Obbligato Quotes

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Signora, il suo amore era talmente ardente che avrei potuto ricambiarlo solo facendo di lei mia moglie o la mia amante. Io non accettai ma, per il grande amore che mi portava, le offrii mille lire sterline di rendita all'anno per lei e per i suoi eredi se avesse sposato un cavaliere di suo gradimento. Signora, non mi piace essere obbligato ad amare; l'amore deve nascere dal cuore, non dalla costrizione.
Thomas Malory (Storia di re Artù e dei suoi cavalieri)
I wish to descend in the social scale. High society is low society. I am a social climber climbing downward And the descent is difficult. (- Junkman’s Obbligato)
Lawrence Ferlinghetti
E' stato così che noi due abbiamo accettato quest'enorme illusione, perché di questo si tratta: un'enorme, oscena illusione: l'idea che, una volta messa su famiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e "sistemarsi".E' la grande menzogna sentimentalistica piccolo borghese. la menzogna che ti ho obbligato ad accettare per tutto questo tempo.
Richard Yates (Revolutionary Road)
A forza di soffrire per te ho contratto un debito intellettuale nei confronti del tempo che attraverso. Sono un militante del pensiero critico. Mi attirano libri che fino a qualche tempo fa m’innervosivano solo a leggerne il titolo. Sei compatibile con tutto: con il privato, il pubblico, la politica, l’etica, l’estetica, la religione, la musica, la letteratura, il cinema, il teatro, l’informazione, la tecnologia, la pubblicità dei pannolini e persino quella delle macchine. Ogni cosa è compromessa con te. E io sono obbligato a speculare su tutto, perché tutto ti riguarda. Sei ovunque, tranne dove vorrei che fossi. Indovina dove.
Diego De Silva (Sono contrario alle emozioni)
La sinfonia è sempre questa: i ragazzi devono portar rispetto a tutti, ma nessuno è obbligato a portar rispetto ai ragazzi.
Luigi Bertelli (Il giornalino di Gian Burrasca)
La cosa orribi­le dei Due Minuti d'Odio era che nessuno veniva obbligato a recitare. Evitare di farsi coinvolgere era infatti impossibile. Un'estasi orrenda, indotta da un misto di paura e di sordo rancore, un desiderio di uccidere, di torturare, di spaccare facce a martellate, sembrava attraversare come una corrente elettrica tutte le persone lì raccolte, trasformando il singolo individuo, anche contro la sua volontà, in un folle urlante, il volto alterato da smorfie. E tuttavia, la rabbia che ognuno provava costituiva un'emozione astratta, indiretta, che era possibile spostare da un oggetto all'altro come una fiamma ossidrica.
George Orwell (1984)
L'uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall'ozio! L'ozio è una bruttissima malattia, e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più.
Carlo Collodi (Le avventure di Pinocchio (Italian Edition))
Di solito non parlo con gli sconosciuti. Non mi piace parlare con chi non conosco. E non per via della famosa frasa Non Dare Confidenza Agli Sconosciuti che ci ripetono continuamente a scuola, che tradotto vuol dire non accettare caramelle o un passaggio da uno sconosciuto perché vuole fare sesso con te. Non è questo che mi preoccupa. Se un estraneo mi toccassse lo colpirei immediatamente, e io so colpire molto forte. Come per esempio quella volta che ho preso a pugni Sarah perché mi aveva tirato i capelli e l’ho fatta svenire e le è venuta una commozione cerebrale e avevano dovuto portarla al pronto soccorso. E poi ho sempre con me il mio coltellino svizzero che ha una lama a seghetto in grado di tranciare le dita a un uomo. Non mi piacciono gli estranei perché non mi piacciono le persone che non conosco. Sono difficili da capire. È come essere in Francia, dove andavamo qualche volta in campeggio quando mio madre era ancora viva. E io odiavo la Francia perché se entravo in un negozio o in un ristorante o andavo in spiaggia non capivo quel che dicevano, e la cosa mi terrorizzava. Ci metto un sacco di tempo per abituarmi alle persone che non conosco. Per esempio, quando c’è una persona nuova che viene a lavorare a scuola non le parlo per settimane e settimane. Rimango a osservarla finché non sono certo di potermi fidare. Poi le faccio delle domande su di lei, sulla sua vita, del tipo se ha degli animali e qual è il suo colore preferito e cosa sa dell’Apollo e le chiedo di disegnarmi una piantina della sua casa e voglio sapere che macchina ha, così imparo a conoscerla. Da quel momento in poi non mi preoccupo più se mi capita di trovarmi nella stessa stanza con questa persona e non sono più obbligato a stare all’erta.
Mark Haddon (The Curious Incident of the Dog in the Night-Time)
«Ecco. Bisogna distinguere due pene, Oscar, la sofferenza fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la si sceglie.» «Non capisco.» «Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi, non puoi far altro che avere male. Subisci. Invece, all’idea di morire, non sei obbligato ad avere male. Non sai che cos’è. Dipende dunque da te.»
Éric-Emmanuel Schmitt (Oscar et la dame rose)
Sembrava che Lawson mi avesse risucchiato anche il cervello. Era o no una cosa sdolcinata? “Tu, compagno mio, sei davvero malvagio.” Lawson si strofinò le unghie sulla maglia, sorridendo compiaciuto. “E tu lo adori.” Annuii serio, quindi mi ritirai su i boxer e i pantaloni e rimisi a posto la maglia. Stava scherzando, ma io non ci riuscivo, non su questo. “È vero.” Per un attimo, un’emozione che non riuscii a identificare cancellò l’espressione giocosa dal viso di Lawson. Fece per replicare, ma lo interruppi. “Lo adoro. E adoro che mi fai perdere la testa e che mi fai uscire da me stesso. E che ti prendi cura di me. Adoro… te. Ti amo. Lo so che è presto, molto presto, ma non devi sentirti obbligato a ripeterlo. Non ancora. Lo so che ci tieni a me, e per il momento questo è sufficiente.
M.A. Church (Behind the Eight Ball (Fur, Fangs, and Felines #2))
Senti, sono poche le persone che incontrano la loro anima gemella a sei anni. E bisogna pur passare il tempo, in un modo o nell'altro. Ingrid era molto... paziente. Straordinariamente paziente. Disposta ad accettare comportamenti assurdi nella speranza che un giorno io mi dessi una regolata e sposassi la sua infelice persona. Quando qualcuno è così paziente tu sei obbligato a provare gratitudine nei suoi confronti e di conseguenza vorresti fargli del male per punirlo. Capisci cosa intendo?
Audrey Niffenegger (The Time Traveler’s Wife)
Perciò la differenza tra me ed un uomo superstizioso consiste in questo: io non credo che un avvenimento verificatosi senza alcuna partecipazione della mia vita psichica possa rivelarmi cose arcane sul futuro; credo invece che un'espressione non intenzionale della mia vita psichica possa rivelarmi qualcosa di ignoto che, in fondo, appartiene solo alla mia vita psichica; credo alla casualità esterna (reale) ma non a quella interna (psichica). Insomma, il mio è l'atteggiamento esattamente opposto a quello del superstizioso; egli, non sapendo nulla della motivazione degli atti casuali e degli atti mancati, crede nella casualità psichica; è portato ad attribuire al caso esterno un'importanza che si manifesta nella realtà futura, ed a vedere nel caso un mezzo d'espressione di qualcosa che è nascosto nella realtà. Ci sono dunque due differenze tra me e l'uomo superstizioso: prima di tutto egli proietta all'esterno una motivazione che io cerco all'interno; in secondo luogo, egli interpreta il caso per mezzo di un avvenimento che io riconduco ad un'idea. Ciò che per lui è occulto per me è inconscio; in noi c'è la tendenza comune a non considerare il caso come tale, ma ad interpretarlo. Ora io sostengo che quest'ignoranza cosciente e questa conoscenza inconscia della motivazione delle casualità psichiche sono una delle radici della superstizione. Proprio perché il superstizioso non sa nulla della motivazione dei suoi atti casuali e perché questa motivazione cerca di imporsi alla sua conoscenza, egli è obbligato a spostarla ed a collocarla nel mondo esterno.
Sigmund Freud (The Psychopathology of Everyday Life)
«C’è un solo letto!» E all’improvviso, come se qualcuno avesse acceso la luce, Abaddon vide il problema. E la soluzione. Era così semplice che lo fece scoppiare a ridere a crepapelle. «Cosa?» chiese Seth, cercando di liberarsi. «Stai di nuovo ridendo di me.» «No,» lo rassicurò lui, tenendolo stretto, rifiutandosi di lasciarlo andare. Obbligò Seth a guardarlo negli occhi. «Hai ragione, c’è solo un letto, e non voglio che sia il tuo. Voglio che sia il nostro. Ti ci porterei adesso, se pensassi che me lo lasceresti fare. Ma al contrario di quello che pensi, ti rispetto. Posso non condividere la tua fede, ma ti amo anche per quella.» Ma non era sicuro di spiegarsi bene. Seth sembrava ancora confuso. «Posso dirti che in tutti i miei anni all’Inferno, non ho mai incontrato una singola anima che ci fosse finita solo per aver fatto sesso. Ma non voglio che qualcosa fra noi ti faccia dubitare di te stesso, e c’è un solo modo per assicurarsi che quello che succede in quell’unico letto non ti sembri un peccato.» Per un momento Seth rimase completamente immobile, assimilando la cosa. L’imbarazzo sul suo viso iniziò a mutare in speranza. «Dici davvero?» «Certo che sì!» «Non voglio che ti senta obbligato a fare niente.» «Stai scherzando? Ti amo così tanto che riesco appena a sopportarlo. Ma se non hanno autocontrollo, si sposino, perché è meglio sposarsi che ardere di passione,» così dicendo scoppiò a ridere. «Anche se, francamente, non vedo perché non potremmo fare entrambe le cose.» Il sorriso di Seth non era mai stato più luminoso. «Sposarsi e ardere di passione?» «Esattamente. Cosa ne dici?» «Penso che l’idea mi piace»
Marie Sexton (Damned If You Do)
Quando finalmente, in chiesa, lo sollevarono dal peso di quell'effige che per anni e anni avrebbe poi maledetto, lui non si sentì, come gli altri, fiero di avercela fatta, stremato ma soddisfatto per aver portato a termine l'intero percorso, ma si sentì profondamente umiliato, proprio ferito nell'intimo, per essere stato costretto a sopportare qualcosa contro la sua natura, per essere stato obbligato a dimostrare agli altri la cosa più stupida e insignificante di questo mondo, e cioè che lui era uguale a loro. Tanta fatica per qualcosa che per lui non rivestiva alcun valore.
Pier Vittorio Tondelli (Camere separate)
E allora, vi domando, come farà un individuo sincero a non finire male in mezzo a una società di falsi? Se è vero, come lo è indiscutibilmente, che le virtù sono di qualche utilità nella vita civile, come volete che chi non ha volontà, potere o dono di una qualche virtù (caratteristica comune di moltissime persone), come volete che un tipo simile non sia essenzialmente obbligato a fingere per ottenere a sua volta un po’ della porzione di felicità che dei concorrenti gli rapiscono? E allora è proprio la virtù in sé o il suo aspetto esteriore, che diventa realmente importante per l’uomo in mezzo alla società? Non c’è dubbio che gli è sufficiente il suo aspetto esteriore; possedendo questo, ha tutto quanto occorre. Dal momento che a questo mondo ci si limita alla superficialità, non è sufficiente mostrare l’aspetto esteriore? Convinciamoci del resto che la pratica delle virtù non è utile che a colui che la possiede; gli altri ne traggono così scarsi vantaggi che, per quanto chi deve vivere con noi appaia virtuoso, è perfettamente lo stesso che poi in realtà lo sia o no. La falsità d’altronde è sempre un mezzo sicuro per riuscire; chi la possiede acquista necessariamente una specie di priorità su colui che è in relazione o in corrispondenza con lui: incantandolo con tutta una messa in scena, lo convince e ogni cosa gli va bene.
Marquis de Sade (La Philosophie dans le boudoir)
Senti, sono poche le persone che incontrano la loro anima gemella a sei anni. E bisogna pur passare il tempo, in un modo o nell'altro. Ingrid era molto... paziente. Straordinariamente paziente. Disposta ad accettare comportamenti assurdi nella speranza che un giorno io mi dessi una regolata e sposassi la sua infelice persona. Quando qualcuno è così paziente tu sei obbligato a provare gratitudine nei suoi confronti e di conseguenza vorresti fargli del male per punirlo. Capisci cosa intendo?" "Penso di sì. Cioè no, per me non è così, io non penso in questa maniera." Henry sospira. "È molto affascinante da parte tua ignorare la contorta logica che sta alla base della maggior parte delle relazioni. Va così, fidati. Quando ci siamo incontrati ero un rottame, un uomo disperato, mi sto riprendendo piano piano perché vedo che tu sei un essere umano e vorrei essere un essere umano anch'io. Ho cercato di farlo senza che tu te ne accorgessi, perché non ho ancora capito che fra di noi tutte le finzioni sono inutili. Comunque c'è una grande distanza tra la persona che hai incontrato nel 1991 e quella che viene dal 1996 con cui stai parlando ora. Devi lavorare su di me, non riuscirò ad arrivare fin qui da solo." "Sì. È difficile, però. Non sono abituata a fare la maestra." "Allora tutte le volte che ti sentirai scoraggiata pensa ai pomeriggi che ho passato, e che sto passando ancora, con te bambina. Matematica e botanica, grammatica e storia. Pensa che se puoi dirmi delle parolacce in francese è perché io sono stato con te a farti ripassare le lezioni." "È vero. Il a les défaults de ses qualités. Scommetto che è più facile insegnare tutte quelle materie che insegnare a essere... felici." "Tu mi rendi felice. La parte difficile è rispondere alle tue aspettative.
Audrey Niffenegger (The Time Traveler’s Wife)
Non solo cattivo, ma proprio nulla sono riuscito a diventare: né cattivo, né buono, né furfante, né onesto, né eroe, né insetto. E ora vegeto nel mio cantuccio, punzecchiandomi con la maligna e perfettamente vana consolazione che l’uomo intelligente non può diventare seriamente qualcosa, ma diventa qualcosa soltanto lo sciocco. Sissignori, l’uomo intelligente del diciannovesimo secolo deve ed è moralmente obbligato a essere una creatura essenzialmente priva di carattere; mentre l’uomo di carattere, l’uomo d’azione, dev’essere una creatura essenzialmente limitata.
Anonymous
Non volevo ricordare.” Disse a fatica. “Perché mi hai obbligato?” La regina lo stava studiando come avrebbe fatto uno scienziato. “Il mio compito è proteggere questo mondo, Pan. I sognatori, qualunque sia la loro motivazione, sono sempre benvenuti qui. Ma tu sembri solo interessato a distruggere l’isola in ogni tua fantasia.” “È così,” sibilò Peter. “Sono qui per combattere. Sono un ragazzo.” “Lo sei,” disse lei. “Ma quando intendi crescere?” Crescere. A Peter sembrò di sentire quelle parole echeggiare con la voce di suo padre e non riuscì più a tollerarlo. Una rabbia cieca cancellò la sua paura e allontanò la sua nuova consapevolezza come una fiamma ardente. Si lanciò contro la regina quando il mondo intorno a lui riapparve all’improvviso in tutti i suoi colori. Capì d’essere circondato dalla corte della regina che gli puntava contro pungiglioni, spine e denti avvelenati. “Stai attento, Pan.” La regina non s’era mossa. “Quasi tutto in questo mondo può piegarsi ai tuoi desideri, ma non io. Ti piacerebbe venire cacciato per sempre dall’isola?” “No.” rispose Peter con rabbia. “Allora calmati,” disse la regina. “Ti lascerò sognare, ma l’Isola Che-non-c’è deve sopravvivere. Pensaci bene.
Austin Chant (Peter Darling)
«Un omo dovrebbe campare quanto è di giusto. Novant'anni sono assà, troppi. E addiventano ancora chiussà quanno che uno è obbligato a ripigliare le cose in mano doppo che pinsàva d'essersene sbarazzato. E la facenna di Japichinu mi ha consumatu, dottore. Non dormu per la prioccupazione. È macari malatu di petto. Io ci dissi: consegnati ai carrabbinera, almeno ti curano, Ma Japichinu è picciotto, tistardu come tutti i picciotti. Comunque, io ho dovuto ripinsàri a pigliari la famiglia in manu. Ed è difficili, difficili assà. Pirchì intantu lu tempu è andato avanti, e gli òmini si sono cangiati. Non capisci cchiù come la pensano, non capisci quello che gli sta passando per la testa. Un tempu, tantu pi fari un esempiu, su una data facenna complicata ci si ragiunava. Macari a longo, macari pi jorna e jorna, macari fino alle mali parole, alla sciarriatina, ma si ragiunava. Ora la genti non voli cchiù ragiunari, non voli pèrdiri tempu». «E allora che fa?». «Spara, dottore mio, spara. E a sparari semu tutti bravi, macari u cchiù fissa di la comitiva. Se lei, putacaso, ora comu ora scoccia il revorbaro che tiene nella sacchetta...». «Non ce l'ho, non cammino armato». «Daveru?!». Lo sbalordimento di don Balduccio era sincero. «Dottore mio, 'mprudenza è! Con tanti sdilinquenti ca ci sono in giro...». «Lo so. Ma non mi piacciono le armi». «Manco a mia piacevano. Ripigliamo il discorso. Se lei mi punta un revorbaro contro e mi dice: "Balduccio, inginocchiati", non ci sono santi. Essendo io disarmato, mi devo inginocchiari. È ragionato? Ma questo non significa che lei è un omo d'onore, significa solo che lei è, mi pirdonasse, uno strunzo con un revorbaro in mano». «E invece come agisce un omo d'onore?». «Non come agisce, dottore, ma come agiva. Lei viene da mia disarmato e mi parla, m'espone la quistione, mi spiega le cosi a favori e le cosi contro, e se iu in prima non sugnu d'accordu, u jornu appressu torna e ragiunamu, ragiunamu fino a quannu iu mi fazzu convintu ca l'unica è di mettermi in ginocchiu comu voli lei, nell'interessi miu e di tutti». Fulmineo, nel ricordo del commissario s'illuminò un brano della manzoniana Colonna Infame, quando un disgraziato è portato al punto di dover pronunziare la frase «ditemi cosa volete che io dica» o qualcosa di simile. Ma non aveva gana di mettersi a discutere di Manzoni con don Balduccio. «Mi risulta però che macari a quei tempi beati che lei mi sta contando si usava ammazzare la gente che non voleva mettersi in ginocchio». «Certo!» fece con vivacità il vecchio. «Certo! Ma ammazzare un omo pirchì si era refutato d'obbediri, lo sapi lei che significava?». «No». «Significava una battaglia persa, significava che il coraggio di quell'omo non ci aveva lasciato altra strata. Mi spiegai?».
Andrea Camilleri (Excursion to Tindari (Inspector Montalbano, #5))
Povero Renzo! – rispose il frate, - se il potente che vuol commettere l’ingiustizia fosse sempre obbligato a dir le sue ragioni, le cose non aderebbero come vanno.
Alessandro Manzoni (The Betrothed)
Ci sono ancora storie possibili, storie per scrittori? Se uno non intende raccontare di sé, né generalizzare in termini romantici, lirici il proprio io, se non si sente obbligato a parlare con spietata sincerità delle proprie speranze e sconfitte o di come fa all'amore, quasi l'assoluta veridicità ne facesse un caso universale e non invece, nella migliore delle ipotesi, un caso clinico, psicologico (...)
Dürrenmatt Friedrich (La panne)
[...] Tuttavia non mi sarei mai scusata per essere fuggita. Se mi fossi scusata, l'avrei obbligato a perdonare quell'atteggiamento così stupido e puerile.
Shūichi Yoshida (Parade)
Noi, illusi di essere dèi saremo solo cloni senza più l'ombelico. Michel Houellebecq delinea il nostro futuro: ci resta soltanto una "Consolazione tecnica". Io non mi piaccio. Provo per me solo un briciolo di simpatia, e ancor meno stima; di più, la mia persona non m'interessa molto. Conosco da tempo le mie principali caratteristiche, e ho finito per provarne disgusto. Da adolescente, ancora giovane uomo, parlavo di me, pensavo a me, ero come ricolmo della mia stessa persona; ora non è più così. Mi sono estraniato dai miei pensieri, e la sola prospettiva di dover raccontare un episodio personale mi fa sprofondare in una noia vicina alla catalessi. Qualora vi sia assolutamente obbligato, mento. Eppure, paradossalmente, non mi sono mai pentito di essermi riprodotto. Si può anche dire che amo mio figlio, e che lo amo ancora di più ogni volta che riconosco in lui una traccia dei miei medesimi difetti. Li vedo manifestarsi nel corso del tempo con un implacabile determinismo, e ne sono felice. Godo senza il minimo pudore nel vedere ripetersi, e di conseguenza perpetuarsi, caratteristiche personali che non hanno assolutamente nulla di apprezzabile, caratteristiche che risultano abbastanza spregevoli; e che, in realtà, non hanno altro merito se non quello di essere le mie. Peraltro, non sono esattamente le mie; di alcune mi rendo conto che sono ricalcate tali e quali sulla personalità di mio padre, quello stronzo fatto e finito; cosa che, stranamente, non toglie nulla alla mia gioia. La quale è qualcosa di più dell'egoismo; qualcosa di più profondo e indiscutibile. Come un volume è qualcosa di più della sua proiezione su una superficie piana; o come un corpo vivente è qualcosa di più della sua ombra. Ciò che al contrario mi rattrista, in mio figlio, è il fatto di vederlo mettere in risalto (influsso della madre? cambiamento dei tempi? puro individualismo?) i tratti di una personalità autonoma, nella quale io non mi riconosco affatto, che mi rimane estranea. Lungi dal meravigliarmene, mi rendo conto che lascerò soltanto un'immagine incompleta e indebolita di me stesso; nel giro di pochi secondi, avverto più nettamente l'odore della morte. E posso confermarlo: la morte puzza. La filosofia occidentale favorisce poco la manifestazione di sentimenti del genere; sono sentimenti che non lasciano il minimo spazio al progresso, alla libertà, all'individuazione, al divenire; che s'indirizzano unicamente all'eterna, imbecille ripetizione dell'uguale. Per giunta, non hanno nulla di originale; sono condivisi dalla quasi totalità dell'umanità, nonché dalla maggior parte del regno animale; non sono nient'altro che la memoria sempre attiva di un istinto biologico dominante. La filosofia occidentale è un lento, paziente e crudele dispositivo di ammaestramento volto a convincerci di alcune idee del tutto false. La prima è che dobbiamo rispettare gli altri perché sono differenti da noi; la seconda è che abbiamo qualcosa da guadagnare dalla morte. Oggi, per effetto della tecnologia occidentale, questa vernice di convenienze si sta rapidamente scrostando. Naturalmente, io mi farò clonare appena possibile; naturalmente, tutti si faranno clonare appena possibile. Andrò alle Bahamas, in Nuova Zelanda o alle Isole Cayman; pagherò il prezzo necessario (né gli imperativi etici né gli imperativi finanziari hanno mai pesato molto, in confronto a quelli della riproduzione). Avrò probabilmente due o tre cloni, come si hanno due o tre figli; tra le cui nascite rispetterò un adeguato intervallo (né troppo vicini né troppo lontani); uomo ormai maturo, mi comporterò da padre responsabile. Assicurerò ai miei cloni una buona educazione; e alla fine morirò. Morirò senza piacere, poiché non desidero morire. Tuttavia, fino a prova contraria, vi sono obbligato. Tramite i miei cloni, avrò raggiunto una certa forma di sopravvivenza per nulla sufficiente, ma comunque superiore a quella che mi avrebbero garantito dei figli. È il massimo che la tecnologia occidentale ...
Michel Houellebecq
Non viviamo semplicemente nell'Universo. L'Universo vive dentro di noi. Detto questo, potremmo anche non appartenere a questo pianeta. Risultati provenienti da diverse differenti linee di ricerca hanno obbligato gli scienziati a riesaminare chi pensiamo di essere e da dove pensiamo di provenire. Per prima cosa, come abbiamo già visto, quando un grande asteroide colpisce un pianeta, le aree circostanti possono rinculare a causa dell'impatto, catapulta do rocce nello spazio. Da lì, le rocce possono viaggiare e atterrare su altre superfici planetarie. Secondo, i microorganismi possono essere molto resistenti. Quelli che chiamiamo estremofili sulla Terra possono sopravvivere a intense variazioni di temperatura e pressione e alla radiazione incontrata durante i viaggi spaziali. Se i materiali rocciosi proiettati da un impatto provengono da un pianeta che ospita vita, allora della fauna microscopica potrebbe essersi intrufolata clandestinamente in ogni angolo della roccia. Terzo, evidenze recenti suggeriscono che, poco dopo la formazione del nostro sistema solare, Marte era umido e probabilmente fertile, anche prima che lo fosse la Terra. Prese insieme, queste scoperte ci dicono che è possibile pensare che la vita abbia avuto inizio su Marte e in seguito abbia piantato i suoi semi sulla Terra, un processo chiamato panspermia. Quindi tutti i terrestri potrebbero - e sottolineo potrebbero - essere discendenti di marziani.
Neil deGrasse Tyson (Astrophysics for People in a Hurry)
– Da dove vengono i tuoi? – le ho domandato poi, per cortesia. – I miei nonni sono siciliani, ma quando sono arrivati a Grenoble hanno obbligato mio padre a parlare solo francese. Per loro l’italiano era la lingua della vergogna, per via dell’occupazione fascista che c’è stata qui. Lei non lo sa, i nostri emigranti si vergognavano soprattutto di essere poveri.
Donatella Di Pietrantonio (Borgo Sud)
Di fobia sociale, invece, non ho mai sofferto, nonostante la timidezza. Oggi mi intrattengo sempre piú spesso con chi non conosco, la vita mi ha obbligato a vincere questa debolezza, mi ha spinto con forza, quasi costretto, in tal senso. Costretto a fare piú che a riflettere, a muovermi di pancia e non con la ragione. L’esperienza quindi dovrebbe insegnarmi che se ti forzi ad affrontare ciò che temi, alla fine la vinci, che è un po’ il concetto del dottor Cavalli: guarda in faccia le tue paure finché non ti faranno piú paura. Dovrei perciò prendere un aereo al giorno, andare a vivere in una casa piena di blatte e ragni, semmai iscrivermi alla Napoli-Capri, cosí da nuotare in mare aperto, e forse nel giro di qualche anno potrei ambire a diventare finalmente un uomo perfetto, una persona senza punti deboli. Possibile? Non credo. Non esistono persone senza punti deboli. Forse riuscirei a vincere la paura di volare, potrei anche arrivare a dormire in una stanza piena di ragnatele (in realtà una volta ho dormito da solo in una stanza di un B&b nella quale c’era un grosso ragno, nascosto però dietro a un armadio), potrei tentare di combattere la mia ipocondria ogni giorno e un domani forse non provare piú questo fottuto terrore, ma quale sarebbe il dazio da pagare? Quanto sforzo, quanto dolore, quanta paura comporterebbe sfidare in campo aperto le mie fobie? E questo sforzo, questa paura, non provocherebbero altra paura? Non posso affrontare tutto, semplicemente perché non ci riesco, sono umano, con tutto ciò che questo vuol dire. A proposito di accettazione. Mi piacerebbe essere piú equilibrato, ma so di trovarmi sotto quella coperta sempre troppo corta: se tiro da un lato, resto scoperto dall’altro. Qualcuno parla di ipersensibilità dell’amigdala, la sede del cervello a forma di mandorla che gestisce le emozioni e in particolare la paura. Se hai la sfiga di avere questa zona ipersensibile, sei costretto a fotterti dalla paura costantemente: l’amigdala in questi casi, al pari del neurone inibitore ubriaco(ricordate?), sta sempre sul chi va là, inviandoti di continuo scariche di adrenalina con lo scopo di farti reagire prontamente a una situazione di pericolo. L’unica cosa che ottiene, però, è mandarti fuori di zucca, perché in verità ti trovi sul divano e stai guardando la tv, e il solo pericolo incombente è che ti possa venire un crampo alla pancia per via della cioccolata di cui ti sei abbuffato nel tentativo di vincere l’angoscia persistente che ti fa sentire l’irrefrenabile voglia di scappare a gambe levate, come se ai tuoi piedi stesse strisciando un boa constrictor. E pensare che un tempo avevamo solo questa parte di cervello, eravamo guidati solo da istinto ed emozioni, il sistema limbico (adibito alle funzioni psichiche, all’emotività) dominava il cervello già nei rettili di un tempo. Solo milioni di anni dopo il cervello pensante si è evoluto da questi centri emozionali. Per quel che mi riguarda, cerco di fregare l’amigdala con «l’evitamento», mi costruisco degli appigli per tirare avanti alla buona e sentire meno la paura, tento di distrarmi, ecco, in attesa che, chissà, un domani qualcuno mi aiuti a imboccare la strada giusta, mi apra gli occhi e mi infonda il coraggio per guardare in faccia ciò che non ho avuto il coraggio di guardare fino a oggi. Aspetto che sia la vita ancora una volta a darmi lo scossone e a spingermi verso nuove strade nelle quali la paura non mi farà piú da compagna quotidiana. Nel frattempo, mi impegnerò in ciò che mi fa stare bene e continuerò ad aspettare un refolo di sole per andare sul lungomare con la mia famiglia. La felicità dalle mie parti: un venticello fresco che sa di primavera, una pizza fumante, il mare là dietro, una birra ghiacciata, mia moglie e mio figlio.
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
«Ti obbliga?» Scott spalancò gli occhi come se qualcuno gli avesse tirato uno schiaffo. Zeph aveva parlato con voce così sottile che per un attimo si chiese se avesse capito male. Ma il ragazzo aveva lo sguardo basso, velato da alcuni ricci ribelli, e giocava col gambo del calice ormai vuoto; doveva essersi scolato il resto del vino in pochi, veloci sorsi. «Assolutamente no, non mi ha mai obbligato a fare niente,» rispose Scott, cercando di infondere nelle sue parole tutta la certezza necessaria a farle arrivare a destinazione senza dubbi possibili. «Cosa te l’ha fatto pensare?» La temperatura della casa era cambiata all’improvviso, almeno intorno al tavolo. Zeph sembrava essersi chiuso in se stesso, ma aveva la fronte corrugata come se non riuscisse a capire un concetto importante. «Quindi ne sei innamorato?» chiese di nuovo, rispondendo con un’altra domanda.Scott scosse la testa. «No, non lo sono.» «Ma allora perché?» Zeph alzò lo sguardo, fissandolo con occhi grandi e puri. «Se non lo ami e non ti obbliga, perché continui a farci sesso? Cosa te ne viene in cambio?» Se non fosse stato possibile, se il ragazzo davanti a lui fosse stato un ragazzo qualsiasi, magari incontrato in un bar in città o sui sentieri turistici che portavano alla vetta, Scott avrebbe pensato a uno scherzo, o a innocua ignoranza.
Enys L.Z. (Villerouge)
«Sai, non sei obbligato ad adottare ogni gay tossicodipendente che entra da quella porta e ti fa gli occhi da cucciolo bastonato,» dice Gage, facendomi prendere uno spavento durante le mie riflessioni. «Oh, ti prego, papà! Prometto di dargli da mangiare e di portarlo fuori. Pulirò tutto se combinerà casini,» lo prego, prendendolo in giro. «Tu scherzi, ma sai che è esattamente ciò che succederà alla fine.» Aggrotto le sopracciglia, infastidito dall’accusa di Gage. «Alla fine della fiera, non importa se approvi o meno. Mio il negozio, mia la decisione.» «Esatto, è il tuo mondo e tutti noi ci viviamo dentro.» Gage va via infastidito verso il suo spazio di lavoro e lo seguo. «Sai che non volevo dire questo. Ho perso mio fratello, cazzo, e se aiutare degli sconosciuti è il modo in cui riesco a farci i conti, allora fai un cazzo di passo indietro e lasciami fare,» sbotto, le mani che tremano di rabbia repressa. «Questo è il vero problema, ti comporti come se tu fossi stato l’unico a perdere Johnny. Quando è morto si è portato con sé il mio dannato cuore. E tu che fai sfilare in questo posto dei ragazzi per sostituirlo non mi aiuta,» urla Gage, prima di voltarsi e buttare il suo quaderno dei disegni per terra in un gesto di rabbia. «Mi dispiace.» La mia voce si ammorbidisce. «Non sto cercando di ferirti, sto solo facendo del mio meglio per andare avanti»
K.M. Neuhold (From Ashes (Heathens Ink #3))
Nelle scuole abbiamo […] l’immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare.
Giovanni Papini (Chiudiamo le scuole)
Lo scrittore è obbligato a guardare sotto ogni pietra. Può e dovrebbe rifiutare alcuni comportamenti o scelte nella sua vita personale. Ma non può fare a meno di contemplare l’intero spettro della condizione umana.
Barbara Hall
Trenta passi furono sufficienti per raggiungere la meta: in mezzo a una radura trovarono il corpo martoriato della strega. Era circondato da sei dei suoi gatti, impalati tutt’intorno nella piccola radura. L’odore acre del sangue rendeva l’aria irrespi-rabile, attirando insetti e animali. La scena era raccapricciante. Fiamma tentò di resistere al senso di nausea. Si avvicinò al cadavere e scacciò le bestie. Gli occhi della fattucchiera erano stati cavati dalle orbite e strisce nere di sangue essiccato rigavano il volto raggrinzito. Nella bocca, spalancata in un urlo silenzioso, era stata infilata a forza una grossa pietra e il corpo, obbligato a una postura indecente da pali e chiodi, si trovava supino, con le gambe di-varicate. Solo il ciondolo, una semplice sfera di cristallo inca-stonata nell’argento, non le era stato tolto. Fiamma si chinò e cominciò a rimuovere i chiodi con un martello arrugginito che gli aguzzini avevano abbandonato al suolo, insieme a delle assi di legno. Marcus rimase zitto e immobile per un attimo, poi, senza proferir parola, si avvicinò per aiutare. Lei ordinò al ragazzo di scavare una fossa, poi con il suo aiuto sfilò il ciondolo dal collo della salma, come se sentisse il dovere di farlo, e depose il cadavere nella nuda terra. «Mettiamo dentro anche tutti i suoi gatti?» chiese il giova-ne. «Certamente» fu l’unica risposta che le uscì, anche se a-vrebbe tanto voluto piangere.
Alexia Bianchini (Il Cerusico)