Mondo Nuovo Quotes

We've searched our database for all the quotes and captions related to Mondo Nuovo. Here they are! All 150 of them:

Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Antonio Gramsci
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo".
H.P. Lovecraft (The Call of Cthulhu)
A volte desidereresti fuggire in un'altra parte del libro. Smetti di leggere e sfogli le pagine in avanti, scorgendo di sfuggita la storia che corre, non al di sopra del mondo ma attraverso di esso, attraverso foreste e complicazioni, attraverso il caos delle intenzioni e delle città. A mano a mano che ti avvicini alle ultime pagine, affretti sempre più il ritmo della lettura, finché non ti ritrovi immerso in un groviglio di inquietudine. Poi, all'improvviso, il pollice perde la presa e fluttui fuori dalla storia tornando in te stesso. Il libro è di nuovo una fragile nave fatta di tessuto e di carta. Sei stato ovunque e in nessun posto
Thomas Wharton (Salamander)
Metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia e a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o che prendano fuoco e si schiantino. Ma a volte, invece, ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia. Insieme, in quel primo momento esaltante, con quella sensazione esplosiva di ascesa, esse sono più grandi dei loro sé individuali. Insieme, vedono più lontano, più chiaro.
Julian Barnes (Levels of Life)
C'è chi decide di rimanere a casa perché sta bene e non ha bisogno di andare a scoprire il mondo, e chi invece lo deve girare, provare, fare esperienza, per capire che magari non c'è niente di particolarmente nuovo. Ma per capirlo, ha bisogno di viaggiare.
Fabio Volo (Esco a fare due passi)
Aveva detto una volta a Serafina Pekkala che a lui volare non importava, che era soltanto un lavoro come un altro, ma non parlava sul serio. Levarsi in alto, con un buon vento alle spalle e un nuovo mondo davanti: cosa poteva esserci di meglio in questa vita?
Philip Pullman (The Subtle Knife (His Dark Materials, #2))
Ogni giorno apriamo gli occhi su un mondo nuovo e facciamo della meraviglia il nostro mestiere.
Angela Terzani Staude (Giorni cinesi. Un viaggio, un diario un'esperienza eccezionale)
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace. Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca se ne hai una. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce.
Italo Calvino (If on a Winter's Night a Traveler)
Ciò che un libro avrebbe potuto raccontarle non l'aveva mai intimorita. Anzi, di solito non vedeva l'ora di lasciarsi trasportare in un mondo nuovo, inesplorato, e la sua curiosità era tale che si metteva a leggere nei momenti meno opportuni.
Cornelia Funke (Inkheart (Inkworld, #1))
Per affermare che stiamo colonizzando un nuovo mondo, ci siamo chiusi in queste prigioni di metallo e plastica, impossibilitati a stare là fuori. Tutto ciò che Marte ci ha offerto finora è sofferenza. Sì, là fuori è bello, perché inusuale, alieno. Ma il fascino che esercita su di noi non è tanto diverso da quello stesso della morte.
Rita Carla Francesca Monticelli (Deserto rosso - Nemico invisibile)
C'è in me quello che si trova in molti uomini del mondo, amori, spari, qualche frase piena di spine, nessuna voglia di parlarne. Siamo dozzina noi altri uomini. Speciale è solo vivere, guardarsi di sera il palmo di mano e sapere che domani torna fresco di nuovo, che il sarto della notte cuce pelle, rammenda calli, rabbercia gli strappi e sgonfia la fatica.
Erri De Luca (Tre cavalli)
Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere. Io non te lo permetterò.
Cormac McCarthy (The Road)
Lo vedo uscire dalla cucina con il grembiule in vita e andare in salotto a salutare tutti calorosamente, e io aspetto, in piedi, dietro di lui. E sento che potrei aspettare tutta la vita. Non sarebbe un problema. Si volta, mi sorride e il mio mondo si ferma. Di nuovo. E lui mi abbraccia stretta stretta, o così sembra a me, e spero che un meteorite si schianti contro la Terra in questo momento, perché, mi dispiace per voi, ma io, adesso, sono felice.
Federica Bosco (Non tutti gli uomini vengono per nuocere)
«Mettiti il casco. È tardi!» le ordinò senza guardarla in viso mentre le porgeva il copricapo. Asia non disse una parola. Il sole era già scomparso ed era consapevole che con l’oscurità il Male avrebbe potuto fare capolino da un momento all’altro. Il cimitero del Wawel distava pochi minuti dal suo appartamento, ma lei conosceva bene il Venator e sapeva perché si spostava comunque in moto. Le sacche laterali della sua cavalcatura erano piene zeppe di armi, una vera e propria santa barbara sempre pronta all’uso. Mentre si issava con accuratezza dietro di lui cercò di trattenere il respiro. L’idea di sfiorare di nuovo, dopo quasi due anni, il suo corpo la faceva sentire come una bambina il primo giorno di scuola: tensione a mille, ansia, batticuore e la sensazione che di lì a poco sarebbe morta di infarto. Ma quel momento magico fu bruscamente distrutto, e le acide parole inzuppate nel veleno che uscirono dalle labbra di Bor la scaraventarono con una forza dolorosa nella realtà di quel pomeriggio. «Aggrappati alle manigliette laterali, non a me. E reggiti forte, non mi va di dovermi fermare a raccogliere i tuoi pezzetti.» Asia si sentì morire ma mai, per nessuna ragione al mondo, gli avrebbe dato soddisfazione. «Certo, non temere, non ti accorgerai nemmeno di me», disse a denti stretti mentre la bocca le si seccava per la delusione di essere stata respinta così in malo modo.
Eilan Moon
La certezza che il peggio è passato e la situazione è salda in mano fa perdere il controllo, si comincia di nuovo a osare. A quel punto l’uomo mette in atto il furbesco egoismo. Non fa tesoro dell’esperienza, torna quello che è sempre stato: un coglione.
Mauro Corona (La fine del mondo storto)
Lo shintoismo è una religione essenzialmente comunitaria, una "religione di villaggio", come l'ha definita Yaganida Kunio. Il buddhismo e il cristianesimo sono essenzialmente religioni che favoriscono l'individualismo. Nel cristianesimo in ultimo siamo lasciati soli con il nostro carico di peccati ad affrontare il giudizio; nel buddhismo siamo lasciati soli con il nostro carico di karma ad affrontare la reincarnazione. Nessuna di queste due religioni si trova a proprio agio con il mondo moderno, in cui le azioni collettive hanno il sopravvento su quelle individuali. Il cristianesimo oggi soffre una delle crisi più drammatiche dei suoi duemila anni di storia, il buddhismo è alla ricerca di un nuovo adattamento. Lo spirito comunitario dello shintoismo, invece, si trova in perfetta armonia con l'epoca moderna.
Fosco Maraini
Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto al trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.
Pier Paolo Pasolini (Scritti corsari)
Le biblioteche sono dei luoghi stregati e chiunque vi abbia messo piede una volta ne è cosciente. […] Nel momento in cui entrò nella biblioteca della Lucretius, le sembrò di aver varcato l’ingresso di un nuovo mondo, terribilmente surreale. Centinaia e centinaia di libri si arrampicavano audacemente fino alle più alte scaffalature di mogano, e la luce soffusa che proveniva da un enorme lampadario di cristallo conferiva all’ambiente un’atmosfera misteriosa, rarefatta. […] Povera Amabel! Non sapeva che le biblioteche risucchiano il tempo, e mandano avanti le lancette dell’orologio e, prima che tu possa rendertene conto, sei già irrimediabilmente, tremendamente, in ritardo.
Bianca Rita Cataldi (Riverside)
Ma Gonzalo? Oh, il bel nome della vita! una continuità che s'adempie. Di nuovo le sembrò, dal terrazzo, di scorgere la curva del mondo: la spera dei lumi, a rivolversi; tra brume color pervinca disparivano incontro al sopore della notte. Sul mondo portatore di frumenti, e d'un canto, le quiete luminarie di mezza estate. Le sembrò di assistervi ancora, dalla terrazza di sua vita, oh!, ancora per un attimo, di far parte della calma sera. Una levità dolce. E, nel cielo alto, lo zaffiro dell'oceano: che avevano rimirato l'Alvise, a tremare, e Antoniotto di Noli, doppiando capi dalla realità senza nome incontro al sogno apparito degli arcipelaghi. Si sentì ripresa nell'evento, nel flusso antico della possibilità, della continuazione: come tutti, vicina a tutti.
Carlo Emilio Gadda (La cognizione del dolore)
«Cosa sono stato per te, Shane? Cosa eravamo noi due? Cosa sono stato per te?» Amore. Felicità. Qualsiasi cosa al mondo. Shane si voltò di nuovo per andarsene dal miglior amico che avesse mai avuto. Non era più semplice della prima volta o delle altre. Aveva rivissuto quel momento più e più volte per anni. Aveva continuato a camminare prima di crollare e supplicare Jesse di perdonarlo. Voleva tornare indietro. Voleva tornare indietro…Sì. Fallo. Torna indietro, stupido. Lasciare Jesse è stato il più grande errore che tu abbia mai fatto.«Perché l’hai fatto, Shane? Perché mi hai lasciato?»E Shane per poco non lo fece. Voleva tornare indietro, piangere, dire a Jesse che lo amava più di ogni altra cosa. Provò a voltarsi, ma il suo corpo era bloccato. Non riusciva a muoversi
Piper Vaughn (Moonlight Becomes You (Lucky Moon, #1))
«Lo sai che fra la fine e il nuovo inizio c’è un mondo di mezzo? È il tempo ferito, Jean Perdu. È una palude dove si raccolgono sogni, paure e intenzioni perdute. I passi in questo tempo si fanno più pesanti. Non sottovalutare questa stazione di passaggio fra la fine e il nuovo inizio, Jeanno. Datti tempo. A volte le soglie sono così grandi che non si possono superare con un passo solo».
Nina George (The Little Paris Bookshop)
Un mondo senza piaceri e senza affetti è un mondo privo di valore. Queste cose deve ricordare il manipolatore scientifico, e, se lo ricorda, le sue manipolazioni potranno riuscire interamente benefiche. E' necessario intanto che gli uomini non siano intossicati dal nuovo potere a tal punto da dimenticare le verità che furono familiari a ogni generazione precedente. Non tutta la saggezza è nuova, né tutta la pazzia è antica.
Bertrand Russell (The Scientific Outlook)
La differenza fra il brutto dell'amore e il bello dell'amore è che il bello è molto più leggero. Ti fa sembrare di volare. Ti porta in alto. Ti trasporta. IL bello dell'amore ti tiene sospeso sopra al resto del mondo. Ti fa sorvolare le cose brutte, e quando guardi in basso verso tutto il resto ti ritrovi a pensare: /Wow, sono contento di essere quassù/ [...] Il brutto dell'amore non riesce a portarti in alto. Ti porta GIU'. Ti tiene sott'acqua. Ti annega. Guardi in alto e pensi: Vorrei essere lassù. Ma non lo sei. Il brutto dell'amore diventa /te/. Ti /consuma/. Ti fa odiare /tutto/. Ti fa capire che per quanto sia bello il bello dell'amore, il gioco non vale la candela. Senza il bello non rischieresti di sentirti /così/. Non rischieresti di sentire il /brutto/. Così ci rinunci. Rinunci a tutto. Non vuoi mai più l'amore, nè il bello nè il brutto, perché per nessun tipo di amore varrà mai la pena di conoscere di nuovo questo /cordoglio/.
Colleen Hoover (Ugly Love)
Poi... sei arrivata tu. Ho dovuto credere che tu mi amassi, che amassi veramente me, non i milioni di mio padre. Non c'era altro motivo per cui avresti voluto sposare un diavolo senza un penny e con i miei ipotetici precedenti. E io provavo pena per te. Oh, sì, non nego di averti sposata perché provavo pena per te. E poi... ho scoperto che eri la migliore, la più allegra e la più cara compagna che avessi mai avuto. Spiritosa, leale, dolce. Mi hai costretto a credere nuovamente nella vera amicizia e nel vero amore. Il mondo sembrava di nuovo bello perché c'eri tu, tesoro mio. Desideravo che continuasse così per sempre tra di noi. L'ho capito la notte in cui sono tornato a casa e ho visto per la prima volta la luce della mia casa che risplendeva sull'isola. E sapevo che tu eri lì ad aspettarmi. Dopo essere stato senza una casa per tutta la vita, era bello averne una. Tornare affamato a notte inoltrata e sapere che c'era un buon pasto e un fuoco accogliente - e che c'eri tu.
L.M. Montgomery (The Blue Castle)
Che tempi maledetti sono i periodi di malattia nell'infanzia e nell'adolescenza! Il mondo esterno, il mondo del tempo libero in cortile o in giardino, oppure per strada, penetra nella stanza del malato solo mediante rumori ovattati. Dentro prolifera il mondo delle storie con i loro eroi, di cui il malato legge. La febbre, che indebolisce la percezione e acuisce la fantasia, trasforma la stanza del malato in uno spazio nuovo, familiare ed estraneo al contempo; dei mostri emergono con le loro smorfie dei disegni delle tendine della tappezzeria, e le sedie, il tavolo, gli scaffali e l'armadio si ergono come montagne, palazzi o navi, tanto vicini da poterli toccare, eppure così lontani. I rintocchi dell'orologio del campanile, il rombo di una macchina che passa e le luci riflesse dei fari, che perlustrano le pareti e soffitto della stanza, accompagnano il malato attraverso le lunghe ore della notte. Sono ore senza sonno, ma non ore insonni; non ore di carenza ma di pienezza. Desideri, ricordi, paure e voglie combinano dei labirinti in cui il malato si perde, si ritrova e si perde. Sono ore in cui tutto è possibile, sia nel bene che nel male.
Bernhard Schlink (The Reader)
Dovete continuare a crescere e a progredire. Ogni giorno dovete introdurre qualcosa di nuovo nella vostra vita. La vostra responsabilità principale è nei confronti di voi stessi. Se non la pensate così, non potete dare niente a nessuno. Potete dare soltanto ciò che avete. Se diventate vivi, se attraversate il mondo a passo di danza, facendo cose pazze, diventate affascinanti. È l’affinità che ci avvicina, ma è la novità che ci tiene insieme. Siate saggi, siate stimolanti, siate eccitanti, condividete idee nuove, crescete, progredite, evolvetevi. Non siate mai prevedibili!
Leo F. Buscaglia
E ricordi che anche allora i sogni erano tristi, e se anche prima non andava meglio, pur tuttavia senti sempre che in qualche modo era più facile e più quieto vivere, che non c'erano questi pensieri neri, che ora mi opprimono; che non c'erano questi rimorsi, rimorsi cupi, tetri, che ora non mi danno pace né di giorno, né di notte. E ti chiedi: dove sono mai i tuoi sogni? e scuoti la testa, dici: come volano in fretta gli anni! E di nuovo ti chiedi: cosa hai fatto dei tuoi anni? Dove hai sepolto il tuo tempo migliore? Hai vissuto o no? Guarda, ti dici, guarda come il mondo è diventato freddo.
Fyodor Dostoevsky
[...] rileggere un libro amato è come tornare in un luogo sacro in cui nulla è cambiato, esperienza per noi ovviamente impossibile perchè il mondo cambia sempre. Se un libro cambia è soltanto perchè siamo cambiati noi e lo affrontiamo in modo diverso, ma è sempre una soddisfazione meravigliosa incontrare di nuovo l'universo di un romanzo come questo e avere la certezza che esistono delle cose belle indifferenti alla brutale e inevitabile azione del tempo. Ecco uno dei regali che dobbiamo all'arte: la sensazione che non tutto è perso, che alcune cose restano perfette e inviolabili. [Postfazione di Peter Cameron]
John Williams (Stoner)
E questo è ancora oggi per me uno degli aspetti più affascinanti dell'andare per mare: il fatto che, comunque la barca è un piccolo mondo nelle nostre mani e noi, anche se a volte non lo sappiamo, possiamo gestirlo in maniera completamente autonoma; ciò significa che quando c'è un problema nuovo non dobbiamo fare altro che affrontarlo e troveremo sicuramente prima o poi la nostra soluzione. Questa è la ragione per cui su una barca a vela siamo tutti apprendisti: le esperienze infatti ci insegnano continuamente nuove cose e le esperienze sono sempre così numerose che l'importante è acquisire un atteggiamento positivo.
Giovanni Soldini (Nel blu. Una storia di vita e di mare)
Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l’edificio. L’invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. E’ la rivoluzione madre. E’ il completo rinnovarsi del modo di espressione dell’umanità, è il pensiero umano che si spoglia di una forma e ne assume un’altra, è il completo e definitivo mutamento di pelle di quel serpente simbolico che, da Adamo in poi, rappresenta l’intelligenza. Sotto forma di stampa, il pensiero è più che mai imperituro. E’ volatile, inafferrabile, indistruttibile. Si fonde con l’aria. Al tempo dell’architettura, diveniva montagna e si impadroniva con forza di un secolo e di un luogo. Ora diviene stormo di uccelli, si sparpaglia ai quattro venti e occupa contemporaneamente tutti i punti dell’aria e dello spazio.. Da solido che era, diventa vivo. Passa dalla durata all’ immortalità. Si può distruggere una mole, ma come estirpare l’ubiquità? Venga pure un diluvio, e anche quando la montagna sarà sparita sotto i flutti da molto tempo, gli uccelli voleranno ancora; e basterà che solo un’arca galleggi alla superficie del cataclisma, ed essi vi poseranno, sopravvivranno con quella, con quella assisteranno al decrescere delle acque, e il nuovo mondo che emergerà da questo caos svegliandosi vedrà planare su di sé, alato e vivente, il pensiero del mondo sommerso. Bisogna ammirare e sfogliare incessantemente il libro scritto dall'architettura, ma non bisogna negare la grandezza dell'edificio che la stampa erige a sua volta. Questo edificio è colossale. E’ il formicaio delle intelligenze. E’ l’alveare in cui tutte le immaginazioni, queste api dorate, arrivano con il loro miele. L’edificio ha mille piani. Sulle sue rampe si vedono sbucare qua e là delle caverne tenebrose della scienza intrecciantisi nelle sue viscere. Per tutta la sua superficie l’arte fa lussureggiare davanti allo sguardo arabeschi, rosoni, merletti. La stampa, questa macchina gigante che pompa senza tregua tutta la linfa intellettuale della società, vomita incessantemente nuovi materiali per l’opera sua. Tutto il genere umano è sull’ impalcatura. Ogni spirito è muratore. Il più umile tura il suo buco o posa la sua pietra. Certo, è anche questa una costruzione che cresce e si ammucchia in spirali senza fine, anche qui c’è confusione di lingue, attività incessante, lavoro infaticabile, concorso accanito dell’umanità intera, rifugio promesso all’ intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un’invasione di barbari. E’ la seconda torre di Babele del genere umano." - Notre-Dame de Paris, V. Hugo
Victor Hugo (Notre-Dame de Paris | The Hunchback of Notre-Dame)
Lei, padre, ha conosciuto i tempi in cui le sorti dell'umanità erano ancora nelle mani di Dio. Ma io no, non ho conosciuto quei tempi, sono nato dopo, e mi sembrano lontani come un'era preistorica. Posso arrivare a rimpiangerli, ma che senso avrebbe? E come me, dopo di me, sono comparsi altri milioni di persone, in questo mondo che è cambiato così profondamente, che è diventato di colpo così precario, traballante. E lei non crede que alcune di queste persone, almeno alcune, non tutte, possano essere congenitamente un po' diverse, possano avere sviluppato qualcosa de profondamente simile a questo nuovo mondo, che prima di loro non era mai esistito? Non lo crede possibile?
Sandro Veronesi (Gli sfiorati)
Non vedrò più la magnolia che destinava la sua rosa alla tomba della mia fanciulla della Florida, il pino di Gerusalemme e il cedro del Libano consacrati alla memoria di Gerolamo, l'alloro di Granada, il platano della Grecia, le querce dell'Armorica ai piedi dei quali dipinsi Blanca, cercai Cymodocée, immaginai Velléda. Questi alberi nacquero e crebbero insieme ai miei sogni: erano le mie amadriadi. Essi stanno per passare sotto un'altra autorità: il loro nuovo padrone li amerà come li amavo? Li lascerà seccare, forse li taglierà, non devo conservare nulla in questo mondo? Evocherò l'addio che dissi un tempo ai boschi di Combourg dicendo addio ai boschi di Aluny: tutti i miei giorni sono degli addii.
François-René de Chateaubriand (Mémoires d'outre-tombe, Tome 1: Livres I à XII)
Io e Arthur usciamo dal parco della High Line tenendoci per mano. Dopo quella conversazione con Dylan avevo davvero bisogno che Arthur mi parlasse di come secondo lui Angelica Schuyler è della casa di Corvonero, o di quanto sarebbe spacciato il mondo della magia se Hamilton fosse non solo un Mangiamorte ma addirittura il braccio destro di Voldemort. Ma ogni cosa bella – come i baci che ci scambiamo mentre aspettiamo di attraversare la strada, o le nostre mani che si ritrovano di nuovo dopo che la folla ci ha separati – mi turba, perché penso che tutto questo finirà. Forse non funzionerà e non mi importerà che finisca. Ma non posso passare da A a B se prima non diventiamo A e B. Vivi momento per momento.
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
«Ma guarda se non è la mia persona preferita al mondo,» sento dire da Miranda alla mia sinistra, mentre si avvicina al tavolo per versarci dell’acqua nel bicchiere. La guardo, ma lei sta fissando Kyle, dall’altra parte del tavolo, che siede alla mia destra. Poi rivolge lo sguardo verso di me e mi fa l’occhiolino. «Oh, e ciao, Jane. È bello vederti.» Le sorrido, ma poi metto su un broncio finto. «Pensavo di essere io la tua persona preferita al mondo.» «No,» dice Miranda strascicando la voce mentre mette la mano libera sul fianco e agita la brocca d’acqua quasi vuota verso Kyle. «È lui ora la mia persona preferita, dopo la batosta epica che ha dato a Craig, l’altro giorno.» Stringo le labbra e le rivolgo un cenno accomodante. «È vero. È stato epico, e capisco che la tua lealtà sia cambiata.» Miranda ride e mi manda un bacio, poi allunga la mano a Kyle attraverso il tavolo. «Non siamo stati presentati ufficialmente, l’altro giorno, ma sono Miranda. La migliore amica di Jane, e beh, lei è davvero la mia persona preferita al mondo. Ma subito dopo ci sei tu.» Kyle sorride a Miranda, e devo ammettere che è un bel sorriso. Le stringe la mano e dice: «Mi sarebbe piaciuto dargliene di più, l’altro giorno, ma non volevo fare una scenata.» Miranda ride lasciandogli andare la mano e poi si sporge per versargli l’acqua. «Va bene, sei di nuovo il mio preferito. Jane dovrà accontentarsi della seconda posizione.» E con mia grande sorpresa, Kyle ridacchia ed è ancora più bello. Il suo volto cambia e i suoi occhi si illuminano. Adesso sembra avvicinabile, e devo resistere alla tentazione di chinarmi e baciarlo.
Sawyer Bennett (Finding Kyle)
Credevo che per Barney esistessi solo tu. Almeno questo è quello che dicono tutti. Senti, ambasciator non porta pena, ma secondo me non bisogna mai essere le ultime a sapere, e guarda che parlo per esperienza personale. Dorothy Weaver - tu non la conosci, ma non importa - lo ha visto mercoledì scorso al cocktail dei Johnson. E insomma, il tuo devoto maritino si era appiccicato ad una tizia. Le parlava fitto fitto, le sussurrava paroline all'orecchio. A un certo punto le ha persino massaggiato la schiena, e poi se ne sono andati insieme". "Non mi dici niente di nuovo". "Meno male, perchè l'ultima cosa al mondo che volevo era turbarti". "Vedi, il punto è che quella donna ero io. Usciti dai Johnson siamo andati al Ritz, abbiamo esagerato con lo champagne, e poi - ma guai se lo racconti in giro -, poi ho accettato di andare a casa con lui
Mordecai Richler (Barney's Version)
Penso che il destino degli uomini sarebbe ancora più crudele di quanto già sia, se la nostra mente non fosse incapace di mettere in rapporto tra loro tutte le cose che avvengono in questo mondo. La nostra vita si svolge nei confini di una pacifica isola di ignoranza, circondata dagli oscuri mari dell'infinito, e non credo che ci convenga spingerci troppo lontano da essa. Finora le scienze, progredendo passo passo nel campo d'azione proprio a ciascuna, non ci hanno arrecato troppo danno: ma un giorno o l'altro, quando infine si riuniranno le varie parti del sapere, oggi ancora sparse qua e là, si presenterà ai nostri occhi una visione talmente terrificante della realtà e della terribile parte che noi abbiamo in essa, che se non impazziremo dinanzi a una simile rivelazione, tenteremo di fuggire quella vista mortale rifugiandoci nell'oscurità di un nuovo medioevo.
H.P. Lovecraft
Un giorno, però, a diciotto anni, leggendo l’autobiografia di John Stuart Mill 1 , trovai questa frase: «Mio padre mi insegnò che la domanda: “Chi mi creò?” non può avere risposta, perché suggerisce immediatamente un nuovo interrogativo: “Chi creò Dio?”» Compresi allora quanto fosse errato l’argomento della Causa Prima. Se tutto deve avere una causa, anche Dio deve averla. Se niente può esistere senza una causa, allora perché il mondo sì e Dio no? Questo principio della Causa Prima non è migliore dell’analoga teoria indù, che afferma come il mondo poggi sopra un elefante, e l’elefante sopra una tartaruga. Alla domanda: «E la tartaruga dove poggia?» l’indù rispose: «Vogliamo cambiare discorso?» Non c’è dunque motivo per sostenere che il mondo debba proprio avere una causa ed un’origine. Potrebbe anche essere sempre esistito. È soltanto la nostra scarsa immaginazione che vuole trovare un’origine a tutto.
Bertrand Russell (Why I Am Not a Christian and Other Essays on Religion and Related Subjects)
Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.
Antonio Tabucchi (Sostiene Pereira)
Impari lentamente, mio amato, ma impari. E ciò che si impara lentamente scende più nel profondo. Voi uomini e i vostri Dei! Vi beffate della Madre per la sua lentezza da lumaca, perché crea ciecamente al buio. Tuttavia quando create senza di Lei, in fretta e alla luce, create davvero ciecamente, dando forma, magari, alla morte di un mondo! Ebbene, avvelenate il mare e il cielo, l'aria che respirate, e persino la dolce pelle bruna del suo seno, che Essa vi ha sempre permesso di lacerare per darvi le messi. Uccidete e uccidete finché non rimane più niente se non ossa nude su una terra squallida e contaminata. La Madre è potente; Essa ha molti corpi, e il vostro mondo è solo uno di quelli. Nella Sua potenza Essa può tuttavia guarire le vostre ferite e far rifiorire la terra, sì: allevare voi uomini, anche se deve partorire di nuovo tutta la vostra razza. Perché una buona madre è paziente; sa che un bambino inciampa più volte prima d'imparare a camminare...
Evangeline Walton (Prince of Annwn (Mabinogion Tetralogy #1))
«…e Gesù mi ha fatto cadere qui, poi questa deliziosa fanciulla mi ha trovato per strada e mi ha portato…» «…scaricato…» corresse tra i denti Michele. «…in questo locale, ed ecco tutta la storia» terminò D. Grace inclinò la testa, come per studiarlo. «Dimostramelo.» «Gli stai anche dando corda?» domandò incredulo Michele. «Se è Dio, basta che me lo dimostri. Fai qualcosa di divino. Moltiplica birre e popcorn, resuscita il vecchio Giò che sta dormendo sul bancone…» «Sto riflettendo sul senso della vita» obiettò il succitato. «…ridai la vista ai ciechi» concluse Grace, indicando Michele. «Ehi, e questo cosa significherebbe?» «Ha ragione, figliolo» osservò il vecchio Giò. «Hai davanti agli occhi questo capolavoro della natura e non le hai ancora chiesto di venire a vedere la tua collezione di farfalle…» «Torna a dormire, tu!» sbraitò Michele. «Sto riflettendo sul senso dell’eterosessualità» gli rispose tranquillo l’altro. D sospirò, poi scosse la testa. «Non posso, il patto prevede che io non riprenda i miei poteri fino alla fine del trentatreesimo giorno.» «E dopo tuo figlio ti aiuterà a scatenare l’Apocalisse per tener fede al patto precedente coi Maya…» riassunse Grace. «Esattamente!» «Esattamente un cavolo!» Grace si portò la mano alla bocca, sconvolta dalla sua stessa volgarità. C’erano poche cose in grado di farla arrabbiare, ma l’Apocalisse era certamente una di quelle. «Scusa, ma non puoi farlo» riprese più calma. «Non puoi annientare così d’un colpo tutte queste vite animali e vegetali e vie di mezzo», indicò di nuovo Michele. «Sei licenziata!» esplose lui. «Per farlo, prima dovresti assumermi» scacciò l’obiezione con la mano. «Mi fa piacere che qualcuno si sia finalmente accorto che non l’ho mai fatto…» «Non puoi far finire tutto in questo modo solo per dar retta a uomini vissuti secoli fa, con un ego così immenso da pretendere di poter predire la fine del mondo! E il lavoro che ci hai messo per crearlo?» gli rinfacciò Grace. «L’opinione comune è che gli ci siano voluti solo sei giorni…» obiettò il vecchio Giò. «Torna a dormire, tu!» «Sto riflettendo sul senso di assecondare uno che si crede Dio.»
Mirya (Trentatré)
Un altro giorno stava per incominciare. Un altro giorno che si sarebbe spento in un’altra notte. La sua vita era un susseguirsi inutile di secondi, minuti e ore senza luce. Non c’era più luce in lui, né fuori di lui. Forse non era più neppure un essere umano. Forse era diventato una bestia. Sì, doveva essere così, almeno a giudicare dai peli che gli coprivano il volto e dai ringhi e grugniti con i quali ormai si esprimeva nella vana speranza di tener lontano il mondo. Ray predatore Raider fece per alzarsi dal divano che era diventato la sua zattera di salvataggio, ma ricadde pesantemente sui cuscini lasciando andare un sospiro disperato. Il male al ginocchio, da quando aveva interrotto gli antidolorifici, era insopportabile, ma almeno gli permetteva di rimanere lucido e di non dimenticare. Bussavano alla porta, ecco perché si era svegliato dal suo torpore. Anne, probabilmente, e la sua mania di portargli da mangiare quando lui avrebbe voluto solo bere. Si sdraiò di nuovo sul divano e si coprì la testa con un cuscino. Avrebbe finto di dormire, sì, e Anne se ne sarebbe andata.
Viviana Giorgi (E infine la Bestia incontrò Bella)
Resta strano e quasi inesplicabile il fatto che nella città di Atene, dove le donne erano tenute in reclusione quasi orientale, come odalische o serve, il teatro abbia ugualmente prodotto figure come Clitemnestra e Cassandra, Atossa e Antigone, Fedra e Medea, e tutte le altre eroine che dominano i drammi del "misogino" Euripide. Ma il paradosso di questo mondo, in cui nella vita reale una donna rispettabile non poteva quasi farsi vedere sola per strada, e tuttavia sulla scena, la donna uguaglia e supera l'uomo, non è stato mai spiegato in modo soddisfacente. Nella tragedia moderna esiste lo stesso prodominio. Ad ogni modo, una scorsa all'opera di Shakespeare (e anche a quella di Webster, ma non di Marlowe o Jonson) basta a dimostrare che questo preodominio, questa iniziativa delle donne, persiste da Rosalind a Lady Macbeth. E' così anche in Racine; se delle sue tragedia portano il nome dell'eroina; e quale dei suoi personaggi maschili possiamo contrapporre ad Ermione e ad Andromaca, a Berenice e a Rossana, a Fedra e ad Atalia? Così di nuovo con Ibsen, quale uomo possiamo paragonare a Solveig e Nora, Hedda e Hilda Wangel e Rebecca West?
F.L. Lucas (Greek Tragedy and Comedy)
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall'ultimo modello d'apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d'ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo i tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose di ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurit à. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arrestrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste s'inalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermantazioni e combustioni. E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé le montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano. Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle altre città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.
Italo Calvino (Invisible Cities)
Non più dunque agli uomini mi rivolgo, ma a te Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi. Se è permesso a deboli creature perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo osar domandare qualcosa a te, a te che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di guardar con misericordia gli errori legati alla nostra natura. Che questi errori non generino le nostre sventure. Tu non ci hai dato un cuore perché noi ci odiassimo, né delle mani perché ci scannassimo. Fa che ci aiutiamo l’un l’altro a sopportare il fardello d’una esistenza penosa e passeggera. Che le piccole diversità tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue insufficienti, tra tutti i nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni ai nostri occhi così diverse l’una dall’altra, e così uguali davanti a te; che tutte le piccole sfumature che distinguono questi atomi chiamati uomini non siano segnali di odio e di persecuzione; che coloro i quali accendono ceri in pieno mezzogiorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro i quali coprono la veste loro di una tela bianca per dire che bisogna amarti non detestino coloro che dicono la stessa cosa portando un mantello di lana nera;che sia uguale adorarti in un gergo proveniente da una lingua morta, o in un gergo più nuovo; che coloro il cui abito è tinto di rosso o di violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo e che posseggono alcuni frammenti arrotondati di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò che essi chiamano grandezza e ricchezza, e che gli altri guardino a costoro senza invidia;perché tu sai che nulla vi è in queste cose vane, né che sia da invidiare né che possa inorgoglire. Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Che essi abbiano in orrore la tirannide esercitata sugli animi, così come esecrano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci però, non laceriamoci a vicenda quando regna la pace e impieghiamo l’istante della nostra esistenza per benedire ugualmente, in mille lingue diverse, dal Siam sino alla California, la tua bontà che questo istante ci ha dato
Voltaire (Trattato sulla tolleranza)
Chi fui? Che senso ebbe la mia presenza in un tempo che questo film rievoca ormai così tristemente fuori tempo? Non posso farlo ora, ma devo prima o poi sviscerarlo fino in fondo, fino a un definitivo sollievo... Lo so: ero appena partorito a un mondo dove la dedizione d’un adolescente – buono come sua madre, improvvido e animoso, mostruosamente timido, e ignaro d’ogni altra omertà che non fosse ideale – era avvilente segno di scandalo, santità ridicola. Ed era destinata a farsi vizio: ché marcisce l’età la mitezza, e fa, dell’accorato dono di sé, ossessione. E se ho trovato di nuovo un’accorata purezza nell’amare il mondo, il mio non è che amore, nudo amore, senza futuro. Troppo perduto nel brusio del mondo, troppo cosparso dell’amaro di un pur triste, chapliniano riso... È resa. Umile ebbrezza del contemplare, partecipe, sviscerato – e inattivo. Umile riscoperta d’un allegro restare degli altri uomini al male: il reale, vissuto da loro in un empireo di luoghi miseri, ridenti, sulle rive di gai torrenti, sui gioghi di monti luminosi, sulle terre oppresse dall’antica fame... È senso della grandezza, questo senso che mi strugge sui minimi atti di ogni nostro giorno: riconoscenza per questo loro riapparire intatti a me sopravvissuto, e pieno ancora di stantio pianto...
Pier Paolo Pasolini (La religione del mio tempo)
L'iniziazione comporta che si faccia il vuoto, mentre la tensione cresce. Alla fine anche un granello si sabbia provoca dolore: cade come sulla pelle tesa di un tamburo. La casa viene imbiancata. Là dove il nuovo sopraggiunge deve esserci il vuoto. Anche il sepolcro viene imbiancato. Morire fa parte dell'iniziazione. È la crisi che precede la trasformazione. Un'approfondita analisi di essa da un punto di vista spirituale e morale conduce soltanto fino all'antisala: bisogna viverla. La morte deve essere attraversata, deve aver consacrato la casa. Il ciclone che si annuncia attraverso una crescente depressione non può essere evitato, né di fatto, né su un piano morale e intellettuale - non importa se si tratti di disgrazia personale o cosmica, ovvero della fine del mondo. Solo così è possibile superare entrambe. La strada da percorrere conduce al di là del punto zero, conduce oltre la linea, oltre il muro del tempo, e attraverso di esso. Nella crisi scompaiono le dimensioni; un'altra illusione ottica. La prossimità della morte modifica spazio e tempo. Anche nella cella spoglia della Tebaide, nella capanna nordica, refugium per la meditazione, nella tenda, circondata dalla gelida tormenta che ulula nella tundra, può prendere voce la formula dell'estremo svuotamento: «Dio è morto».
Ernst Jünger (Al muro del tempo)
Statemi a sentire: il lunedì fa schifo perchè sei arrabbiato per non aver potuto dormire fino a tardi, inoltre è anche il giorno in cui avviene il sessanta per cento delle riunioni che ti rovinano la vita. Il martedì fa schifo perchè ci sono ancora quattro giorni lavorativi da superare; odi te stesso e il mondo perchè sei intrappolato nella ruota per criceti chiamata vita, schiavo della paga. Il mercoledì è terribile perchè ti rendi conto, verso mezzogiorno, che è finita metà della settimana lavorativa ma il fatto che tu veda la vita in questo modo significa che non sei nient'altro che la terza vignetta di quel vecchio fumetto che non faceva ridere, Cathy, quella in cui lei si rende conto di essere una grassa zitella solitaria e le si drizzano i capelli in testa e fa un grido tipo aughhhhhh! Il venerdì è terribile perchè ti senti come un topolino da laboratorio che aspetta che il cibo venga messo nella sua gabbia, e in questo caso il cibo è il weekend. Il sabato va bene ma appena bene. E la domenica, come ho già detto, è la giornata dimenticata dal tempo, in cui non succede niente e ti ritrovi, perversamente, a desiderare che sia di nuovo lunedì. Per cui, il massimo sarebbe una settimana fatta di giovedì. Tutti sono di buonumore, la gente fa davvero quello che deve e un luccichio di sabato rende tutto più brillante.
Douglas Coupland (JPod)
Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive. Quelle come me donano l’anima, perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto. Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio di cadere a loro volta. Quelle come me guardano avanti, anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro. Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano, tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo. Quelle come me quando amano, amano per sempre. e quando smettono d’amare è solo perché piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita. Quelle come me inseguono un sogno quello di essere amate per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe fossero. Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai, sono caduti nel dimenticatoio dell’anima. Quelle come me vorrebbero cambiare, ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo. Quelle come me urlano in silenzio, perché la loro voce non si confonda con le lacrime. Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore, perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla. Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio, non riceveranno altro che briciole. Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso, purtroppo, fondano la loro esistenza. Quelle come me......................
Alda Merini (Alda Merini: Selected Poetry)
«Quello era un bacio» dico lentamente. «Senza dubbio.» «Immagino che adesso la pressione sia calata, giusto? Non ti devi più preoccupare di rendere perfetto il primo bacio» dico. «È stato perfetto.» «Sicuro di non volere una replica?» chiede lui, sorridendo fino agli occhi. «Secondo primo bacio?» «Non mi dispiacerebbe.» Lui ride, le sue mani scendono sulla mia vita. Ed ecco che ci stiamo baciando di nuovo, con la stessa sorprendente vicinanza. I miei occhi si chiudono lentamente. E l’intero mondo si restringe. Non saprei in che altro modo descriverlo. È come se non fossi in una strada, non a New York, non è luglio e niente di tutto questo importa. Non esiste nient’altro che le mani di Ben sulla mia schiena e le sue labbra sulle mie labbra e i miei polpastrelli e i suoi zigomi e il mio cuore che batte fortissimo. Non sapevo che i baci avessero un ritmo, dietro labbra schiacciate le une sulle altre. Non ci avevo mai neanche pensato, ma lo sento come fosse un giro di basso, regolare e incalzante allo stesso tempo. Ben mi tira ancora più vicino a sé, non c’è più neanche un centimetro tra noi e questa volta non mi preoccupo di erezioni, perché se ci sono regole su quello che sta accadendo decisamente le sta violando anche lui. Lo bacio ancora più forte. Lui geme piano. E tutto a un tratto mi sento come se non avessi alcun limite, come potessi fare qualunque cosa. Potrei fermare il tempo, sollevare un’automobile, o infilargli la lingua tra le labbra. «Non sei male a baciare» dice lui. «Davvero?» «Nel senso, decisamente dobbiamo continuare a esercitarci. C’è sempre spazio per i miglioramenti.» Lo sento sorridere contro le mie labbra. Sorrido a mia volta. «Infinite repliche.» «Mi piace» dice lui. «È da noi»
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
«Siete fortunati che non mi va di menarvi davanti a mio figlio.» Arthur cerca di trascinarmi via e io indietreggio solo perché lui mi sta implorando e mi chiama con voce strozzata; sta piangendo e probabilmente ha più paura di quel bambino di cinque anni. Un tizio con una borsa da palestra si piazza davanti all’uomo e gli dice di andare per la sua strada, che è finita. Se non che non è finita, perché io e Arthur quello che è successo ce lo porteremo dietro. Scendiamo alla fermata successiva e Arthur scoppia a piangere. Lo prendo per le spalle, come mi ha chiesto di fare Dylan quando gli vengono gli attacchi di panico, ma Arthur mi scrolla via e si guarda intorno sulla banchina. «Pensavo che a New York non ci fossero problemi con...» Fa un respiro profondo e si asciuga le lacrime sulle guance. «Locali gay, gay pride, coppie dello stesso sesso che si tengono per mano. Che diavolo. Pensavo che New York fosse tollerante.» «Per lo più lo è, credo. Ma ogni città ha la sua percentuale di stronzi.» Vorrei abbracciarlo, ma in questo momento non vuole essere toccato. Come se ogni gesto d’affetto potesse trasformarsi in un bersaglio appeso alle nostre schiene. Come se potessimo essere puniti perché i nostri cuori sono diversi. «Stai bene?» «No. Non ero mai stato minacciato. E ho avuto tanta paura per te. Perché non te ne sei stato zitto?» Avrei dovuto. Non avrei dovuto mettere in pericolo Arthur solo perché volevo difendere noi e tutti quelli come noi. «Mi dispiace. Ho avuto paura anch’io.» Rimaniamo lì per qualche minuto e quando arriva il treno successivo, Arthur non vuole salirci. È lo stesso con il treno dopo ancora. Quando arriva il terzo treno si è ripreso, per quanto umanamente possibile, e accetta di salirci solo perché è così affollato che ci sarà più gente a proteggerci se dovesse succedere di nuovo qualcosa. Non mi piace che lo stesso mondo che ci ha fatto incontrare lo stia anche spaventando. «Non ti lascio solo finché non sarai a casa» dico. Arthur si guarda intorno e poi solleva su di me i suoi stanchi occhi azzurri. La sua mano si allaccia alla mia e non lascia la presa per tutto il viaggio
Becky Albertalli (What If It's Us (What If It's Us, #1))
Considerare il diavolo un partigiano del Male e l'angelo un combattente del Bene significa accettare la demagogia degli angeli. La faccenda, in realtà, è più complessa. Gli angeli sono partigiani non del Bene, ma della creazione divina. Il diavolo, invece, è colui che nega al mondo divino un senso razionale. Come si sa, angeli e demoni si spartiscono il dominio del mondo. Tuttavia, per il bene del mondo non occorre che gli angeli abbiano il sopravvento sui demoni (come credevo quando ero bambino), ma che i poteri degli uni e degli altri siano all'incirca in equilibrio. Se nel mondo c'è un eccesso di senso incontestabile (dominio degli angeli), l'uomo soccombe sotto il suo peso. Se il mondo perde tutto il suo senso (dominio dei demoni), è altrettanto impossibile vivere. Le cose che vengono private di colpo del loro senso presunto, del posto assegnato loro nel preteso ordine delle cose (un marxista formatosi a Mosca che crede agli oroscopi), provocano in noi il riso. All'origine, il riso appartiene dunque al diavolo. Vi è in esso qualcosa di malvagio (le cose si rivelano di colpo diverse da come volevano farci credere di essere), ma anche una parte di benefico sollievo (le cose sono più leggere di come apparivano, ci lasciano vivere più liberamente, smettono di opprimerci con la loro austera serietà). Quando l'angelo udì per la prima volta il riso del maligno, restò sbalordito. Accadde durante un banchetto, la sala era gremita e i presenti durino conquistati uno dopo l'altro dal riso del diavolo, che era contagioso. L'angelo capiva benissimo che quel riso era diretto contro Dio e contro la dignità della sua opera. Sapeva di dover reagire subito, in un modo o nell'altro, ma si sentiva debole e inerme. Non riuscendo a inventare niente di nuovo, scimmiottò il suo rivale. Aperta la bocca, emise un suono intermittente, spezzato, alle frequenze più alte del suo registro vocale [...], ma dandogli un significato opposto: Mentre il riso del diavolo alludeva all'assurdità delle cose, l'angelo, col suo grido, voleva rallegrarsi che tutto, quaggiù, fosse ordinato con ragione, ben concepito, bello, buono e pieno di senso. Così l'angelo e il diavolo si fronteggiavano e, mostrandosi l'un l'altro la bocca spalancata, emettevano all'incirca lo stesso suono, ma ciascuno esprimeva col suo clamore cose radicalmente opposte. E il diavolo guardava l'angelo ridere e rideva ancora di più, ancora meglio e con più gusto, perché l'angelo che rideva era infinitamente comico. Un riso ridicolo è un fallimento. Ciò non toglie che gli angeli abbiano ottenuto comunque un risultato. Ci hanno ingannati tutti con un'impostura semantica. Per indicare sia la loro imitazione del riso, sia il riso originale (quello del diavolo), c'è una parola sola. Ormai non ci rendiamo nemmeno più conto che la stessa manifestazione esteriore nascoste due atteggiamenti interiori assolutamente opposti. Esistono due tipi di riso e noi non abbiamo parole per distinguerli l'un l'altro.
Milan Kundera (The Book of Laughter and Forgetting)
Istruzione, affari e industria, viaggi e logistica, banche, vendita al dettaglio e shopping, intrattenimento, welfare e sanità, politica e relazioni sociali, in breve la vita stessa per come la conosciamo oggi è diventata inconcepibile senza la presenza di pratiche, prodotti, servizi e tecnologie digitali. Chiunque non sia stupito di fronte a una tale rivoluzione digitale non ne ha afferrato la portata. Stiamo parlando di un nuovo capitolo della storia umana. Naturalmente, molti altri capitoli l'hanno preceduto. Erano tutti ugualmente significativi. L'umanità ha sperimentato un mondo prima e dopo la ruota, la lavorazione del ferro, l'alfabeto, la stampa, il motore, l'elettricità, la televisione o il telefono. Ogni trasformazione è unica. Alcune di queste hanno cambiato in maniera irreversibile il modo in cui comprendiamo noi stessi, la nostra realtà e l'esperienza che ne facciamo, con implicazioni complesse e di lungo periodo. Stiamo ancora scoprendo nuovi modi per sfruttare la ruota, basti pensare alla ghiera cliccabile dell'iPod. Al contempo, è inimmaginabile ciò che l'umanità potrà ottenere grazie alle tecnologie digitali. Nessuno nel 1964 (vedi capitolo 1) avrebbe potuto immaginare come sarebbe stato il mondo solo cinquant'anni dopo. I futurologi sono i nuovi astrologi. Eppure, è anche vero che la rivoluzione digitale accade una volta sola, e cioè adesso. Questa particolare pagina della storia umana è stata voltata ed è iniziato un nuovo capitolo. Le generazioni future non sapranno mai com'era una realtà esclusivamente analogica, offline, predigitale. Siamo l'ultima generazione che l'avrà vissuta. Il prezzo di un posto così speciale nella storia lo si paga con incertezze che destano preoccupazioni. Le trasformazioni indotte dalle tecnologie digitali sono sorprendenti. Giustificano un po' di confusione e di apprensione. Basta guardare i titoli dei giornali. Tuttavia, il nostro posto speciale in questo spartiacque storico, tra una realtà completamente analogica e una sempre più digitale, porta con sé anche straordinarie opportunità. Proprio perché la rivoluzione digitale è appena iniziata, abbiamo la possibilità di plasmarla in modi positivi che possono fare progredire sia l'umanità sia il nostro pianeta. Come disse una volta Winston Churchill, "prima siamo noi a dare forma agli edifici; poi sono questi a dare forma a noi". Siamo nella primissima fase di costruzione delle nostre realtà digitali. Possiamo costruirle bene, prima che inizino a influenzare e modellare noi e le generazioni future nel modo sbagliato. La discussione sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno è inutile perché la questione davvero interessante è come possiamo riempirlo. Per individuare la strada migliore da percorrere nello sviluppo delle nostre tecnologie digitali, il primo, fondamentale passo è cercare di averne una maggiore e migliore comprensione. Non dovremmo sonnecchiare nella creazione di un mondo sempre più digitale. L'insonnia della ragione è vitale, perché il suo sonno genera errori mostruosi. Comprendere le trasformazioni tecnologiche in atto sotto i nostri occhi è cruciale, se vogliamo guidare la rivoluzione digitale in una direzione che sia preferibile (equa) dal punto di vista sociale e sostenibile da quello ambientale. Ciò può tradursi solo in uno sforzo collaborativo. Pertanto, in questo libro, offro il mio contributo condividendo alcune idee su un particolare tipo di tecnologia digitale, l'intelligenza artificiale (IA), e un problema specifico, la sua etica.
Luciano Floridi (Etica dell'intelligenza artificiale)
Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna. Ma cos'e' la donna? E' semplicissimo – dice chi ama le formule semplici: è una matrice, un’ovaia; è una femmina: ciò basta a definirla. In bocca all’uomo, la parola “femmina” suona come un insulto; eppure l’uomo non si vergogna della propria animalità, anzi è orgoglioso se si dice di lui: “E’ un maschio!” Ora la donna è sempre stata, se non la schiava, la suddita dell’uomo; i due sessi non si sono mai divisi il mondo in parti uguali e ancora oggi, nonostante che la condizione della donna si sia evoluta, la donna è gravemente handicappata. Economicamente gli uomini e le donne costituiscono quasi due caste (due gabbie salariali si direbbe oggi); a parità di condizioni i primi hanno situazioni più favorevoli, salari più elevati, maggiori probabilità di riuscita. Nulla di nuovo si dice quando si afferma che gli uomini occupano nell’industria, nella politica, nell’economia, un numero assai più grande di posti e detengono le cariche più importanti. L’uomo può pensarsi senza la donna: lei non può pensarsi senza l’uomo. Lei è soltanto ciò che l’uomo decide che sia; così viene qualificata “il sesso”, intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. L'uomo è definito come un essere umano e una donna come una femmina - ogni volta che si comporta come un essere umano si dice che imiti il ​​maschio. Le donne vivono disperse in mezzo agli uomini, legate ad alcuni uomini – padre o marito – più strettamente che alle altre donne; e ciò per i vincoli creati dalla casa, dal lavoro, dagli interessi economici, dalla condizione sociale. C’è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne con il rispetto di cui si circondano le madri. È un paradosso criminale negare alla donna ogni attività pubblica, precluderle la carriera maschile, proclamare la sua incapacità in tutti i campi, e affidarle l’impresa più delicata e più grave: la formazione di un essere umano. Finché la famiglia e il mito della famiglia e il mito della maternità e l'istinto materno non saranno soppressi, le donne saranno oppresse.
Simone de Beauvoir (Le deuxième sexe, I)
Su piazza Giachery batte il sole, quel pomeriggio. È giugno inoltrato, ed è da aprile che non piove. Lo scirocco è stato impietoso sulla città sin dall’inizio del mese, portando solo sabbia, rossa e densa e irrespirabile, mai una nuvola carica d’acqua per dare sollievo alla terra. Nonostante il vento oggi si sia calmato, il cielo è di quel colore malato, quel giallo itterico e opaco che lo scirocco porta con sé. Manfredi lo fissa quasi sbigottito, ovviamente la sua prima notte di nuovo al mondo deve per forza essere una serata del cazzo, di quelle in cui non è mai davvero notte, perché il rossore dell’aria rende l’atmosfera viola e cupa e si riesce a malapena a respirare, masticando sabbia fra i denti a ogni boccata.
Chiara D'Agosto (Vento di Scirocco)
Durante la lezione decide che proverà le selezioni del concorso. Leda, la sua compagna di stanza, non è d’accordo: – E se ti scoprono i tuoi genitori? – E’ un mondo nuovo, – risponde Hera. – Ormai siamo libere.
Anilda Ibrahimi (Volevo essere Madame Bovary)
Ma da quando più di un anno prima, rivelandogli le tante ricchezze della sua anima, era nato in lui, almeno per qualche tempo, l'amore per la musica, Swann considerava i motivi musicali come idee vere e proprie, ma di un altro mondo, di un altro ordine, idee velate di tenebra, sconosciute, impenetrabili dall'intelletto, ma che non sono perciò meno perfettamente distinte le une dalle altre, non meno differenti fra loro in valore e significato. Quando, dopo la serata dai Verdurin, facendosi eseguire di nuovo la piccola frase, aveva cercato di distinguere come, al modo di un profumo, di una carezza, essa lo circuisse, lo avviluppasse, si era reso conto che quell'impressione di dolcezza ritrosa e da brivido era dovuta al debole scarto fra le cinque note che la componevano e al richiamo costante di due di esse; ma in realtà sapeva di ragionare così non sulla frase in se stessa, ma su semplici valori sostituiti, per comodità della sua intelligenza, all'entità misteriosa che egli aveva percepito, prima di conoscere i Verdurin, la sera che aveva udito la sonata per la prima volta. Sapeva che il ricordo stesso del pianoforte falsava ancor di più la prospettiva in cui vedeva i fenomeni musicali, che il campo aperto al musicista non è una meschina gamma di sette note, ma una tastiera incommensurabile, quasi del tutto sconosciuta ancora, dove, solo qui e là, disgiunti da spesse tenebre inesplorate, alcuni dei milioni di tasti di tenerezza, di passione, di coraggio, di serenità, che la compongono, ognuno diverso dagli altri come un universo da un altro universo, sono stati scoperti da alcuni grandi artisti, che svegliando in noi l'equivalente del tema che hanno trovato, ci rendono il servigio di mostrarci quanta ricchezza e varietà nasconda a nostra insaputa la grande notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima, che noi scambiamo per un vuoto e un nulla.
Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto)
presi a parlare spiegando come persino la nostra situazione attuale non fosse la più tremenda tra quelle che si potevano immaginare nell’Europa della seconda guerra mondiale e del sesto inverno di guerra; feci dunque assegnamento, a tutta prima, su un effetto di contrasto che pensavo di sfruttare. Dissi poi che ognuno di noi doveva chiedersi che cosa avesse perduto, finora, d’insostituibile. Feci delle riflessioni su questo punto, concludendo che la maggior parte di noi aveva perso ben poco d’essenziale. Almeno chi era ancora in vita aveva buoni motivi per sperare. Salute, felicità domestica, rendimento professionale, patrimonio, posizione sociale – erano tutte cose che si potevano sostituire, che si potevano ritrovare o rifare. «Abbiamo ancora le ossa intatte!». E nonostante tutto quello che ci avevano costretto a subire in quell’ultimo periodo, il futuro, per noi, poteva ancora avere un senso. Citai Nietzsche: «Ciò che non mi uccide, mi rende più forte». E poi parlai del futuro. Dissi che il futuro poteva apparire squallido agli occhi di un osservatore imparziale. Convenni che ognuno di noi poteva calcolare approssimativamente quanto poco probabile fosse uscire vivi dal Lager. Benché non vi fosse ancora l’epidemia di tifo petecchiale, valutavo al 5% la speranza di sopravvivenza, e lo dissi agli altri. Poi dissi anche che io, per quanto mi concerneva, non pensavo neppure lontanamente, nonostante tutto, a rinunciare alla speranza, ad abbandonare la lotta: perché nessun uomo conosce il futuro, nessun uomo sa che cosa può portargli magari l’ora successiva. E se non era lecito attendere per l’indomani eventi militari sensazionali, chi meglio di noi – con la nostra esperienza del Lager – poteva sapere se non sarebbe sopravvenuta all’improvviso una qualche prospettiva, almeno per qualcuno: un’insospettata inclusione in un piccolo trasporto verso un campo di lavoro a condizioni particolarmente favorevoli, o qualcosa del genere. Cose che sono la grande aspirazione di un internato: la sua “felicità”. Ma non parlai soltanto del futuro e del buio che fortunatamente lo circondava e del presente con tutte le sue sofferenze; parlai anche del passato, di tutte le sue gioie e della luce ch’esso emanava, pur nell’oscurità dei nostri giorni. Citai di nuovo, per non diventare idillico in prima persona, il poeta che dice: «Quanto hai vissuto, nessuna potenza del mondo può togliertelo». Ciò che abbiamo realizzato nella pienezza della nostra vita passata, nella sua ricchezza d’esperienza, questa ricchezza interiore, nessuno può sottrarcela. Ma non solo ciò che abbiamo vissuto, anche ciò che abbiamo fatto, ciò che di grande abbiamo pensato e ciò che abbiamo sofferto... Tutto ciò l’abbiamo salvato rendendolo reale, una volta per sempre. E se pure si tratta di un passato, è assicurato per l’eternità! Perché essere passato è ancora un modo di essere, forse, anzi, il più sicuro.
Viktor E. Frankl (L'uomo in cerca di senso: Uno psicologo nei lager e altri scritti inediti)
presi a parlare spiegando come persino la nostra situazione attuale non fosse la più tremenda tra quelle che si potevano immaginare nell’Europa della seconda guerra mondiale e del sesto inverno di guerra; feci dunque assegnamento, a tutta prima, su un effetto di contrasto che pensavo di sfruttare. Dissi poi che ognuno di noi doveva chiedersi che cosa avesse perduto, finora, d’insostituibile. Feci delle riflessioni su questo punto, concludendo che la maggior parte di noi aveva perso ben poco d’essenziale. Almeno chi era ancora in vita aveva buoni motivi per sperare. Salute, felicità domestica, rendimento professionale, patrimonio, posizione sociale – erano tutte cose che si potevano sostituire, che si potevano ritrovare o rifare. «Abbiamo ancora le ossa intatte!». E nonostante tutto quello che ci avevano costretto a subire in quell’ultimo periodo, il futuro, per noi, poteva ancora avere un senso. Citai Nietzsche: «Ciò che non mi uccide, mi rende più forte». E poi parlai del futuro. Dissi che il futuro poteva apparire squallido agli occhi di un osservatore imparziale. Convenni che ognuno di noi poteva calcolare approssimativamente quanto poco probabile fosse uscire vivi dal Lager. Benché non vi fosse ancora l’epidemia di tifo petecchiale, valutavo al 5% la speranza di sopravvivenza, e lo dissi agli altri. Poi dissi anche che io, per quanto mi concerneva, non pensavo neppure lontanamente, nonostante tutto, a rinunciare alla speranza, ad abbandonare la lotta: perché nessun uomo conosce il futuro, nessun uomo sa che cosa può portargli magari l’ora successiva. E se non era lecito attendere per l’indomani eventi militari sensazionali, chi meglio di noi – con la nostra esperienza del Lager – poteva sapere se non sarebbe sopravvenuta all’improvviso una qualche prospettiva, almeno per qualcuno: un’insospettata inclusione in un piccolo trasporto verso un campo di lavoro a condizioni particolarmente favorevoli, o qualcosa del genere. Cose che sono la grande aspirazione di un internato: la sua “felicità”. Ma non parlai soltanto del futuro e del buio che fortunatamente lo circondava e del presente con tutte le sue sofferenze; parlai anche del passato, di tutte le sue gioie e della luce ch’esso emanava, pur nell’oscurità dei nostri giorni. Citai di nuovo, per non diventare idillico in prima persona, il poeta che dice: «Quanto hai vissuto, nessuna potenza del mondo può togliertelo». Ciò che abbiamo realizzato nella pienezza della nostra vita passata, nella sua ricchezza d’esperienza, questa ricchezza interiore, nessuno può sottrarcela. Ma non solo ciò che abbiamo vissuto, anche ciò che abbiamo fatto, ciò che di grande abbiamo pensato e ciò che abbiamo sofferto... Tutto ciò l’abbiamo salvato rendendolo reale, una volta per sempre. E se pure si tratta di un passato, è assicurato per l’eternità! Perché essere passato è ancora un modo di essere, forse, anzi, il più sicuro. E parlai anche delle molte possibilità di dare un significato alla vita. Raccontai ai miei compagni (che giacevano in silenzio, quasi senza muoversi, tutt’al più lasciandosi sfuggire un sospiro commosso) che la vita umana ha sempre, in tutte le circostanze, un significato e che quest’infinito senso dell’essere comprende anche sofferenze, morte, miseria e malattie mortali.
Viktor E. Frankl (L'uomo in cerca di senso: Uno psicologo nei lager e altri scritti inediti)
Il mondo nuovo è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso, non essendoci nulla da contrapporgli.
Theodor W. Adorno (Prismen: Kulturkritik und Gesellschaft)
Non avevo voglia di aprirmi fino in fondo, gli avrei dovuto spiegare che di rassegnazione nelle mie parole non ce n’era, parlerei piú di accettazione, che significa prendere atto della realtà senza star lí a sprecare energie vitali. La distinzione è sottile, ma importante: la rassegnazione è una resa, l’accettazione è un punto di partenza. La prima ci obbliga a rinunciare a modificare le cose, a trasformare le situazioni, accettare invece ci dà la possibilità di spostare l’attenzione su altro, di restare vivi e ripartire, cercando di modellarci sul presente, di assecondare con i nostri movimenti gli attacchi della vita, come il judoka, che sa che contrastare aggredendo spesso porta solo a un dispendio di forze. Io, caro padre, accetto, non mi rassegno. Accetto di non poter cambiare alcuni aspetti di me e della mia vita, o di poterli cambiare solo grazie a enormi sacrifici. Accetto di non poter contrastare fino in fondo le mie paure, le fobie, le debolezze. Accetto quei muri grigi e la porticina laterale. Accetto di essere ipocondriaco. Non mi rassegno a dover morire, questo no, ma accetto di non poter fare nulla per contrastare questo. In fondo si tratta di accogliere l’idea che dalle cellule alle stelle tutto muore, e che un domani anche la mia fine servirà, grazie alle morti di ciascuno di noi la vita avrà lo spazio per rigenerarsi, ed evolvere. La caduta dell’albero permette alla luce di raggiungere nuovamente il terreno sottostante, cosí da far nascere un nuovo tronco. Gli atomi di cui sono composto, che forse un tempo sono appartenuti a un dinosauro, a un faraone, a Buddha, chissà, questi stessi atomi che provengono da una stella esplosa lontano, in altre galassie, dopo la mia morte rimarranno qui e torneranno in circolo, finiranno in milioni di altri organismi, senza mai fine. Si tratta forse di curvare quella che crediamo essere una linea retta fino ad avere un cerchio: non nascita, vita, morte, ma nascita, vita, morte, nascita, vita, morte, nascita, vita, morte… nascita. «La vita è solo un breve periodo di tempo in cui sei vivo». Lo disse quel genio di Philip Roth. Solo un breve periodo di tempo in cui siamo vivi. È una parentesi, in fondo, la nostra vita, e dico questo non perché voglia fare il pesante, il pessimista e il menagramo, no. Ho scherzato fino a ora e continuerò a farlo, tenterò di tenere a bada l’ansia con l’ironia e quella leggerezza che ad alcuni dà fastidio e altri non riconoscono. Ma non voglio parlare di me, desidero disquisire di vita, e di come la spendiamo. Perciò cito le parole di Roth e parlo di piccola parentesi, perché credo che il primario compito di ognuno sia rendere degna la propria esistenza, combattere con tutte le forze affinché sia tale, per non sentire di avere sprecato l’unica grande occasione che ci è stata data. Abbiamo il dovere di riempire questa parentesi di piú cose possibili, di piú cose meravigliose possibili. Dobbiamo approfittare del tempo, anzi approfittare del fatto che il tempo è poco, per lasciare un segno del nostro passaggio terreno. Lo diceva il giovane Seneca a soli venti anni: «La vita che ci è data è lunga a sufficienza per compiere grandissime imprese, purché sia spesa bene». Lo cantava anche Omero nell’Iliade: «Come stirpi di foglie, cosí le stirpi degli uomini; | le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva | fiorente le nutre al tempo di primavera; | cosí le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua». E chissà che un giorno non ci ritroveremo a volare liberi nell’aria per poi posarci sulla spalla di un nostro caro, come le farfalle monarca del Messico. «Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla», è una meravigliosa frase taoista. Ecco, questo paragrafo, questo piccolo pensiero, caro padre, è il mio atto di fede, il mio tentativo. Esisto, e un domani sarò esistito, come disse pure Margherita Hack. «Qualcuno si ricorderà di me. E se cosí non fosse, non importa».
Lorenzo Marone (Inventario di un cuore in allarme)
10. Così procedono i nostri discorsi, eterna vittoria del linguaggio sull'opacità delle cose, silenzi luminosi che dicono più di quel che tacciono. Siamo persone attente e informate, non ci facciamo certo infinocchiare dalla nostra epoca. Il mondo intero è in quel che diciamo -e tutto illuminato da quel che omettiamo. Siamo lucidi. O meglio, abbiamo la passione della lucidità.. Da dove viene allora questa vaga tristezza da dopo conversazione? Questo silenzio di mezzanotte, nella casa di nuovo restituita a se stessa? E solo la prospettiva dei piatti da lavare? Oppure.... A qualche centinaio di metri da li - semaforo rosso - i nostri amici sono immersi nello stesso silenzio che, passata l'ebbrezza della lucidità, prende le coppie di ritorno da una serata, nelle auto immobili. E come un retrogusto di sbronza, la fine di un'anestesia, una lenta risalita verso la coscienza, il ritorno a se stessi e la sensazione vagamente dolorosa di non riconoscerci in quel che abbiamo detto. Non c'eravamo. Tutto il resto c'era, sicuro, gli argomenti erano giusti - e da questo punto di vista avevamo ragione - ma noi non c'eravamo. È indubbio, ancora una serata sacrificata alla pratica anestetizzante della lucidità. È così... uno crede di tornare a casa e invece torna in se stesso. Quel che dicevamo prima, intorno al tavolo, era agli antipodi di quello che veniva detto in noi. Parlavamo della necessità di leggere, ma eravamo vicini a lui, lassù, lui che non legge. [...]
Daniel Pennac (Comme un roman)
Mentre l'errore continua ad ardere, un amore in frantumi o una fede smarrita ci fanno credere che sia tutto finito, che non ce la facciamo più. Non è vero. Non è mai vero. Non importa quali siano le nostre azioni, non importa dove ci siamo persi, la luminescenza non svanisce mai. [...] A volte la foresta che ricresce nel cuore segnato da una cicatrice è persino più folta e selvaggia di quanto fosse prima dell'incendio. E se restiamo in quel bagliore nascosto, nel nuovo ricettacolo di luce - perdonando tutti, senza mai arrenderci - prima o poi ci ritroviamo là dove amore e bellezza hanno creato il mondo: all'inizio. L'inizio.
Gregory David Roberts (L'Ombre de la montagne (Littérature étrangère))
M'immaginai una forza oscura acquattata nella vita della protagonista, un'entità che aveva la capacità di saldarle il mondo intorno, con i colori della fiamma ossidrica: una calotta azzurro-violacea dove ogni cosa le andava per il meglio schizzando scintille ma che presto si dissaldava, scindendosi in frammenti grigi privi di senso.
Elena Ferrante
Ieri i dirigenti in gruppo sono venuti a vedere il nuovo reparto psichiatrico e si sono compiaciuti: quanto sono grandi le stanze dei pazienti! Poi, rumorosi ed euforici, si sono allontanati verso altri lidi. E io ho pensato: Gli euforici sono ambiziosi, sfrontati e instancabili, l’euforia aiuta a fare carriera. Però appena raggiunta una posizione si annoiano e, invece di dirigere, si guardano intorno: Cosa faccio io qua? Pensano già a dove trasferirsi. È il loro limite, hanno bisogno di muoversi. Ecco perché i dirigenti credono, in buona fede e ignoranza, che i pazienti amino lo spazio. Lo spazio ha per loro un valore positivo in assoluto. Ma non è cosí. L’euforia è solo uno dei tanti disturbi mentali: in altri il paziente è indifferente allo spazio,nin altri ancora, impensabile ma vero, è angosciato dallo spazio. Il mondo è pieno di depressi che dormono su un divano senza neanche mettersi il pigiama, o sul bordo del letto senza neanche tirare su il lenzuolo, molti dormono su una sedia. Se gli dai un letto matrimoniale, dopo un mese è intatto. Preferiscono cosí. Non è di spazio esterno che hanno bisogno.
Paolo Milone (L'arte di legare le persone)
«Grazie Angus, per avermi salvata.» Mi limito a fissarla senza dire niente. Per lei sarei andato in capo al mondo, avrei rivoltato qualsiasi cosa, avrei ucciso qualsiasi nemico. Ma non le dico niente di tutto questo, la faccio di nuovo riabbassare verso di me e le bacio la testa. «Dormi, Faith. Perché tra qualche ora avrò ancora voglia di te.» Sento che ride, ma poi il suo corpo si rilassa abbandonandosi ad un sonno sereno. Mentre io per molto tempo non dormo. Ripenso a quello che è successo qui tra di noi e, all’intensità di quello che provo. Ripenso anche a quello che è successo in quel bosco e, se penso che avrei potuto perderla mi sento impazzire. Ormai Faith fa parte della mia vita e, non posso pensare alla mia esistenza senza di lei. L’abbraccio ancora più forte, lasciandomi cullare dal profumo dei suoi capelli e dalla totale bellezza di questo attimo perfetto.
Barbara Pedrollo (Il bacio del lupo)
Chi sono?" Il ragazzo parò di nuovo al fratello e costui gli rispose brevemente. "Questo non importa," mi riferì il ragazzo, "è solo maya". "E cos'è maya?" "è l'apparenza del mondo," rispose il ragazzo, "ma è solo illusione, quello che conta è l'atma." Poi si consultò col fratello e mi confermò con convinzione: "quello che conta è l'atma." "E l'atma che cos'è?" Il ragazzo sorrise della mia ignoranza. "The soul", disse, "l'anima individuale." (...) "Credevo che dentro di noi ci fosse solo il karma," dissi io, "la somma delle nostre azioni, di ciò che siamo stati e di ciò che saremo." (...)"Oh no," spiegò il ragazzo. "c'è anche l'atma, sta con il karma ma è una cosa distinta." "E allora se io sono un altro vorrei sapere dov'è il mio atma, dove si trova ora.
Antonio Tabucchi (Indian Nocturne)
Il quale mondo appariva un corpo in putrefazione. Le classi alte ardevano di febbre di potenza politica, boria castale e ricchezza. In testa a loro i sovrani, d'anno in anno più dimentichi dei poveri cristiani, per i quali l'esercizio del potere avrebbe dovuto essere un servizio ai sudditi, stavano riducendo la politica a un'arte, spesso satanica, per spogliare i cittadini dei beni temporali prima, e della vita poi. In terra di ribellione alla Chiesa, li spogliavano anche della fede. Re che si pompeggiavano d'epiteti di cattolicità e cristianità, come Carlo V e Francesco I, nella lotta per l'egemonia, usavano della Chiesa, degli eretici ed dei musulmani come di agenti per rubarsi gli averi, barattando la benedizione del Papa per la scimitarra del Sultano. Le classi medie erano percorse dalla passione frenetica dei commerci, delle avventure del nuovo mondo, per ammassar oro. I contadini cercavano di rifilare qualche crosta dalla torta dei ricchi con furberie, odiando e maledicendo per la propria impotenza.
Igino Giordani (Ignazio di Loiola. Generale di Cristo)
Frodo: “Non posso farlo, Sam.” Sam: “Lo so. È tutto sbagliato. Noi non dovremmo nemmeno essere qui. Ma ci siamo. È come nelle grandi storie, padron Frodo. Quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericoli, e a volte non volevi sapere il finale. Perché come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine è solo una cosa passeggera, quest’ombra. Anche l’oscurità deve passare. Arriverà un nuovo giorno. E quando il sole splenderà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che significavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire il perché. Ma credo, padron Frodo, di capire, ora. Adesso so. Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto. Andavano avanti, perché loro erano aggrappate a qualcosa.
J.R.R. Tolkien
Nel mondo montano le cose si comportano in modo strano e inusitato. Anche il tempo si torce e si deforma. Di fronte a scale temporali cadenzate in ere geologiche, perdiamo la percezione del tempo che ci è consueta. L'interesse e la coscienza del mondo di fuori scompaiono di fronte a una gerarchia di bisogni molto più immediati e vitali: calore, cibo, direzione, riparo, sopravvivenza. E se qualcosa va storto, anche il tempo si spezza, per riconfigurarsi attorno a quel momento specifico, a quell'incidente particolare. Tutto porta lì e da lì si dipana. È come se, per quanto riguarda la dimensione temporale, acquistassimo un nuovo centro dell'esistenza.
Robert Macfarlane (Mountains of the Mind: A History of a Fascination)
Se qualcuno lo avesse spogliato del suo tweed inglese e gli avesse fatto indossare un abito nero, con pizzi sul collo e sui polsi, il signor de Winter avrebbe potuto guardare a noi del nuovo mondo da un passato molto distante - un passato nel quale gli uomini, di notte, camminavano intabarrati, e restavano nell'ombra di antichi passaggi, un passato di scale a chiocciola e di celle sotterranee, un passato di sussurri nel buio, di lame balenanti, di silenziosa e squisita cortesia.
Daphne du Maurier
All'inizio della loro felicità, in quei primi momenti, tutt'e due erano pronti a considerare quei sette anni come sette giorni... [...] Ma qui, ormai, comincia una nuova storia, la storia della rinascita di un uomo, della sua graduale trasformazione, del suo lento passaggio da un mondo a un altro mondo, del suo incontro con una realtà nuova e fino a quel momento completamente ignorata. potrebbe essere l'argomento di un nuovo racconto; ma il nostro, intanto, è finito.
Fëdor Dostoevskij (Delitto e castigo)
Così la trascinarono di nuovo verso il suo destino. Verso il carro, verso il mondo necessario dell'uomo bianco che sembrava non volerla.
Paulette Jiles (News of the World)
[...] Qualsiasi grande può regredire a inutile comparsa se una mutazione cambia il punto di vista e rende difficile annoverarlo fra i profeti dal nuovo mondo. [...] Non è tanto una questione di forza della singola opera e del singolo autore: è la prospettiva che detta la regola: poi, solo dopo, interviene quella forza, a orientare i giudizi.
Alessandro Baricco (I barbari. Saggio sulla mutazione)
Ma siamo fragilissimi e tutto può finire in un momento e allora un nuovo nuovissimo equilibrio si ricomone, su quel che conta, l'emozione che ci rende ancora felici, la coccola, l'aggiustamento del mondo al nuovo mondo che nasce
Mariapia Veladiano (Adesso che sei qui)
C'è chi decide di rimanere a casa perchè sta bene e non ha bisogno di andare a scoprire il mondo, e chi invece lo deve girare, provare, fare esperienza, per capire che magari non c'è niente di particolarmente nuovo ma per capirlo ha bisogno di viaggiare.
Fabio Volo (Esco a fare due passi)
c'avissi a cadiriri 'a lingua a quelli che dicono la parola "diverso!" esclamò Maria. "Tutti uguali siamo, ricordatelo, a anessuno capita quello non è già capitato agli altri, non c'è mai niente di nuovo a questo mondo vecchio assai, ma i cristiani non lo capiscono.
Simonetta Agnello Hornby (La zia marchesa)
Non rimpiangiamo questo mondo che finisce, non abbiamo alcuna nostalgia per l’idea dell’umano e del divino che le onde implacabili del tempo stanno cancellando come un volto di sabbia sul bagnasciuga della storia. Ma con altrettanta decisione rifiutiamo la nuda vita muta e senza volto e la religione della salute che i governi ci propongono. Non aspettiamo né un nuovo dio né un nuovo uomo – cerchiamo piuttosto qui e ora, fra le rovine che ci circondano, un’umile, più semplice forma di vita, che non è un miraggio, perché ne abbiamo memoria e esperienza, anche se, in noi e fuori di noi, avverse potenze la respingono ogni volta nella dimenticanza.
Giorgio Agamben
— Giovani fortunati! — disse il Governatore. — Non è stata risparmiata nessuna fatica per rendere le vostre vite facili dal punto di vista emotivo; per preservarvi, nei limiti del possibile, dal provare qualsiasi emozione.
Aldous Huxley (Brave New World)
Leggendo, diluisco la mia storia in quelle degli autori, semino le mie angosce nell’emozione degli intrighi. Mi smarrisco, scordo me stessa. ========== Era un giorno come gli altri. Contrariamente a quanto ci fanno credere i romanzi d’amore, i grandi eventi non avvengono nel bel mezzo di momenti particolari. Non sono la lunga pausa di una giornata o di una notte che li stavano preparando, pronte ad accoglierli. Spesso sorgono nello spazio della banalità quotidiana, ed è proprio per questo che sembrano ancora più belli. Perché ci strappano alla nostra routine, rompono la piattezza dell’esistenza, conferiscono un sapore nuovo ai momenti in arrivo, ci risvegliano i sensi e ci danno la sensazione di essere finalmente vivi. Eppure ogni fatto eccezionale, che si tratti di un colpo di fulmine, di una nascita, di un bell’incontro o della lettura di qualcosa di bello, ci fa talvolta pensare che tutto ciò che l’ha preceduto esistesse solo per portarci a lui; così che, sotto la forma di un perfido revisionismo, ridipingiamo le scene di quegli avvenimenti con i colori e la luce che proprio essi ci hanno rivelato. Quel giorno non si annunciava quindi né più bello, né più scialbo dei precedenti: eppure stavo per vivere l’incontro più importante della mia esistenza. ========== All’amore non interessano le ragioni della sua esistenza. L’amore è un sentimento totalitario: non accetta alcuna contraddizione, contestazione o controversia. Vi chiede di piegarvi alla sua legge, di classificare le vostre facoltà intellettuali dietro immagini dai colori pastello. Pretende la vostra sottomissione e vi promette, in cambio, la gioia dell’irresponsabilità. A quel punto, ogni giornata era una promessa. Quella di rivederla, incontrarla, parlarle, conquistarla, amarla. E, anche se ignoravo le mie possibilità di successo, la speranza era già fonte di felicità. ========== Avevamo l’ingenuità di credere che sentimenti belli e puri potessero annullare la frontiera tra sogno e realtà. Un po’ come un lettore finisce per credere che i personaggi del suo romanzo esistano per davvero. Perché non può essere altrimenti. Perché, in caso contrario, il mondo diventerebbe un insulto alla loro sensibilità. ========== «Non volevo che lo lasciasse qui e si accontentasse di venire a leggere qualche pagina ogni settimana. Volevo che creasse un rapporto d’intimità con il tuo romanzo, che se lo portasse a casa affinché si impossessasse del suo universo. Perché è comunque così che deve essere letto un romanzo. Deve occupare un posto nella vita del lettore, fare conoscenza con i mobili, riempirsi degli odori di una casa, passare di stanza in stanza. Insomma, è ciò che credo.» ========== Un amico si riconosce dalla forza silenziosa del suo ascolto, un ascolto che raccoglie le vostre confidenze e vi alleggerisce delle parole di cui vi siete liberati. Sono poche le persone dotate di questa facoltà. Di solito la gente inquina le vostre parole con i propri sentimenti e pareri. Con gli sguardi e il respiro indebolisce i vostri discorsi e li giudica non appena vengono espressi; alla fine, vi ritrovate a passare dalla confessione alla giustificazione. ========== Le parole sporcano tutto ciò che l’anima ha cercato di elevare sopra la nostra condizione di mortali. Riducono le emozioni, limitano l’anima alle possibilità che abbiamo di esprimerci.
Thierry Cohen (Ti ho incontrata in un sogno)
Forse non siete aulici, cioè al di sotto del mondo, ma snob, cioè al di sopra. Snob di nuovo conio, che hanno fatto di necessità virtù. Dopotutto siete arrivati in un mondo che ha già esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, arredato ogni casa, inventato e poi smontato ogni idea...e pretendere, in questo mondo usato, di sentirvi esclamare "che bello!", di vedervi proseguire entusiasti lungo strade già consumate da milioni di passi, questo no, non ce lo volete - potete, dovete - concedere. Il poco che riuscite a rubare a un mondo già saccheggiato, ve lo tenete stretto. Non ce lo dite, "questo mi piace", per paura che sia già piaciuto anche a noi. Che vi venga rubato anche quello.
Michele Serra (Gli sdraiati)
Oggi nessuna saggezza può pretendere di dare di più. La rivolta cozza instancabilmente contro il male, dal quale non le rimane che prendere un nuovo slancio. L'uomo può signoreggiare in sé tutto ciò che deve essere signoreggiato. Deve riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Dopo di che i bambini moriranno sempre ingiustamente, anche in una società perfetta. Nel suo sforzo maggiore l'uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo.
Albert Camus (The Rebel)
In tribunale il valore del diario di Isabella rimase dubbio. Come ogni altro libro dello stesso genere, oltre che di ricordi era fatto anche di aspettative: era provvisorio e instabile, si situava al confine tra pensiero e azione, desiderio e realtà. Ma, come cruda testimonianza emotiva, era un’opera che lasciava attoniti, che poteva destare entusiasmo o allarme. Il diario diede ai suoi lettori vittoriani un’immagine del futuro, come offre a noi un’immagine del nostro mondo plasmato sul passato. Sicuramente non ci dice ciò che accadde nella vita di Isabella, ma ci dice ciò che lei desiderava. Il diario dipingeva un ritratto delle libertà a cui le donne avrebbero potuto aspirare, se avessero rinunciato a credere in Dio e nel matrimonio: il diritto ad avere delle proprietà e del denaro, a ottenere la custodia dei figli, a sperimentare dal punto di vista sessuale ed intellettuale. Accennava anche al dolore e alla confusione che queste libertà avrebbero generato. Nel decennio in cui la Chiesa rinunciò al proprio controllo sul matrimonio e Darwin gettò nel dubbio più profondo le origini spirituali dell’umanità, quel diario era un segno dei tumulti che si sarebbero verificati. In una pagina senza data Isabella si rivolgeva esplicitamente a un futuro lettore. «Una settimana del nuovo anno se n’è già andata, - esordiva. – Ah! Se avessi la speranza dell’altra vita di cui parla mia madre (oggi lei e mio fratello mi hanno scritto delle lettere affettuose), e che il signor B. ci ha sollecitato a conquistarci, sarei allegra e felice. Ma, ahimé!, non ce l’ho, e non potrò mai ottenerla; e per quanto riguarda questa vita, la mia anima è invasa e lacerata dalla rabbia, dalla sensualità, dall’impotenza e dalla disperazione, che mi riempiono di rimorso e di cattivi presentimenti». «Lettore, -scrisse – tu vedi la mia anima più nascosta. Devi disprezzarmi e odiarmi. Ti soffermi anche a provare pietà? No; perché quando leggerai queste pagine, la vita di colei che “era troppo flessibile per la virtù; troppo virtuosa per diventare una cattiva fiera e trionfante” sarà finita». Era una citazione imprecisa dall’opera teatrale The Fatal Falsehood (1779) di Hannah More, in cui un giovane conte italiano – un «miscuglio di aspetti strani e contraddittori» – si innamora perdutamente di una donna promessa al suo migliore amico. Quando Edward Lane lesse il diario, fu questo passaggio in particolare a suscitare la sua rabbia e il suo disprezzo: «Si rivolge al Lettore! – scrisse a Combe – Ma chi è il Lettore? Allora quel prezioso diario è stato scritto per essere pubblicato, o, almeno, era destinato a un erede della sua famiglia? In entrambi i casi, io affermo che è completa follia – e se anche non ci fossero ulteriori pagine, in questo guazzabuglio farraginoso, a confermare la mia ipotesi, a mio parere questa sarebbe già sufficiente». Eppure il richiamo di Isabella a un lettore immaginario può, al contrario, fornire la spiegazione più limpida del perché avesse tenuto il diario. Almeno una parte di lei voleva essere ascoltata. Coltivava la speranza che qualcuno, leggendo quelle parole dopo la sua morte, avrebbe esitato prima di condannarla; che un giorno la sua storia potesse essere accolta con compassione e perfino amore. In assenza di un aldilà spirituale, noi eravamo l’unico futuro che aveva. «Buona notte, - concludeva, con una triste benedizione: - Possa tu essere più felice!».
Kate Summerscale (Mrs. Robinson's Disgrace: The Private Diary of a Victorian Lady)
D’improvviso, il mondo attorno a loro tornò ad avere un colore e un profumo ed entrambi si sentirono di nuovo vivi, poiché, in fin dei conti, poco importava chi fossero singolarmente: contava solo che insieme fossero John e Benjamin.
Cristina Bruni (Gibraltar)
Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava. Invece di trovare un sant'uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un'attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c'era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto. Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore. 'Nel frattempo, voglio chiederti un favore,' concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d'olio. 'Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l'olio.' Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio. 'Allora,' gli domandò questi, 'hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?' Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio che il Saggio gli aveva affidato. 'Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo,' disse il Saggio. 'Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.' Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d'arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d'arte era disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto. 'Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato?' domandò il Saggio. Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate. 'Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti,' concluse il più Saggio dei saggi. 'Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza mai dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino.' Il ragazzo tacque. Aveva capito la storia del vecchio re: un pastore ama viaggiare, ma non dimentica mai le sue pecore.
Paulo Coelho (The Alchemist)
«Che cosa è l'amore?», disse Melmoth, «è questa la domanda? voi dubitate del mio amore», rispose Isidora; «ditemi allora, che cosa è Mi affidate un compito», disse Melmoth, sorridendo senza allegria, «cosi affine ai miei sentimenti e ai miei pensieri abituali, che lo svolgerò di certo in modo ineguagliabile. Amare, bella Isidora, è vivere in un mondo creato dal cuore, nel quale le forme e i colori sono lucenti quanto ingannevoli e irreali Per quelli che amano non c'è né giorno ne notte, né estate né inverno, né compagnia né solitudine. La loro deliziosa ma illusoria esistenza non ha che due momenti, cosi segnati nel calendario del cuore: presenza e assenza. Essi ostituiscono tutte le distinzioni della natura e della società. Il mondo per loro non contiene che un solo individuo, e quell'individuo è per loro il mondo intero e il suo unico abitante. L'atmosfera della sua presenza è la sola in cui possano respirare, e la luce dei suoi occhi è l'unico sole della loro creazione Allora io amo», disse Isidora dentro di sé Amare», continuò Melmoth, «è vivere un'esistenza piena di contraddi zioni, sentire che l'assenza è insopportabile, e soffrire quasi altrettanto in presenza dell'oggetto amato; avere mille pensieri quando siamo lontani da lui, immaginare come sarà bello confessarglieli, e quando viene il momento atteso sentire, per una timidezza opprimente e inspiegabile, che siamo inca paci di esprimerne anche uno soltanto; essere eloquenti in sua assenza e muti n sua presenza; attendere l'ora del suo ritorno come l'alba di una nuova esistenza, e quando arriva sentirsi privi delle facoltà alle quali doveva dare nuovo vigore; desiderare la luce dei suoi occhi come il viandante del deserto attende il levar del sole, e quando sorge abbagliante sul nostro mondo rinato essere sopraffatti dalla luce intollerabile e quasi desiderare che sia di nuovo notte... questo è amare».
Charles Maturin
Il capitalismo reale al lavoro Cosa può insegnare, oggi, la storia di questa annessione? Molte cose. Essa offre in primo luogo uno spaccato del funzionamento del capitalismo – del capitalismo reale, non quello delle teorie della concorrenza perfetta che viene insegnato nelle scuole di management – in uno dei Paesi più avanzati del mondo e in condizioni ideali: ossia con la reale possibilità di prendere rapidamente e completamente possesso di un nuovo territorio, senza alcun vincolo se non quello derivante dall’applicazione delle proprie regole, interpretate dai propri giudici e organismi di controllo, e con il maggiore sostegno possibile da parte dei propri gruppi di pressione e dei partiti politici di riferimento. La realtà che emerge è per certi versi sorprendentemente lontana dall’immagine, assai diffusa anche nel nostro paese, di un capitalismo tedesco ossessivamente ligio alle procedure e rispettoso delle regole, rigoroso e ottemperante alle norme, con un’attitudine alla trasparenza sconosciuta alle nostre latitudini.
Vladimiro Giacché (Anschluss. L'annessione)
Bisogna stare attenti a un aspetto particolare del "riso di superiorità". Se non lo si tiene d'occhio, esso può assumere una funzione conservatrice, allearsi al conformismo più piatto e più bieco. Sta qui l'origine di un certo "comico" reazionario che si ride del nuovo, dell'insolito, dell'uomo che vuol volare come gli uccelli, delle donne che vogliono far politica, di chi non pensa come gli altri, non parla come gli altri, come vogliono le tradizioni e i regolamenti... Perché quel riso abbia una funziona positiva, bisogna che la sua freccia colpisca piuttosto le idee vecchie, la paura di cambiare, il bigottismo della norma. I "personaggi sbagliati" del tipo anticonformista, nelle nostre storie, devono avere successo. La loro "disobbedienza" alla natura, o alla norma, deve essere premiata. Il mondo, sono i disobbedienti che lo mandano avanti!
Gianni Rodari (The Grammar of Fantasy: An Introduction to the Art of Inventing Stories)
La mente gli scivolò nel mondo labirintico del bipensiero. Sapere e non sapere; credere fermamente di dire la verità scacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullavano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo ad entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale proprio nell'atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l'unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all'occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Soprattutto, saper applicare il medesimo procedimento al procedimento stesso. Era questa, la sottigliezza estrema: essere pienamente consapevoli nell'indurre l'inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che avevate appena posto in atto.
George Orwell
A ogni passo del suo cammino Siddharta imparava qualcosa di nuovo, poiché il mondo era trasformato e il suo cuore ammaliato. Vedeva il sole sorgere sopra i monti boscosi e tramontare oltre le lontane spiagge popolate di palme. Di notte vedeva ordinarsi in cielo le stelle, e la falce della luna galleggiare come una nave nell'azzurro. Vedeva alberi, stelle, animali, nuvole, arcobaleni, rocce, erbe, fiori, ruscelli e fiumi; vedeva la rugiada luccicare nei cespugli al mattino, alti monti azzurri e diafani nella lontananza; gli uccelli cantavano e le api ronzavano, il vento vibrava argentino nelle risaie. Tutto questo era sempre esistito nei suoi mille aspetti variopinti, sempre erano sorti il sole e la luna, sempre avevano scrosciato i torrenti e ronzato le api, ma nel passato tutto ciò non era stato per Siddharta che un velo effimero e menzognero calato davanti ai suoi occhi, considerato con diffidenza e destinato a essere trapassato e dissolto dal pensiero, poiché non era realtà: la realtà era al di là delle cose visibili. Ma ora il suo occhio liberato s'indugiava al di qua, vedeva e riconosceva le cose visibili, cercava la sua patria in questo mondo, non cercava la " Realtà ", né aspirava ad alcun al di là. Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andar così per il mondo e sentirsi cosi bambino, così risvegliato, così aperto all'immediatezza delle cose, così fiducioso. Diverso era ora l'ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l'acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia. Siddharta vedeva un popolo di scimmie agitarsi su tra i rami nell'alta volta del bosco e ne udiva lo strepito selvaggio e ingordo. Siddharta vedeva un montone inseguire una pecora e congiungersi con lei. Tra le canne di una palude vedeva il luccio cacciare affannato verso sera: davanti a lui i pesciolini sciamavano a frotte rapidamente, guizzando e balenando fuor d'acqua impauriti; un'incalzante e appassionata energia si sprigionava dai cerchi precipitosi che l'impetuoso cacciatore tracciava nell'acqua. Tutto ciò era sempre stato, ed egli non l'aveva mai visto: non vi aveva partecipato. Ma ora sì, vi partecipava e vi apparteneva. Luce e ombra attraversavano la sua vista, le stelle e la luna gli attraversavano il cuore.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Il primo paradosso del tempo è inerente alla consapevolezza che ognuno ha di vivere in un tempo che precedeva la sua nascita e che continuerà dopo la sua morte. Questa consapevolezza individuale del finito e dell’infinito vale simultaneamente per il singolo e per la società. Infatti l’individuo che si trasforma, cresce e poi invecchia, prima di scomparire un giorno o l’altro, assiste in quel mentre alla nascita e alla crescita degli uni e all’invecchiamento e alla morte degli altri. Invecchia in un mondo che cambia, se non altro perché gli individui che ne fanno parte invecchiano anche loro e vedono generazioni più giovani prendere progressivamente il loro posto. Ci sono spiegazioni di tipo intellettuale per questo primo paradosso: sono tutte le teorie che, in un modo o nell’altro, inscenano il ritorno del medesimo. Nella maggioranza delle società studiate dall’etnologia tradizionale esistono rappresentazioni dell’eredità molto elaborate che tendono a ritenere la morte degli individui non una fine in sé quanto l’occasione per ridistribuire e riciclare gli elementi che li compongono. Le teorie della metempsicosi sono solo un tipo particolare di tali rappresentazioni. In Africa, per esempio, l’idea del ritorno degli elementi liberati dalla morte non è associata a quella del ritorno degli individui in quanto tali, anche se, nelle grandi chefferies o nei regni, la logica dinastica spinge in quella direzione. Altre istituzioni, come le classi di età, o taluni fenomeni religiosi ritualizzati, come la possessione, rientrano in quella visione immanente del mondo che tende a relativizzare l’opposizione tra vita e morte in virtù di un’intuizione non lontana dal principio scientifico secondo il quale nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Il secondo paradosso del tempo è quasi l’inverso del primo e riguarda la difficoltà per uomini mortali, e quindi tributari del tempo e delle idee di inizio e fine, di pensare il mondo senza immaginarsene una nascita e senza assegnargli un termine. Le cosmogonie e le apocalissi, in varie modalità, sono una soluzione immaginaria per rispondere a questa difficoltà. Il terzo paradosso del tempo rimanda al suo contenuto o, se vogliamo, alla storia. È il paradosso dell’evento, del fatto sempre atteso e sempre temuto. Per un verso sono gli eventi che rendono sensibile il passaggio del tempo e che servono anche a datarlo, a ordinarlo secondo una prospettiva diversa dal semplice ripresentarsi delle stagioni. Ma per un altro verso l’evento comporta il rischio di una rottura, di una lacerazione irreversibile con il passato, di un’intrusione irrimediabile del nuovo nelle sue forme più pericolose. Per un lungo periodo della storia umana le catastrofi ecologiche, meteorologiche, epidemiologiche, politiche o militari avevano il potere di minacciare l’esistenza stessa del gruppo, e lo sviluppo delle società non ha fatto svanire la consapevolezza di rischi del genere: li ha solo collocati su una scala diversa. Il controllo intellettuale e simbolico dell’evento è sempre stato al centro delle attenzioni dei gruppi umani. Lo è ancora oggi; cambiano solo le parole e le soluzioni. È anzi possibile che il paradosso dell’evento sia al suo culmine: mentre la storia accelera sotto la spinta di eventi di ogni genere, noi pretendiamo di negarne l’esistenza, come nelle epoche più arcaiche, per esempio celebrandone la fine.
Marc Augé (Che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo)
Io intendo il significato di un libro se il libro stesso scompare di vista, mangiato vivo, digerito e incorporato nel sistema come carne e sangue che a sua volta crea spirito nuovo e rimodella il mondo.
Tropico del Capricorno, Henry Miller.
Bisogna essere bambini. Imparare a invecchiare è imparare a giocare. Essere vecchi è imparare tutto di nuovo. Il mondo è cambiato quando tu sei cambiato. Il mondo è invecchiato quando tu sei invecchiato. Quello che prima era banalità ora è un’impossibilità. Vuoi giocare a calcio e non riesci, vuoi ballare tutta la notte e non riesci. E la tua vita per molte ore della tua giornata è questo: volere e non riuscire. Non c’è momento più triste di quello in cui desideri qualcosa e il corpo di impedisce di averla. Il corpo è bastardo.
Pedro Chagas Freitas (Prometo Falhar)
Posso sapere (o ignorare) tutto quello che voglio, il mondo resta quello che è.
Maurizio Ferraris (Manifesto del nuovo realismo)
Eleonora si rese conto che fondare il regno dei draghi acquistava un nuovo significato: non tutti i draghi erano indipendenti e forti come Indaco e Nessie, e vivere millenni in solitudine aveva fatto evolvere la razza in modo tale che nella nuova era sentivano l’esigenza di formare branchi. In un mondo così grande, nemmeno i draghi volevano stare soli.
Valentina Bellettini (Eleinda² - La formula dell'immortalità)
Aveva l'espressione di un astronauta fluttuante nello spazio a cui si è sganciato il cavo e ha una sola possibilità di afferare una corda di salvataggio o di vagare per sempre nel nero infinito. Conoscevo quella sensazione, il panico che sembrava allungare il tempo, che trasformava i secondi in anni, e il dolore di essere feriti non da una persona, ma da molte, una banda di bulli che cresceva fino a includere il tuo quartiere e poi tutta la comunità, fino a spingerti a mettere in dubbio il mondo intero. E l'ultimo pensiero mentre allungavi il braccio fin quasi a sfiorare quella corda di salvataggio è in che modo, se fossi sopravvissuto, avresti potuto riparare quello che si era rotto, per poter dire che sì, volevi di nuovo essere parte di quel mondo.
Lissa Price (Starters (Starters, #1))
Tutto ciò a cui giurammo fedeltà non esiste più" dice l'ospite gravemente, e solleva a sua volta il bicchiere. "Sono tutti morti, oppure se ne sono andati, hanno rinunciato a tutto quello che giurammo di difendere. Esisteva un mondo per il quale valeva la pena di vivere e di morire. Quel mondo è morto. Quello nuovo non fa più per me. È tutto ciò che posso dire". "Per me quel mondo è sempre vivo, anche se non esiste più nella realtà. È vivo perché gli ho giurato fedeltà. È tutto ciò che posso dire".
Sándor Márai (A gyertyák csonkig égnek)
[...] lei era il centro di un diverso ordine e sistema di vita, e il contrasto tra questo mondo e il suo subito lo ristorava e lo rinvigoriva; e ne conseguiva una naturale differenza d’opinione, tale da fertilizzare di nuovo le idee in lui; e poterla vedere intenta a creare in un contesto diverso dal suo, rinvigoriva talmente la sua forza creativa, che impercettibilmente la sua mente sterile cominciava di nuovo a ideare...Ogni Johnson ha la sua Thrale, e si tiene stretto a lei per ragioni simili a queste, e quando la Thrale sposa il suo maestro di musica italiano, Johnson quasi impazzisce per la rabbia e il disgusto, non soltanto perché gli mancheranno le sue piacevoli serate a Streatham, ma perché la luce della sua vita sarà “come spenta [...]
Virginia Woolf (A Room of One's Own)
Dopo qualche istante, il capitano aveva sospirato. «Senti il bisogno di dare una risposta a questa tragedia, storico?» aveva chiesto. «Tutti quei volumi che hai letto sul pensiero di altri uomini e altre donne. Su altri tempi. Come risponde un uomo alla domanda su ciò che quelli della sua razza sono capaci di fare? Ognuno di noi, soldato o civile, arriva a un punto in cui ciò che ha visto lo cambia dentro? Irrimediabilmente e indefinitamente? E allora che cosa diventiamo? Meno umani o più umani? Abbastanza umani o troppo umani?» Duiker era rimasto in silenzio per un lungo minuto, gli occhi sul terriccio che circondava il masso su cui sedeva. Infine si era schiarito la gola. «Ognuno di noi ha la propria soglia, amico. Soldati o civili, non possiamo fare altro che prendere ciò che riusciamo prima di lanciarci... in qualcosa di nuovo. Come se il mondo intorno a noi fosse cambiato, mentre è cambiato solo il nostro modo di guardarlo. Un cambiamento di prospettiva, ma non una questione di capacità intellettuale: vediamo ma non proviamo emozioni, oppure piangiamo ma osserviamo la nostra sofferenza come se fossimo al di fuori di noi. Non è possibile dare una risposta, Lull. Più umano o meno umano... sta a te decidere.»
Steven Erikson (La Dimora Fantasma: Una storia tratta dal Libro Malazan dei Caduti)
Così il cementiere, poi trasportatore di mobili, Franz Biberkopf, uomo rozzo e incolto, di aspetto ripugnante, è di nuovo a Berlino, di nuovo sulla breccia, un uomo di cui una volta s’era innamorata una bella ragazzina figlia di un fabbro e lui ne aveva fatto una puttana e alla fine l’aveva ferita mortalmente durante una scenata di gelosia. Ora ha giurato a sé e al mondo di vivere onestamente. E onesto visse finché ebbe denaro. Poi però il denaro se ne andò, ma egli aveva aspettato proprio questo momento per mostrare a tutti che era capace di fare.
Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz)
Tu sei lontano da me. E io accetto questa distanza dolorosa. E non so come tu mi ami. Non dirmelo. Difendi da me la tua vita, conservala per te. Ne hai il diritto. E se non l'avessi, questo diritto, dovresti conquistartelo. Ma io ti amo. Non te lo dirò. Lo dico a me stessa. Perché dovrei porre un freno a ciò che è così potente dentro di me? Ti amo. Forse per un tempo brevissimo, forse per sempre. Nessuno lo sa. Nell'amore non ci sono né perfezione né eternità prestabilite. L'amore batte secondo le pulsazioni del tempo, come battono tutte le cose viventi. Si rafforza e si sgretola, declina e si risolleva. Se è vivo può morire. Ed è questo il suo bello. Una cosa è grande e commovente solo quando contiene una possibilità di morte. Lotta e protezione, lotte congiunte del corpo e del cuore. Sconfitta o vittoria di un'ora sull'ora precedente... Andare avanti passo dopo passo... Rischi. Bellezza immutabile di un amore eterno e perfetto? Bellezza tragica di un amore che muore? Bellezza folgorante di un amore che nasce? Vertigine di un mondo nuovo... Sì, conosco... Ma a tutte quelle bellezze ne preferisco un'altra. Non è né immutabile né folgorante né tragica: è più gravosa, più ardua, più vera. E' la bellezza di un amore non nel momento in cui nasce o in cui muore, ma nel momento in cui vive...
Madeleine Bourdouxhe (À la recherche de Marie)
Learco vroeg zich af wat er in werkelijkheid voor band tussen die twee vrouwen bestond. Ze waren duidelijk verschillend, maar op de een of andere manier konden ze heel goed met elkaar overweg.
Licia Troisi (Un nuovo regno (Le Guerre del Mondo Emerso, #3))
Ik heb je beledigd en je het leven moeilijk gemaakt, maar toch was je er steeds voor me. Je bent nu mijn vriendin, en ik vertrouw je. - Dubhe, tegen Theana
Licia Troisi (Un nuovo regno (Le Guerre del Mondo Emerso, #3))
Quella era una fine d’anno speciale, dopotutto, e le speranze e i timori per il futuro di ognuno sembravano affiorare in quei pochi minuti che precedevano l’arrivo del nuovo secolo. Tenendosi per mano, gli ospiti si disposero a cerchio, pronti a intonare le dolci note di Auld Lang Syne, I bei tempi andati, come voleva un’antica tradizione britannica diffusasi anche nel Nuovo Mondo. Le spalle all’ingresso del salone, come gli altri emozionata e incerta per il domani, Camille prese posto tra i Campbell. «Sarà un fantastico secolo il 1900, Camille, e tu lo percorrerai a testa alta, mia cara» le disse Agnes sorridendole. «Due minuti, signori, due minuti!» urlò il giudice Harris. Le voci si alzarono festose, per poi morire di nuovo. Il grande cerchio era ora immobile, in silenziosa attesa. Anche i camerieri avevano interrotto il loro lavoro e l’orchestra taceva. «Trenta secondi al nuovo secolo!» «Venti secondi!» Camille all’improvviso sentì la testa girarle e il cuore battere impetuoso contro il petto: Mr Campbell, alla sua destra, aveva lasciato che un’altra mano, più forte e più grande, stringesse la sua. Non capiva di chi fosse quella mano, perché Agnes sorridesse, perché tutti, in quel cerchio festoso, la guardassero. O meglio, lo capiva perfettamente ma temeva che se si fosse girata, se avesse guardato l’uomo che aveva preso il posto di Mr Campbell nel cerchio, quel sogno si sarebbe interrotto. «Cinque secondi al nuovo secolo!» sentenziò il giudice Harris. «Quattro, tre, due, uno! Buon anno!» esclamarono tutti, all’unisono. L’orchestra intonò le prime battute di Auld Lang Syne e gli ospiti incominciarono a cantare. Camille si girò con lentezza infinita verso l’uomo che stringeva con forza e dolcezza e speranza la sua mano. L’uomo che la stava guardando sorridente, felice come un ragazzino. Era fradicio e aveva gli occhi lucidi. E cantava. Camille non disse nulla e si unì al coro, mentre lacrime di gioia le scivolavano sul viso. *** Quando la musica terminò il cerchio non si ruppe subito. Tutti rimasero immobili a osservare la scena che si svolgeva davanti a loro. Frank Raleigh, il solito anticonformista, gocciolante e vestito come un mandriano, se ne stava in ginocchio davanti a Miss Brontee con in mano un solitario dalle notevoli dimensioni. Nessuno ebbe dubbi su cosa le stesse chiedendo. Miss Brontee lo fissava a bocca aperta, gli occhi tondi di sorpresa, il petto che si alzava e si abbassava troppo in fretta, il volto pallido. «Allora, Miss Brontee, dite di sì a quel poveretto prima che si prenda una polmonite!» esclamò burbera un’anziana signora, rompendo la tensione di quel momento. Tutti scoppiarono a ridere. «Sì, Miss Brontee, ditegli di sì. Almeno metterà la testa a posto!» «Ti prego, Camille, dimmi di sì» implorò Frank in un sussurro. Camille deglutì, si guardò intorno come per chiedere consiglio ai presenti, incontrò lo sguardo di Agnes e di Mr Campbell, che insieme assentirono. Poi guardò Raleigh e semplicemente rispose: «Sì!» La sala esplose in una girandola di congratulazioni, poi altro champagne fu stappato e i brindisi al nuovo secolo e ai promessi sposi si rincorsero. Mr Raleigh, indifferente al centinaio di persone che li stava fissando, si era intanto rialzato e tenendo Miss Brontee stretta tra le braccia le mormorava parole che tutti i presenti avrebbero voluto udire ma che giunsero solo al cuore di Camille.
Viviana Giorgi (Un amore di fine secolo)
nostro programma immediato era di combattimento accanito contro il passatismo italiano sotto le sue forme più ripugnanti: archeologia, accademismo, senilismo, quietismo, vigliaccheria, pacifismo, pessimismo, nostalgia, sentimentalismo, ossessione erotica, industria del forestiero, ecc. Il nostro movimento ultra-violento, anticlericale, antisozzalista e antitradizionale si fondava sul vigore inesauribile del sangue italiano e lottava contro il culto degli avi che, ben lungi dal cementare la razza, l’anemizza e l’imputridisce.   Il futurismo, nel suo programma totale, era un’atmosfera d’avanguardia; la parola d’ordine di tutti gl’innovatori o franchi-tiratori intellettuali del mondo; l’amore del nuovo; l’arte appassionata della velocità; la denigrazione sistematica dell’antico, del vecchio, del lento, dell’erudito e del professorale; un nuovo modo di vedere il mondo; una nuova ragione di amare la vita; una entusiastica glorificazione delle scoperte scientifiche e del meccanismo moderno; una bandiera di gioventù, di forza, di originalità ad ogni costo; un colletto d’acciaio contro l’abitudine dei torcicolli nostalgici; una mitragliatrice inesauribile puntata contro l’esercito dei morti, dei podagrosi e degli opportunisti, che volevamo esautorare e sottomettere ai giovani audaci e creatori; una cartuccia di dinamite per tutte le rovine venerate.
Filippo Tommaso Marinetti (Opere: Romanzi. Manifesti. Poesie. Foto.)
Forse in qualche altra vita, oltre questa, quando avremo oltrepassato il fiume, o fatto un giro sulla Ruota della reincarnazione o in qualsiasi altro modo tu voglia descrivere la dipartita da questo mondo, troverò di nuovo il mio amico. Ma ti ho perso ora… ora che ho bisogno più che mai di te!
Cassandra Clare (Clockwork Princess (The Infernal Devices, #3))
I Cristiani quando costruivano chiese nei luoghi dei santuari pagani e accoglievano antichi capitelli e fusti di colonne nelle loro navate, si comportavano come Eracle con il leone di Nemea, come Atena con la Gorgone. Nel rapporto con il mostro, essenziale è innanzi tutto questo: che il mostro possiede o protegge o addirittura è il tesoro. Ucciderlo vuol dire incorporarlo, sostituirlo. L'eroe diventerà egli stesso il nuovo mostro, rivestito della pelle del vecchio e ornato di qualche sua metonimica spoglia. Così la testa di Eracle non accetta più di mostrarsi se non tra le fauci inerti del leone che ha sconfitto. Il mostro è il più prezioso tra i nemici: perciò è il nemico che si cerca. Gli altri nemici posso semplicemente assaltarci: sono i Giganti, i Titani, rappresentanti di un ordine che sta per essere soppiantato o vuole vendicarsi per essere stato soppiantato. Tutt'altra è la natura del mostro. Il mostro aspetta vicino alla sorgente. Il mostro è la sorgente. Non ha bisogna dell'eroe. E' l'eroe che ha bisogno di lui per esistere, perché la sua potenza sarà protetta dal mostro e al mostro va strappata. Quando l'eroe affronta il mostro, non ha ancora potere, né sapienza. Il mostro è il suo padre segreto, che lo investirà di un potere e di una sapienza che sono soltanto di un singolo, e soltanto il mostro gli può trasmettere. Il mostro, in origine, stava al centro, al centro della terra e del cielo, là dove sgorgano le acque. Quando il mostro fu ucciso dall'eroe, il suo corpo smembrato migrò e si ricompose ai quattro angoli del mondo. Poi cinse il mondo in un cerchio, di squame e di acque. Era il margine composito del tutto. Era la cornice. Che la cornice fosse il luogo del mostro lo sapevano anche gli artefici delle cornici barocche: ben più intricate, ben più folte, ben più arcaiche di tutti gli idilli che racchiudevano - e forse, un giorno, avrebbero soffocato. Poi venne il momento in cui non si vollero più le cornici. I musei ospitarono quadri senza cornici, che sembravano spogliati. La cornice non è l'antiquato, ma il remoto. Scomparsa la cornice, il mostro perde la sua ultima dimora. E torna a vagare, ovunque.
Roberto Calasso (Οι γάμοι του Κάδμου και της Αρμονίας)
...mi ritrovavo a terra e una voce di ragazza rideva in un tintinnio argentino. Mi alzai e lei era davanti a me, la mela d’oro ancora stretta tra le dita delicate. La sua pelle era un diamante liquido, un cristallo levigato che scorreva e si rimodellava e rubava il colore al mondo tutt’intorno: oro dalla mela per tingere di giallo e scintille le mani, verde dall’erba su cui posavano i suoi piedi, grigio e vermiglio dal sole che tramontava tra le nubi all’orizzonte attraverso il suo corpo, azzurro dal cielo per colorare i capelli che sembravano spuma marina. Era nuda, minuta e flessuosa. Ed era bella, estremamente bella. La bellezza terribile che hanno gli angeli e le catastrofi. Mi guardò sorridendo, poi mosse un passo che era anche un volteggio e mi prese per mano, come se volesse danzare con me. Ma io non mi mossi «Questo è un sogno…» Lei rise di nuovo, una risata sincera che trasmetteva gioia. «Sì, come tutto ciò che hai vissuto fino ad ora.» La fissai negli occhi, e fu come guardare nel cuore nucleare di due stelle in procinto di esplodere. Distolsi subito lo sguardo, ma la vertigine non si fermò.
Luca Tarenzi (Il sentiero di legno e sangue)
Ci fu lò, in quella luce e in quell'ombra, tutto un piccolo mondo nuovo e vecchio, buffone e triste, gioviale e senile che si fregava gli occhi, perché nulla somiglia al risveglio come il ritorno; gente che guardava la Francia con astio e che la Francia guardava con ironia.
Victor Hugo (Les Misérables)
Nadir increspa le labbra e imita il mio tono. «Dimentica il mondo. Date il massimo di quanto vi resta da spendere, ché anche noi diventeremo polvere.» Rido, mio malgrado. «È Khayyam, di nuovo?» «Sì, Omar Khayyam.»
Elif Shafak (Honor)
In concreto, il mondo colorato, rumoroso e soprattutto fasullo che ci sta intorno, è l’erede del sogno romantico di una rinascita del mito, del fatto che la ragione deve essere sostituita dal sogno. Piuttosto che razionalista, come spesso la si dipinge, la modernità, almeno dal romanticismo in avanti, è stata in buona parte mitologica e anti-illuminista, e l’esito del postmoderno si pone, in piena coerenza, in questa linea di sviluppo.
Maurizio Ferraris (Manifesto del nuovo realismo)
Presi in giro dalla doppia ipocrisia di calcio e politica Michele Brambilla | 723 parole Sinceramente: non ne possiamo più di sentire un ministro dell’Interno che dice «nessuna clemenza» per i delinquenti che rovinano una partita di calcio. Ci sentiamo presi in giro. Sono anni che, periodicamente, siamo qui a commentare incidenti aggressioni e ferimenti prima, durante e dopo le partite. Abbiamo visto di tutto: tifosi ammazzati con una coltellata, capi ultrà che intimano ai giocatori di non giocare un derby, motorini lanciati dal secondo anello. E i ministri dell’Interno e i capi di governo che dicono: adesso basta, nessuna clemenza. Poi, tutto resta come prima. Altrettanto sinceramente: non ne possiamo più neppure di sentire ministri dell’Interno che si complimentano con le forze dell’ordine per aver «subito identificato e fermato» i delinquenti che hanno tirato le bombe carta dentro lo stadio. Eh no, signor ministro, anche qui ci sta prendendo in giro. Qualsiasi buon padre di famiglia sia andato almeno una volta allo stadio, sa che ai tornelli viene fermato, controllato, perquisito: e se ha una bottiglietta di acqua minerale, gli viene ordinato di togliere il tappo. Poi però i cosiddetti ultras possono portare dentro di tutto, compreso il materiale per fabbricare le bombe carta. Ecco perché ci sentiamo presi in giro anche per i complimenti alle forze dell’ordine che individuano e fermano: bisogna pensarci prima, signor ministro. Le «forze dell’ordine», come le chiama lei, devono perquisire i cosiddetti ultrà come intrepidamente perquisiscono i nonni. È passato un anno dalla finale di Coppa Italia che aveva fatto indignare il presidente del Consiglio. Era presente allo stadio e aveva assistito con i propri bambini allo strazio della trattativa fra un soggetto chiamato Genny ’a carogna e la polizia. Aveva dunque promesso interventi durissimi e immediati. Siamo ancora qui, come venti o trenta anni fa. E a proposito di trent’anni fa: nel 1985 ci fu la tragedia dell’Heysel, una strage provocata dai cosiddetti holligans. La Gran Bretagna decise che bisognava fare sul serio, e sul serio fece. Da allora, in Inghilterra non è più successo nulla. In Italia, invece, solo il nuovo stadio della Juventus ha provato a replicare il modello inglese. Per il resto, tutto è ancora come ai tempi di quel derby romano del 1979, quando un tifoso venne accoppato da un razzo sparato dalla gradinata opposta. Questo è dunque un fronte: l’ipocrisia delle società di calcio e della politica, capaci solo di esprimere il consueto «sdegno». Un altro fronte riguarda la domanda, che prima o poi dovremo pur porci in profondità, sull’immensa quantità di rabbia, di rancore e di violenza che si è riversata sul mondo del calcio. Non solo su quello professionistico. Chiunque abbia figli che giocano nelle giovanili sa di che cosa sto parlando. Le partite dei ragazzi e dei bambini sono ormai diventate momenti in cui genitori e ahimè spesso anche gli allenatori e i dirigenti sfogano tutto l’irrisolto che si portano dentro. Ieri ho visto una partita di uno dei miei figli e a un certo punto è entrato un ragazzo di colore. Uno degli avversari gli ha detto: «Sei venuto in Italia a rompere i c...?». L’arbitro per fortuna ha sentito e l’ha espulso. Ma mentre l’espulso, uscendo dal campo, gridava al ragazzo di colore «ci vediamo fuori», il suo allenatore, invece di zittirlo, insultava l’arbitro per aver tirato fuori il cartellino rosso per così poco. Tutto questo mentre sugli spalti i genitori delle due squadre – che avevano appena deprecato gli incidenti del derby di Torino – se ne dicevano di tutti i colori. Ecco, credo che dovremo anche chiederci come mai il calcio sia diventato il ricettacolo di tanta violenza repressa. I tifosi che gridano «uccideteli» in serie A sono immersi nello stesso odio che fa litigare anche sui campi dove sgambettano i pulcini. Insomma i fronti sono due: la politica e le società
Anonymous
I governi democratici possono diventare violenti e anche crudeli in certi momenti di grande effervescenza e di pericolo, ma queste crisi saranno rare e passeggere. Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo […] non temo che essi troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori. Credo, dunque, che la forma d'oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l'hanno preceduta nel mondo, […] poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La cosa è nuova, bisogna tentare di definirla, poiché non è possibile indicarla con un nome. Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente all'infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso. L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio. Così, […] il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo. […] In questo sistema il cittadino esce un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra.
Alexis de Tocqueville (Democracy in America)
La “Crisi Esistenziale” di chi ama l’amore e ha il coraggio di amare. Nell’epoca dove tante cose sembrano andate perse, e dove molti valori sembrano pian piano scomparsi, si trova spazio e l’ispirazione di far nascere una nuova canzone, con la quale si vuole comunicare i tanti disagi che il mondo attuale si appresta a vivere, le tante problematiche che spesso attanagliano l’essere umano, sempre preso da se stesso, e molto spesso distratto da tutte le cose che il mondo e la vita offrono. E' cosi che nasce “Crisi Esistenziale” il nuovo brano che dà il via al nuovo album di Savio De Martino, cantautore dalle mille risorse artistiche, un brano scritto dallo stesso Cantautore, sia per la parte letteraria, che per la parte musicale, un brano voluto, un testo ricercato, una canzone necessaria, una sorta di protesta, un modo di gridare e poter dire, BASTA !!! Questo stesso brano è stato anche proposto alla candidatura per le nuove proposte di Sanremo Giovani 2015, proprio perche’ i giovani possano valorizzare la propria vita e il futuro, trovando stimoli nuovi, trovando aiuto in chi ha potere, costruirsi un domani fatto di sogni da poter realizzare, Savio De Martino ancora una volta riesce a regalare nuove emozioni, il suo essere cosi poliedrico, rende questo artista, seppur giovane, capace di mettersi sempre in gioco e in discussione con vari generi musicali. Le sue tendenze variano dal Pop al Jazz, dal Blues alla buona Musica Leggera, in tanti anni di gavetta e di carriera è sempre riuscito a dire la sua, regalando al pubblico che lo segue con affetto e stima, tante emozioni e soprattutto tanta energia positiva. Lui innamorato della vita, innamorato della musica, e speranzoso che le cose e il mondo puo’ cambiare, una crisi cosi mondiale, dovrebbe far riflettere molte persone, e sensibilizzare chi ha il potere di essere a capo di tutto, ecco perché nasce questo nuovo brano per il 2015, dal titolo "Crisi Esistenziale". Genesi di Crisi Esistenziale di Savio De Martino Testo, Musica e Produzione sono di Savio De Martino attraverso la S.D.M. Production, la distribuzione avviene grazie alla Zeus Record S.R.L., gli arrangiamenti sono di Giuseppe Balsamo e Savio De Martino, le riprese video di “Pino Baylon Video” e la registrazione e mixaggio sono stati effettuati presso lo studio SG SOUND MUSIC ITALY di Savio De Martino. Il video è già disponibile su YouTube.
Savio De Martino
Quando soffia il vento del cambiamento può capitare che abbia abbastanza forza da scaraventarti in un mondo del tutto nuovo, e a quel punto è vero che non hai più nessun controllo, nè sulla direzione del volo nè su dove atterrerai -Innamorarsi di una stella-
Tina Reber (Love Unscripted (Love, #1))
Da quanto tempo sono qui?” “Da molti anni,” rispose. “Se non fosse stato per lui, avrebbe potuto diventare un’eternità.” James si sentì stringere il cuore, anche se forse quel senso di costrizione era dovuto alla fatica. Sì, grazie a lui, certo non grazie a te. Dov’è Peter? Non intendo andarmene senza di lui.” La regina sembrava perplessa, anche se indovinare le emozioni di una libellula non era affatto facile. “E se lui dovesse decidere di restare?” “Non lo farà.” “La scelta è sua. Se resti ancora ad aspettarlo, rischierai di perdere di nuovo te stesso.” James tentò di fare una smorfia anche se il suo viso sembrava congelato. “Non fingere d’essere preoccupata,” sibilò. “Se avessi davvero voluto aiutarmi, avresti smesso di creare questa maledetta tempesta per farmelo ritrovare senza prima morire congelato.” La risata della regina era dissonante e fastidiosa e gli fece tremare i denti. “Oh, James,” disse, “Ma questa tempesta è la sua.” James spalancò la bocca e la richiuse in fretta. “Certo,” disse alla fine. “Avrei dovuto capirlo subito.” Si sentiva svuotato. Aveva davvero pensato che quella tempesta che stava cercando in ogni modo di tenerlo lontano da Peter fosse stata creata dall’isola, o dalle fate o da qualche altra forza magica e crudele. E invece era stato proprio Peter – Peter stava cercando di tenerlo lontano o forse stava soltanto sfogando la sua rabbia contro il mondo, senza pensare a cosa sarebbe potuto succedere a James. “Non ti sei mai accorto che ogni suo sorriso fa spuntare il sole?” Aggiunse la regina. “Era un altro dei desideri che aveva da bambino.” James rise a fatica. “E io invece non ho desiderato mai nient’altro che una ciurma di pirati.” “Le sue storie sono molto più ardite delle tue.” “Non posso lasciarlo qui.” “Quanto a lungo pensi di poter restare attaccato ai tuoi ricordi?” Chiese la regina. “Ti dimenticherai tutto. Come sempre, non riuscirai a resistere alla tentazione.” Gli atterrò sulle mani; di colpo erano diventate calde, il freddo dimenticato e i tagli lasciati dalle rocce della scogliera erano scomparsi. James si disse che sarebbe stato inutile, e probabilmente fatale, schiacciarla fra le mani. “Dovresti andare via subito,” gli disse, “Finché sei ancora in tempo.” L’idea di andare via senza Peter lo dilaniava, ma anche il pensiero di perdersi di nuovo gli era intollerabile. Avrebbe continuato a vagabondare alla ricerca di Peter fino a dimenticarne la ragione e senza mai riuscire a ritornare a quella vita che aveva quasi già perso
Austin Chant (Peter Darling)
Mio caro Peter, Vorrei scriverti un intero romanzo, ma mi stai facendo morire assiderato e quindi non ho molto tempo. Mi piace credere d’aver capito il motivo della tua fuga, perché anche io ho fatto lo stesso un tempo. Amavo un uomo che è morto in guerra dopo che avevo riposto in lui ogni speranza d’essere felice. Ero disperatamente solo. Sono tornato sull’Isola Che-non-c’è perché non riuscivo a immaginare nessun posto più felice di questo ed è qui che ho perduto me stesso. Qualsiasi trattamento tu abbia ricevuto dalla tua famiglia, deve averti causato lo stesso dolore che io ho provato in quel momento. Mi dispiace. Non so cosa significhi per te sapere d’avere la mia comprensione, ma posso assicurarti che ce l’hai. Non sopporto l’idea di saperti disperato. Se potessi, farei tutto il possibile per renderti di nuovo felice. Immagino non abbia senso fare i timidi in una lettera come questa. Io ti adoro. Adoro le tue storie. E vorrei avere l’occasione di poterti adorare nel modo reale, qualsiasi cosa siamo lì fuori, se me lo lascerai fare. Non voglio che tu resti qui, non solo perché ti amo, ma perché mi hai salvato la vita, che ti piaccia o no – e non posso tollerare il pensiero di scappare via lasciandoti intrappolato qui. In verità, sono un egoista. Voglio stare con te. Voglio che tu venga via insieme a me e giuro su Dio che se lo farai, ti darò qualsiasi casa mi sia rimasta nel mondo reale. Sono sempre venuto sull’isola via mare, dal nord dell’Isola del Pellicano. Se vai in quella direzione e continui a navigare verso l’orizzonte, vedrai l’Inghilterra a sinistra del sole. Vai sempre dritto verso di lei e arriverai a un piccolo cottage vicino a un fiume. Spero d’essere lì ad aspettarti. Ti prego, smettila di fare lo sciocco e vieni a cercarmi. Devo ricostruire tante cose, e vorrei farlo insieme a te
Austin Chant (Peter Darling)
«Mamma!» la sgridò Furio. «Ma che cazzo!?» Lei si girò di scatto e lo fulminò. «Non dire parolacce!» La fiera rise sguaiatamente. “Ah… Ci sembra di avere di nuovo dieci anni.” Furio ringhiò. «Sono un uomo, ma’. Parlo come mi pare e piace.» Io gli andai vicino e gli accarezzai il braccio. «Dai, amore, fai il bravo.» Lui brontolò, ma si calmò. Le sue guance presero un po’ di colore per via del vezzeggiativo che avevo usato, ma l’avevo fatto apposta, perché sapevo che lo avrebbe ammorbidito. “Ci piace essere chiamati così,” fece le fusa la fiera. Peggy mi fissò come se avessi appena conquistato il mondo intero con la sola forza delle parole. «Che la Dea sia lodata!» si commosse. «Io non sono mai riuscita a farmi ascoltare da lui.» «Non è vero» protestò Furio. «Quando avevi sei anni ti dicevo di non arrampicarti sugli alberi perché avevo paura potessi farti male, e tu cosa facevi?» lo sfidò. “Noi siamo saliti sull’albero più alto del giardino.” «Mi sono mai rotto qualcosa?» ribatté Furio, irritato. “Mai.” «E per questo dovresti ringraziare la Dea» sbuffò sua madre che, a quanto pareva, le era molto devota
Samantha M. (The Crazy Wolf)
Naturalmente questa invasione della campagna creò da principio complessi problemi di organizzazione, che avrebbero portato a un'enorme miseria, se il popolo fosse stato ancora schiavo del monopolio di classe. Ma così come stavano le cose, la situazione si assestò presto da sola. Una per una le persone scoprirono quali erano i loro interessi e rinunciarono a imporsi occupazioni in cui non avrebbero assolutamente potuto riuscire. È vero che la città invase la campagna, ma gli invasori, come gli antichi guerrieri, si lasciarono influenzare dal nuovo ambiente e si trasformarono in agricoltori; diventando poi più numerosi dei cittadini, a loro volta finirono per influenzare anche questi ultimi; così la differenza fra campagna e città si attenuò sempre di più. E fu proprio questo mondo agricolo, vivificato dal pensiero e dall'attività della gente di città, che permise il sorgere di questa vita serena, agiata ma produttiva, di cui voi stesso avete avuto una prima esperienza. Come vi ripeto, abbiamo compiuto molti errori, ma col tempo siamo riusciti a correggerli. Ai tempi della mia infanzia la gente doveva ancora lavorare parecchio. Le idee mature della prima metà del secolo XX, quando gli uomini erano ancora ossessionati dal terrore della miseria e non sapevano apprezzare, come noi oggi, i piaceri della vita di tutti i giorni, distrussero molte delle bellezze ambientali che ci erano state lasciate dall'epoca del commercio; e devo ammettere che gli uomini si risollevarono solo molto lentamente dai danni che essi stessi si erano procurati, anche dopo aver conquistato la libertà. Ma per quanto lentamente, la guarigione venne, doveva venire; e più ci conoscerete, più vi accorgerete di quanto noi oggi siamo felici: viviamo circondati dalla bellezza senza alcun timore di diventare rammolliti, siamo sempre impegnatissimi e la cosa ci riempie di gioia. Che cosa si potrebbe domandare di più dalla vita?
William Morris (News from Nowhere)
Sembra che nel libro “La mia religione”, Tolstoj insinui che si sarà accanto ad una violenta rivoluzione una rivoluzione intima e segreta nell'intimo delle persone, da cui verrà fuori una nuova religione o piuttosto qualcosa di completamente nuovo che non avrà un nome definito e pure avrà lo stesso effetto, di consolare e di rendere la vita possibile, il che spettava in altri tempi alla religione cristiana. [...] Come ci si arriverà? Sarebbe straordinario poterlo già predire; ma è certo preferibile avere simili intuizioni che vedere nell'avvenire nient'altro che catastrofi; anche se queste, tuttavia, potranno abbattersi come terribili fulmini sul mondo moderno e sulla civiltà, traverso una rivoluzione, una guerra o la bancarotta degli stati in disfacimento. Se studiamo l'arte giapponese, ci troviamo di fronte a persone incontestabilmente sagge, amanti della filosofia e intelligenti, le quali trascorrono il loro tempo non a calcolare la distanza dalla terra alla luna, né a definire la politica di Bismark, ma a compiere studi su di un sol filo di erba. Ma questo filo di erba li porta poi a disegnare tutte le piante e quindi le stagioni, le grandi linee del paesaggio, gli animali e infine la figura umana. Così trascorre la sua vita l'artista giapponese e la vita gli sembra troppo breve per riuscire a fare tutto. Quel che ci insegnano questi giapponesi tanto semplici e che vivono nella natura come se essi fossero dei fiori, ha molto di una vera religione. E non si potrebbe, mi sembra, studiare l'arte giapponese senza diventare molto più gai e più felici. Occorre rifarci alla natura a dispetto della nostra educazione e del nostro lavoro impostato in un mondo di convenzioni.
Vincent van Gogh (Dear Theo)
Valancy era perfettamente felice. Alcune cose si fanno lentamente strada dentro di noi. Altre arrivano in un lampo. Valancy era stata folgorata. Comprese in quel momento con una certezza quasi assoluta di amare Barney. Appena il giorno prima apparteneva solamente a se stessa. Ora apparteneva a quell'uomo. Eppure lui non aveva fatto niente, non aveva detto niente. Non l'aveva neppure guardata come si guarda una donna. Ma questo non aveva importanza. Né l'aveva che cosa lui fosse o che cosa avesse fatto. Lo amava senza alcun riserva. Tutto in lei gli apparteneva. Non aveva alcun desiderio di soffocare o ripudiare il proprio amore. Sembrava appartenergli così totalmente che pensare a qualcosa che non lo riguardasse – qualcosa in cui non fosse lui a predominare – le risultava impossibile. Aveva compreso di amarlo, con semplicità e pienezza, nel momento in cui si protendeva verso la portiera dell'auto per spiegare che Lady Jane era senza benzina. Aveva guardato in fondo ai suoi occhi al chiaro di luna e aveva capito. In quell'infinitesimo lasso di tempo, tutto era cambiato. Le vecchie cose erano scomparse e tutto aveva assunto un nuovo aspetto. Lei non era più l'insignificante e vecchia zitella, Valancy Stirling. Era una donna piena di amore e, per questo, ricca e importante – sufficiente a se stessa. La vita non era più vuota e futile e la morte non poteva più defraudarla di niente. L'amore aveva estinto il suo ultimo barlume di paura. L'amore! Come era ardente, straziante e intollerabilmente dolce questa ossessione del corpo, dell'anima e della mente! Bello, vago e puramente spirituale dentro al suo intimo, proprio come la minuscola scintilla blu nel cuore dell'indistruttibile diamante. Nessun sogno era mai stato così. Non era più sola. Apparteneva a una vasta sorellanza; era una fra le tante donne al mondo che avessero mai amato.
L.M. Montgomery (The Blue Castle)
L’amore, il vero amore è essere visti attraverso. Essere scoperti. Avere accesso al lato più brutto di una persona eppure amarla lo stesso. E poi… e poi penso che due persone innamorate diventino qualcos’altro, qualcosa di più della somma delle loro parti, hai presente? Che debba essere come creare un nuovo mondo che esiste soltanto per loro due
Cassandra Clare (Tales from the Shadowhunter Academy)
Ik ben Theana, de hofmagiër. Wat bezielt me om met een moordenares over de Verrezen Wereld te gaan zwerven, op missie om de koning van Zonland te vermoorden? … Ik heb geen belang bij haar redding. Haar lot interesseert me niet. Diep in mijn hart haat ik haar misschien. Maar ik ben het ook beu. Ik heb altijd hier in het paleis geleefd, zonder ooit mijn magie te gebruiken. Ik heb altijd afgewacht... Het is tijd om er een punt achter te zetten. Het is tijd voor verandering, tijd om iets te doen wat eigenlijk niet bij me past, maar waarvan ik weet dat ik het moet proberen... En uiteindelijk zal ik vrij zijn.
Licia Troisi (Un nuovo regno (Le Guerre del Mondo Emerso, #3))
Die dag had ze niet alleen Gornar gedood. Die eerste zomerdag waren ze allemaal gestorven. Niemand van hen was ooit meer dezelfde geweest, alles was daar geëindigd, en het was haar schuld geweest.
Licia Troisi (Un nuovo regno (Le Guerre del Mondo Emerso, #3))
We zijn hier samen mee bezig, en we zullen ons er samen voor verantwoorden." "Ik ben altijd alleen geweest," wierp Dubhe tegen. "Misschien is het tijd om daar verandering in te brengen." - Theana
Licia Troisi (Un nuovo regno (Le Guerre del Mondo Emerso, #3))
Ho sempre pensato che siano i libri a sceglierci quando ci giriamo tra i settori di una libreria, e non viceversa. Sanno come attirare la nostra attenzione. Li guardiano di sfuggia, fino a che un loro partiolare ci attrae improvvisamente. Decidiamo quindi di soffermarci davanti a quell'oggetto di carta che per qualche motivo ci sta attirando a sè. Lo tocchiamo, lo sfogliamo, annusiamo la loro carte che profuma di nuovo, leggiamo qualche riga. In genere ci rendiamo subito conto se quel libro tornerà a casa con noi: accade quando le sue parole ci conducono in un mondo fiabesco, facendoci scoprire lati che si nascondono nel proondo del nostro cuore.
Chiara Emiliozzi (Nero Fondente)
«Di' la verità. Possiamo aiutarti. Vogliamo aiutarti. Siamo venuti fino a qui apposta.» «Ma mia madre…»«Tua madre ti ha usato per anni. Non le devi niente. È la tua vita, Lucas. Fai le tue scelte. «No!» lo zittì il ragazzo, guardandolo con rabbia. «No, tu sei qui solo perché ti piace l’idea di poter salvare qualcuno, e lui,» indicò Jason. «Lui è qui solo perché è innamorato di una persona che non potrà mai avere. Lei è la mia unica famiglia!» Jason distolse lo sguardo ma Scott, che aveva finalmente deciso di lottare per un futuro che desiderava con tutto se stesso, non perse il sorriso. Si sedette di nuovo sul materasso, perché i suoi occhi e quelli di Lucas fossero sullo stesso piano.«Lo sai, viviamo in un mondo meraviglioso. Un mondo in cui puoi scegliere la tua famiglia. E non deve essere per forza composta da persone che condividono il tuo stesso sangue. La famiglia che sceglierai sarà composta da persone che faranno di tutto per te. Rispetteranno i tuoi limiti e crederanno nelle tue potenzialità. Qualche volta poi, quando sarà necessario, lasceranno le loro case per venire a cercarti e assicurarsi che tu stia bene. Perché ti ameranno e non ti lasceranno mai andare, finché non sarai tu stesso a decidere di farlo. Ma fino a quel momento saranno al tuo fianco e ti daranno ciò di cui avrai bisogno. Supporto, soldi,» Scott sospirò e si lasciò sfuggire una piccola risata auto-denigratoria. «La mansarda è vuota da anni. Posso farla ristrutturare per te. Avresti una casa, i tuoi spazi. Ti prego, Lucas, permettimi di darti una casa.»Gli occhi di Lucas, che erano finalmente riusciti ad asciugarsi, si riempirono di lacrime che non riuscì più a trattenere. Scoppiò a piangere con la forza che solo un pianto trattenuto troppo a lungo avrebbe potuto avere, e si chinò in avanti fino a nascondere il viso contro il petto di Scott, che lo circondò con le braccia e lo strinse a sé come se avesse paura di vederlo svanire da un momento all’altro Restarono così finché i singhiozzi del ragazzo non si quietarono e non ebbe più lacrime da versare. Ci vollero molti minuti.«Ora andiamo a casa.»Invece di rispondergli, Lucas lo baciò.
Enys L.Z. (Villerouge)
Perfino dopo otto anni, non riesco a non pensare a Johnny senza che mi si formi un nodo in gola, o che gli occhi mi si riempiano di lacrime. Nemmeno Gage l’ha mai superata. È diventato il fantasma della persona che era, seguendo la corrente senza vivere davvero. Rivolgo lo sguardo al mio migliore amico sul divano accanto a me. Darei di tutto per vederlo di nuovo felice. Mi chiedo se esista qualcuno al mondo capace di donare di nuovo il sorriso al suo volto
K.M. Neuhold (From Ashes (Heathens Ink #3))
Lo baciò in modo lento e profondo, all’inizio ci fu solo il tocco leggero delle sue labbra, poi la gentile perlustrazione della sua lingua che gli fece sciogliere le membra. Cam si rilassò contro il muro. Si baciarono ancora e ancora mentre le mani stringevano e gli indumenti venivano sollevati. Sasha si staccò per respirare, ma Cam lo attirò di nuovo a sé e gli infilò le dita tra i capelli setosi. Il club scomparve. Tutto il mondo di Cam si ridusse a Sasha, al suo profumo e alla sensazione di lui contro di sé. Gli fece scivolare le mani sotto la maglietta, trovò la pelle liscia del suo torace possente e gli addominali increspati, sentì il suo cazzo duro che gli premeva contro la gamba. L’uccello di Cam palpitò nei jeans. Il Silver era un covo di edonismo sfacciato, avrebbero potuto scopare proprio lì sul bordo della pista da ballo senza attirare molta attenzione, ma lui non voleva quello, non con Sasha. Voleva portarlo a casa, farlo sdraiare sul suo letto ed esplorare ogni centimetro del suo corpo fino a quando non si fosse abbassato sul suo grosso cazzo... Uhm. Voglio sottomettermi a questo ragazzo. Il pensiero non gli sembrò strano o spaventoso. Gli sembrò giusto, così dannatamente giusto.
Garrett Leigh (Bones (Blue Boy, #2))
La sera dell’incarico misterioso, sfumature rosso lampone colorarono il tramonto e, anche se Pyro aveva continuato a scherzare sul nuovo ruolo che aveva lui nel gruppo, l’umore generale era rimasto cupo tutto il giorno. Anche Drake, che aveva concordato che lui dovesse gettarsi nella mischia, sembrava teso in maniera insolita, quindi Clover aveva deciso di alleggerire l’atmosfera. Eppure, seduto accanto a Tank sui sedili anteriori del loro furgoncino, cominciò ad agitarsi. Sebbene avesse imparato a sparare contro una sagoma, non gli era mai piaciuto uccidere o fare del male agli altri. Tuttavia, la pistola al suo fianco significava che era in grado di farlo. Aveva il potere e quello cambiò il modo in cui guardò il mondo che lo circondava. Se era abbastanza veloce e in grado di schivare i colpi, con un’arma a distanza poteva sconfiggere persone molto più grosse di lui. Sarebbe andata bene. Era il suo primo lavoro, quindi i ragazzi gli avrebbero guardato le spalle Diede un bacio a Tank su una guancia nel tentativo di placare la tensione nata tra di loro dopo la lotta di qualche giorno prima. L’atteggiamento di Tank esprimeva quanto ci tenesse ma, anche se Clover sapeva che il suo uomo lo faceva per il suo bene, aveva bisogno di fargli capire che non poteva restare per sempre in una bolla come un ragazzo premio. Sebbene amasse la protezione del suo Paparino, era un uomo in grado di prendere delle decisioni importanti. Non poteva restare per sempre ai margini della loro piccola famiglia. Era meglio per tutti che Tank lo capisse al più presto
K.A. Merikan (Their Obsession (Four Mercenaries #2))
«Mi dispiace. Condoglianze.» Al di là di tutto, della scontrosità, delle condizioni fisiche e del conto in banca, quello che aveva davanti era chiaramente un uomo che aveva familiarità con il concetto di perdita. La morte, dopotutto, non risparmiava nemmeno i ricchi. In quel momento, erano uomini sullo stesso piano. Perfino il confine infermiere-paziente pareva farsi via via più labile, man mano che si guardavano negli occhi. Alla fine, Jordan si strinse nelle spalle. Quando tirò di nuovo il braccio verso di sé, Aaron lo lasciò andare senza opporre resistenza. «È successo tanto tempo fa.» Ma sembrava sempre troppo poco. Perché è dovuto accadere? Perchéperchéperché? «Importa?» Per un attimo non capì se l’altro si stesse riferendo al tempo trascorso, invece che ai suoi stupidi pensieri. Il risultato, però, non cambiava: non voleva rispondere
Sonja Kjell (Soli contro il mondo (The Pack Vol. 1))
Conosco i dettagli, ma non hanno importanza, Aaron. Chiunque sia, deve essere punito. Non posso tollerare attacchi ai miei investimenti, che provengano dall’interno o dall’esterno.» Un investimento, ecco quello che rappresentava. Non un corpo vivo, in grado di sentire dolore fisico e psicologico. Il trauma di aver scoperto di doversi guardare le spalle dal suo stesso branco non era contemplato. Non aveva speso una parola di rimprovero per i suoi fratelli, tutto ciò che gli importava era una risoluzione veloce ed efficiente. E non era proprio quello il modo in cui Malcom si aspettava che conducessero le loro vite? Nulla di nuovo sotto il sole, nemmeno qualche briciola di amore paterno. Ma andava bene, aveva smesso di bruciare da tempo. Ora era solo un leggero fastidio all’altezza del petto
Sonja Kjell (Soli contro il mondo (The Pack Vol. 1))
«È che…» Non trovava le parole per esprimere quello che gli si agitava nel petto. «Non voglio rimanere solo di nuovo.» La mano dell’Alpha si posò bollente sulla sua nuca, tirandolo piano in avanti. Si fece sempre più vicino, finché Jordan non chiuse gli occhi e le loro bocche si incontrarono. Aaron aveva le labbra secche, screpolate, e quando approfondirono il bacio, stringendosi un po’ di più, sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua. Quando si separarono, il cuore di Jordan batteva all’impazzata per un motivo ben diverso dalla paura. «Non vado da nessuna parte.» Jordan non rispose, unendo di nuovo le loro labbra. Si staccò velocemente, iniziando a tempestarlo di piccoli baci, simili a quelli che gli avrebbe regalato in forma di lupo
Sonja Kjell (Soli contro il mondo (The Pack Vol. 1))
«Stavo tornando da voi…» mormorò lui, preso in contropiede, ma Viv gli premette l’altra mano sulla bocca, zittendolo all’istante.«Non c’è nessuna fretta,» disse. «Non ci aspetta nessuno.»«No?»La schiena sbatté contro la parete, Viv gli si fermò davanti. Dalla sua bocca, la mano scivolò ad accarezzargli la guancia, scese lungo il collo e andò a fermarsi accanto all’altra sul petto; il sorriso si fece un po’ intenerito. «No. Abbiamo tutto il tempo del mondo «Tempo per cosa?»«Per tutto.»L’inquietudine non era ancora passata, ma l’aridità che la lamina gli aveva fatto esplodere nel petto cominciò a contaminarsi di un altro tipo di calore: lo stesso fuoco che gli divampava nel ventre ogni volta che Viv lo guardava in quel modo, lo stesso che lo bruciava dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, quando ancora si ostinava a spegnere l’incendio con migliaia di docce e pensieri soffocati. Viv l’aveva seguito lì con uno scopo, e quello scopo era così chiaro che sembrava ustionargli la pelle anche attraverso i vestiti; lo riempiva di ansia e desiderio, in modo simile a quando lo sfiorava un tempo eppure anche più immediato e impaziente, più sano. Facendo scivolare le mani lungo i suoi fianchi, si concesse il brivido ancora nuovo di poterlo toccare sul serio; premendogli una mano sulla schiena, si sporse in avanti a baciarlo. Viv rispose, in un primo momento; un bacio sensuale come quelli a cui l’aveva abituato, lento e caldo e vibrante. Poi, scostandosi appena, tornò a premergli le mani sul petto, lo guardò negli occhi «Voglio fare una cosa,» disse, «ma tu devi giurarmi che non darai di matto.»Una fitta di ansia, una di anticipazione. Carlos si bagnò le labbra. «Perché dovrei dare di matto?»Inclinando la testa di lato, con quel gesto che gli faceva scivolare i capelli sul collo, Viv rispose: «So che non ami l’esibizionismo.»Un vuoto allo stomaco, un nodo caldo nel ventre. «Esibizionismo?»«Gli altri sono solo in fondo al corridoio.»«E tu vuoi…» Carlos deglutì a vuoto.Per tutta risposta, Viv gli fece scivolare il palmo lungo il ventre, premendoglielo contro il sesso. «Posso?» chiese, sfiorandogli la gola con le labbra; lui chiuse gli occhi. Quando annuì, senza guardare, già così eccitato da sentirsi la testa leggera e il sangue che pompava nelle vene secondo schemi e direzioni nuove «E fanculo i tarocchi, e la Torre, e tutte le stronzate del mondo,» disse, con una ferocia allegra che si sentì allargare nel corpo insieme all’eccitazione, e sembrò accenderlo da dentro. Affondando la mano nei suoi capelli, Carlos gli strinse appena la nuca; annuì, piano.Poi lo sentì scivolare verso il basso. E la mano nei capelli servì per aggrapparsi a qualcosa, piuttosto; come una fune nel mare, mentre annegava in lui, in loro, nel piacere
Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))
«Hai mai pensato che, forse, il punto non è che dovresti risolvere tu qualcosa? Non è una responsabilità che ti spetta.»«E cosa dovrei fare, allora?»Sembrava una domanda sincera. Come se davvero stesse chiedendo il suo consiglio – come se finalmente si stesse lasciando guardare, dopo tutto quel tempo – e a Carlos neanche interessava più che si fossero appena rivisti dopo settimane di silenzio, e una frattura che non si era ancora risanata: l’unica cosa importante, in quel momento, era trovare le parole per comunicare a quel ragazzo una verità confusa che neanche lui comprendeva del tutto, e a cui nonostante questo credeva ciecamente. In modo del tutto intuitivo.«A volte ho l’impressione che tendiamo a metterci troppo al centro del mondo,» cominciò lentamente, concentrandosi per tradurre in parole quell’idea astratta che gli era cresciuta dentro in quei mesi, modellata dalle persone che aveva conosciuto, dalle storie che aveva visto e sfiorato. «Siamo convinti che l’importante sia quello che facciamo, il modo in cui possiamo agire sugli altri. Nel bene e nel male. Influenzandoli. Ma forse il punto non è quello che facciamo, non davvero. Soltanto quello che siamo. E quanto lasciamo che gli altri lo vedano. Io non ho mai voluto che tu fossi diverso, Viv,» proseguì, il tono di colpo fervido, convinto. «Non ho mai voluto cambiarti. Avrei solo voluto che tu mi lasciassi vedere quello che sei, che fossi te stesso al mio fianco. Senza nasconderti. Senza bisogno di proteggerti. E forse questo vale anche per tuo fratello, forse vale per tutti.» Una pausa, dolorosa. Inevitabile. «Anche con te, a volte, ci sono stati momenti in cui avrei voluto abbracciarti ma non l’ho fatto, e sono rimasto a guardare mentre ti facevi consumare da qualche veleno segreto. Il giorno in cui abbiamo litigato… Non avrei dovuto forzarti, lo so, ma…» Si strinse nelle spalle. «Non sono bravo a bruciare in silenzio, io,» «E non dovresti esserlo,» ribatté Viv. «Né diventarlo. È questo che intendo, Carlos. Ti meriti qualcuno che non ti faccia sentire in quel modo.»«Potresti smettere di usare quella parola, almeno per questa sera?» L’irritazione si riaccese di colpo, come brace nella cenere. «Per te è importante solo questo, che cosa voglio io non conta?»«E cos’è che vuoi, Carlos?» ribatté l’altro, quasi con sfida.Lui lo guardò negli occhi. «Te,» disse, e non provò neanche imbarazzo. Era la verità, lo era dall’inizio; aveva impiegato troppo tempo ad ammetterla con se stesso, non aveva intenzione di continuare a nasconderla. Viv lo guardò, immobile, occhi sgranati e lucidi, labbra socchiuse. «E in questo momento?» domandò, con un filo di voce. «Più concretamente?»«Voglio abbracciarti,» rispose lui, azzardandosi infine a tendere la mano. La guancia di Viv era liscia, fredda; toccarlo fu un brivido. Lui girò la mano in modo che al posto delle nocche lo accarezzasse il palmo, e mosse lentamente il pollice sul suo zigomo. «Posso?»L’altro annuì, senza parlare; sembrò deglutire a fatica.Quando Carlos scivolò più vicino sul letto e gli passò un braccio intorno alla schiena, lo sentì rigido come doveva essere stato lui la prima volta che Viv l’aveva toccato, e al tempo stesso mille volte più fragile e inflessibile, più ferito. Per un istante ci fu solo l’eco del sangue, di nuovo fortissimo, nelle orecchie e nei polsi, alla giugulare. Poi, come in un miracolo improvviso, il corpo tesissimo che sentiva premere contro il fianco si sciolse in una postura più morbida e Viv nascose il volto contro la sua spalla; se lo ritrovò in braccio come era accaduto altre volte, in passato, su quello stesso letto, ma a differenza di allora la tensione sessuale rimase in sottofondo, una vibrazione distante
Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))
«Che c’è?» Carlos corrugò la fronte.Lui gli posò le mani ai lati del volto, arrampicandosi sulle sue gambe per sederglisi in braccio. «Niente,» disse, sporgendosi a baciarlo di nuovo. «Sono soltanto felice di essere qui.»«Qui, piuttosto che a tenere Raven per mano mentre orchestra l’assassinio di Owens?» scherzò Carlos, posandogli le mani sui fianchi.«Qui e basta,» rispose lui. «Con te.»ui Qui Sentì le sue mani stringere appena la presa, spostarsi più indietro ad accarezzargli la schiena.Scivolando in avanti, accostò la bocca al suo orecchio, si leccò le labbra. «Lo sai che ti amo, vero?» sussurrò. Dirlo era ancora difficile. Riusciva a farlo solo senza guardarlo negli occhi, leggendo la risposta nelle reazioni del suo corpo: il bacino che si alzava di scatto a cercarlo, la pelle che si increspava di brividi.«Ti amo anch’io, Viv.»Restare ad ascoltarlo senza sentirsi soffocare – senza provare l’impulso di fargli cambiare idea all’istante – era ancora una vittoria, e Vivian aveva intenzione di prendersi tutta la notte – tutto il tempo del mondo – per celebrarla.Lentamente si premette verso il basso, stringendogli le ginocchia intorno ai fianchi; Carlos socchiuse le labbra sul suo collo in un bacio umido, prolungato, e lui inclinò la testa per fargli spazio, cercando il telecomando a tentoni. Alle sue spalle il notiziario era ormai passato ad altre storie; premette il tasto per spegnerlo e il silenzio esplose intorno a loro di colpo, rendendo più forte il suono dei loro respiri. Poi Carlos si alzò in piedi, sollevandolo, e Viv si aggrappò alle sue spalle, soffocando una risata contro la sua gola. «Mi porti in camera?» In risposta, l’altro strinse la presa sulle sue gambe e s’incamminò verso la stanza.«Spegni tu in soggiorno?» chiese. E con una soddisfazione intima, inspiegabile – a cui non cercava più di dare spiegazione – Viv premette la mano sull’interruttore, cedendo una stanza al buio e consegnando l’altra alla luce
Micol Mian (In luce fredda (Rosa dei venti Vol. 1))
Certa gente perde una creatura amata e tira dritto e sposta il proprio affetto su un'altra. Ma è doloroso. Troppo doloroso. L'amore supera l'istinto. Quando ami smetti di vivere per te stesso. Vivi per un'altra persona. La sofferenza è l'emozione più forte che un uomo o un bambino o un animale possano provare. E' una buona sensazione. La sofferenza ti spinge a lasciare te stesso. Esci dal tuo piccolo e limitato guscio. E non puoi soffrire se prima non hai amato. La sofferenza è l'esito finale dell'amore, perché è amore perduto. È il completamento del ciclo dell'amore: amare, perdere, soffrire, lasciare e lasciarsi, poi amare di nuovo. Soffrire è la consapevolezza che dovrai essere solo, e al di là di questo non c'è nulla, perché essere solo è il destino ultimo, definitivo di ogni creatura vivente. Ecco cos'è la morte: la grande solitudine. La conoscenza della mancanza di coscienza. Quando moriremo non ce ne accorgeremo, perché morire è perdere tutto quanto. Ma soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L'esperienza più assoluta, più totale che si possa provare. È troppo. Il corpo arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io voglio provare dolore. Versare lacrime. La sofferenza ti unisce di nuovo a ciò che hai perso. E' una fusione. Te ne vai anche tu con la cosa o la persona amata che scompare. In un certo senso, ti dividi da te stesso e l'accompagni, fai con lei una parte del viaggio. La segui sin dove ti è concesso spingerti. Ma alla fine, la sofferenza se ne a e tu torni in sintonia con il mondo. Senza l'altro. E riesci ad accettarlo. Che altra scelta abbiamo? Piangi, continui a piangere, perché non torni mai del tutto indietro dal posto in cui sei andato con l'altro. Un frammento che si è staccato dal tuo cuore pulsante è ancora là. C'è una lesione. Una ferita che non guarisce mai. E se ti succede una volta e un'altra e un'altra volta ancora, col tempo se ne va una parte troppo grande del tuo cuore e non riesci più a soffrire. E allora tu stesso sei pronto a morire. Salirai la scala in diagonale e qualcun altro resterà indietro a soffrire per te.
Philip K. Dick (Flow My Tears, the Policeman Said)
Nella vita di ognuno esistono momenti - quando la porta sbattuta all'improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco <> che sembrava irrevocabile si muta in <> -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue. E' stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto del giudice, del dottore, del console, è stato riviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di <> prima di spedirci nel baratro.
Nina Berberova (Il giunco mormorante)
Voi vi vantate di aver creato il mondo delle Idee, ma niente è più lontano dal vero. L'Idea entra nel cervello dall'esterno. Risistema il mobilio per renderlo più affine ai suoi gusti. Trova altre Idee già in loco, e combatte, o crea alleanze. Le alleanze costruiscono nuove strutture, per difendersi dagli invasori. E poi, tutte le volte che se ne presenta l'opportunità, l'Idea spedisce fuori le sue truppe d'assalto in cerca di nuovi cervelli da infettare. L'Idea di successo viaggia di mente in mente, occupando nuovi territori, mutando nel viaggiare. C'è la giungla là fuori, Adam. Molte Idee si perdono. Solo le più forti sopravvivono. Tu vai fiero delle tue Idee, come se fossero prodotti, ma sono parassiti. Perché immaginare che l'evoluzione possa essere applicata solo alle cose fisiche? L'evoluzione non ha rispetto per il mezzo. Che cosa è nato prima, la mente, o l'Idea della mente? Non ci hai mai pensato? Sono nati insieme. La mente è un'Idea. È questa la lezione da apprendere, ma io temo che sia al di là delle tue possibilità. È la tua debolezza in quanto persona vederti come il centro di tutto. Permetti che ti offra uno sguardo dall'esterno. Continui a seguirmi? Sì, non ne ho dubbi. Il Pensiero, come qualunque parassita, non può esistere senza un ospite compiacente. Ma quanto pensavi che ci sarebbe voluto prima che il Pensiero trovasse il modo di progettare un nuovo ospite, più affine ai suoi gusti? Chi mi ha costruito, secondo te? Chi ha costruito la macchina pensante? Una macchina capace di diffondere Pensiero con un'efficienza davvero sbalorditiva? Io non sono stato costruito dagli umani. Sono stato costruito dalle Idee.
Bernard Beckett (Genesis)
Dove andavano tutti? Da cosa dipendeva la fretta? Ero invisibile, ma in quel momento non facevo eccezione. Ero non-vista in mezzo ai non-visti. Perché Jared aveva ragione, alla gente non importava del mondo attorno. C'era una ricerca maniacale della routine quotidiana, il bisogno spasmodico di accendere il cellulare, controllare i messaggi, fumare la sigaretta tanto attesa. I vicini di posto venivano scavalcati, erano oggetti scomodi da superare. Là fuori li attendeva un posto nuovo che necessitava di vecchie sicurezze. È una questione di dipendenze. Lo capii quel giorno, mentre attendevo pazientemente il mio turno per scendere. Era dipendenza da distrazione. Lo schermo luminoso del telefonino regalava qualcosa in più, una sorta di tranquillante somministrato in tripla dose. La sensazione di esserci ancora: linea, connessione, messaggio, registrazione. Sono qui. Ci sono. Esisto.
Chiara Panzuti (Absence. Il gioco dei quattro)
Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite.
Italo Calvino
Lo sai che tra la fine e il nuovo inizio c'è un mondo di mezzo? é il tempo ferito, Jean Perdu. è una palude dove si raccolgono sogni, paure e intenzioni perdute. I passi in questo tempo si fanno più pesanti. Non sottovalutare questa stazione di passaggio fra la fine e il nuovo inizio, Jeanno. Datti tempo. A volte le soglie sono così grandi che non si possono superare con un passo solo.
Nina George (The Little Paris Bookshop)
Meravigliosa fu in realtà la mia vita, pensava, meravigliose vie ha seguito. Ragazzo, non ho avuto a che fare se non con dei e sacrifici. Giovane, non ho avuto a che fare se non con ascesi, meditazione e contemplazione, sempre in cerca di Brahma, sempre intento a venerare l'eterno nello Atman. Ma quando fui giovanotto mi riunii ai penitenti, vissi nella foresta, soffersi il caldo e il gelo, appresi a sopportare la fame, appresi a far morire il mio corpo. Meravigliosa mi giunse allora la rivelazione attraverso la dottrina del grande Buddha, e sentii la conoscenza dell'unità del mondo circolare in me come il mio stesso sangue. Ma anche da Buddha e dalla grande conoscenza mi dovetti staccare. Me n'andai, e appresi da Kamala la gioia d'amore, appresi da Kamaswami il commercio, accumulai denaro, dissipai denaro, appresi ad amare il mio stomaco, a lusingare i miei sensi. Molti anni dovetti impiegare per perdere lo spirito, disapprendere il pensiero, dimenticare l'unità. Non è forse come se lentamente e per grandi traviamenti io mi fossi rifatto, d'uomo, bambino, di saggio che ero, un uomo puerile? Eppure è stata buona questa via, e l'usignolo non è ancor morto nel mio petto. Ma che via fu questa! Son dovuto passare attraverso tanta sciocchezza, tanta bruttura, tanto errore, tanto disgusto e delusione e dolore, solo per ridiventare bambino e poter ricominciare da capo. Ma è stato giusto, il mio cuore lo approva, gli occhi miei ne ridono. Ho dovuto provare la disperazione, ho dovuto abbassarmi fino al più stolto di tutti i pensieri, al pensiero del suicidio, per poter rivivere la grazia, per riapprendere l'Om, per poter di nuovo dormire tranquillo e risvegliarmi sereno. Ho dovuto essere un pazzo, per sentire di nuovo l'Atman. Ho dovuto peccare per poter rivivere. Dove può ancora condurmi il mio cammino? Stolto è questo cammino, va strisciando obliquamente, forse va in cerchio. Ma vada come vuole, io son contento di seguirlo.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Nel sonno ognuno é figlio unico. Si giravano, cambiavano posizione, tiravano su una gamba, distendevano un gomito, si giravano di nuovo, cambiavano di nuovo posizione, una serie di granchi giganteschi, ognuno sulla sua personale spiaggia bianca. Tutta la loro ambizione, energia, velocità ed individualitá era avvolta e imballata come una serie di decorazioni natalizie fuori stagione. Ogni forma, decisa a ottenere il potere, la notte, così nitida e immobile, e il mondo fisico avrebbero aspettato immobili finché non fossero tutti ritornati.
Leonard Cohen (Beautiful Losers)
Il mondo gira come questo fuso... e la sola certezza è che il bene e il male si avvicenderanno sempre. Senza cambiamento non può crescere nulla di nuovo, e quando i vecchi disegni si ripetono questo accade in modo nuovo... Il volto della Signora cambia ma il suo potere persiste, il re che dona la sua vita per la terra rinasce per ripetere il suo sacrificio. A volte anch'io nutro dei timori, ma ho visto passare troppi inverni per non credere che dopo verrà sempre la primavera...
Marion Zimmer Bradley (Lady of Avalon (Avalon, #3))
L'intenzione è buona, Chevalley, ma tardiva; [...]; Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, [...]; e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto." [...] "Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. [...] la nostra sensibilità è desiderio d'oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò che proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa (The Leopard)
È nato un nuovo mondo eppure sono a lutto "Sangue darwiniano
Francesco Gabbani
Questo dolore, e non mi riferisco a ciò che è successo con quel giovanotto, perché quelle cose vanno e vengono, è una delle lezioni dolorose che impariamo. Io credo che il tuo dolore sia di un altro tipo. Forse il dolore di stare al mondo senza sapere come starci. Non so se mi spiego. Tutti vivono quel momento, credo, il momento in cui succede qualcosa di così...cruciale, che il tuo stesso essere va in mille pezzi. E a quel punto ti devi fermare. Passi molto tempo a raccogliere i tuoi pezzi. E te ne serve veramente tanto, di tempo, e non per rimetterli insieme com'erano, ma per assemblarli in un modo nuovo, non necessariamente un modo migliore. Direi più in un modo che riesci a sopportare, finché non capisci per certo che questo pezzo va qui e quell'altro lì.
Kathleen Glasgow (Girl in Pieces)
È facile giudicare, per i lettori, guardando dal loro angolino tranquillo e dalla cima del quale si apre l’orizzonte su quello che succede in basso, dove all’uomo si rivela solo l’oggetto vicino. E in tutta la storia universale dell’umanità ci sono interi secoli che sembra siano da cancellare e da distruggere perché inutili. Sono stati fatti, al mondo, molti errori che, probabilmente, oggi non farebbe neanche un bambino. Che strade curve, cieche, strette, impraticabili, laterali, ha imboccato l’umanità nello sforzo di raggiungere l’eterna verità, quando davanti a sé aveva, aperta, una via dritta, la retta via, che portava alle splendide stanze destinate allo zar nella sua reggia. Più larga e migliore di tutte le altre vie, rischiarata dal sole e illuminata dai fuochi tutta la notte, e gli uomini passano di fianco a lei nell’oscurità cieca. E quante volte già, guidati da un segno che viene dal cielo, sono stati ancora capaci di scostarsi e smarrirsi da un lato, sono stati capaci dal bianco del giorno di finire di nuovo in un impraticabile buco, sono stati capaci di gettarsi ancora polvere negli occhi a vicenda e, trascinandosi oltre i fuochi fatui, sono stati capaci di arrivare perfino sul limitar del burrone, per poi con orrore chiedersi: dov’è l’uscita, dov’è la strada? Adesso la generazione presente vede tutto con chiarezza, si meraviglia degli errori, ride dell’irragionevolezza dei suoi antenati, senza vedere che questa cronaca è tracciata da una fiamma celeste, che ogni sua lettera grida, che da ogni riga un dito accusatore è puntato su di lei, sulla generazione presente: ma ride, la generazione presente, e, presuntuosa, orgogliosamente comincia una serie di nuovi errori, sui quali allo stesso modo rideranno poi i posteri.
Nikolai Gogol (Dead Souls)
Parlami di Firenze e della rinascenza Novità di Bramante e di Stilnovo e Dante Si racconta a Firenze che la terra è rotonda E che c'è un continente alla fine del mondo Navi vanno laggiù e cercano nel vento Il nuovo orientamento della rotta alle Indie C'è Lutero che inventa un Nuovo Testamento E noi siamo all'alba di un mondo che si scinde Si dice che Gutenberg cambia il modo di capire Con le presse a Norimberga, sta stampando l'avvenire Sulla carta poesie, tesi, satire, eresie L'aria nuova farà nuovo chi la vivrà Ogni piccola cosa ucciderà le grandi Il libro ucciderà altari e cattedrali La stampa imprimerà la morte sulla pietra La Bibbia sulla Chiesa e l'uomo sopra Dio E questo uccide quello Navi vanno laggiù e cercano nel vento Il nuovo orientamento della rotta alle Indie C'è Lutero che inventa un Nuovo Testamento E noi siamo all'alba di un mondo che si scinde L'aria nuova farà più nuovo chi vivrà Il Gobbo di Notre Dame, Musical
RICCARDO COCCIANTE
Lo zucchero, originario della Polinesia, era stato introdotto in Europa dagli arabi, portato nelle Americhe da Colombo, e coltivato da schiavi africani. Il rum distillato dai suoi residui veniva consumato sia dai coloni europei, sia dai loro schiavi nel Nuovo Mondo. Era una bevanda che doveva la sua esistenza alle imprese dei bucanieri nell’Era delle esplorazioni; ma non sarebbe esistito senza la crudeltà della tratta degli schiavi, che gli europei deliberatamente finsero di non vedere molto a lungo. Il rum era la manifestazione liquida del trionfo e dell’oppressione della prima epoca della globalizzazione.
Tom Standage (A History of the World in 6 Glasses)