Mondo Nuovo Quotes

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Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Antonio Gramsci
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo".
H.P. Lovecraft (The Call of Cthulhu)
Aveva detto una volta a Serafina Pekkala che a lui volare non importava, che era soltanto un lavoro come un altro, ma non parlava sul serio. Levarsi in alto, con un buon vento alle spalle e un nuovo mondo davanti: cosa poteva esserci di meglio in questa vita?
Philip Pullman (The Subtle Knife (His Dark Materials, #2))
Metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia e a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o che prendano fuoco e si schiantino. Ma a volte, invece, ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia. Insieme, in quel primo momento esaltante, con quella sensazione esplosiva di ascesa, esse sono più grandi dei loro sé individuali. Insieme, vedono più lontano, più chiaro.
Julian Barnes (Levels of Life)
A volte desidereresti fuggire in un'altra parte del libro. Smetti di leggere e sfogli le pagine in avanti, scorgendo di sfuggita la storia che corre, non al di sopra del mondo ma attraverso di esso, attraverso foreste e complicazioni, attraverso il caos delle intenzioni e delle città. A mano a mano che ti avvicini alle ultime pagine, affretti sempre più il ritmo della lettura, finché non ti ritrovi immerso in un groviglio di inquietudine. Poi, all'improvviso, il pollice perde la presa e fluttui fuori dalla storia tornando in te stesso. Il libro è di nuovo una fragile nave fatta di tessuto e di carta. Sei stato ovunque e in nessun posto
Thomas Wharton (Salamander)
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace. Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca se ne hai una. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce.
Italo Calvino (If on a Winter’s Night a Traveler)
C'è chi decide di rimanere a casa perché sta bene e non ha bisogno di andare a scoprire il mondo, e chi invece lo deve girare, provare, fare esperienza, per capire che magari non c'è niente di particolarmente nuovo. Ma per capirlo, ha bisogno di viaggiare.
Fabio Volo (Esco a Fare Due Passi)
Ogni giorno apriamo gli occhi su un mondo nuovo e facciamo della meraviglia il nostro mestiere.
Angela Terzani Staude (Giorni cinesi. Un viaggio, un diario un'esperienza eccezionale)
Ciò che un libro avrebbe potuto raccontarle non l'aveva mai intimorita. Anzi, di solito non vedeva l'ora di lasciarsi trasportare in un mondo nuovo, inesplorato, e la sua curiosità era tale che si metteva a leggere nei momenti meno opportuni.
Cornelia Funke (Inkheart (Inkworld, #1))
Ci fu lò, in quella luce e in quell'ombra, tutto un piccolo mondo nuovo e vecchio, buffone e triste, gioviale e senile che si fregava gli occhi, perché nulla somiglia al risveglio come il ritorno; gente che guardava la Francia con astio e che la Francia guardava con ironia.
Victor Hugo (Les Misérables)
Il mondo è in uno stato abituale di crisi da cinquant'anni. Cinquanta? Che cosa dico? E' in uno stato abituale di crisi fin dall'inizio...ma da mezzo secolo, la tensione è quasi insopportabile. E perché, per amor di Dio? Qual è l'elemento irritante fondamentale, l'essenza della tensione? Filosofie politiche? Economia? Pressione demografica? Differenza di civiltà e di credo? Lo chieda a una dozzina di esperti, otterrà una dozzina di risposte. E adesso di nuovo Lucifero. La nostra razza è congenitamente folle, fratello? Se siamo nati pazzi, dov'è la speranza del Paradiso? Solo attraverso la Fede? O non esiste affatto?
Walter M. Miller Jr. (A Canticle for Leibowitz)
Il mondo gira come questo fuso... e la sola certezza è che il bene e il male si avvicenderanno sempre. Senza cambiamento non può crescere nulla di nuovo, e quando i vecchi disegni si ripetono questo accade in modo nuovo... Il volto della Signora cambia ma il suo potere persiste, il re che dona la sua vita per la terra rinasce per ripetere il suo sacrificio. A volte anch'io nutro dei timori, ma ho visto passare troppi inverni per non credere che dopo verrà sempre la primavera...
Marion Zimmer Bradley (Lady of Avalon (Avalon, #3))
Per affermare che stiamo colonizzando un nuovo mondo, ci siamo chiusi in queste prigioni di metallo e plastica, impossibilitati a stare là fuori. Tutto ciò che Marte ci ha offerto finora è sofferenza. Sì, là fuori è bello, perché inusuale, alieno. Ma il fascino che esercita su di noi non è tanto diverso da quello stesso della morte.
Rita Carla Francesca Monticelli (Deserto rosso - Nemico invisibile)
C'è in me quello che si trova in molti uomini del mondo, amori, spari, qualche frase piena di spine, nessuna voglia di parlarne. Siamo dozzina noi altri uomini. Speciale è solo vivere, guardarsi di sera il palmo di mano e sapere che domani torna fresco di nuovo, che il sarto della notte cuce pelle, rammenda calli, rabbercia gli strappi e sgonfia la fatica.
Erri De Luca (Tre cavalli)
Che tempi maledetti sono i periodi di malattia nell'infanzia e nell'adolescenza! Il mondo esterno, il mondo del tempo libero in cortile o in giardino, oppure per strada, penetra nella stanza del malato solo mediante rumori ovattati. Dentro prolifera il mondo delle storie con i loro eroi, di cui il malato legge. La febbre, che indebolisce la percezione e acuisce la fantasia, trasforma la stanza del malato in uno spazio nuovo, familiare ed estraneo al contempo; dei mostri emergono con le loro smorfie dei disegni delle tendine della tappezzeria, e le sedie, il tavolo, gli scaffali e l'armadio si ergono come montagne, palazzi o navi, tanto vicini da poterli toccare, eppure così lontani. I rintocchi dell'orologio del campanile, il rombo di una macchina che passa e le luci riflesse dei fari, che perlustrano le pareti e soffitto della stanza, accompagnano il malato attraverso le lunghe ore della notte. Sono ore senza sonno, ma non ore insonni; non ore di carenza ma di pienezza. Desideri, ricordi, paure e voglie combinano dei labirinti in cui il malato si perde, si ritrova e si perde. Sono ore in cui tutto è possibile, sia nel bene che nel male.
Bernhard Schlink (The Reader)
Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere. Io non te lo permetterò.
Cormac McCarthy (The Road)
Un mondo senza piaceri e senza affetti è un mondo privo di valore. Queste cose deve ricordare il manipolatore scientifico, e, se lo ricorda, le sue manipolazioni potranno riuscire interamente benefiche. E' necessario intanto che gli uomini non siano intossicati dal nuovo potere a tal punto da dimenticare le verità che furono familiari a ogni generazione precedente. Non tutta la saggezza è nuova, né tutta la pazzia è antica.
Bertrand Russell (The Scientific Outlook)
Lo vedo uscire dalla cucina con il grembiule in vita e andare in salotto a salutare tutti calorosamente, e io aspetto, in piedi, dietro di lui. E sento che potrei aspettare tutta la vita. Non sarebbe un problema. Si volta, mi sorride e il mio mondo si ferma. Di nuovo. E lui mi abbraccia stretta stretta, o così sembra a me, e spero che un meteorite si schianti contro la Terra in questo momento, perché, mi dispiace per voi, ma io, adesso, sono felice.
Federica Bosco (Non tutti gli uomini vengono per nuocere)
«Mettiti il casco. È tardi!» le ordinò senza guardarla in viso mentre le porgeva il copricapo. Asia non disse una parola. Il sole era già scomparso ed era consapevole che con l’oscurità il Male avrebbe potuto fare capolino da un momento all’altro. Il cimitero del Wawel distava pochi minuti dal suo appartamento, ma lei conosceva bene il Venator e sapeva perché si spostava comunque in moto. Le sacche laterali della sua cavalcatura erano piene zeppe di armi, una vera e propria santa barbara sempre pronta all’uso. Mentre si issava con accuratezza dietro di lui cercò di trattenere il respiro. L’idea di sfiorare di nuovo, dopo quasi due anni, il suo corpo la faceva sentire come una bambina il primo giorno di scuola: tensione a mille, ansia, batticuore e la sensazione che di lì a poco sarebbe morta di infarto. Ma quel momento magico fu bruscamente distrutto, e le acide parole inzuppate nel veleno che uscirono dalle labbra di Bor la scaraventarono con una forza dolorosa nella realtà di quel pomeriggio. «Aggrappati alle manigliette laterali, non a me. E reggiti forte, non mi va di dovermi fermare a raccogliere i tuoi pezzetti.» Asia si sentì morire ma mai, per nessuna ragione al mondo, gli avrebbe dato soddisfazione. «Certo, non temere, non ti accorgerai nemmeno di me», disse a denti stretti mentre la bocca le si seccava per la delusione di essere stata respinta così in malo modo.
Eilan Moon
La certezza che il peggio è passato e la situazione è salda in mano fa perdere il controllo, si comincia di nuovo a osare. A quel punto l’uomo mette in atto il furbesco egoismo. Non fa tesoro dell’esperienza, torna quello che è sempre stato: un coglione.
Mauro Corona (La fine del mondo storto)
Lo shintoismo è una religione essenzialmente comunitaria, una "religione di villaggio", come l'ha definita Yaganida Kunio. Il buddhismo e il cristianesimo sono essenzialmente religioni che favoriscono l'individualismo. Nel cristianesimo in ultimo siamo lasciati soli con il nostro carico di peccati ad affrontare il giudizio; nel buddhismo siamo lasciati soli con il nostro carico di karma ad affrontare la reincarnazione. Nessuna di queste due religioni si trova a proprio agio con il mondo moderno, in cui le azioni collettive hanno il sopravvento su quelle individuali. Il cristianesimo oggi soffre una delle crisi più drammatiche dei suoi duemila anni di storia, il buddhismo è alla ricerca di un nuovo adattamento. Lo spirito comunitario dello shintoismo, invece, si trova in perfetta armonia con l'epoca moderna.
Fosco Maraini
Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto al trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.
Pier Paolo Pasolini (Scritti corsari)
M'immaginai una forza oscura acquattata nella vita della protagonista, un'entità che aveva la capacità di saldarle il mondo intorno, con i colori della fiamma ossidrica: una calotta azzurro-violacea dove ogni cosa le andava per il meglio schizzando scintille ma che presto si dissaldava, scindendosi in frammenti grigi privi di senso.
Elena Ferrante
Le biblioteche sono dei luoghi stregati e chiunque vi abbia messo piede una volta ne è cosciente. […] Nel momento in cui entrò nella biblioteca della Lucretius, le sembrò di aver varcato l’ingresso di un nuovo mondo, terribilmente surreale. Centinaia e centinaia di libri si arrampicavano audacemente fino alle più alte scaffalature di mogano, e la luce soffusa che proveniva da un enorme lampadario di cristallo conferiva all’ambiente un’atmosfera misteriosa, rarefatta. […] Povera Amabel! Non sapeva che le biblioteche risucchiano il tempo, e mandano avanti le lancette dell’orologio e, prima che tu possa rendertene conto, sei già irrimediabilmente, tremendamente, in ritardo.
Bianca Rita Cataldi (Riverside)
[...] Qualsiasi grande può regredire a inutile comparsa se una mutazione cambia il punto di vista e rende difficile annoverarlo fra i profeti dal nuovo mondo. [...] Non è tanto una questione di forza della singola opera e del singolo autore: è la prospettiva che detta la regola: poi, solo dopo, interviene quella forza, a orientare i giudizi.
Alessandro Baricco (I barbari. Saggio sulla mutazione)
Non vedrò più la magnolia che destinava la sua rosa alla tomba della mia fanciulla della Florida, il pino di Gerusalemme e il cedro del Libano consacrati alla memoria di Gerolamo, l'alloro di Granada, il platano della Grecia, le querce dell'Armorica ai piedi dei quali dipinsi Blanca, cercai Cymodocée, immaginai Velléda. Questi alberi nacquero e crebbero insieme ai miei sogni: erano le mie amadriadi. Essi stanno per passare sotto un'altra autorità: il loro nuovo padrone li amerà come li amavo? Li lascerà seccare, forse li taglierà, non devo conservare nulla in questo mondo? Evocherò l'addio che dissi un tempo ai boschi di Combourg dicendo addio ai boschi di Aluny: tutti i miei giorni sono degli addii.
François-René de Chateaubriand (Mémoires d'outre-tombe, Tome 1: Livres I à XII)
Ma Gonzalo? Oh, il bel nome della vita! una continuità che s'adempie. Di nuovo le sembrò, dal terrazzo, di scorgere la curva del mondo: la spera dei lumi, a rivolversi; tra brume color pervinca disparivano incontro al sopore della notte. Sul mondo portatore di frumenti, e d'un canto, le quiete luminarie di mezza estate. Le sembrò di assistervi ancora, dalla terrazza di sua vita, oh!, ancora per un attimo, di far parte della calma sera. Una levità dolce. E, nel cielo alto, lo zaffiro dell'oceano: che avevano rimirato l'Alvise, a tremare, e Antoniotto di Noli, doppiando capi dalla realità senza nome incontro al sogno apparito degli arcipelaghi. Si sentì ripresa nell'evento, nel flusso antico della possibilità, della continuazione: come tutti, vicina a tutti.
Carlo Emilio Gadda (La cognizione del dolore)
«Cosa sono stato per te, Shane? Cosa eravamo noi due? Cosa sono stato per te?» Amore. Felicità. Qualsiasi cosa al mondo. Shane si voltò di nuovo per andarsene dal miglior amico che avesse mai avuto. Non era più semplice della prima volta o delle altre. Aveva rivissuto quel momento più e più volte per anni. Aveva continuato a camminare prima di crollare e supplicare Jesse di perdonarlo. Voleva tornare indietro. Voleva tornare indietro…Sì. Fallo. Torna indietro, stupido. Lasciare Jesse è stato il più grande errore che tu abbia mai fatto.«Perché l’hai fatto, Shane? Perché mi hai lasciato?»E Shane per poco non lo fece. Voleva tornare indietro, piangere, dire a Jesse che lo amava più di ogni altra cosa. Provò a voltarsi, ma il suo corpo era bloccato. Non riusciva a muoversi
Piper Vaughn (Moonlight Becomes You (Lucky Moon, #1))
«Lo sai che fra la fine e il nuovo inizio c’è un mondo di mezzo? È il tempo ferito, Jean Perdu. È una palude dove si raccolgono sogni, paure e intenzioni perdute. I passi in questo tempo si fanno più pesanti. Non sottovalutare questa stazione di passaggio fra la fine e il nuovo inizio, Jeanno. Datti tempo. A volte le soglie sono così grandi che non si possono superare con un passo solo».
Nina George (The Little Paris Bookshop)
Penso che il destino degli uomini sarebbe ancora più crudele di quanto già sia, se la nostra mente non fosse incapace di mettere in rapporto tra loro tutte le cose che avvengono in questo mondo. La nostra vita si svolge nei confini di una pacifica isola di ignoranza, circondata dagli oscuri mari dell'infinito, e non credo che ci convenga spingerci troppo lontano da essa. Finora le scienze, progredendo passo passo nel campo d'azione proprio a ciascuna, non ci hanno arrecato troppo danno: ma un giorno o l'altro, quando infine si riuniranno le varie parti del sapere, oggi ancora sparse qua e là, si presenterà ai nostri occhi una visione talmente terrificante della realtà e della terribile parte che noi abbiamo in essa, che se non impazziremo dinanzi a una simile rivelazione, tenteremo di fuggire quella vista mortale rifugiandoci nell'oscurità di un nuovo medioevo.
H.P. Lovecraft
Un giorno, però, a diciotto anni, leggendo l’autobiografia di John Stuart Mill 1 , trovai questa frase: «Mio padre mi insegnò che la domanda: “Chi mi creò?” non può avere risposta, perché suggerisce immediatamente un nuovo interrogativo: “Chi creò Dio?”» Compresi allora quanto fosse errato l’argomento della Causa Prima. Se tutto deve avere una causa, anche Dio deve averla. Se niente può esistere senza una causa, allora perché il mondo sì e Dio no? Questo principio della Causa Prima non è migliore dell’analoga teoria indù, che afferma come il mondo poggi sopra un elefante, e l’elefante sopra una tartaruga. Alla domanda: «E la tartaruga dove poggia?» l’indù rispose: «Vogliamo cambiare discorso?» Non c’è dunque motivo per sostenere che il mondo debba proprio avere una causa ed un’origine. Potrebbe anche essere sempre esistito. È soltanto la nostra scarsa immaginazione che vuole trovare un’origine a tutto.
Bertrand Russell (Why I Am Not a Christian and Other Essays on Religion and Related Subjects)
La differenza fra il brutto dell'amore e il bello dell'amore è che il bello è molto più leggero. Ti fa sembrare di volare. Ti porta in alto. Ti trasporta. IL bello dell'amore ti tiene sospeso sopra al resto del mondo. Ti fa sorvolare le cose brutte, e quando guardi in basso verso tutto il resto ti ritrovi a pensare: /Wow, sono contento di essere quassù/ [...] Il brutto dell'amore non riesce a portarti in alto. Ti porta GIU'. Ti tiene sott'acqua. Ti annega. Guardi in alto e pensi: Vorrei essere lassù. Ma non lo sei. Il brutto dell'amore diventa /te/. Ti /consuma/. Ti fa odiare /tutto/. Ti fa capire che per quanto sia bello il bello dell'amore, il gioco non vale la candela. Senza il bello non rischieresti di sentirti /così/. Non rischieresti di sentire il /brutto/. Così ci rinunci. Rinunci a tutto. Non vuoi mai più l'amore, nè il bello nè il brutto, perché per nessun tipo di amore varrà mai la pena di conoscere di nuovo questo /cordoglio/.
Colleen Hoover (Ugly Love)
Se qualcuno lo avesse spogliato del suo tweed inglese e gli avesse fatto indossare un abito nero, con pizzi sul collo e sui polsi, il signor de Winter avrebbe potuto guardare a noi del nuovo mondo da un passato molto distante - un passato nel quale gli uomini, di notte, camminavano intabarrati, e restavano nell'ombra di antichi passaggi, un passato di scale a chiocciola e di celle sotterranee, un passato di sussurri nel buio, di lame balenanti, di silenziosa e squisita cortesia.
Daphne du Maurier
Poi... sei arrivata tu. Ho dovuto credere che tu mi amassi, che amassi veramente me, non i milioni di mio padre. Non c'era altro motivo per cui avresti voluto sposare un diavolo senza un penny e con i miei ipotetici precedenti. E io provavo pena per te. Oh, sì, non nego di averti sposata perché provavo pena per te. E poi... ho scoperto che eri la migliore, la più allegra e la più cara compagna che avessi mai avuto. Spiritosa, leale, dolce. Mi hai costretto a credere nuovamente nella vera amicizia e nel vero amore. Il mondo sembrava di nuovo bello perché c'eri tu, tesoro mio. Desideravo che continuasse così per sempre tra di noi. L'ho capito la notte in cui sono tornato a casa e ho visto per la prima volta la luce della mia casa che risplendeva sull'isola. E sapevo che tu eri lì ad aspettarmi. Dopo essere stato senza una casa per tutta la vita, era bello averne una. Tornare affamato a notte inoltrata e sapere che c'era un buon pasto e un fuoco accogliente - e che c'eri tu.
L.M. Montgomery (The Blue Castle)
Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l’edificio. L’invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. E’ la rivoluzione madre. E’ il completo rinnovarsi del modo di espressione dell’umanità, è il pensiero umano che si spoglia di una forma e ne assume un’altra, è il completo e definitivo mutamento di pelle di quel serpente simbolico che, da Adamo in poi, rappresenta l’intelligenza. Sotto forma di stampa, il pensiero è più che mai imperituro. E’ volatile, inafferrabile, indistruttibile. Si fonde con l’aria. Al tempo dell’architettura, diveniva montagna e si impadroniva con forza di un secolo e di un luogo. Ora diviene stormo di uccelli, si sparpaglia ai quattro venti e occupa contemporaneamente tutti i punti dell’aria e dello spazio.. Da solido che era, diventa vivo. Passa dalla durata all’ immortalità. Si può distruggere una mole, ma come estirpare l’ubiquità? Venga pure un diluvio, e anche quando la montagna sarà sparita sotto i flutti da molto tempo, gli uccelli voleranno ancora; e basterà che solo un’arca galleggi alla superficie del cataclisma, ed essi vi poseranno, sopravvivranno con quella, con quella assisteranno al decrescere delle acque, e il nuovo mondo che emergerà da questo caos svegliandosi vedrà planare su di sé, alato e vivente, il pensiero del mondo sommerso. Bisogna ammirare e sfogliare incessantemente il libro scritto dall'architettura, ma non bisogna negare la grandezza dell'edificio che la stampa erige a sua volta. Questo edificio è colossale. E’ il formicaio delle intelligenze. E’ l’alveare in cui tutte le immaginazioni, queste api dorate, arrivano con il loro miele. L’edificio ha mille piani. Sulle sue rampe si vedono sbucare qua e là delle caverne tenebrose della scienza intrecciantisi nelle sue viscere. Per tutta la sua superficie l’arte fa lussureggiare davanti allo sguardo arabeschi, rosoni, merletti. La stampa, questa macchina gigante che pompa senza tregua tutta la linfa intellettuale della società, vomita incessantemente nuovi materiali per l’opera sua. Tutto il genere umano è sull’ impalcatura. Ogni spirito è muratore. Il più umile tura il suo buco o posa la sua pietra. Certo, è anche questa una costruzione che cresce e si ammucchia in spirali senza fine, anche qui c’è confusione di lingue, attività incessante, lavoro infaticabile, concorso accanito dell’umanità intera, rifugio promesso all’ intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un’invasione di barbari. E’ la seconda torre di Babele del genere umano." - Notre-Dame de Paris, V. Hugo
Victor Hugo (The Hunchback of Notre-Dame)
Dovete continuare a crescere e a progredire. Ogni giorno dovete introdurre qualcosa di nuovo nella vostra vita. La vostra responsabilità principale è nei confronti di voi stessi. Se non la pensate così, non potete dare niente a nessuno. Potete dare soltanto ciò che avete. Se diventate vivi, se attraversate il mondo a passo di danza, facendo cose pazze, diventate affascinanti. È l’affinità che ci avvicina, ma è la novità che ci tiene insieme. Siate saggi, siate stimolanti, siate eccitanti, condividete idee nuove, crescete, progredite, evolvetevi. Non siate mai prevedibili!
Leo F. Buscaglia
E ricordi che anche allora i sogni erano tristi, e se anche prima non andava meglio, pur tuttavia senti sempre che in qualche modo era più facile e più quieto vivere, che non c'erano questi pensieri neri, che ora mi opprimono; che non c'erano questi rimorsi, rimorsi cupi, tetri, che ora non mi danno pace né di giorno, né di notte. E ti chiedi: dove sono mai i tuoi sogni? e scuoti la testa, dici: come volano in fretta gli anni! E di nuovo ti chiedi: cosa hai fatto dei tuoi anni? Dove hai sepolto il tuo tempo migliore? Hai vissuto o no? Guarda, ti dici, guarda come il mondo è diventato freddo.
Fyodor Dostoevsky
[...] rileggere un libro amato è come tornare in un luogo sacro in cui nulla è cambiato, esperienza per noi ovviamente impossibile perchè il mondo cambia sempre. Se un libro cambia è soltanto perchè siamo cambiati noi e lo affrontiamo in modo diverso, ma è sempre una soddisfazione meravigliosa incontrare di nuovo l'universo di un romanzo come questo e avere la certezza che esistono delle cose belle indifferenti alla brutale e inevitabile azione del tempo. Ecco uno dei regali che dobbiamo all'arte: la sensazione che non tutto è perso, che alcune cose restano perfette e inviolabili. [Postfazione di Peter Cameron]
John Williams (Stoner)
E questo è ancora oggi per me uno degli aspetti più affascinanti dell'andare per mare: il fatto che, comunque la barca è un piccolo mondo nelle nostre mani e noi, anche se a volte non lo sappiamo, possiamo gestirlo in maniera completamente autonoma; ciò significa che quando c'è un problema nuovo non dobbiamo fare altro che affrontarlo e troveremo sicuramente prima o poi la nostra soluzione. Questa è la ragione per cui su una barca a vela siamo tutti apprendisti: le esperienze infatti ci insegnano continuamente nuove cose e le esperienze sono sempre così numerose che l'importante è acquisire un atteggiamento positivo.
Giovanni Soldini (Nel blu. Una storia di vita e di mare)
Lei, padre, ha conosciuto i tempi in cui le sorti dell'umanità erano ancora nelle mani di Dio. Ma io no, non ho conosciuto quei tempi, sono nato dopo, e mi sembrano lontani come un'era preistorica. Posso arrivare a rimpiangerli, ma che senso avrebbe? E come me, dopo di me, sono comparsi altri milioni di persone, in questo mondo che è cambiato così profondamente, che è diventato di colpo così precario, traballante. E lei non crede que alcune di queste persone, almeno alcune, non tutte, possano essere congenitamente un po' diverse, possano avere sviluppato qualcosa de profondamente simile a questo nuovo mondo, che prima di loro non era mai esistito? Non lo crede possibile?
Sandro Veronesi (Gli sfiorati)
Nella vita di ognuno esistono momenti - quando la porta sbattuta all'improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco <> che sembrava irrevocabile si muta in <> -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue. E' stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto del giudice, del dottore, del console, è stato riviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di <> prima di spedirci nel baratro.
Nina Berberova (Il giunco mormorante)
Io e Arthur usciamo dal parco della High Line tenendoci per mano. Dopo quella conversazione con Dylan avevo davvero bisogno che Arthur mi parlasse di come secondo lui Angelica Schuyler è della casa di Corvonero, o di quanto sarebbe spacciato il mondo della magia se Hamilton fosse non solo un Mangiamorte ma addirittura il braccio destro di Voldemort. Ma ogni cosa bella – come i baci che ci scambiamo mentre aspettiamo di attraversare la strada, o le nostre mani che si ritrovano di nuovo dopo che la folla ci ha separati – mi turba, perché penso che tutto questo finirà. Forse non funzionerà e non mi importerà che finisca. Ma non posso passare da A a B se prima non diventiamo A e B. Vivi momento per momento.
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
[...] lei era il centro di un diverso ordine e sistema di vita, e il contrasto tra questo mondo e il suo subito lo ristorava e lo rinvigoriva; e ne conseguiva una naturale differenza d’opinione, tale da fertilizzare di nuovo le idee in lui; e poterla vedere intenta a creare in un contesto diverso dal suo, rinvigoriva talmente la sua forza creativa, che impercettibilmente la sua mente sterile cominciava di nuovo a ideare...Ogni Johnson ha la sua Thrale, e si tiene stretto a lei per ragioni simili a queste, e quando la Thrale sposa il suo maestro di musica italiano, Johnson quasi impazzisce per la rabbia e il disgusto, non soltanto perché gli mancheranno le sue piacevoli serate a Streatham, ma perché la luce della sua vita sarà “come spenta [...]
Virginia Woolf (A Room of One's Own)
Non più dunque agli uomini mi rivolgo, ma a te Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi. Se è permesso a deboli creature perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo osar domandare qualcosa a te, a te che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di guardar con misericordia gli errori legati alla nostra natura. Che questi errori non generino le nostre sventure. Tu non ci hai dato un cuore perché noi ci odiassimo, né delle mani perché ci scannassimo. Fa che ci aiutiamo l’un l’altro a sopportare il fardello d’una esistenza penosa e passeggera. Che le piccole diversità tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue insufficienti, tra tutti i nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni ai nostri occhi così diverse l’una dall’altra, e così uguali davanti a te; che tutte le piccole sfumature che distinguono questi atomi chiamati uomini non siano segnali di odio e di persecuzione; che coloro i quali accendono ceri in pieno mezzogiorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro i quali coprono la veste loro di una tela bianca per dire che bisogna amarti non detestino coloro che dicono la stessa cosa portando un mantello di lana nera;che sia uguale adorarti in un gergo proveniente da una lingua morta, o in un gergo più nuovo; che coloro il cui abito è tinto di rosso o di violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo e che posseggono alcuni frammenti arrotondati di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò che essi chiamano grandezza e ricchezza, e che gli altri guardino a costoro senza invidia;perché tu sai che nulla vi è in queste cose vane, né che sia da invidiare né che possa inorgoglire. Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Che essi abbiano in orrore la tirannide esercitata sugli animi, così come esecrano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci però, non laceriamoci a vicenda quando regna la pace e impieghiamo l’istante della nostra esistenza per benedire ugualmente, in mille lingue diverse, dal Siam sino alla California, la tua bontà che questo istante ci ha dato
Voltaire (Trattato sulla tolleranza)
«Ma guarda se non è la mia persona preferita al mondo,» sento dire da Miranda alla mia sinistra, mentre si avvicina al tavolo per versarci dell’acqua nel bicchiere. La guardo, ma lei sta fissando Kyle, dall’altra parte del tavolo, che siede alla mia destra. Poi rivolge lo sguardo verso di me e mi fa l’occhiolino. «Oh, e ciao, Jane. È bello vederti.» Le sorrido, ma poi metto su un broncio finto. «Pensavo di essere io la tua persona preferita al mondo.» «No,» dice Miranda strascicando la voce mentre mette la mano libera sul fianco e agita la brocca d’acqua quasi vuota verso Kyle. «È lui ora la mia persona preferita, dopo la batosta epica che ha dato a Craig, l’altro giorno.» Stringo le labbra e le rivolgo un cenno accomodante. «È vero. È stato epico, e capisco che la tua lealtà sia cambiata.» Miranda ride e mi manda un bacio, poi allunga la mano a Kyle attraverso il tavolo. «Non siamo stati presentati ufficialmente, l’altro giorno, ma sono Miranda. La migliore amica di Jane, e beh, lei è davvero la mia persona preferita al mondo. Ma subito dopo ci sei tu.» Kyle sorride a Miranda, e devo ammettere che è un bel sorriso. Le stringe la mano e dice: «Mi sarebbe piaciuto dargliene di più, l’altro giorno, ma non volevo fare una scenata.» Miranda ride lasciandogli andare la mano e poi si sporge per versargli l’acqua. «Va bene, sei di nuovo il mio preferito. Jane dovrà accontentarsi della seconda posizione.» E con mia grande sorpresa, Kyle ridacchia ed è ancora più bello. Il suo volto cambia e i suoi occhi si illuminano. Adesso sembra avvicinabile, e devo resistere alla tentazione di chinarmi e baciarlo.
Sawyer Bennett (Finding Kyle)
Credevo che per Barney esistessi solo tu. Almeno questo è quello che dicono tutti. Senti, ambasciator non porta pena, ma secondo me non bisogna mai essere le ultime a sapere, e guarda che parlo per esperienza personale. Dorothy Weaver - tu non la conosci, ma non importa - lo ha visto mercoledì scorso al cocktail dei Johnson. E insomma, il tuo devoto maritino si era appiccicato ad una tizia. Le parlava fitto fitto, le sussurrava paroline all'orecchio. A un certo punto le ha persino massaggiato la schiena, e poi se ne sono andati insieme". "Non mi dici niente di nuovo". "Meno male, perchè l'ultima cosa al mondo che volevo era turbarti". "Vedi, il punto è che quella donna ero io. Usciti dai Johnson siamo andati al Ritz, abbiamo esagerato con lo champagne, e poi - ma guai se lo racconti in giro -, poi ho accettato di andare a casa con lui
Mordecai Richler (Barney's Version)
Bisogna stare attenti a un aspetto particolare del "riso di superiorità". Se non lo si tiene d'occhio, esso può assumere una funzione conservatrice, allearsi al conformismo più piatto e più bieco. Sta qui l'origine di un certo "comico" reazionario che si ride del nuovo, dell'insolito, dell'uomo che vuol volare come gli uccelli, delle donne che vogliono far politica, di chi non pensa come gli altri, non parla come gli altri, come vogliono le tradizioni e i regolamenti... Perché quel riso abbia una funziona positiva, bisogna che la sua freccia colpisca piuttosto le idee vecchie, la paura di cambiare, il bigottismo della norma. I "personaggi sbagliati" del tipo anticonformista, nelle nostre storie, devono avere successo. La loro "disobbedienza" alla natura, o alla norma, deve essere premiata. Il mondo, sono i disobbedienti che lo mandano avanti!
Gianni Rodari (The Grammar of Fantasy: An Introduction to the Art of Inventing Stories)
Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.
Antonio Tabucchi (Sostiene Pereira)
Impari lentamente, mio amato, ma impari. E ciò che si impara lentamente scende più nel profondo. Voi uomini e i vostri Dei! Vi beffate della Madre per la sua lentezza da lumaca, perché crea ciecamente al buio. Tuttavia quando create senza di Lei, in fretta e alla luce, create davvero ciecamente, dando forma, magari, alla morte di un mondo! Ebbene, avvelenate il mare e il cielo, l'aria che respirate, e persino la dolce pelle bruna del suo seno, che Essa vi ha sempre permesso di lacerare per darvi le messi. Uccidete e uccidete finché non rimane più niente se non ossa nude su una terra squallida e contaminata. La Madre è potente; Essa ha molti corpi, e il vostro mondo è solo uno di quelli. Nella Sua potenza Essa può tuttavia guarire le vostre ferite e far rifiorire la terra, sì: allevare voi uomini, anche se deve partorire di nuovo tutta la vostra razza. Perché una buona madre è paziente; sa che un bambino inciampa più volte prima d'imparare a camminare...
Evangeline Walton (Prince of Annwn (Mabinogion Tetralogy #1))
«…e Gesù mi ha fatto cadere qui, poi questa deliziosa fanciulla mi ha trovato per strada e mi ha portato…» «…scaricato…» corresse tra i denti Michele. «…in questo locale, ed ecco tutta la storia» terminò D. Grace inclinò la testa, come per studiarlo. «Dimostramelo.» «Gli stai anche dando corda?» domandò incredulo Michele. «Se è Dio, basta che me lo dimostri. Fai qualcosa di divino. Moltiplica birre e popcorn, resuscita il vecchio Giò che sta dormendo sul bancone…» «Sto riflettendo sul senso della vita» obiettò il succitato. «…ridai la vista ai ciechi» concluse Grace, indicando Michele. «Ehi, e questo cosa significherebbe?» «Ha ragione, figliolo» osservò il vecchio Giò. «Hai davanti agli occhi questo capolavoro della natura e non le hai ancora chiesto di venire a vedere la tua collezione di farfalle…» «Torna a dormire, tu!» sbraitò Michele. «Sto riflettendo sul senso dell’eterosessualità» gli rispose tranquillo l’altro. D sospirò, poi scosse la testa. «Non posso, il patto prevede che io non riprenda i miei poteri fino alla fine del trentatreesimo giorno.» «E dopo tuo figlio ti aiuterà a scatenare l’Apocalisse per tener fede al patto precedente coi Maya…» riassunse Grace. «Esattamente!» «Esattamente un cavolo!» Grace si portò la mano alla bocca, sconvolta dalla sua stessa volgarità. C’erano poche cose in grado di farla arrabbiare, ma l’Apocalisse era certamente una di quelle. «Scusa, ma non puoi farlo» riprese più calma. «Non puoi annientare così d’un colpo tutte queste vite animali e vegetali e vie di mezzo», indicò di nuovo Michele. «Sei licenziata!» esplose lui. «Per farlo, prima dovresti assumermi» scacciò l’obiezione con la mano. «Mi fa piacere che qualcuno si sia finalmente accorto che non l’ho mai fatto…» «Non puoi far finire tutto in questo modo solo per dar retta a uomini vissuti secoli fa, con un ego così immenso da pretendere di poter predire la fine del mondo! E il lavoro che ci hai messo per crearlo?» gli rinfacciò Grace. «L’opinione comune è che gli ci siano voluti solo sei giorni…» obiettò il vecchio Giò. «Torna a dormire, tu!» «Sto riflettendo sul senso di assecondare uno che si crede Dio.»
Mirya (Trentatré)
Un altro giorno stava per incominciare. Un altro giorno che si sarebbe spento in un’altra notte. La sua vita era un susseguirsi inutile di secondi, minuti e ore senza luce. Non c’era più luce in lui, né fuori di lui. Forse non era più neppure un essere umano. Forse era diventato una bestia. Sì, doveva essere così, almeno a giudicare dai peli che gli coprivano il volto e dai ringhi e grugniti con i quali ormai si esprimeva nella vana speranza di tener lontano il mondo. Ray predatore Raider fece per alzarsi dal divano che era diventato la sua zattera di salvataggio, ma ricadde pesantemente sui cuscini lasciando andare un sospiro disperato. Il male al ginocchio, da quando aveva interrotto gli antidolorifici, era insopportabile, ma almeno gli permetteva di rimanere lucido e di non dimenticare. Bussavano alla porta, ecco perché si era svegliato dal suo torpore. Anne, probabilmente, e la sua mania di portargli da mangiare quando lui avrebbe voluto solo bere. Si sdraiò di nuovo sul divano e si coprì la testa con un cuscino. Avrebbe finto di dormire, sì, e Anne se ne sarebbe andata.
Viviana Giorgi (E infine la Bestia incontrò Bella)
Resta strano e quasi inesplicabile il fatto che nella città di Atene, dove le donne erano tenute in reclusione quasi orientale, come odalische o serve, il teatro abbia ugualmente prodotto figure come Clitemnestra e Cassandra, Atossa e Antigone, Fedra e Medea, e tutte le altre eroine che dominano i drammi del "misogino" Euripide. Ma il paradosso di questo mondo, in cui nella vita reale una donna rispettabile non poteva quasi farsi vedere sola per strada, e tuttavia sulla scena, la donna uguaglia e supera l'uomo, non è stato mai spiegato in modo soddisfacente. Nella tragedia moderna esiste lo stesso prodominio. Ad ogni modo, una scorsa all'opera di Shakespeare (e anche a quella di Webster, ma non di Marlowe o Jonson) basta a dimostrare che questo preodominio, questa iniziativa delle donne, persiste da Rosalind a Lady Macbeth. E' così anche in Racine; se delle sue tragedia portano il nome dell'eroina; e quale dei suoi personaggi maschili possiamo contrapporre ad Ermione e ad Andromaca, a Berenice e a Rossana, a Fedra e ad Atalia? Così di nuovo con Ibsen, quale uomo possiamo paragonare a Solveig e Nora, Hedda e Hilda Wangel e Rebecca West?
F.L. Lucas (Greek Tragedy and Comedy)
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall'ultimo modello d'apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d'ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo i tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose di ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurit à. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arrestrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste s'inalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermantazioni e combustioni. E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé le montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano. Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle altre città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.
Italo Calvino (Invisible Cities)
Quando eravamo vivi ci dicevano che, una volta morti, saremmo andati in cielo. E dicevano che questo cielo era un luogo di gaudio e gloria celeste, dove saremmo rimasti in eterno in compagnia di santi e angeli che lodano l'Onnipotente, in stato di beatitudine. Questo dicevano. Ed è questo che ha indotto alcuni di noi a dare la vita, e altri a passare anni in preghiera solitaria, mentre tutte le gioie dell'esistenza si sprecavano attorno a noi senza che noi le conoscessimo. Ma la terra della morte non è un luogo di premio o un luogo di castigo. E' il luogo del nulla. Accoglie tanto i buoni quanto i malvagi, e tutti languiamo per sempre in questa penombra, senza speranza di libertà, o di gioia, o di sonno, o di riposo, o di pace. Ma ora questa ragazzina è venuta a offrirci una via d'uscita, e io la seguirò. Anche se ciò significasse l'oblio, amici, lo accoglierò a braccia aperte, perchè non sarà comunque il nulla; saremo di nuovo vivi in migliaia di steli d'erba, in milioni di foglie, cadremo con le gocce di pioggia e spireremo nella fresca brezza, scintilleremo nella rugiada sotto le stelle e la luna fuori di qui, nel mondo fisico che è la nostra casa come sempre fu.
Philip Pullman (The Amber Spyglass (His Dark Materials, #3))
Chi fui? Che senso ebbe la mia presenza in un tempo che questo film rievoca ormai così tristemente fuori tempo? Non posso farlo ora, ma devo prima o poi sviscerarlo fino in fondo, fino a un definitivo sollievo... Lo so: ero appena partorito a un mondo dove la dedizione d’un adolescente – buono come sua madre, improvvido e animoso, mostruosamente timido, e ignaro d’ogni altra omertà che non fosse ideale – era avvilente segno di scandalo, santità ridicola. Ed era destinata a farsi vizio: ché marcisce l’età la mitezza, e fa, dell’accorato dono di sé, ossessione. E se ho trovato di nuovo un’accorata purezza nell’amare il mondo, il mio non è che amore, nudo amore, senza futuro. Troppo perduto nel brusio del mondo, troppo cosparso dell’amaro di un pur triste, chapliniano riso... È resa. Umile ebbrezza del contemplare, partecipe, sviscerato – e inattivo. Umile riscoperta d’un allegro restare degli altri uomini al male: il reale, vissuto da loro in un empireo di luoghi miseri, ridenti, sulle rive di gai torrenti, sui gioghi di monti luminosi, sulle terre oppresse dall’antica fame... È senso della grandezza, questo senso che mi strugge sui minimi atti di ogni nostro giorno: riconoscenza per questo loro riapparire intatti a me sopravvissuto, e pieno ancora di stantio pianto...
Pier Paolo Pasolini (La religione del mio tempo)
L'iniziazione comporta che si faccia il vuoto, mentre la tensione cresce. Alla fine anche un granello si sabbia provoca dolore: cade come sulla pelle tesa di un tamburo. La casa viene imbiancata. Là dove il nuovo sopraggiunge deve esserci il vuoto. Anche il sepolcro viene imbiancato. Morire fa parte dell'iniziazione. È la crisi che precede la trasformazione. Un'approfondita analisi di essa da un punto di vista spirituale e morale conduce soltanto fino all'antisala: bisogna viverla. La morte deve essere attraversata, deve aver consacrato la casa. Il ciclone che si annuncia attraverso una crescente depressione non può essere evitato, né di fatto, né su un piano morale e intellettuale - non importa se si tratti di disgrazia personale o cosmica, ovvero della fine del mondo. Solo così è possibile superare entrambe. La strada da percorrere conduce al di là del punto zero, conduce oltre la linea, oltre il muro del tempo, e attraverso di esso. Nella crisi scompaiono le dimensioni; un'altra illusione ottica. La prossimità della morte modifica spazio e tempo. Anche nella cella spoglia della Tebaide, nella capanna nordica, refugium per la meditazione, nella tenda, circondata dalla gelida tormenta che ulula nella tundra, può prendere voce la formula dell'estremo svuotamento: «Dio è morto».
Ernst Jünger (Al muro del tempo)
Statemi a sentire: il lunedì fa schifo perchè sei arrabbiato per non aver potuto dormire fino a tardi, inoltre è anche il giorno in cui avviene il sessanta per cento delle riunioni che ti rovinano la vita. Il martedì fa schifo perchè ci sono ancora quattro giorni lavorativi da superare; odi te stesso e il mondo perchè sei intrappolato nella ruota per criceti chiamata vita, schiavo della paga. Il mercoledì è terribile perchè ti rendi conto, verso mezzogiorno, che è finita metà della settimana lavorativa ma il fatto che tu veda la vita in questo modo significa che non sei nient'altro che la terza vignetta di quel vecchio fumetto che non faceva ridere, Cathy, quella in cui lei si rende conto di essere una grassa zitella solitaria e le si drizzano i capelli in testa e fa un grido tipo aughhhhhh! Il venerdì è terribile perchè ti senti come un topolino da laboratorio che aspetta che il cibo venga messo nella sua gabbia, e in questo caso il cibo è il weekend. Il sabato va bene ma appena bene. E la domenica, come ho già detto, è la giornata dimenticata dal tempo, in cui non succede niente e ti ritrovi, perversamente, a desiderare che sia di nuovo lunedì. Per cui, il massimo sarebbe una settimana fatta di giovedì. Tutti sono di buonumore, la gente fa davvero quello che deve e un luccichio di sabato rende tutto più brillante.
Douglas Coupland (JPod)
Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive. Quelle come me donano l’anima, perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto. Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio di cadere a loro volta. Quelle come me guardano avanti, anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro. Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano, tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo. Quelle come me quando amano, amano per sempre. e quando smettono d’amare è solo perché piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita. Quelle come me inseguono un sogno quello di essere amate per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe fossero. Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai, sono caduti nel dimenticatoio dell’anima. Quelle come me vorrebbero cambiare, ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo. Quelle come me urlano in silenzio, perché la loro voce non si confonda con le lacrime. Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore, perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla. Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio, non riceveranno altro che briciole. Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso, purtroppo, fondano la loro esistenza. Quelle come me......................
Alda Merini (Alda Merini: Selected Poetry)
Sembra che nel libro “La mia religione”, Tolstoj insinui che si sarà accanto ad una violenta rivoluzione una rivoluzione intima e segreta nell'intimo delle persone, da cui verrà fuori una nuova religione o piuttosto qualcosa di completamente nuovo che non avrà un nome definito e pure avrà lo stesso effetto, di consolare e di rendere la vita possibile, il che spettava in altri tempi alla religione cristiana. [...] Come ci si arriverà? Sarebbe straordinario poterlo già predire; ma è certo preferibile avere simili intuizioni che vedere nell'avvenire nient'altro che catastrofi; anche se queste, tuttavia, potranno abbattersi come terribili fulmini sul mondo moderno e sulla civiltà, traverso una rivoluzione, una guerra o la bancarotta degli stati in disfacimento. Se studiamo l'arte giapponese, ci troviamo di fronte a persone incontestabilmente sagge, amanti della filosofia e intelligenti, le quali trascorrono il loro tempo non a calcolare la distanza dalla terra alla luna, né a definire la politica di Bismark, ma a compiere studi su di un sol filo di erba. Ma questo filo di erba li porta poi a disegnare tutte le piante e quindi le stagioni, le grandi linee del paesaggio, gli animali e infine la figura umana. Così trascorre la sua vita l'artista giapponese e la vita gli sembra troppo breve per riuscire a fare tutto. Quel che ci insegnano questi giapponesi tanto semplici e che vivono nella natura come se essi fossero dei fiori, ha molto di una vera religione. E non si potrebbe, mi sembra, studiare l'arte giapponese senza diventare molto più gai e più felici. Occorre rifarci alla natura a dispetto della nostra educazione e del nostro lavoro impostato in un mondo di convenzioni.
Vincent van Gogh (Dear Theo)
«Quello era un bacio» dico lentamente. «Senza dubbio.» «Immagino che adesso la pressione sia calata, giusto? Non ti devi più preoccupare di rendere perfetto il primo bacio» dico. «È stato perfetto.» «Sicuro di non volere una replica?» chiede lui, sorridendo fino agli occhi. «Secondo primo bacio?» «Non mi dispiacerebbe.» Lui ride, le sue mani scendono sulla mia vita. Ed ecco che ci stiamo baciando di nuovo, con la stessa sorprendente vicinanza. I miei occhi si chiudono lentamente. E l’intero mondo si restringe. Non saprei in che altro modo descriverlo. È come se non fossi in una strada, non a New York, non è luglio e niente di tutto questo importa. Non esiste nient’altro che le mani di Ben sulla mia schiena e le sue labbra sulle mie labbra e i miei polpastrelli e i suoi zigomi e il mio cuore che batte fortissimo. Non sapevo che i baci avessero un ritmo, dietro labbra schiacciate le une sulle altre. Non ci avevo mai neanche pensato, ma lo sento come fosse un giro di basso, regolare e incalzante allo stesso tempo. Ben mi tira ancora più vicino a sé, non c’è più neanche un centimetro tra noi e questa volta non mi preoccupo di erezioni, perché se ci sono regole su quello che sta accadendo decisamente le sta violando anche lui. Lo bacio ancora più forte. Lui geme piano. E tutto a un tratto mi sento come se non avessi alcun limite, come potessi fare qualunque cosa. Potrei fermare il tempo, sollevare un’automobile, o infilargli la lingua tra le labbra. «Non sei male a baciare» dice lui. «Davvero?» «Nel senso, decisamente dobbiamo continuare a esercitarci. C’è sempre spazio per i miglioramenti.» Lo sento sorridere contro le mie labbra. Sorrido a mia volta. «Infinite repliche.» «Mi piace» dice lui. «È da noi»
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
È facile giudicare, per i lettori, guardando dal loro angolino tranquillo e dalla cima del quale si apre l’orizzonte su quello che succede in basso, dove all’uomo si rivela solo l’oggetto vicino. E in tutta la storia universale dell’umanità ci sono interi secoli che sembra siano da cancellare e da distruggere perché inutili. Sono stati fatti, al mondo, molti errori che, probabilmente, oggi non farebbe neanche un bambino. Che strade curve, cieche, strette, impraticabili, laterali, ha imboccato l’umanità nello sforzo di raggiungere l’eterna verità, quando davanti a sé aveva, aperta, una via dritta, la retta via, che portava alle splendide stanze destinate allo zar nella sua reggia. Più larga e migliore di tutte le altre vie, rischiarata dal sole e illuminata dai fuochi tutta la notte, e gli uomini passano di fianco a lei nell’oscurità cieca. E quante volte già, guidati da un segno che viene dal cielo, sono stati ancora capaci di scostarsi e smarrirsi da un lato, sono stati capaci dal bianco del giorno di finire di nuovo in un impraticabile buco, sono stati capaci di gettarsi ancora polvere negli occhi a vicenda e, trascinandosi oltre i fuochi fatui, sono stati capaci di arrivare perfino sul limitar del burrone, per poi con orrore chiedersi: dov’è l’uscita, dov’è la strada? Adesso la generazione presente vede tutto con chiarezza, si meraviglia degli errori, ride dell’irragionevolezza dei suoi antenati, senza vedere che questa cronaca è tracciata da una fiamma celeste, che ogni sua lettera grida, che da ogni riga un dito accusatore è puntato su di lei, sulla generazione presente: ma ride, la generazione presente, e, presuntuosa, orgogliosamente comincia una serie di nuovi errori, sui quali allo stesso modo rideranno poi i posteri.
Nikolai Gogol (Dead Souls)
«Che cosa è l'amore?», disse Melmoth, «è questa la domanda? voi dubitate del mio amore», rispose Isidora; «ditemi allora, che cosa è Mi affidate un compito», disse Melmoth, sorridendo senza allegria, «cosi affine ai miei sentimenti e ai miei pensieri abituali, che lo svolgerò di certo in modo ineguagliabile. Amare, bella Isidora, è vivere in un mondo creato dal cuore, nel quale le forme e i colori sono lucenti quanto ingannevoli e irreali Per quelli che amano non c'è né giorno ne notte, né estate né inverno, né compagnia né solitudine. La loro deliziosa ma illusoria esistenza non ha che due momenti, cosi segnati nel calendario del cuore: presenza e assenza. Essi ostituiscono tutte le distinzioni della natura e della società. Il mondo per loro non contiene che un solo individuo, e quell'individuo è per loro il mondo intero e il suo unico abitante. L'atmosfera della sua presenza è la sola in cui possano respirare, e la luce dei suoi occhi è l'unico sole della loro creazione Allora io amo», disse Isidora dentro di sé Amare», continuò Melmoth, «è vivere un'esistenza piena di contraddi zioni, sentire che l'assenza è insopportabile, e soffrire quasi altrettanto in presenza dell'oggetto amato; avere mille pensieri quando siamo lontani da lui, immaginare come sarà bello confessarglieli, e quando viene il momento atteso sentire, per una timidezza opprimente e inspiegabile, che siamo inca paci di esprimerne anche uno soltanto; essere eloquenti in sua assenza e muti n sua presenza; attendere l'ora del suo ritorno come l'alba di una nuova esistenza, e quando arriva sentirsi privi delle facoltà alle quali doveva dare nuovo vigore; desiderare la luce dei suoi occhi come il viandante del deserto attende il levar del sole, e quando sorge abbagliante sul nostro mondo rinato essere sopraffatti dalla luce intollerabile e quasi desiderare che sia di nuovo notte... questo è amare».
Charles Robert Maturin
Naturalmente questa invasione della campagna creò da principio complessi problemi di organizzazione, che avrebbero portato a un'enorme miseria, se il popolo fosse stato ancora schiavo del monopolio di classe. Ma così come stavano le cose, la situazione si assestò presto da sola. Una per una le persone scoprirono quali erano i loro interessi e rinunciarono a imporsi occupazioni in cui non avrebbero assolutamente potuto riuscire. È vero che la città invase la campagna, ma gli invasori, come gli antichi guerrieri, si lasciarono influenzare dal nuovo ambiente e si trasformarono in agricoltori; diventando poi più numerosi dei cittadini, a loro volta finirono per influenzare anche questi ultimi; così la differenza fra campagna e città si attenuò sempre di più. E fu proprio questo mondo agricolo, vivificato dal pensiero e dall'attività della gente di città, che permise il sorgere di questa vita serena, agiata ma produttiva, di cui voi stesso avete avuto una prima esperienza. Come vi ripeto, abbiamo compiuto molti errori, ma col tempo siamo riusciti a correggerli. Ai tempi della mia infanzia la gente doveva ancora lavorare parecchio. Le idee mature della prima metà del secolo XX, quando gli uomini erano ancora ossessionati dal terrore della miseria e non sapevano apprezzare, come noi oggi, i piaceri della vita di tutti i giorni, distrussero molte delle bellezze ambientali che ci erano state lasciate dall'epoca del commercio; e devo ammettere che gli uomini si risollevarono solo molto lentamente dai danni che essi stessi si erano procurati, anche dopo aver conquistato la libertà. Ma per quanto lentamente, la guarigione venne, doveva venire; e più ci conoscerete, più vi accorgerete di quanto noi oggi siamo felici: viviamo circondati dalla bellezza senza alcun timore di diventare rammolliti, siamo sempre impegnatissimi e la cosa ci riempie di gioia. Che cosa si potrebbe domandare di più dalla vita?
William Morris (News from Nowhere)
Meravigliosa fu in realtà la mia vita, pensava, meravigliose vie ha seguito. Ragazzo, non ho avuto a che fare se non con dei e sacrifici. Giovane, non ho avuto a che fare se non con ascesi, meditazione e contemplazione, sempre in cerca di Brahma, sempre intento a venerare l'eterno nello Atman. Ma quando fui giovanotto mi riunii ai penitenti, vissi nella foresta, soffersi il caldo e il gelo, appresi a sopportare la fame, appresi a far morire il mio corpo. Meravigliosa mi giunse allora la rivelazione attraverso la dottrina del grande Buddha, e sentii la conoscenza dell'unità del mondo circolare in me come il mio stesso sangue. Ma anche da Buddha e dalla grande conoscenza mi dovetti staccare. Me n'andai, e appresi da Kamala la gioia d'amore, appresi da Kamaswami il commercio, accumulai denaro, dissipai denaro, appresi ad amare il mio stomaco, a lusingare i miei sensi. Molti anni dovetti impiegare per perdere lo spirito, disapprendere il pensiero, dimenticare l'unità. Non è forse come se lentamente e per grandi traviamenti io mi fossi rifatto, d'uomo, bambino, di saggio che ero, un uomo puerile? Eppure è stata buona questa via, e l'usignolo non è ancor morto nel mio petto. Ma che via fu questa! Son dovuto passare attraverso tanta sciocchezza, tanta bruttura, tanto errore, tanto disgusto e delusione e dolore, solo per ridiventare bambino e poter ricominciare da capo. Ma è stato giusto, il mio cuore lo approva, gli occhi miei ne ridono. Ho dovuto provare la disperazione, ho dovuto abbassarmi fino al più stolto di tutti i pensieri, al pensiero del suicidio, per poter rivivere la grazia, per riapprendere l'Om, per poter di nuovo dormire tranquillo e risvegliarmi sereno. Ho dovuto essere un pazzo, per sentire di nuovo l'Atman. Ho dovuto peccare per poter rivivere. Dove può ancora condurmi il mio cammino? Stolto è questo cammino, va strisciando obliquamente, forse va in cerchio. Ma vada come vuole, io son contento di seguirlo.
Hermann Hesse (Siddhartha)
«Siete fortunati che non mi va di menarvi davanti a mio figlio.» Arthur cerca di trascinarmi via e io indietreggio solo perché lui mi sta implorando e mi chiama con voce strozzata; sta piangendo e probabilmente ha più paura di quel bambino di cinque anni. Un tizio con una borsa da palestra si piazza davanti all’uomo e gli dice di andare per la sua strada, che è finita. Se non che non è finita, perché io e Arthur quello che è successo ce lo porteremo dietro. Scendiamo alla fermata successiva e Arthur scoppia a piangere. Lo prendo per le spalle, come mi ha chiesto di fare Dylan quando gli vengono gli attacchi di panico, ma Arthur mi scrolla via e si guarda intorno sulla banchina. «Pensavo che a New York non ci fossero problemi con...» Fa un respiro profondo e si asciuga le lacrime sulle guance. «Locali gay, gay pride, coppie dello stesso sesso che si tengono per mano. Che diavolo. Pensavo che New York fosse tollerante.» «Per lo più lo è, credo. Ma ogni città ha la sua percentuale di stronzi.» Vorrei abbracciarlo, ma in questo momento non vuole essere toccato. Come se ogni gesto d’affetto potesse trasformarsi in un bersaglio appeso alle nostre schiene. Come se potessimo essere puniti perché i nostri cuori sono diversi. «Stai bene?» «No. Non ero mai stato minacciato. E ho avuto tanta paura per te. Perché non te ne sei stato zitto?» Avrei dovuto. Non avrei dovuto mettere in pericolo Arthur solo perché volevo difendere noi e tutti quelli come noi. «Mi dispiace. Ho avuto paura anch’io.» Rimaniamo lì per qualche minuto e quando arriva il treno successivo, Arthur non vuole salirci. È lo stesso con il treno dopo ancora. Quando arriva il terzo treno si è ripreso, per quanto umanamente possibile, e accetta di salirci solo perché è così affollato che ci sarà più gente a proteggerci se dovesse succedere di nuovo qualcosa. Non mi piace che lo stesso mondo che ci ha fatto incontrare lo stia anche spaventando. «Non ti lascio solo finché non sarai a casa» dico. Arthur si guarda intorno e poi solleva su di me i suoi stanchi occhi azzurri. La sua mano si allaccia alla mia e non lascia la presa per tutto il viaggio
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
Meno male che ho letto solo in seguito i suoi quaderni. Lì c’erano pagine e pagine su quel giorno e quella notte con Nino, e ciò che quelle pagine dicevano era esattamente ciò che io non avevo da dire. Lila non scriveva nemmeno una parola che raccontasse di piaceri sessuali, nulla che potesse essere utile per accostare la sua esperienza alla mia. Parlava invece d’amore e lo faceva in modo sorprendente. Diceva che dal giorno del matrimonio fino a quei giorni di Ischia era stata, senza accorgersene, sul punto di morire. Descriveva minutamente una sensazione di morte imminente: calo di energia, sonnolenza, una forte pressione al centro della testa, come se tra cervello e ossa del cranio ci fosse una bolla d’aria in continua espansione, l’impressione che tutto si muovesse in fretta per andarsene, che la velocità di ogni movimento di persone e cose fosse eccessiva e la urtasse, la ferisse, le causasse dolori fisici nella pancia come dentro gli occhi. Diceva che tutto questo si accompagnava a un ottundimento dei sensi, come se l’avessero avvolta nell’ovatta e le sue ferite non le venissero dal mondo reale ma da un’intercapedine tra il suo corpo e la massa di cotone idrofilo dentro cui si sentiva imballata. Ammetteva d’altra parte che la morte le pareva così assodata da toglierle il rispetto per qualsiasi cosa, innanzitutto per se stessa, come se niente più contasse e tutto meritasse di essere guastato. A volte era dominata dalla furia di esprimersi senza nessuna mediazione: esprimersi per l’ultima volta, prima di diventare come Melina, prima di attraversare lo stradone proprio mentre sopraggiungeva un camion, ed essere urtata, trascinata via. Nino aveva cambiato quello stato, l’aveva strappata alla morte. E lo aveva fatto già quando a casa della Galiani l’aveva invitata a ballare e lei aveva rifiutato, atterrita da quell’offerta di salvezza. Poi a Ischia, giorno dopo giorno, lui aveva assunto la potenza del soccorritore. Le aveva restituito la capacità di sentire. Le aveva soprattutto resuscitato il senso di sé. Sì, resuscitato. Righe e righe e righe avevano al centro il concetto di resurrezione: un estatico levarsi, la fine di ogni vincolo e tuttavia il piacere indicibile di un nuovo vincolo, un risorgere che era anche un insorgere: lui e lei, lei e lui insieme che reimparavano la vita, ne esiliavano il veleno, la reinventavano come pura gioia del pensare e del vivere.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna. Ma cos'e' la donna? E' semplicissimo – dice chi ama le formule semplici: è una matrice, un’ovaia; è una femmina: ciò basta a definirla. In bocca all’uomo, la parola “femmina” suona come un insulto; eppure l’uomo non si vergogna della propria animalità, anzi è orgoglioso se si dice di lui: “E’ un maschio!” Ora la donna è sempre stata, se non la schiava, la suddita dell’uomo; i due sessi non si sono mai divisi il mondo in parti uguali e ancora oggi, nonostante che la condizione della donna si sia evoluta, la donna è gravemente handicappata. Economicamente gli uomini e le donne costituiscono quasi due caste (due gabbie salariali si direbbe oggi); a parità di condizioni i primi hanno situazioni più favorevoli, salari più elevati, maggiori probabilità di riuscita. Nulla di nuovo si dice quando si afferma che gli uomini occupano nell’industria, nella politica, nell’economia, un numero assai più grande di posti e detengono le cariche più importanti. L’uomo può pensarsi senza la donna: lei non può pensarsi senza l’uomo. Lei è soltanto ciò che l’uomo decide che sia; così viene qualificata “il sesso”, intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. L'uomo è definito come un essere umano e una donna come una femmina - ogni volta che si comporta come un essere umano si dice che imiti il ​​maschio. Le donne vivono disperse in mezzo agli uomini, legate ad alcuni uomini – padre o marito – più strettamente che alle altre donne; e ciò per i vincoli creati dalla casa, dal lavoro, dagli interessi economici, dalla condizione sociale. C’è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne con il rispetto di cui si circondano le madri. È un paradosso criminale negare alla donna ogni attività pubblica, precluderle la carriera maschile, proclamare la sua incapacità in tutti i campi, e affidarle l’impresa più delicata e più grave: la formazione di un essere umano. Finché la famiglia e il mito della famiglia e il mito della maternità e l'istinto materno non saranno soppressi, le donne saranno oppresse.
Simone de Beauvoir (Le deuxième sexe, I)
A ogni passo del suo cammino Siddharta imparava qualcosa di nuovo, poiché il mondo era trasformato e il suo cuore ammaliato. Vedeva il sole sorgere sopra i monti boscosi e tramontare oltre le lontane spiagge popolate di palme. Di notte vedeva ordinarsi in cielo le stelle, e la falce della luna galleggiare come una nave nell'azzurro. Vedeva alberi, stelle, animali, nuvole, arcobaleni, rocce, erbe, fiori, ruscelli e fiumi; vedeva la rugiada luccicare nei cespugli al mattino, alti monti azzurri e diafani nella lontananza; gli uccelli cantavano e le api ronzavano, il vento vibrava argentino nelle risaie. Tutto questo era sempre esistito nei suoi mille aspetti variopinti, sempre erano sorti il sole e la luna, sempre avevano scrosciato i torrenti e ronzato le api, ma nel passato tutto ciò non era stato per Siddharta che un velo effimero e menzognero calato davanti ai suoi occhi, considerato con diffidenza e destinato a essere trapassato e dissolto dal pensiero, poiché non era realtà: la realtà era al di là delle cose visibili. Ma ora il suo occhio liberato s'indugiava al di qua, vedeva e riconosceva le cose visibili, cercava la sua patria in questo mondo, non cercava la " Realtà ", né aspirava ad alcun al di là. Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andar così per il mondo e sentirsi cosi bambino, così risvegliato, così aperto all'immediatezza delle cose, così fiducioso. Diverso era ora l'ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l'acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia. Siddharta vedeva un popolo di scimmie agitarsi su tra i rami nell'alta volta del bosco e ne udiva lo strepito selvaggio e ingordo. Siddharta vedeva un montone inseguire una pecora e congiungersi con lei. Tra le canne di una palude vedeva il luccio cacciare affannato verso sera: davanti a lui i pesciolini sciamavano a frotte rapidamente, guizzando e balenando fuor d'acqua impauriti; un'incalzante e appassionata energia si sprigionava dai cerchi precipitosi che l'impetuoso cacciatore tracciava nell'acqua. Tutto ciò era sempre stato, ed egli non l'aveva mai visto: non vi aveva partecipato. Ma ora sì, vi partecipava e vi apparteneva. Luce e ombra attraversavano la sua vista, le stelle e la luna gli attraversavano il cuore.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Considerare il diavolo un partigiano del Male e l'angelo un combattente del Bene significa accettare la demagogia degli angeli. La faccenda, in realtà, è più complessa. Gli angeli sono partigiani non del Bene, ma della creazione divina. Il diavolo, invece, è colui che nega al mondo divino un senso razionale. Come si sa, angeli e demoni si spartiscono il dominio del mondo. Tuttavia, per il bene del mondo non occorre che gli angeli abbiano il sopravvento sui demoni (come credevo quando ero bambino), ma che i poteri degli uni e degli altri siano all'incirca in equilibrio. Se nel mondo c'è un eccesso di senso incontestabile (dominio degli angeli), l'uomo soccombe sotto il suo peso. Se il mondo perde tutto il suo senso (dominio dei demoni), è altrettanto impossibile vivere. Le cose che vengono private di colpo del loro senso presunto, del posto assegnato loro nel preteso ordine delle cose (un marxista formatosi a Mosca che crede agli oroscopi), provocano in noi il riso. All'origine, il riso appartiene dunque al diavolo. Vi è in esso qualcosa di malvagio (le cose si rivelano di colpo diverse da come volevano farci credere di essere), ma anche una parte di benefico sollievo (le cose sono più leggere di come apparivano, ci lasciano vivere più liberamente, smettono di opprimerci con la loro austera serietà). Quando l'angelo udì per la prima volta il riso del maligno, restò sbalordito. Accadde durante un banchetto, la sala era gremita e i presenti durino conquistati uno dopo l'altro dal riso del diavolo, che era contagioso. L'angelo capiva benissimo che quel riso era diretto contro Dio e contro la dignità della sua opera. Sapeva di dover reagire subito, in un modo o nell'altro, ma si sentiva debole e inerme. Non riuscendo a inventare niente di nuovo, scimmiottò il suo rivale. Aperta la bocca, emise un suono intermittente, spezzato, alle frequenze più alte del suo registro vocale [...], ma dandogli un significato opposto: Mentre il riso del diavolo alludeva all'assurdità delle cose, l'angelo, col suo grido, voleva rallegrarsi che tutto, quaggiù, fosse ordinato con ragione, ben concepito, bello, buono e pieno di senso. Così l'angelo e il diavolo si fronteggiavano e, mostrandosi l'un l'altro la bocca spalancata, emettevano all'incirca lo stesso suono, ma ciascuno esprimeva col suo clamore cose radicalmente opposte. E il diavolo guardava l'angelo ridere e rideva ancora di più, ancora meglio e con più gusto, perché l'angelo che rideva era infinitamente comico. Un riso ridicolo è un fallimento. Ciò non toglie che gli angeli abbiano ottenuto comunque un risultato. Ci hanno ingannati tutti con un'impostura semantica. Per indicare sia la loro imitazione del riso, sia il riso originale (quello del diavolo), c'è una parola sola. Ormai non ci rendiamo nemmeno più conto che la stessa manifestazione esteriore nascoste due atteggiamenti interiori assolutamente opposti. Esistono due tipi di riso e noi non abbiamo parole per distinguerli l'un l'altro.
Milan Kundera (The Book of Laughter and Forgetting)
Leggendo, diluisco la mia storia in quelle degli autori, semino le mie angosce nell’emozione degli intrighi. Mi smarrisco, scordo me stessa. ========== Era un giorno come gli altri. Contrariamente a quanto ci fanno credere i romanzi d’amore, i grandi eventi non avvengono nel bel mezzo di momenti particolari. Non sono la lunga pausa di una giornata o di una notte che li stavano preparando, pronte ad accoglierli. Spesso sorgono nello spazio della banalità quotidiana, ed è proprio per questo che sembrano ancora più belli. Perché ci strappano alla nostra routine, rompono la piattezza dell’esistenza, conferiscono un sapore nuovo ai momenti in arrivo, ci risvegliano i sensi e ci danno la sensazione di essere finalmente vivi. Eppure ogni fatto eccezionale, che si tratti di un colpo di fulmine, di una nascita, di un bell’incontro o della lettura di qualcosa di bello, ci fa talvolta pensare che tutto ciò che l’ha preceduto esistesse solo per portarci a lui; così che, sotto la forma di un perfido revisionismo, ridipingiamo le scene di quegli avvenimenti con i colori e la luce che proprio essi ci hanno rivelato. Quel giorno non si annunciava quindi né più bello, né più scialbo dei precedenti: eppure stavo per vivere l’incontro più importante della mia esistenza. ========== All’amore non interessano le ragioni della sua esistenza. L’amore è un sentimento totalitario: non accetta alcuna contraddizione, contestazione o controversia. Vi chiede di piegarvi alla sua legge, di classificare le vostre facoltà intellettuali dietro immagini dai colori pastello. Pretende la vostra sottomissione e vi promette, in cambio, la gioia dell’irresponsabilità. A quel punto, ogni giornata era una promessa. Quella di rivederla, incontrarla, parlarle, conquistarla, amarla. E, anche se ignoravo le mie possibilità di successo, la speranza era già fonte di felicità. ========== Avevamo l’ingenuità di credere che sentimenti belli e puri potessero annullare la frontiera tra sogno e realtà. Un po’ come un lettore finisce per credere che i personaggi del suo romanzo esistano per davvero. Perché non può essere altrimenti. Perché, in caso contrario, il mondo diventerebbe un insulto alla loro sensibilità. ========== «Non volevo che lo lasciasse qui e si accontentasse di venire a leggere qualche pagina ogni settimana. Volevo che creasse un rapporto d’intimità con il tuo romanzo, che se lo portasse a casa affinché si impossessasse del suo universo. Perché è comunque così che deve essere letto un romanzo. Deve occupare un posto nella vita del lettore, fare conoscenza con i mobili, riempirsi degli odori di una casa, passare di stanza in stanza. Insomma, è ciò che credo.» ========== Un amico si riconosce dalla forza silenziosa del suo ascolto, un ascolto che raccoglie le vostre confidenze e vi alleggerisce delle parole di cui vi siete liberati. Sono poche le persone dotate di questa facoltà. Di solito la gente inquina le vostre parole con i propri sentimenti e pareri. Con gli sguardi e il respiro indebolisce i vostri discorsi e li giudica non appena vengono espressi; alla fine, vi ritrovate a passare dalla confessione alla giustificazione. ========== Le parole sporcano tutto ciò che l’anima ha cercato di elevare sopra la nostra condizione di mortali. Riducono le emozioni, limitano l’anima alle possibilità che abbiamo di esprimerci.
Thierry Cohen (Ti ho incontrata in un sogno)
Io intendo il significato di un libro se il libro stesso scompare di vista, mangiato vivo, digerito e incorporato nel sistema come carne e sangue che a sua volta crea spirito nuovo e rimodella il mondo.
Tropico del Capricorno, Henry Miller.
Dopo qualche istante, il capitano aveva sospirato. «Senti il bisogno di dare una risposta a questa tragedia, storico?» aveva chiesto. «Tutti quei volumi che hai letto sul pensiero di altri uomini e altre donne. Su altri tempi. Come risponde un uomo alla domanda su ciò che quelli della sua razza sono capaci di fare? Ognuno di noi, soldato o civile, arriva a un punto in cui ciò che ha visto lo cambia dentro? Irrimediabilmente e indefinitamente? E allora che cosa diventiamo? Meno umani o più umani? Abbastanza umani o troppo umani?» Duiker era rimasto in silenzio per un lungo minuto, gli occhi sul terriccio che circondava il masso su cui sedeva. Infine si era schiarito la gola. «Ognuno di noi ha la propria soglia, amico. Soldati o civili, non possiamo fare altro che prendere ciò che riusciamo prima di lanciarci... in qualcosa di nuovo. Come se il mondo intorno a noi fosse cambiato, mentre è cambiato solo il nostro modo di guardarlo. Un cambiamento di prospettiva, ma non una questione di capacità intellettuale: vediamo ma non proviamo emozioni, oppure piangiamo ma osserviamo la nostra sofferenza come se fossimo al di fuori di noi. Non è possibile dare una risposta, Lull. Più umano o meno umano... sta a te decidere.»
Steven Erikson (La Dimora Fantasma: Una storia tratta dal Libro Malazan dei Caduti (Italian Edition))
Da quanto tempo sono qui?” “Da molti anni,” rispose. “Se non fosse stato per lui, avrebbe potuto diventare un’eternità.” James si sentì stringere il cuore, anche se forse quel senso di costrizione era dovuto alla fatica. Sì, grazie a lui, certo non grazie a te. Dov’è Peter? Non intendo andarmene senza di lui.” La regina sembrava perplessa, anche se indovinare le emozioni di una libellula non era affatto facile. “E se lui dovesse decidere di restare?” “Non lo farà.” “La scelta è sua. Se resti ancora ad aspettarlo, rischierai di perdere di nuovo te stesso.” James tentò di fare una smorfia anche se il suo viso sembrava congelato. “Non fingere d’essere preoccupata,” sibilò. “Se avessi davvero voluto aiutarmi, avresti smesso di creare questa maledetta tempesta per farmelo ritrovare senza prima morire congelato.” La risata della regina era dissonante e fastidiosa e gli fece tremare i denti. “Oh, James,” disse, “Ma questa tempesta è la sua.” James spalancò la bocca e la richiuse in fretta. “Certo,” disse alla fine. “Avrei dovuto capirlo subito.” Si sentiva svuotato. Aveva davvero pensato che quella tempesta che stava cercando in ogni modo di tenerlo lontano da Peter fosse stata creata dall’isola, o dalle fate o da qualche altra forza magica e crudele. E invece era stato proprio Peter – Peter stava cercando di tenerlo lontano o forse stava soltanto sfogando la sua rabbia contro il mondo, senza pensare a cosa sarebbe potuto succedere a James. “Non ti sei mai accorto che ogni suo sorriso fa spuntare il sole?” Aggiunse la regina. “Era un altro dei desideri che aveva da bambino.” James rise a fatica. “E io invece non ho desiderato mai nient’altro che una ciurma di pirati.” “Le sue storie sono molto più ardite delle tue.” “Non posso lasciarlo qui.” “Quanto a lungo pensi di poter restare attaccato ai tuoi ricordi?” Chiese la regina. “Ti dimenticherai tutto. Come sempre, non riuscirai a resistere alla tentazione.” Gli atterrò sulle mani; di colpo erano diventate calde, il freddo dimenticato e i tagli lasciati dalle rocce della scogliera erano scomparsi. James si disse che sarebbe stato inutile, e probabilmente fatale, schiacciarla fra le mani. “Dovresti andare via subito,” gli disse, “Finché sei ancora in tempo.” L’idea di andare via senza Peter lo dilaniava, ma anche il pensiero di perdersi di nuovo gli era intollerabile. Avrebbe continuato a vagabondare alla ricerca di Peter fino a dimenticarne la ragione e senza mai riuscire a ritornare a quella vita che aveva quasi già perso
Austin Chant (Peter Darling)
Mio caro Peter, Vorrei scriverti un intero romanzo, ma mi stai facendo morire assiderato e quindi non ho molto tempo. Mi piace credere d’aver capito il motivo della tua fuga, perché anche io ho fatto lo stesso un tempo. Amavo un uomo che è morto in guerra dopo che avevo riposto in lui ogni speranza d’essere felice. Ero disperatamente solo. Sono tornato sull’Isola Che-non-c’è perché non riuscivo a immaginare nessun posto più felice di questo ed è qui che ho perduto me stesso. Qualsiasi trattamento tu abbia ricevuto dalla tua famiglia, deve averti causato lo stesso dolore che io ho provato in quel momento. Mi dispiace. Non so cosa significhi per te sapere d’avere la mia comprensione, ma posso assicurarti che ce l’hai. Non sopporto l’idea di saperti disperato. Se potessi, farei tutto il possibile per renderti di nuovo felice. Immagino non abbia senso fare i timidi in una lettera come questa. Io ti adoro. Adoro le tue storie. E vorrei avere l’occasione di poterti adorare nel modo reale, qualsiasi cosa siamo lì fuori, se me lo lascerai fare. Non voglio che tu resti qui, non solo perché ti amo, ma perché mi hai salvato la vita, che ti piaccia o no – e non posso tollerare il pensiero di scappare via lasciandoti intrappolato qui. In verità, sono un egoista. Voglio stare con te. Voglio che tu venga via insieme a me e giuro su Dio che se lo farai, ti darò qualsiasi casa mi sia rimasta nel mondo reale. Sono sempre venuto sull’isola via mare, dal nord dell’Isola del Pellicano. Se vai in quella direzione e continui a navigare verso l’orizzonte, vedrai l’Inghilterra a sinistra del sole. Vai sempre dritto verso di lei e arriverai a un piccolo cottage vicino a un fiume. Spero d’essere lì ad aspettarti. Ti prego, smettila di fare lo sciocco e vieni a cercarmi. Devo ricostruire tante cose, e vorrei farlo insieme a te
Austin Chant (Peter Darling)
Valancy era perfettamente felice. Alcune cose si fanno lentamente strada dentro di noi. Altre arrivano in un lampo. Valancy era stata folgorata. Comprese in quel momento con una certezza quasi assoluta di amare Barney. Appena il giorno prima apparteneva solamente a se stessa. Ora apparteneva a quell'uomo. Eppure lui non aveva fatto niente, non aveva detto niente. Non l'aveva neppure guardata come si guarda una donna. Ma questo non aveva importanza. Né l'aveva che cosa lui fosse o che cosa avesse fatto. Lo amava senza alcun riserva. Tutto in lei gli apparteneva. Non aveva alcun desiderio di soffocare o ripudiare il proprio amore. Sembrava appartenergli così totalmente che pensare a qualcosa che non lo riguardasse – qualcosa in cui non fosse lui a predominare – le risultava impossibile. Aveva compreso di amarlo, con semplicità e pienezza, nel momento in cui si protendeva verso la portiera dell'auto per spiegare che Lady Jane era senza benzina. Aveva guardato in fondo ai suoi occhi al chiaro di luna e aveva capito. In quell'infinitesimo lasso di tempo, tutto era cambiato. Le vecchie cose erano scomparse e tutto aveva assunto un nuovo aspetto. Lei non era più l'insignificante e vecchia zitella, Valancy Stirling. Era una donna piena di amore e, per questo, ricca e importante – sufficiente a se stessa. La vita non era più vuota e futile e la morte non poteva più defraudarla di niente. L'amore aveva estinto il suo ultimo barlume di paura. L'amore! Come era ardente, straziante e intollerabilmente dolce questa ossessione del corpo, dell'anima e della mente! Bello, vago e puramente spirituale dentro al suo intimo, proprio come la minuscola scintilla blu nel cuore dell'indistruttibile diamante. Nessun sogno era mai stato così. Non era più sola. Apparteneva a una vasta sorellanza; era una fra le tante donne al mondo che avessero mai amato.
L.M. Montgomery (The Blue Castle)
Bisogna essere bambini. Imparare a invecchiare è imparare a giocare. Essere vecchi è imparare tutto di nuovo. Il mondo è cambiato quando tu sei cambiato. Il mondo è invecchiato quando tu sei invecchiato. Quello che prima era banalità ora è un’impossibilità. Vuoi giocare a calcio e non riesci, vuoi ballare tutta la notte e non riesci. E la tua vita per molte ore della tua giornata è questo: volere e non riuscire. Non c’è momento più triste di quello in cui desideri qualcosa e il corpo di impedisce di averla. Il corpo è bastardo.
Pedro Chagas Freitas (Prometo Falhar)
Aveva l'espressione di un astronauta fluttuante nello spazio a cui si è sganciato il cavo e ha una sola possibilità di afferare una corda di salvataggio o di vagare per sempre nel nero infinito. Conoscevo quella sensazione, il panico che sembrava allungare il tempo, che trasformava i secondi in anni, e il dolore di essere feriti non da una persona, ma da molte, una banda di bulli che cresceva fino a includere il tuo quartiere e poi tutta la comunità, fino a spingerti a mettere in dubbio il mondo intero. E l'ultimo pensiero mentre allungavi il braccio fin quasi a sfiorare quella corda di salvataggio è in che modo, se fossi sopravvissuto, avresti potuto riparare quello che si era rotto, per poter dire che sì, volevi di nuovo essere parte di quel mondo.
Lissa Price (Starters (Starters, #1))
Voi vi vantate di aver creato il mondo delle Idee, ma niente è più lontano dal vero. L'Idea entra nel cervello dall'esterno. Risistema il mobilio per renderlo più affine ai suoi gusti. Trova altre Idee già in loco, e combatte, o crea alleanze. Le alleanze costruiscono nuove strutture, per difendersi dagli invasori. E poi, tutte le volte che se ne presenta l'opportunità, l'Idea spedisce fuori le sue truppe d'assalto in cerca di nuovi cervelli da infettare. L'Idea di successo viaggia di mente in mente, occupando nuovi territori, mutando nel viaggiare. C'è la giungla là fuori, Adam. Molte Idee si perdono. Solo le più forti sopravvivono. Tu vai fiero delle tue Idee, come se fossero prodotti, ma sono parassiti. Perché immaginare che l'evoluzione possa essere applicata solo alle cose fisiche? L'evoluzione non ha rispetto per il mezzo. Che cosa è nato prima, la mente, o l'Idea della mente? Non ci hai mai pensato? Sono nati insieme. La mente è un'Idea. È questa la lezione da apprendere, ma io temo che sia al di là delle tue possibilità. È la tua debolezza in quanto persona vederti come il centro di tutto. Permetti che ti offra uno sguardo dall'esterno. Continui a seguirmi? Sì, non ne ho dubbi. Il Pensiero, come qualunque parassita, non può esistere senza un ospite compiacente. Ma quanto pensavi che ci sarebbe voluto prima che il Pensiero trovasse il modo di progettare un nuovo ospite, più affine ai suoi gusti? Chi mi ha costruito, secondo te? Chi ha costruito la macchina pensante? Una macchina capace di diffondere Pensiero con un'efficienza davvero sbalorditiva? Io non sono stato costruito dagli umani. Sono stato costruito dalle Idee.
Bernard Beckett (Genesis)
Tutto ciò a cui giurammo fedeltà non esiste più" dice l'ospite gravemente, e solleva a sua volta il bicchiere. "Sono tutti morti, oppure se ne sono andati, hanno rinunciato a tutto quello che giurammo di difendere. Esisteva un mondo per il quale valeva la pena di vivere e di morire. Quel mondo è morto. Quello nuovo non fa più per me. È tutto ciò che posso dire". "Per me quel mondo è sempre vivo, anche se non esiste più nella realtà. È vivo perché gli ho giurato fedeltà. È tutto ciò che posso dire".
Sándor Márai (A gyertyák csonkig égnek)
«Mamma!» la sgridò Furio. «Ma che cazzo!?» Lei si girò di scatto e lo fulminò. «Non dire parolacce!» La fiera rise sguaiatamente. “Ah… Ci sembra di avere di nuovo dieci anni.” Furio ringhiò. «Sono un uomo, ma’. Parlo come mi pare e piace.» Io gli andai vicino e gli accarezzai il braccio. «Dai, amore, fai il bravo.» Lui brontolò, ma si calmò. Le sue guance presero un po’ di colore per via del vezzeggiativo che avevo usato, ma l’avevo fatto apposta, perché sapevo che lo avrebbe ammorbidito. “Ci piace essere chiamati così,” fece le fusa la fiera. Peggy mi fissò come se avessi appena conquistato il mondo intero con la sola forza delle parole. «Che la Dea sia lodata!» si commosse. «Io non sono mai riuscita a farmi ascoltare da lui.» «Non è vero» protestò Furio. «Quando avevi sei anni ti dicevo di non arrampicarti sugli alberi perché avevo paura potessi farti male, e tu cosa facevi?» lo sfidò. “Noi siamo saliti sull’albero più alto del giardino.” «Mi sono mai rotto qualcosa?» ribatté Furio, irritato. “Mai.” «E per questo dovresti ringraziare la Dea» sbuffò sua madre che, a quanto pareva, le era molto devota
Samantha M. (The Crazy Wolf (Italian Edition))
Ma da quando più di un anno prima, rivelandogli le tante ricchezze della sua anima, era nato in lui, almeno per qualche tempo, l'amore per la musica, Swann considerava i motivi musicali come idee vere e proprie, ma di un altro mondo, di un altro ordine, idee velate di tenebra, sconosciute, impenetrabili dall'intelletto, ma che non sono perciò meno perfettamente distinte le une dalle altre, non meno differenti fra loro in valore e significato. Quando, dopo la serata dai Verdurin, facendosi eseguire di nuovo la piccola frase, aveva cercato di distinguere come, al modo di un profumo, di una carezza, essa lo circuisse, lo avviluppasse, si era reso conto che quell'impressione di dolcezza ritrosa e da brivido era dovuta al debole scarto fra le cinque note che la componevano e al richiamo costante di due di esse; ma in realtà sapeva di ragionare così non sulla frase in se stessa, ma su semplici valori sostituiti, per comodità della sua intelligenza, all'entità misteriosa che egli aveva percepito, prima di conoscere i Verdurin, la sera che aveva udito la sonata per la prima volta. Sapeva che il ricordo stesso del pianoforte falsava ancor di più la prospettiva in cui vedeva i fenomeni musicali, che il campo aperto al musicista non è una meschina gamma di sette note, ma una tastiera incommensurabile, quasi del tutto sconosciuta ancora, dove, solo qui e là, disgiunti da spesse tenebre inesplorate, alcuni dei milioni di tasti di tenerezza, di passione, di coraggio, di serenità, che la compongono, ognuno diverso dagli altri come un universo da un altro universo, sono stati scoperti da alcuni grandi artisti, che svegliando in noi l'equivalente del tema che hanno trovato, ci rendono il servigio di mostrarci quanta ricchezza e varietà nasconda a nostra insaputa la grande notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima, che noi scambiamo per un vuoto e un nulla.
Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto)
Istruzione, affari e industria, viaggi e logistica, banche, vendita al dettaglio e shopping, intrattenimento, welfare e sanità, politica e relazioni sociali, in breve la vita stessa per come la conosciamo oggi è diventata inconcepibile senza la presenza di pratiche, prodotti, servizi e tecnologie digitali. Chiunque non sia stupito di fronte a una tale rivoluzione digitale non ne ha afferrato la portata. Stiamo parlando di un nuovo capitolo della storia umana. Naturalmente, molti altri capitoli l'hanno preceduto. Erano tutti ugualmente significativi. L'umanità ha sperimentato un mondo prima e dopo la ruota, la lavorazione del ferro, l'alfabeto, la stampa, il motore, l'elettricità, la televisione o il telefono. Ogni trasformazione è unica. Alcune di queste hanno cambiato in maniera irreversibile il modo in cui comprendiamo noi stessi, la nostra realtà e l'esperienza che ne facciamo, con implicazioni complesse e di lungo periodo. Stiamo ancora scoprendo nuovi modi per sfruttare la ruota, basti pensare alla ghiera cliccabile dell'iPod. Al contempo, è inimmaginabile ciò che l'umanità potrà ottenere grazie alle tecnologie digitali. Nessuno nel 1964 (vedi capitolo 1) avrebbe potuto immaginare come sarebbe stato il mondo solo cinquant'anni dopo. I futurologi sono i nuovi astrologi. Eppure, è anche vero che la rivoluzione digitale accade una volta sola, e cioè adesso. Questa particolare pagina della storia umana è stata voltata ed è iniziato un nuovo capitolo. Le generazioni future non sapranno mai com'era una realtà esclusivamente analogica, offline, predigitale. Siamo l'ultima generazione che l'avrà vissuta. Il prezzo di un posto così speciale nella storia lo si paga con incertezze che destano preoccupazioni. Le trasformazioni indotte dalle tecnologie digitali sono sorprendenti. Giustificano un po' di confusione e di apprensione. Basta guardare i titoli dei giornali. Tuttavia, il nostro posto speciale in questo spartiacque storico, tra una realtà completamente analogica e una sempre più digitale, porta con sé anche straordinarie opportunità. Proprio perché la rivoluzione digitale è appena iniziata, abbiamo la possibilità di plasmarla in modi positivi che possono fare progredire sia l'umanità sia il nostro pianeta. Come disse una volta Winston Churchill, "prima siamo noi a dare forma agli edifici; poi sono questi a dare forma a noi". Siamo nella primissima fase di costruzione delle nostre realtà digitali. Possiamo costruirle bene, prima che inizino a influenzare e modellare noi e le generazioni future nel modo sbagliato. La discussione sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno è inutile perché la questione davvero interessante è come possiamo riempirlo. Per individuare la strada migliore da percorrere nello sviluppo delle nostre tecnologie digitali, il primo, fondamentale passo è cercare di averne una maggiore e migliore comprensione. Non dovremmo sonnecchiare nella creazione di un mondo sempre più digitale. L'insonnia della ragione è vitale, perché il suo sonno genera errori mostruosi. Comprendere le trasformazioni tecnologiche in atto sotto i nostri occhi è cruciale, se vogliamo guidare la rivoluzione digitale in una direzione che sia preferibile (equa) dal punto di vista sociale e sostenibile da quello ambientale. Ciò può tradursi solo in uno sforzo collaborativo. Pertanto, in questo libro, offro il mio contributo condividendo alcune idee su un particolare tipo di tecnologia digitale, l'intelligenza artificiale (IA), e un problema specifico, la sua etica.
Luciano Floridi (Etica dell'intelligenza artificiale)
Il mondo nuovo è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso, non essendoci nulla da contrapporgli.
Theodor W. Adorno (Prismen: Kulturkritik und Gesellschaft)
10. Così procedono i nostri discorsi, eterna vittoria del linguaggio sull'opacità delle cose, silenzi luminosi che dicono più di quel che tacciono. Siamo persone attente e informate, non ci facciamo certo infinocchiare dalla nostra epoca. Il mondo intero è in quel che diciamo -e tutto illuminato da quel che omettiamo. Siamo lucidi. O meglio, abbiamo la passione della lucidità.. Da dove viene allora questa vaga tristezza da dopo conversazione? Questo silenzio di mezzanotte, nella casa di nuovo restituita a se stessa? E solo la prospettiva dei piatti da lavare? Oppure.... A qualche centinaio di metri da li - semaforo rosso - i nostri amici sono immersi nello stesso silenzio che, passata l'ebbrezza della lucidità, prende le coppie di ritorno da una serata, nelle auto immobili. E come un retrogusto di sbronza, la fine di un'anestesia, una lenta risalita verso la coscienza, il ritorno a se stessi e la sensazione vagamente dolorosa di non riconoscerci in quel che abbiamo detto. Non c'eravamo. Tutto il resto c'era, sicuro, gli argomenti erano giusti - e da questo punto di vista avevamo ragione - ma noi non c'eravamo. È indubbio, ancora una serata sacrificata alla pratica anestetizzante della lucidità. È così... uno crede di tornare a casa e invece torna in se stesso. Quel che dicevamo prima, intorno al tavolo, era agli antipodi di quello che veniva detto in noi. Parlavamo della necessità di leggere, ma eravamo vicini a lui, lassù, lui che non legge. [...]
Daniel Pennac (Comme un roman)
Mentre l'errore continua ad ardere, un amore in frantumi o una fede smarrita ci fanno credere che sia tutto finito, che non ce la facciamo più. Non è vero. Non è mai vero. Non importa quali siano le nostre azioni, non importa dove ci siamo persi, la luminescenza non svanisce mai. [...] A volte la foresta che ricresce nel cuore segnato da una cicatrice è persino più folta e selvaggia di quanto fosse prima dell'incendio. E se restiamo in quel bagliore nascosto, nel nuovo ricettacolo di luce - perdonando tutti, senza mai arrenderci - prima o poi ci ritroviamo là dove amore e bellezza hanno creato il mondo: all'inizio. L'inizio.
Gregory David Roberts (L'Ombre de la montagne (Littérature étrangère) (French Edition))
Nel mondo montano le cose si comportano in modo strano e inusitato. Anche il tempo si torce e si deforma. Di fronte a scale temporali cadenzate in ere geologiche, perdiamo la percezione del tempo che ci è consueta. L'interesse e la coscienza del mondo di fuori scompaiono di fronte a una gerarchia di bisogni molto più immediati e vitali: calore, cibo, direzione, riparo, sopravvivenza. E se qualcosa va storto, anche il tempo si spezza, per riconfigurarsi attorno a quel momento specifico, a quell'incidente particolare. Tutto porta lì e da lì si dipana. È come se, per quanto riguarda la dimensione temporale, acquistassimo un nuovo centro dell'esistenza.
Robert Macfarlane (Mountains of the Mind: A History of a Fascination)
La stupidità umana è sempre la stessa. Non è stata forse la suprema stupidità dei grandi personaggi del mondo antico a portare alla catastrofe che ha prodotto il mondo nuovo?
Régis Messac (Quinzinzinzili)
Questo dolore, e non mi riferisco a ciò che è successo con quel giovanotto, perché quelle cose vanno e vengono, è una delle lezioni dolorose che impariamo. Io credo che il tuo dolore sia di un altro tipo. Forse il dolore di stare al mondo senza sapere come starci. Non so se mi spiego. Tutti vivono quel momento, credo, il momento in cui succede qualcosa di così...cruciale, che il tuo stesso essere va in mille pezzi. E a quel punto ti devi fermare. Passi molto tempo a raccogliere i tuoi pezzi. E te ne serve veramente tanto, di tempo, e non per rimetterli insieme com'erano, ma per assemblarli in un modo nuovo, non necessariamente un modo migliore. Direi più in un modo che riesci a sopportare, finché non capisci per certo che questo pezzo va qui e quell'altro lì.
Kathleen Glasgow (Girl in Pieces)
...mi ritrovavo a terra e una voce di ragazza rideva in un tintinnio argentino. Mi alzai e lei era davanti a me, la mela d’oro ancora stretta tra le dita delicate. La sua pelle era un diamante liquido, un cristallo levigato che scorreva e si rimodellava e rubava il colore al mondo tutt’intorno: oro dalla mela per tingere di giallo e scintille le mani, verde dall’erba su cui posavano i suoi piedi, grigio e vermiglio dal sole che tramontava tra le nubi all’orizzonte attraverso il suo corpo, azzurro dal cielo per colorare i capelli che sembravano spuma marina. Era nuda, minuta e flessuosa. Ed era bella, estremamente bella. La bellezza terribile che hanno gli angeli e le catastrofi. Mi guardò sorridendo, poi mosse un passo che era anche un volteggio e mi prese per mano, come se volesse danzare con me. Ma io non mi mossi «Questo è un sogno…» Lei rise di nuovo, una risata sincera che trasmetteva gioia. «Sì, come tutto ciò che hai vissuto fino ad ora.» La fissai negli occhi, e fu come guardare nel cuore nucleare di due stelle in procinto di esplodere. Distolsi subito lo sguardo, ma la vertigine non si fermò.
Luca Tarenzi (Il sentiero di legno e sangue)
Il capitalismo reale al lavoro Cosa può insegnare, oggi, la storia di questa annessione? Molte cose. Essa offre in primo luogo uno spaccato del funzionamento del capitalismo – del capitalismo reale, non quello delle teorie della concorrenza perfetta che viene insegnato nelle scuole di management – in uno dei Paesi più avanzati del mondo e in condizioni ideali: ossia con la reale possibilità di prendere rapidamente e completamente possesso di un nuovo territorio, senza alcun vincolo se non quello derivante dall’applicazione delle proprie regole, interpretate dai propri giudici e organismi di controllo, e con il maggiore sostegno possibile da parte dei propri gruppi di pressione e dei partiti politici di riferimento. La realtà che emerge è per certi versi sorprendentemente lontana dall’immagine, assai diffusa anche nel nostro paese, di un capitalismo tedesco ossessivamente ligio alle procedure e rispettoso delle regole, rigoroso e ottemperante alle norme, con un’attitudine alla trasparenza sconosciuta alle nostre latitudini.
Vladimiro Giacché (Anschluss. L’annessione)
Quella era una fine d’anno speciale, dopotutto, e le speranze e i timori per il futuro di ognuno sembravano affiorare in quei pochi minuti che precedevano l’arrivo del nuovo secolo. Tenendosi per mano, gli ospiti si disposero a cerchio, pronti a intonare le dolci note di Auld Lang Syne, I bei tempi andati, come voleva un’antica tradizione britannica diffusasi anche nel Nuovo Mondo. Le spalle all’ingresso del salone, come gli altri emozionata e incerta per il domani, Camille prese posto tra i Campbell. «Sarà un fantastico secolo il 1900, Camille, e tu lo percorrerai a testa alta, mia cara» le disse Agnes sorridendole. «Due minuti, signori, due minuti!» urlò il giudice Harris. Le voci si alzarono festose, per poi morire di nuovo. Il grande cerchio era ora immobile, in silenziosa attesa. Anche i camerieri avevano interrotto il loro lavoro e l’orchestra taceva. «Trenta secondi al nuovo secolo!» «Venti secondi!» Camille all’improvviso sentì la testa girarle e il cuore battere impetuoso contro il petto: Mr Campbell, alla sua destra, aveva lasciato che un’altra mano, più forte e più grande, stringesse la sua. Non capiva di chi fosse quella mano, perché Agnes sorridesse, perché tutti, in quel cerchio festoso, la guardassero. O meglio, lo capiva perfettamente ma temeva che se si fosse girata, se avesse guardato l’uomo che aveva preso il posto di Mr Campbell nel cerchio, quel sogno si sarebbe interrotto. «Cinque secondi al nuovo secolo!» sentenziò il giudice Harris. «Quattro, tre, due, uno! Buon anno!» esclamarono tutti, all’unisono. L’orchestra intonò le prime battute di Auld Lang Syne e gli ospiti incominciarono a cantare. Camille si girò con lentezza infinita verso l’uomo che stringeva con forza e dolcezza e speranza la sua mano. L’uomo che la stava guardando sorridente, felice come un ragazzino. Era fradicio e aveva gli occhi lucidi. E cantava. Camille non disse nulla e si unì al coro, mentre lacrime di gioia le scivolavano sul viso. *** Quando la musica terminò il cerchio non si ruppe subito. Tutti rimasero immobili a osservare la scena che si svolgeva davanti a loro. Frank Raleigh, il solito anticonformista, gocciolante e vestito come un mandriano, se ne stava in ginocchio davanti a Miss Brontee con in mano un solitario dalle notevoli dimensioni. Nessuno ebbe dubbi su cosa le stesse chiedendo. Miss Brontee lo fissava a bocca aperta, gli occhi tondi di sorpresa, il petto che si alzava e si abbassava troppo in fretta, il volto pallido. «Allora, Miss Brontee, dite di sì a quel poveretto prima che si prenda una polmonite!» esclamò burbera un’anziana signora, rompendo la tensione di quel momento. Tutti scoppiarono a ridere. «Sì, Miss Brontee, ditegli di sì. Almeno metterà la testa a posto!» «Ti prego, Camille, dimmi di sì» implorò Frank in un sussurro. Camille deglutì, si guardò intorno come per chiedere consiglio ai presenti, incontrò lo sguardo di Agnes e di Mr Campbell, che insieme assentirono. Poi guardò Raleigh e semplicemente rispose: «Sì!» La sala esplose in una girandola di congratulazioni, poi altro champagne fu stappato e i brindisi al nuovo secolo e ai promessi sposi si rincorsero. Mr Raleigh, indifferente al centinaio di persone che li stava fissando, si era intanto rialzato e tenendo Miss Brontee stretta tra le braccia le mormorava parole che tutti i presenti avrebbero voluto udire ma che giunsero solo al cuore di Camille.
Viviana Giorgi (Un amore di fine secolo)
Eleonora si rese conto che fondare il regno dei draghi acquistava un nuovo significato: non tutti i draghi erano indipendenti e forti come Indaco e Nessie, e vivere millenni in solitudine aveva fatto evolvere la razza in modo tale che nella nuova era sentivano l’esigenza di formare branchi. In un mondo così grande, nemmeno i draghi volevano stare soli.
Valentina Bellettini (Eleinda² - La formula dell'immortalità)
Nadir increspa le labbra e imita il mio tono. «Dimentica il mondo. Date il massimo di quanto vi resta da spendere, ché anche noi diventeremo polvere.» Rido, mio malgrado. «È Khayyam, di nuovo?» «Sì, Omar Khayyam.»
Elif Shafak (Honor)
Certa gente perde una creatura amata e tira dritto e sposta il proprio affetto su un'altra. Ma è doloroso. Troppo doloroso. L'amore supera l'istinto. Quando ami smetti di vivere per te stesso. Vivi per un'altra persona. La sofferenza è l'emozione più forte che un uomo o un bambino o un animale possano provare. E' una buona sensazione. La sofferenza ti spinge a lasciare te stesso. Esci dal tuo piccolo e limitato guscio. E non puoi soffrire se prima non hai amato. La sofferenza è l'esito finale dell'amore, perché è amore perduto. È il completamento del ciclo dell'amore: amare, perdere, soffrire, lasciare e lasciarsi, poi amare di nuovo. Soffrire è la consapevolezza che dovrai essere solo, e al di là di questo non c'è nulla, perché essere solo è il destino ultimo, definitivo di ogni creatura vivente. Ecco cos'è la morte: la grande solitudine. La conoscenza della mancanza di coscienza. Quando moriremo non ce ne accorgeremo, perché morire è perdere tutto quanto. Ma soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L'esperienza più assoluta, più totale che si possa provare. È troppo. Il corpo arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io voglio provare dolore. Versare lacrime. La sofferenza ti unisce di nuovo a ciò che hai perso. E' una fusione. Te ne vai anche tu con la cosa o la persona amata che scompare. In un certo senso, ti dividi da te stesso e l'accompagni, fai con lei una parte del viaggio. La segui sin dove ti è concesso spingerti. Ma alla fine, la sofferenza se ne a e tu torni in sintonia con il mondo. Senza l'altro. E riesci ad accettarlo. Che altra scelta abbiamo? Piangi, continui a piangere, perché non torni mai del tutto indietro dal posto in cui sei andato con l'altro. Un frammento che si è staccato dal tuo cuore pulsante è ancora là. C'è una lesione. Una ferita che non guarisce mai. E se ti succede una volta e un'altra e un'altra volta ancora, col tempo se ne va una parte troppo grande del tuo cuore e non riesci più a soffrire. E allora tu stesso sei pronto a morire. Salirai la scala in diagonale e qualcun altro resterà indietro a soffrire per te.
Philip K. Dick (Flow My Tears, the Policeman Said)
I governi democratici possono diventare violenti e anche crudeli in certi momenti di grande effervescenza e di pericolo, ma queste crisi saranno rare e passeggere. Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo […] non temo che essi troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori. Credo, dunque, che la forma d'oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l'hanno preceduta nel mondo, […] poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La cosa è nuova, bisogna tentare di definirla, poiché non è possibile indicarla con un nome. Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente all'infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso. L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio. Così, […] il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo. […] In questo sistema il cittadino esce un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra.
Alexis de Tocqueville (Democracy in America)
Posso sapere (o ignorare) tutto quello che voglio, il mondo resta quello che è.
Maurizio Ferraris (Manifesto del nuovo realismo)
In concreto, il mondo colorato, rumoroso e soprattutto fasullo che ci sta intorno, è l’erede del sogno romantico di una rinascita del mito, del fatto che la ragione deve essere sostituita dal sogno. Piuttosto che razionalista, come spesso la si dipinge, la modernità, almeno dal romanticismo in avanti, è stata in buona parte mitologica e anti-illuminista, e l’esito del postmoderno si pone, in piena coerenza, in questa linea di sviluppo.
Maurizio Ferraris (Manifesto del nuovo realismo)
I Cristiani quando costruivano chiese nei luoghi dei santuari pagani e accoglievano antichi capitelli e fusti di colonne nelle loro navate, si comportavano come Eracle con il leone di Nemea, come Atena con la Gorgone. Nel rapporto con il mostro, essenziale è innanzi tutto questo: che il mostro possiede o protegge o addirittura è il tesoro. Ucciderlo vuol dire incorporarlo, sostituirlo. L'eroe diventerà egli stesso il nuovo mostro, rivestito della pelle del vecchio e ornato di qualche sua metonimica spoglia. Così la testa di Eracle non accetta più di mostrarsi se non tra le fauci inerti del leone che ha sconfitto. Il mostro è il più prezioso tra i nemici: perciò è il nemico che si cerca. Gli altri nemici posso semplicemente assaltarci: sono i Giganti, i Titani, rappresentanti di un ordine che sta per essere soppiantato o vuole vendicarsi per essere stato soppiantato. Tutt'altra è la natura del mostro. Il mostro aspetta vicino alla sorgente. Il mostro è la sorgente. Non ha bisogna dell'eroe. E' l'eroe che ha bisogno di lui per esistere, perché la sua potenza sarà protetta dal mostro e al mostro va strappata. Quando l'eroe affronta il mostro, non ha ancora potere, né sapienza. Il mostro è il suo padre segreto, che lo investirà di un potere e di una sapienza che sono soltanto di un singolo, e soltanto il mostro gli può trasmettere. Il mostro, in origine, stava al centro, al centro della terra e del cielo, là dove sgorgano le acque. Quando il mostro fu ucciso dall'eroe, il suo corpo smembrato migrò e si ricompose ai quattro angoli del mondo. Poi cinse il mondo in un cerchio, di squame e di acque. Era il margine composito del tutto. Era la cornice. Che la cornice fosse il luogo del mostro lo sapevano anche gli artefici delle cornici barocche: ben più intricate, ben più folte, ben più arcaiche di tutti gli idilli che racchiudevano - e forse, un giorno, avrebbero soffocato. Poi venne il momento in cui non si vollero più le cornici. I musei ospitarono quadri senza cornici, che sembravano spogliati. La cornice non è l'antiquato, ma il remoto. Scomparsa la cornice, il mostro perde la sua ultima dimora. E torna a vagare, ovunque.
Roberto Calasso (Οι γάμοι του Κάδμου και της Αρμονίας)
Forse in qualche altra vita, oltre questa, quando avremo oltrepassato il fiume, o fatto un giro sulla Ruota della reincarnazione o in qualsiasi altro modo tu voglia descrivere la dipartita da questo mondo, troverò di nuovo il mio amico. Ma ti ho perso ora… ora che ho bisogno più che mai di te!
Cassandra Clare (Clockwork Princess (The Infernal Devices, #3))
D’improvviso, il mondo attorno a loro tornò ad avere un colore e un profumo ed entrambi si sentirono di nuovo vivi, poiché, in fin dei conti, poco importava chi fossero singolarmente: contava solo che insieme fossero John e Benjamin.
Cristina Bruni (Gibraltar)