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[...]e adesso sento che al centro del petto s’è aperto un cratere, dove una volta era stato un vulcano, chi può dirlo, nei secoli
pioverà e alla fine qualcuno chiamerà lago quello che prima era solo un buco, il fantasma di qualcosa che s’è spento.
[...]Quando il lago sarà svuotato, smaschereremo le leggende, le menzogne, i racconti, potremo scoprire reperti, mettere nelle teche le antichità, potremo vedere i pesci dibattersi all’aria, capire che colore ha la terra se non la vedi, potremo recuperare le canne da pesca perdute, le barche affondate, i giubbotti di salvataggio sgonfiati, i cadaveri affogati, le eliche degli elicotteri caduti, smetteremo di rifletterci, di pensarci da sponda a sponda, di pescare e tirare su le reti, di nascondere presepi e fucili sott’acqua.
È il momento della cucina che è stata tirata su da mio fratello con la calce e le piastrelle – l’ho sentito giorno e notte armeggiare con la spatola dentro a un secchio – apro anche quel rubinetto e chiudo lo scarico, lascio spalancate le porte di tutte le stanze, passa aria, passa acqua, passo anche io.
Mi siedo al centro del salotto e mi domando quanto tempo ci vorrà, se basteranno due, tre, sette ore, se potrò a un certo puntosentire l’acqua arrivare alle caviglie, almeno sotto alla punta delle dita, l’acqua del lago rubata, l’acqua del lago amara e perfetta, l’acqua che creerà una e più pozze moleste, che sgorgherà e inumidirà, che farà chiazze sui soffitti, che si infilerà nelle crepe e poi colerà e bagnerà divani e comodini, bottiglie dell’olio, libri e cataloghi, riviste, sacchi dell’immondizia, sovraccoperte, tende, l’acqua darà noia ai passanti, arriverà alle fondamenta, sarà il supplizio, l’acqua invaderà la strada e il quartiere, le automobili affonderanno e bisognerà costruirsi zattere e ripari, lasciare incustoditi gli averi e le proprietà, chi non saprà rimanere a galla verrà portato via.
Chiudo gli occhi e inizio a contare.
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