. L’uomo che la stava guardando sorridente, felice come un ragazzino. Era fradicio e aveva gli occhi lucidi. E cantava. Camille non disse nulla e si unì al coro, mentre lacrime di gioia le scivolavano sul viso. *** Quando la musica terminò il cerchio non si ruppe subito. Tutti rimasero immobili a osservare la scena che si svolgeva davanti a loro. Frank Raleigh, il solito anticonformista, gocciolante e vestito come un mandriano, se ne stava in ginocchio davanti a Miss Brontee con in mano un solitario dalle notevoli dimensioni. Nessuno ebbe dubbi su cosa le stesse chiedendo. Miss Brontee lo fissava a bocca aperta, gli occhi tondi di sorpresa, il petto che si alzava e si abbassava troppo in fretta, il volto pallido. «Allora, Miss Brontee, dite di sì a quel poveretto prima che si prenda una polmonite!» esclamò burbera un’anziana signora, rompendo la tensione di quel momento. Tutti scoppiarono a ridere. «Sì, Miss Brontee, ditegli di sì. Almeno metterà la testa a posto!» «Ti prego, Camille, dimmi di sì» implorò Frank in un sussurro. Camille deglutì, si guardò intorno come per chiedere consiglio ai presenti, incontrò lo sguardo di Agnes e di Mr Campbell, che insieme assentirono. Poi guardò Raleigh e semplicemente rispose: «Sì!» La sala esplose in una girandola di congratulazioni, poi altro champagne fu stappato e i brindisi al nuovo secolo e ai promessi sposi si rincorsero. Mr Raleigh, indifferente al centinaio di persone che li stava fissando, si era intanto rialzato e tenendo Miss Brontee stretta tra le braccia le mormorava parole che tutti i presenti avrebbero voluto udire ma che giunsero solo al cuore di Camille.
Viviana Giorgi (Un amore di fine secolo)
Zeph aveva scombinato tutti i suoi piani. Se le cose fossero andate com’era previsto che andassero, a quell’ora i vestiti di Scott sarebbero stati sparsi per tutta la casa insieme a quelli di Jason, e lui si sarebbe trovato aggrappato alle spalle dell’amico con la schiena contro un muro o il pavimento o, se fosse stato fortunato, contro la stoffa morbida che ricopriva il divano. Perché no, al letto non ci arrivavano mai.Jason non era un amante particolarmente generoso, come regola generale, ma conosceva Scott e il suo corpo quasi meglio del suo, e sapeva dove toccarlo per fargli vedere le stelle. Conosceva tutti i punti che lo facevano impazzire, come quei pochi centimetri di pelle dietro l’orecchio destro o la curva dei fianchi appena prima che diventassero gambe. Non aveva davvero mai lasciato Scott insoddisfatto, se non le prime, fallimentari volte. Ma a quell’epoca erano stati adolescenti e, procedendo per errori e tentativi, erano arrivati a capire come raggiungere reciproca soddisfazione. Non erano stati male nemmeno gli errori e i tentativi, a essere sinceri.Scott appoggiò la nuca sullo schienale del divano e fissò il soffitto, perdendosi nei ricordi. A volte era convinto che il sesso con Jason fosse tutto ciò che gli impediva di uscire di testa in quel posto ai margini del mondo. L’unica cosa reale. Jason era bollente e lo faceva sentire vivo
Enys L.Z. (Villerouge)
By early May 1959, it became clear that the Chinese could not stem the tide of refugees, nor would they passively accept that India was offering sanctuary to the Dalai Lama and thousands of Tibetan refugees. It was then that Nehru, for the first time as prime minister, candidly asserted that India had to adhere to its basic values and beliefs “even though the Chinese do not like it.”7 With this assertion, and in the face of China’s virulent anti-Indian rhetoric, Nehru assented to providing accommodation and material relief to the Tibetan refugees who had begun to find their way into India. Within the month, the Indian government had begun to issue “Indian Registration Certificates” to the more than 15,000 Tibetans who had entered the country. By the end of 1962, when the Chinese had effectively sealed the Indo-Tibetan border, no fewer than 80,000 Tibetans had traveled by foot from Tibet, with most of them settling as resident refugees in India.8 China regarded India’s actions in providing asylum for the Dalai Lama and the multitude of refugees who flowed into India in the months and years following the March Uprising as prima facie evidence of India promoting Tibetan independence.
David G. Atwill (Islamic Shangri-La: Inter-Asian Relations and Lhasa's Muslim Communities, 1600 to 1960)
Sogni. In Giappone questa parola porta con sé il sapore dell'illusione. Ammettere d'avere un sogno significa praticamente ammettere che quel sogno è irraggiungibile. Coast to coast in moto, casalinghe che sognano le carovane del deserto. Gente che aspetta. Il Giappone è pervaso da sogni come questi, così come dalle infinite divinità che popolano ogni montagna, ogni scoglio ogni isola di ogni baia. Divinità che dimorano nelle case, cui vengono innalzati altari e offerte libagioni, tangibili come una nebbia, ineludibili come l'aria. Sogni rimandati a un futuro lontano. I giapponesi hanno il culto dell'autoimmolazione e spesso la prima cosa che sacrificano è il proprio irraggiungibile, intimo sogno segreto. Mi ricordo di aver letto un messaggio scritto a mano sul muro di un tempio, una delle prime frasi in giapponese che sia mai stato in grado di decifrare: Il Giappone è una nazione che va avanti in gran parte a forza di sospiri.
Will Ferguson (Hokkaido Highway Blues: Hitchhiking Japan)