La Pace Nel Mondo Quotes

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In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, una certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace nel mondo, chiedevo la mia.
Cesare Pavese (La casa in collina)
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo".
H.P. Lovecraft (The Call of Cthulhu)
Chiudendo la porta sul mondo reale, potremo vivere in pace nel nostro. Sappiamo che un mondo senza dolore è un mondo senza sentimento... ma un mondo senza sentimento è un mondo senza dolore.
Daniel Keyes (The Minds of Billy Milligan)
«Mi dispiace che il mondo non ti lasci in pace» disse. «È così crudele che tutti pensino di avere il diritto di analizzarti. Si dimenticano che sei un essere umano perché sei una star della televisione.» «Ci ho fatto l’abitudine» rispose Cash. «Perdi il diritto a una vita umana quando diventi famoso. È così che vanno le cose, ma non me ne lamento. La gente faceva lo stesso con la monarchia nel passato: va tutto bene fino al giorno della rivoluzione, allora reclamano la tua testa. Questa settimana tocca a me essere Maria Antonietta, settimana prossima toccherà a qualcun altro.»
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
Le passioni umane sono una cosa molto misteriosa. [...] Coloro che ne vengono colpiti non le sanno spiegare, e coloro che non hanno mai provato qualcosa di simile non le possono comprendere. Ci sono persone che mettono in gioco la loro esistenza per raggiungere la vetta di una montagna. A nessuno, neppure a se stessi, potrebbero spiegare perché lo fanno. Altri si rovinano per conquistare il cuore di una persona che non ne vuole sapere di loro. E altri ancora vanno in rovina perché non sanno resistere ai piaceri della gola, o a quelli della bottiglia. Alcuni buttano tutti i loro beni nel gioco, oppure sacrificano ogni cosa per un'idea fissa, che mai potrà diventare realtà. Alcuni credono di poter essere felici solo in un luogo diverso da quello in cui si trovano e così passano la vita girando il mondo. E altri ancora non trovano pace fino a quando non hanno ottenuto il potere. Insomma ci sono tante e diverse passioni, quante e diverse sono le persone.
Michael Ende (The Neverending Story)
Le passioni umane sono una cosa molto misteriosa e per i bambini le cose non stanno diversamente che per i grandi. Coloro che ne vengono colpiti non le sanno spiegare, e coloro che non hanno mai provato nulla di simile non le possono comprendere. Ci sono persone che mettono in gioco la loro esistenza per raggiungere la vetta di una montagna. A nessuno, neppure a se stessi, potrebbero realmente spiegare perché lo fanno. Altri si rovinano per conquistare il cuore di una persona che non ne vuole sapere di loro. E altri ancora vanno in rovina perché non sanno resistere ai piaceri della gola, o a quelli della bottiglia. Alcuni buttano tutti i loro beni nel gioco, oppure sacrificano ogni cosa per un’idea fissa, che mai potrà diventare realtà. Altri credono di poter essere felici soltanto in un luogo diverso da quello dove si trovano e così passano la vita girando il mondo. E altri ancora non trovano pace fino a quando non hanno ottenuto il potere. Insomma, ci sono tante e diverse passioni, quante e diverse sono le persone. Per Bastiano Baldassare Bucci la passione erano i libri.
Michael Ende
Mille anni addietro il poeta Han Yun scrisse: «Tutto ciò che non ha pace griderà forte». Paragonò il bisogno umano di esprimere i sentimenti con la scrittura alla forza naturale che spinge le piante a stormire nel vento, o il metallo a risuonare quando viene percosso. Formulata quella considerazione, seppi cosa fare. Ci lavoravo da anni. Privata del mondo esterno, avevo passato la vita a guardarmi dentro e le mie emozioni erano finemente accordate.
Lisa See (Peony in Love)
C'è abbastanza perfidia, odio, violenza, assurdità nell'essere umano medio per rifornire qualsiasi esercito in qualsiasi giorno E i migliori assassini sono quelli che predicano la vita E i migliori a odiare sono quelli che predicano l'amore E i migliori in guerra - in definitiva - sono quelli che predicano la pace Quelli che predicano Dio hanno bisogno di Dio Quelli che predicano la pace non hanno pace Quelli che predicano amore non hanno amore Attenti ai predicatori Attenti ai sapienti Attenti a quelli che leggono sempre libri Attenti a quelli che o detestano la povertà o ne sono orgogliosi Attenti a quelli che sono sempre pronti ad elogiare poiché hanno loro bisogno di elogi in cambio Attenti a quelli pronti a censurare: hanno paura di quello che non sanno Attenti a quelli che cercano continuamente la folla: da soli non sono nessuno Attenti agli uomini comuni alle donne comuni Attenti al loro amore Il loro è un amore comune che mira alla mediocrità Ma c'è il genio nel loro odio C'è abbastanza genio nel loro odio per ucciderti Per uccidere chiunque Non volendo la solitudine Non concependo la solitudine Cercheranno di distruggere tutto ciò che si differenzia da loro stessi Non essendo capaci di creare arte non capiranno l'arte Come creatori, considereranno il loro fallimento solo come un fallimento del mondo intero Non essendo in grado di amare pienamente considereranno il tuo amore incompleto E poi odieranno te E il loro odio sarà perfetto Come un diamante splendente Come un coltello Come una montagna Come una tigre Come cicuta La loro arte più raffinata
Charles Bukowski
Le passioni umane sono una cosa molto misteriosa e per i bambini le cose non stanno diversamente che per i grandi. Coloro che ne vengono colpiti non le sanno spiegare, e coloro che non hanno mai provato nulla di simile non le possono comprendere. Ci sono persone che mettono in gioco la loro esistenza per raggiungere la vetta di una montagna. A nessuno, neppure a se stessi, potrebbero realmente spiegare perché lo fanno. Altri si rovinano per conquistare il cuore di una persona che non ne vuole sapere di loro. E altri ancora vanno in rovina perché non sanno resistere ai piaceri della gola, o a quelli della bottiglia. Alcuni buttano tutti i loro beni nel gioco, oppure sacrificano ogni cosa per un'idea fissa, che mai potrà diventare realtà. Altri credono di poter essere felici soltanto in un luogo diverso da quello dove si trovano e così passano la vita girando il mondo. E altri ancora non trovano pace fino a quando non hanno ottenuto il potere. Insomma, ci sono tante e diverse passioni, quante e diverse sono le persone. Per Bastiano Baldassarre Bucci la passione erano i libri. Chi non ha mai passato interi pomeriggi con le orecchie in fiamme e i capelli ritti in testa chino su un libro, dimenticando tutto il resto del mondo intorno a sé, senza più accorgersi di aver fame o freddo; chi non ha mai letto sotto le coperte, al debole bagliore di una minuscola lampadina tascabile, perché altrimenti il papà o la mamma o qualche altra persona si sarebbero preoccupati di spegnere il lume per la buona ragione ch'era ora di dormire, dal momento che l'indomani mattina bisognava alzarsi presto; chi non ha mai versato, apertamente o in segreto, amare lacrime perché una storia meravigliosa era finita ed era venuto il momento di dire addio a tanti personaggi con i quali si erano vissute tante straordinarie avventure, a creature che si era imparato ad amare e ammirare, per le quali si era temuto e sperato e senza le quali d'improvviso la vita pareva così vuota e priva di interesse; chi non conosce questo per sua personale esperienza, costui molto probabilmente non potrà comprendere ciò che fece allora Bastiano. Fissava il titolo del libro e si sentiva percorrere da vampate di caldo e di freddo. Questo, ecco, proprio questo era ciò che lui aveva sognato tanto spesso e che sempre aveva desiderato da quando era caduto in preda alla sua passione: una storia che non dovesse mai aver fine. Il libro di tutti i libri.
Michael Ende (The Neverending Story)
Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quello che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Così per noi anche l'ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso del pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell'offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. E' stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti; e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.
Primo Levi
[I libri] Ora questi, ora quelli io interrogo, ed essi mi rispondono, e per me cantano e parlano; e chi mi svela i segreti della natura, chi mi dà ottimi consigli per la vita e per la morte, chi narra le sue e le altrui chiare imprese, richiamandomi alla mente le antiche età. E v'è chi con festose parole allontana da me la tristezza e scherzando riconduce il riso sulle mie labbra; altri m'insegnano a sopportar tutto, a non desiderar nulla, a conoscer me stesso, maestri di pace, di guerra, d'agricoltura, d'eloquenza, di navigazione; essi mi sollevano quando sono abbattuto dalla sventura, mi frenano quando insuperbisco nella felicità, e mi ricordano che tutto ha un fine, che i giorni corron veloci e che la vita fugge. E di tanti doni, piccolo è il premio che mi chiedono: di aver libero accesso alla mia casa e di viver con me, dacché la nemica fortuna ha lasciato loro nel mondo rari rifugi e pochi e pavidi amici
Francesco Petrarca
Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi – e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento. Una meta, una sola, si proponeva Siddhartha: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a se stesso, non essere più «Io», trovare la pace con il cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta. Quando ogni residuo dell’Io fosse superato ed estinto, quando ogni brama e ogni impulso tacesse nel cuore, si sarebbe destata allora l’ultima essenza, lo strato più profondo dell’essere, quello che non è più Io: il grande mistero.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Quando eravamo vivi ci dicevano che, una volta morti, saremmo andati in cielo. E dicevano che questo cielo era un luogo di gaudio e gloria celeste, dove saremmo rimasti in eterno in compagnia di santi e angeli che lodano l'Onnipotente, in stato di beatitudine. Questo dicevano. Ed è questo che ha indotto alcuni di noi a dare la vita, e altri a passare anni in preghiera solitaria, mentre tutte le gioie dell'esistenza si sprecavano attorno a noi senza che noi le conoscessimo. Ma la terra della morte non è un luogo di premio o un luogo di castigo. E' il luogo del nulla. Accoglie tanto i buoni quanto i malvagi, e tutti languiamo per sempre in questa penombra, senza speranza di libertà, o di gioia, o di sonno, o di riposo, o di pace. Ma ora questa ragazzina è venuta a offrirci una via d'uscita, e io la seguirò. Anche se ciò significasse l'oblio, amici, lo accoglierò a braccia aperte, perchè non sarà comunque il nulla; saremo di nuovo vivi in migliaia di steli d'erba, in milioni di foglie, cadremo con le gocce di pioggia e spireremo nella fresca brezza, scintilleremo nella rugiada sotto le stelle e la luna fuori di qui, nel mondo fisico che è la nostra casa come sempre fu.
Philip Pullman (The Amber Spyglass (His Dark Materials, #3))
«Maledizione!» esclamò Henry. Ci trovavamo nel corridoio dall’altra parte della porta, senza esserci portati dietro neppure una goccia dell’acqua del sogno di Mrs Honeycutt. Un singolare rimpianto si diffuse dentro di me quando Henry chiuse con forza la porta alle nostre spalle. Là dentro regnava una gran pace. Qua fuori, al contrario... Henry mi diede la mano e mi aiutò a rialzarmi in piedi. «Tutto a posto?» Era più pallido del solito. «Sembrava che dovessi... che dovessi dissolverti.» «Sì, credo che fosse proprio così.» Ero ancora occupata a riprendere fiato e mi sorprendeva non dover neppure tossire. «Forse morire non è così brutto. Forse si nuota davvero semplicemente in un altro mondo, dove tutto è pacifico, luminoso e buono.» Henry mi prese per le spalle. «Non dirlo con tanta nostalgia, Liv. Mi fai paura.» Mi strinse al petto. «Ho tanto bisogno di te» mormorò tra i miei capelli. Sentii un improvviso groppo in gola, che mi impedì di rispondere. In ogni caso non sarebbe stato niente di originale, ma un banalissimo: «anch’io». Gli gettai le braccia al collo e lo baciai. Anche questa era una specie di risposta, e forse nemmeno la peggiore. Henry di sicuro sospirò piano e mi strinse più forte.
Kerstin Gier (Das dritte Buch der Träume (Silber, #3))
Intanto il compito di tutti coloro che considerano le arti con serietà è semplicemente quello di fare del loro meglio per salvare il mondo da quella che nel migliore dei casi sarà una perdita, risultante dall'ignoranza e dalla sconsideratezza: impedire il più scoraggiante fra tutti i mutamenti, quello che a una brutalità estinta ne sostituisce un'altra; anzi, anche se coloro che hanno veramente a cuore le arti sono così deboli e pochi da non poter fare nient'altro, il loro ufficio può esser quello di mantenere viva una traccia di tradizione, di memoria del passato, in modo tale che quando la nuova vita giungerà possa non disperdersi più di tanto nel conferire forme del tutto nuove al proprio spirito. Dove si volgeranno allora per chiedere aiuto, coloro che ben comprendono quale vantaggio una grande arte possa apportare al mondo, e quali danni alla pace e al quieto vivere derivino da una sua assenza? Penso che essi dovranno cominciare col riconoscere che l'arte antica – l'arte dell'intelligenza inconscia, come la si dovrebbe chiamare, che cominciò in una data imprecisata, remota almeno quanto lo sono quegli strani e magistrali graffiti sulle ossa di mammut e oggetti di tal genere ritrovati or è poco nelle stratificazioni del terreno – che quest'arte dell'intelligenza inconscia è definitivamente scomparsa.
William Morris (Opere)
[Canzone I] Donne ch’avete intelletto d’amore, i’ vo’ con voi de la mia donna dire, non perch’io creda sua laude finire, ma ragionar per isfogar la mente. Io dico che pensando il suo valore, Amor sì dolce mi si fa sentire, che s’io allora non perdessi ardire, farei parlando innamorar la gente. E io non vo’ parlar sì altamente, ch’io divenisse per temenza vile; ma tratterò del suo stato gentile a respetto di lei leggeramente, donne e donzelle amorose, con vui, ché non è cosa da parlarne altrui. Angelo clama in divino intelletto e dice: "Sire, nel mondo si vede maraviglia ne l’atto che procede d’un’anima che ’nfin qua su risplende". Lo cielo, che non have altro difetto che d’aver lei, al suo segnor la chiede, e ciascun santo ne grida merzede. Sola Pietà nostra parte difende, che parla Dio, che di madonna intende: "Diletti miei, or sofferite in pace che vostra spene sia quanto me piace là ’v’è alcun che perder lei s’attende, e che dirà ne lo inferno: O mal nati, io vidi la speranza de’ beati". Madonna è disiata in sommo cielo: or voi di sua virtù farvi savere. Dico, qual vuol gentil donna parere vada con lei, che quando va per via, gitta nei cor villani Amore un gelo, per che onne lor pensero agghiaccia e pere; e qual soffrisse di starla a vedere diverria nobil cosa, o si morria. E quando trova alcun che degno sia di veder lei, quei prova sua vertute, ché li avvien, ciò che li dona, in salute, e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia. Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato che non pò mal finir chi l’ha parlato. Dice di lei Amor: "Cosa mortale come esser pò sì adorna e sì pura?" Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ne ’ntenda di far cosa nova. Color di perle ha quasi, in forma quale convene a donna aver, non for misura: ella è quanto de ben pò far natura; per essemplo di lei bieltà si prova. De li occhi suoi, come ch’ella li mova, escono spirti d’amore inflammati, che feron li occhi a qual che allor la guati, e passan sì che ’l cor ciascun retrova: voi le vedete Amor pinto nel viso, là ’ve non pote alcun mirarla fiso. Canzone, io so che tu girai parlando a donne assai, quand’io t’avrò avanzata. Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata per figliuola d’Amor giovane e piana, che là ’ve giugni tu diche pregando: "Insegnatemi gir, ch’io son mandata a quella di cui laude so’ adornata". E se non vuoli andar sì come vana, non restare ove sia gente villana: ingegnati, se puoi, d’esser palese solo con donne o con omo cortese, che ti merrano là per via tostana. Tu troverai Amor con esso lei; raccomandami a lui come tu dei.
Dante Alighieri
Passò per vie rumorose piene di luce, per gallerie dalla risonanza profonda, su cui, con rumore di tuono, rotolavano pesantemente i treni e che eran tutte tappezzate di annunzi reclamistici dai colori vistosi, vide splendidi palazzi, e case a quattro piani, strette, con finestre polverose che ammiccavan sulla via sporca; risalì file di strade che si somigliavano come orfanelle o ciechi, condotti in fila. Infine si svegliò lentamente alla realtà, e si sentì vecchia, triste e stanca, per aver vegliato e corso. Miserabili bottegucce si schiacciavano l'un l'altra per mettersi in evidenza: abiti vecchi per i più poveri, biancheria grigia per gli operai, e per tutti viveri a buon mercato. Ceste di pere, dure e verdi, e di prugne, nere e secche, aspettavano di sedurre una clientela infantile, coperte da una rete a maglie strette che le salvava dai ladruncoli. In una botteguccia vide una donna obesa, che con le mani tremanti, secche e gialle, accendeva una lampada a petrolio. Ai suoi piedi un ragazzino la guardava con curiosità, con una carota, mezzo rosicchiata, nella sua mano di bambino sporco. Le strade, i cumuli di mercanzie, le camicie grigie, le pere, la rete, i visi stanchi delle persone, tutto era annerito dalla fuliggine grassa delle locomotive che passavano, brontolando, e dal fumo di tutti i camini degli stabilimenti che erano là, stretti gli uni vicino agli altri, come alberi di una foresta. “Ecco il tuo giorno di festa” pensava Franzi. Ella era ferita e inasprita fino al pianto, come se tutto: la strada grigia, la bruttezza della miseria, la tristezza della povertà, fossero state accumulate in quest'angolo di città straniera per disprezzarla. “Ecco il tuo giorno di festa” diceva in lei una voce chiara. E questa creatura che detestava sognare, che non comprendeva la morte, che non si attaccava che alla realtà, che non voleva conquistare e non desiderava che ciò che si può afferrare, ciò che è vibrante di vita: questa creatura si svegliava qui, nella grigia strada di un quartiere popolare di Praga, Zizkov, che nel crepuscolo confuso di una sera di primavera si prolungava a perdita d'occhio. “Ecco il tuo giorno di festa” pensava Franzi. Ella sentiva che non era solo questo giorno che la condannava, ma la troppo lunga fila di giorni di lavoro, fra cui essa aveva il suo posto: ancora grigio su grigio, come un orfanello in una lunga fila, come un seguito di ore vuote in un mondo vuoto. Vuoto? Non stava più la sua vita sulle ali della musica, la più umana di tutte le arti? Perchè dunque il suo passato restava così freddo, così paurosamente squallido, senza un sorriso, senza un ricordo, senza altro che tante pagine voltate, in un gran quaderno di musica? Aveva sempre suonato per se stessa e per la propria soddisfazione. A finestre e porte chiuse si era ubriacata di musica come di un vizio segreto. Che significato aveva per lei? Tanto? Ancora ieri ella vi aveva trovato consolazione, speranza, entusiasmo e pace, terra e cielo, letizia e dolore. Oggi tutto era lontano. Nessuno mai l'aveva ascoltata; mai nessuna delle sue parole si era riflessa nel sorriso di un'altra creatura; mai nessuno era stato dietro a lei e le aveva passato la mano sulla spalla all'ultimo accordo del pianoforte...
Ernst Weiss (Franziska (Pushkin Collection))
Angel Jacobs camminava avanti e indietro, e ogni volta che si girava l’ampia camicia bianca gli ondeggiava intorno. Corey avrebbe riconosciuto quei toni delicati ovunque, la voce che si adattava perfettamente al biondino sexy che, nel giro di pochi giorni, era diventato parte del suo mondo. Ne ricordava perfino il nome: Angel. In un certo senso era appropriato, visto che vestiva sempre di bianco e sembrava perennemente in pace con se stesso. La concentrazione nei suoi occhi scuri non mancava mai di fare effetto su Corey. Angel era una presenza tranquillizzante nella stanza, e non aveva neanche bisogno di dire una parola.
R.J. Scott (Boy Banned)
Taron gli strinse una mano, e restò a fissarlo per qualche secondo, ma poi si avvicinò per un bacio, e gli strinse il volto tra le mani. Imparava in fretta, perché, dal loro primo bacio, il primo in assoluto per Taron, le sue labbra erano diventate una droga per Colin. Avevano pomiciato ogni giorno. Taron riversò tutta la sua passione in quel bacio, ma prolungò la sua agonia. Colin si allontanò, respirando a fatica non appena tornò a sedersi. Il buio della sera regalava una luce sufficiente affinché si vedessero, e si sentì in imbarazzo al pensiero che Taron potesse vederlo con il viso contorto dal dolore. Ancora una volta, Colin non si fidò della propria voce, così usò il linguaggio dei segni per dire: “Ti amo.” “Credevo che mi odiassi,” rispose Taron senza sorridere. Non batté ciglio, come se non volesse perdersi nemmeno un secondo della presenza di Colin. Colin cercò di spiegarsi, anche se con difficoltà, ma alla fine disse: “Sono uno stupido. Ero arrabbiato. Mi dispiace di averti ferito.” “Capisco che la tua vita sia là fuori, ma se qualche volta ti andasse di farmi visita…» Colin si sporse e gli afferrò le mani. Aveva un disperato bisogno che capisse. «No. Mi sento veramente me stesso solo quando sono con te. Se mi vuoi ancora… ti prego, portami a casa,» sussurrò. Taron sorrise e avvicinò le mani di Colin per baciarle. Dovette lasciarlo per comunicare, ma impiegò secoli prima di rispondere. “Non sei un peso. Ti amo. Quando sto con te, non mi preoccupo solamente della fine del mondo. Adesso sento il bisogno di vivere il futuro.” Colin annuì e gli allacciò le braccia attorno al collo, conficcandosi il freno a mano nel fianco. Si sentì in pace con se stesso non appena Taron lo strinse, e strofinò il viso contro la sua guancia, desiderando marchiarlo con il suo odore, anche se non c’era nessuno che avesse intenzione di portargli via il suo uomo. Forse quel cazzo di audio libro non si era sbagliato. Forse il cambiamento era un bene, anche se era difficile.
K.A. Merikan (Wrong Way Home)
Montalbano, di scatto, si susì e cangiò canale, più che arraggiato, avvilito da quella presuntuosa stupidità. Si illudevano di fermare una migrazione epocale con provvedimenti di polizia e con decreti legge. E s’arricordò che una volta aveva veduto, in un paese toscano, i cardini del portone di una chiesa distorti da una pressione accussì potente che li aveva fatti girare nel senso opposto a quello per cui erano stati fabbricati. Aveva domandato spiegazioni a uno del posto. E quello gli aveva contato che, al tempo della guerra, i nazisti avevano inserrato gli omini del paese dintra alla chiesa, avevano chiuso il portone, e avevano cominciato a gettare bombe a mano dall’alto. Allora le pirsone, per la disperazione, avevano forzato la porta a raprirsi in senso contrario e molti erano arrinisciuti a scappare. Ecco: quella gente che arrivava da tutte le parti più povere e devastate del mondo aveva in sè tanta forza, tanta disperazione da far girare i cardini della storia in senso contrario. Con buona pace di Cozzi, Pini, Falpalà e soci.
Andrea Camilleri (Rounding the Mark (Inspector Montalbano, #7))
Anche se toccando il tema dell’Inquisizione, dell’ortodossia che difendeva e della politica cui obbediva, del suo universo giuridico, dei mezzi e delle persone di cui si serviva, immediatamente si e portati a una traduzione visiva in cui prevalentemente gioca la memoria dei quadri del Greco o di Zurbaran, a guardar bene è la pittura di Murillo che, al di là dell’atmosfera da idillio, può meglio spiegare le manifestazioni eterodosse di un vastissimo arco temporale e la conseguente reazione del Sant’Uffizio. E può, soprattutto, spiegarcele a livello di eterodossia spicciola, triviale o soltanto blasfema. Perchè sarà magari possibile cogliere nella pittura di Murillo influssi dottrinali dell’Inquisizione o dei gesuiti, ma quel che appare più evidente è che siamo di fronte a un pittore che interpreta il sentire religioso del popolo nel modo più autentico e semplice, con una familiarità alle cose della fede da cui è facile travalicare in una eresia di tipo quietista o in un culto talmente umano da diventare blasfemo o che in vera e propria bestemmia si rovescia. I santini che da secoli moltiplicano e diffondono le immagini del Murillo come di nessun altro pittore, sono in questo senso una prova. Il mondo sacro che egli rappresenta — cosi sospeso tra il terrestre e il celeste, tra la natura e la transumana beatitudine — è un mondo familiarizzabile, familiarizzante; e quindi, nel momento in cui delude, nel momento in cui appare estraneo, in cui non interviene a stornare sventure e a correggere la sorte, bestemmiabile. Bisogna anche aggiungere che la santità, nelle rappresentazioni di questo pittore, sembra essere un attributo della buona salute, del buon nutrimento, della domestica pace economica: e da ciò l’insinuarsi, nei momenti più affannati e affamati del mondo contadino, di un sentimento che può assomigliarsi all’invidia e comunque di insofferenza, di avversione.
Leonardo Sciascia (Ore di Spagna)
Quanto si volevano bene, quei tre, quanto avevano sofferto l’uno per l’altro, ma quanta gioia traevano dal semplice fatto di essere tutti insieme nella stessa stanza. Magnus aveva già amato prima di allora, e molte volte anche, ma non ricordava di aver mai provato la pace che irradiavano quei tre soltanto per essersi riuniti. A volte aveva desiderato quella pace in maniera disperata, come un uomo che vagava da secoli nel deserto senza mai vedere l’acqua e costretto a vivere con il perenne desiderio di berla. Tessa, Will e il loro Jem perduto erano in piedi, stretti in un nodo. Magnus era consapevole che, per qualche istante, al mondo esistevano soltanto loro.
Cassandra Clare (The Midnight Heir (The Bane Chronicles, #4))
Non ha senso proibire al fuoco di ingoiare ciò che l’umana indifferenza ha già ingoiato. Lo splendore di Parigi o di Londra non è che un alibi per i criminali grazie ai quali Varsavia, Dresda, Vukovar e Sarajevo non esistono più. O se esistono, ci vive della gente che nella più grande epoca di pace si predispone all’evacuazione, già pronta a dire addio ai propri libri. A questo mondo, per come esso è fatto, c’è una regola di base — la stessa che enunciò Zuko Džumhbur pensando alla Bosnia —, e si riduce a una valigia sempre pronta. Lì dentro devono starci tutte le tue cose e i tuoi ricordi. Quel che resta fuori è già perduto. Inutile andare in cerca delle ragioni, del senso, di una giustificazione. Appesantisce, come i ricordi. Non resta che restituire diligentemente i libri presi a prestito, quelli avuti in dono li eviti o li perdi, quelli scritti li invii agli amici che vivono lontani gli uni dagli altri, così che il fuoco possa divorarli il giorno in cui la terra sarà tornata nel punto esatto in cui era qualche milione di anni fa. Impossibile schedare o ricordare le biblioteche private di Sarajevo distrutte dal fuoco. E neanche ci sarebbe qualcuno per cui farlo. Ma come la fiamma di tutte le fiamme e il fuoco di tutti i fuochi, la mitica cenere e la polvere finale sono memori della sorte del glorioso Municipio, la biblioteca universitaria di Sarajevo, del rogo di quei volumi lungo un giorno più una notte. Tutto questo accadeva dopo un sibilo e un boato, esattamente un anno fa. Forse proprio nello stesso giorno in cui tu leggi queste righe. Accarezza dolcemente i tuoi libri, straniero. E ricorda che sono polvere.
Miljenko Jergović (Sarajevo Marlboro)
Il mondo è la mia casa, l'umanità è la mia nazionalità.
Abhijit Naskar
Il mondo è la nostra famiglia, e la nostra famiglia è la nostra responsabilità.
Abhijit Naskar (Build Bridges not Walls: In the name of Americana)
C'è solo una cultura per me: la gentilezza. C'è solo una religione per me: l'amore. C'è solo una nazionalità per me: l'umanità.
Abhijit Naskar (High Voltage Habib: Gospel of Undoctrination)
L'amore è la musica dell'universo.
Abhijit Naskar (Dervish Advaitam: Gospel of Sacred Feminines and Holy Fathers)
L'opposto della guerra non è la pace. L'opposto della guerra è la generosità.
Abhijit Naskar
«La vita è troppo breve per non sfruttare tutto il potenziale dei vostri talenti», disse l’incantatore rivolgendosi a una platea di migliaia di persone. «Siete nati con l’opportunità e, nello stesso tempo, la responsabilità di diventare una leggenda. Siete stati forgiati per realizzare capolavori, progettati per conseguire obiettivi importanti e insoliti, e costruiti per essere una forza del bene su questo minuscolo pianeta. È insita in voi stessi la rivendicazione della sovranità sulla vostra originaria grandezza, in una civiltà che è divenuta quasi incivile. Dovete riaffermare la vostra nobiltà in una comunità globale dove la maggioranza acquista belle scarpe e compra oggetti costosi, ma raramente investe nel migliorare se stessa. La vostra personale leadership richiede, anzi esige che smettiate di essere dei cyber-zombie, attratti irresistibilmente dal digitale. E che ristrutturiate la vostra vita per gestire il vostro talento, essere esempio di bontà e abbandonare quell’egocentrismo che costringe la brava gente a restare limitata. Le grandi donne e i grandi uomini del mondo sono state tutte persone che hanno dato, non che hanno preso. Rinunciate all’illusione comune secondo cui a vincere sono quelli che accumulano di più. Piuttosto, fate un lavoro eroico, che sbalordisca il vostro mercato con la sua originalità e i vantaggi che procura. E, mentre lo fate, la mia raccomandazione è che vi creiate anche una vita privata forte sul piano etico, ricca di meravigliosa bellezza e inflessibile quando si tratti di tutelare la vostra pace interiore. Questo, amici miei, è librarsi con gli angeli. Camminare al fianco degli dèi.»
Robin S. Sharma (Il Club delle 5 del mattino: Inizia presto la giornata, dai una svolta alla tua vita)
Se gli orologi scomparissero dal mondo. Mi sentivo perso e senza punti di appoggio. Quanti minuti erano trascorsi da quando mi ero svegliato? In genere controllavo l'ora sulla sveglia accanto al letto, ora però mi era impossibile perchè gli orologi erano scomparsi. Cominciavo a sentirmi trascinato in un vortice senza tempo e senza età. Gli esseri umani dormono, si svegliano, lavorano e mangiano in base a una tabella oraria stabilita da loro stessi. Conducono un'esistenza impostata sugli orologi. In altre parole, prima hanno inventato il sistema dei giorni, dei mesi e degli anni, ovvero del tempo in generale, per imporsi dei limiti, poi hanno inventato gli strumenti per misurare quegli stessi limiti. La libertà comporta ansia e insicurezza. Gli esseri umani avevano ceduto la libertà totale in cambio dalla certezza data dalle regole e dalle abitudini. Tutti i momenti che avevo vissuto più o meno in maniera inconsapevole cominciavano ora ad acquisire importanza. Quante altre mattine mi sarei alzato insieme a Cavolo? Nel tempo che mi rimaneva, quante altre volte avrei ascoltato la mia canzone preferita? Quante altre volte avrei bevuto il caffè? Mentre ci pensavo, ho udito il ticchettio delle lancette di un orologio. Al colmo dello stupore, mi sono voltato di scatto verso il letto, ma ovviamente la sveglia non era al suo posto. Però avvertivo la presenza di qualcosa alle mie spalle, qualcosa che mi dava sostegno. Ho cominciato a udire milioni e milioni di ticchettii, che nel breve intervallo di un istante si sono trasformati nel battito dei cuori di tutte le persone che vivevano in questo mondo. La torre dell'orologio illuminata dai primi raggi di sole. Fidanzati che si danno appuntamento ai piedi della torre. Salto sul tram che è arrivato in ritardo. Arrivo davanti a un piccolo negozio di orologi. Odo il ticchettio Scandiscono il tempo. E' un suono familiare, lo conosco da quando ero piccolo. Regola la mia vita e la rende libera. Il mio cuore comincia a trovare la pace. E, poco alla volta, il suono si allontana fino a scomparire.
Genki Kawamura (If Cats Disappeared from the World)
È questo il mio lavoro: andare in guerra, fingere che sia qualcosa di diverso è una bugia. Il nostro mestiere è cominciare e porre fine a dei conflitti. Pace significa che siamo disoccupati. Ma sa una cosa? La pace è solo un’idea. Non ci sarà mai la pace sulla terra, almeno non nel senso ingenuo di armonia universale che si figura la gente. Ci possono essere dei cessate il fuoco e dei trattati, ma la vera pace non la conosceremo mai. Questa è la triste verità del mondo.
June Gray (Disarm (DISARM, #1))
PREGHIERA PER LA NOSTRA TERRA Dio onnipotente, che sei presente in tutto l'universo e nella più piccola delle tue creature, Tu che circondi con la tua tenerezza tutto quanto esiste, riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza. Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle senza nuocere a nessuno. O Dio dei poveri, aiutaci a riscattare gli abbandonati e i dimenticati di questa terra che tanto valgono ai tuoi occhi. Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione. Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi a spese dei poveri e della terra. Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa, a contemplare con stupore, a riconoscere che siamo profondamente uniti con tutte le creature nel nostro cammino verso la tua luce infinita. Grazie perché sei con noi tutti i giorni. Sostienici, per favore, nella nostra lotta per la giustizia, l'amore e la pace.
Pope Francis (Laudato Si': On the Care of Our Common Home)
Satyarthi, l’ex ingegnere che libera i bambini schiavi L’indiano da 30 anni in prima linea contro il lavoro minorile: lavorerò con Malala Kailash Satyarthi, 60 anni, è il primo indiano a vincere il premio Nobel per la Pace Maria Grazia Coggiola | 693 parole Fino a ieri mattina, Kailash Satyarthi, era un volto pressoché sconosciuto in India, uno dei tantissimi volontari seguaci del Mahatma Gandhi che in silenzio e con ostinazione si prendono a cuore le cause che in un Paese di un miliardo e 200 milioni di persone sembrano perse in partenza. Poi la notizia del Premio Nobel per la Pace, condiviso con la pachistana Malala, ha improvvisamente catapultato questo schivo ex ingegnere di 60 anni alla ribalta mondiale e con lui anche la sua organizzazione, Bachpan Bachao Andolan (Movimento per salvare i bambini), che da tre decenni si batte contro lo sfruttamento del lavoro minorile. «D’ora in poi le voci di milioni di bambini non potranno più essere ignorate» ha detto ai primi giornalisti che si sono precipitati nel suo ufficio a Kalkaji, un caotico quartiere di New Delhi vicino a uno dei più vecchi templi induisti della metropoli. Nato nello stato del Madhya Pradesh, nel centro dell’India, ha lasciato a 26 anni una promettente carriera dopo una laurea in ingegneria per dedicarsi a tempo pieno ai diritti dell’infanzia: «È sempre stata la mia passione e a questo ho dedicato la mia vita». L’impegno di Satyarthi iniziò con incursioni in fabbriche e laboratori dove intere famiglie erano costrette a lavorare per rimborsare un prestito che avevano contratto. Incapaci di rimborsare la somma ricevuta, spesso venivano vendute e rivendute, bambini compresi. La sua associazione è nata nel 1980, conta oltre 700 organizzazioni non governative affiliate e finora ha «liberato» oltre 80 mila baby schiavi in centinaia di laboratori e fabbriche. Sembrano tanti, ma è in realtà una goccia in India dove sono svariati milioni i bambini sotto i 14 anni impiegati in diverse attività, come la produzione di «bidi», le piccole sigarette fatte a mano, lavori edili, ricami e soprattutto come domestici low-cost per la ricca borghesia delle metropoli. Appesi muri del suo ufficio ci sono i manifesti delle sue crociate. La più famosa è stata quella della «Global March» nel 1998 quando portò a Ginevra mille bambini lavoratori di tutto il mondo. È stato un punto di svolta, oltre che un successo internazionale, perché l’anno successivo le Nazioni Unite hanno approvato una convenzione contro le forme estreme di impiego minorile e da allora l’esercito dei baby schiavi si è costantemente ridotto. Un’altra battaglia è stata quella ottenere dalle multinazionali l’impegno a garantire che i loro prodotti, come i tappeti, non siano fabbricati con manodopera minorile dei Paesi poveri. Durante i Mondiali di calcio del 2006 in Germania, Satyarthi organizzò una campagna per denunciare l’uso dei bimbi di 6 anni nella cucitura di palloni e nel 2011 pubblicò uno studio in cui si rivelava che in India scompaiono 11 bambini ogni ora, vittime del traffico di esseri umani. Vestito con il tradizionale completo di casacca e pantaloni «khadi» (filati e tessuti a mano come faceva il Mahatma) e fradicio di sudore per il condizionatore rotto, Satyarthi ha ricordato anche i legami con l’Italia. «Ho lavorato tanto con Mani Tese - ha detto - e conosco molti italiani». Tra un’intervista e l’altra, in serata, ha poi sentito per telefono Malala da Birmingham. «La conosco - ha spiegato - perché ci eravamo visti l’ultima volta in Olanda durante una cerimonia. La inviterò a lavorare con me». Curiosamente, il prestigioso riconoscimento non fui mai assegnato all’apostolo della non violenza. «Sono nato dopo la morte del Mahatma Gandhi - ha ricordato l’attivista - e se il premio fosse stato assegnato a lui sarei stato più contento. Ma anche ora lo sono perché appartiene a tutti i bambini di questo Paese». Malala, festa tra i banchi d
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Miliardi e Mondiali La macchina da soldi che non conosce soste L’ultimo caso per la federazione la scelta di Russia e Qatar Giulia Zonca | 824 parole Trovare l’uomo chiave dell’operazione Fifapulita è praticamente impossibile. Troppi soldi, troppe mazzette vere o presunte e troppi giri d’affari concentrici che prima di chiamare denaro ne producono in abbondanza. La Fifa si basa su un sistema fatto di soldi, tanti dichiarati, incalcolabili quelli in nero, non tutti e non sempre sono spesi male, anzi, ma il circolo infinito di dollari che non conosce crisi crea un vortice in stile deposito di Zio Paperone dove avidità chiama altra avidità. E non c’è pace. Cambiare tutto La Fifa si ritrova nelle stesse condizioni in cui stava il Comitato olimpico prima degli scandali del 2002 e ora se vuole reggere dovrà fare la stessa mossa. La rivoluzione. Nuovi nomi e altre regole ma al momento il sistema Fifa si basa proprio sull’immutabilità, sul circolo chiuso, su un potere che resta sempre nelle stesse mani, garantisce a tutti grandi introiti e visto dall’interno funziona benissimo. Ogni uomo preso con le mani nella marmellata sa che verrà abbandonato, però sa anche che fino a lì vivrà alla grande. La perdita di credibilità non è mai sembrata un problema al governo di pallone. Ogni voce considerata frottola, ogni frode un male inevitabile ed arginabile. Il pantano perpetuo. L’inchiesta dell’Fbi parte dal 1991 e traccia una scia di bigliettoni che rimbalzano dai conti alle Cayman, girano sulle banche di Hong Kong e tornano in Svizzera. Fondi alleggeriti e pronti ad altro uso. Il mondo del pallone ha dichiarato 4,826 miliardi di dollari di incasso dall’ultimo quadriennio mondiale. Già: la parola magica che attira sponsor, apre porte, unge canali ed evidentemente fa dimenticare ogni decenza. Non è solo la manifestazione più vista al mondo a solleticare scambi illeciti, dentro il calderone della frode denunciato dall’accusa americana ci sono Confederations Cup, tornei minori, pacchetti di diritti tv e persino la Coppa America del 2016 che si gioca proprio negli Stati Uniti. Al Bureau non hanno indagato a caso. La doppia assegnazione Lo scandalo più evidente e cristallino resta l’assegnazione dei Mondiali 2018-2022, doppio pacco per essere sicuri di mescolare abbastanza le carte e sovrapporre gli illeciti. La confusione e la molteplicità degli interessi in ballo è sempre lo sfondo in cui si muove la Fifa. L’edizione 2018 è andata alla Russia e quella del 2022 al Qatar, voto segreto deciso da 22 persone: dovevano essere 24 ma due erano già tagliati fuori da un’inchiesta di corruzione. Tanto per capire. E qui siamo agli atti non alle speculazioni. Sempre fatti concreti escono dal rapporto Garcia, una memoria investigativa seguita alle proteste per quei Mondiali assegnati in modo così strano. I conti non tornavano a nessuno il che significa che hanno provato a farli tutti e che il famoso voto di scambio, di cui ci si preoccupava all’inizio del dicembre 2010, era davvero in atto. Doveva esserci un asse Inghilterra-Australia, uno Spagna-Portogallo-Qatar: tu muovi consensi per il 2018, io per il 2022 e siamo tutti contenti. Era già molto al limite però almeno non ancora fraudolento. Peccato che il giochino sia scoppiato perché sono intervenuti fattori esterni. Le bustarelle. L’indagine censurata L’indifferente Blatter ha tentato di mostrarsi magnanimo. Ha varato una commissione etica, ci ha messo dentro Michael Garcia, ex procuratore federale americano, e qui parte il labirinto. Garcia ha redatto un rapporto, mai reso noto ufficialmente, la Fifa ne ha prodotto una sintesi e ha concluso che non c’era stata manipolazione nel voto. Garcia ha rigettato la tesi e ha dato le dimissioni. Vi gira la testa? Chiaro, i nonsense si rincorrono e la trasparenza è impossibile perché la Fifa è uno statuto autonomo, risponde solo a se stessa. Non ha pubblicato gli esiti dell’indagine e la normale conseg
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Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di essere qui. E dirvi com'è bello pensare strutture di luce, e gettarle come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra – se vengono a occupare i linguaggi, il respiro, la dignità delle persone. A dirvi come sia buona la Terra, e il primo dei valori, e da difendere in ogni momento. Nei suoi paesi, anche nei suoi boschi, nelle sorgenti, nelle campagne, dovunque siano occhi – anche occhi di uccello o domestico o selvatico animale. Dovunque siano occhi che vi guardano con pace o paura, là vi è qualcosa di celeste, e bisogna onorarlo e difenderlo. So questo. Che la Terra è un corpo celeste, che la vita che vi si espande da tempi immemorabili è prima dell’uomo, prima ancora della cultura, e chiede di continuare a essere, e a essere amata, come l’uomo chiede di continuare a essere, e a essere accettato, anche se non immediatamente capito e soprattutto non utile. Tutto è uomo. Io sono dalla parte di quanti credono nell'assoluta santità di un albero e di una bestia, nel diritto dell’albero, della bestia, di vivere serenamente, rispettati, tutto il loro tempo. Sono dalla parte della voce increata che si libera in ogni essere – al di là di tutte le barriere – e sono per il rispetto e l’amore che si deve loro. C’è un mondo vecchio, fondato sullo sfruttamento della natura madre, sul disordine della natura umana, sulla certezza che di sacro non vi sia nulla. Io rispondo che tutto è divino e intoccabile: e più sacri di ogni cosa sono le sorgenti, le nubi, i boschi e i loro piccoli abitanti. E l’uomo non può trasformare questo splendore in scatolame e merce, ma deve vivere e essere felice con altri sistemi, d’intelligenza e di pace, accanto a queste forze celesti. Che queste sono le guerre perdute per pura cupidigia: i paesi senza più boschi e torrenti, e le città senza più bambini amati e vecchi sereni, e donne al disopra dell’utile. Io auspico un mondo innocente. So che è impossibile, perché una volta, in tempi senza tempo e fuori dalla nostra possibilità di storicizzare e ricordare, l’anima dell’uomo perse una guerra. Qui mi aiuta Milton, e tutto ciò che ho appreso dalla letteratura della visione e della severità. Vivere non significa consumare, e il corpo umano non è un luogo di privilegi. Tutto è corpo, e ogni corpo deve assolvere un dovere, se non vuole essere nullificato; deve avere una finalità, che si manifesta nell'obbedienza alle grandi leggi del respiro personale, e del respiro di tutti gli altri viventi. E queste leggi, che sono la solidarietà con tutta la vita vivente, non possono essere trascurate. Noi, oggi, temiamo la guerra e l’atomica. Ma chi perde ogni giorno il suo respiro e la sua felicità, per consentire alle grandi maggioranze umane un estremo abuso di respiro e di felicità fondati sulla distruzione planetaria dei muti e dei deboli – che sono tutte le altre specie –, può forse temere la fine di tutto? Quando la pace e il diritto non saranno solo per una parte dei viventi, e non vorranno dire solo la felicità e il diritto di una parte, e il consumo spietato di tutto il resto, solo allora, quando anche la pace del fiume e dell’uccello sarà possibile, saranno possibili, facili come un sorriso, anche la pace e la vera sicurezza dell’uomo.
Anna Maria Ortese (Corpo celeste)
Come mai possiamo inventare modi migliori per ucciderci a vicenda, ma non uno per preservare la pace!
Abhijit Naskar (Bulletproof Backbone: Injustice Not Allowed on My Watch)
Coloro che vivono nei sei mondi inferiori dell’esistenza sono più “agiti” che “agenti”. Di conseguenza, quando la morte li priva di ogni possibilità di compiere azioni positive, essi sono del tutto soggetti alle condizioni del mondo in cui dimora il loro Sé. La situazione è diversa per coloro che vivono nei quattro mondi superiori, perché essi hanno raggiunto la loro condizione attraverso i propri sforzi e non tramite le influenze esterne. Quando muoiono, anch’essi diventano insenzienti, ma i mondi in cui dimorano sono, per loro natura, dotati della forza vitale cosmica. Il Sé nei mondi di Apprendimento o di Risveglio parziale non possiede più il potere che in vita gli permetteva di ricercare e di praticare la Legge, ma può ancora provare gioia grazie alle cause che ha creato durante la sua vita. Nel caso di coloro che si trovano nel mondo di Bodhisattva, in qualunque mondo dimorino hanno la possibilità di adoperare la loro compassione. La vita di un bodhisattva si fonde con il mondo di Bodhisattva del cosmo e diventa parte integrante della compassione infinita che opera per alleviare le sofferenze degli esseri umani e garantire la pace. Allo stesso modo, il Sé che dimora nel mondo di Buddità diventa un’unica cosa con la sorgente originaria della vita cosmica, fondendosi con la realtà fondamentale dell’universo, vedendo tutti i fenomeni come azioni del Budda e identificandosi con la terra della luce eternamente tranquilla. Anche nella morte, la vita nel mondo di Buddità possiede l’illimitata saggezza della vita cosmica e il potere di esercitare una compassione infinita, che si trovi nelle incandescenti profondità della terra, o nel più freddo degli iceberg, o nel mezzo dei mari tempestosi, o nel continuo alternarsi delle stagioni, o nella complessa interazione tra gli individui e i desideri che costituisce la società umana. La Buddità è infinita ed eterna, sia nella vita sia nella morte.
Daisaku Ikeda (La vita: Mistero prezioso (Italian Edition))
Gli Dei delle Stelle crearono tre Mondi, tre realtà parallele e distanti tra loro, nel tempo e nello spazio, ma legate in modo indissolubile, mondi in cui tutti gli esseri potevano vivere in pace e armonia, tra loro e con la terra che popolavano. Gli Dei delle Stelle avevano grande sapienza, conoscevano tutti i segreti dell'universo, sicuramente crearono altri mondi e altri esseri in realtà sconosciute, ma questo è un discorso che ci porterebbe troppo lontano…
E.C. Bröwa (Nel mondo del tempo (Al di là delle valli gemelle, #1))
Gli adolescenti in famiglia vanno a trovarla di tanto in tanto, con problemi di cui non possono parlare ai genitori. La generazione di mezzo si è costruita la propria visione e l'ha inchiodata per bene. [...] Solo con una visione del mondo univoca e fissa si ha la libertà di lavorare in pace. Gli anni da dedicare al lavoro sono appena qualche decina. Per questo gli adulti non vedono le conquiste del loro stesso lavoro, l'ombra che proiettano; a farlo sono sempre i nuovi giovani. Ciascuno è bloccato nel suo tempo. La vecchiaia non è altrettanto vincolata al tornaconto economico. I giovani e i vecchi potrebbero dialogare, ma il giorno d'oggi non offre molte possibilità di contatto fra generazioni diverse.
Halldóra K. Thoroddsen (Tvöfalt gler)
Sopra la mia testa è sospeso un cerchio di luce. È il cielo serale. Guardandolo, penso al mondo in questo pomeriggio d’autunno. Il mondo dove si svolge presumibilmente la vita degli uomini. Devono camminare per le vie, nella debole luce autunnale, andare a far spese, preparare la cena, prendere il treno per tornare a casa. E pensano, se mai ci pensano, che siano tutte cose molto naturali, sulle quali non c’è bisogno di riflettere. Proprio come facevo io una volta. Sono esseri anonimi che vengono chiamati «la gente», e anch’io sono stato uno di loro. Si accettano gli uni con gli altri, in quella luce, e tra loro deve crearsi una sorta di intimità, che duri per sempre o per un breve istante. Ma io non faccio più parte di loro. Loro si trovano sulla superficie del suolo, io in fondo a un pozzo. Loro hanno la luce, io sto per perderla. A volte penso che non riuscirò mai a tornare in quel mondo; che non sarò mai più in grado di provare quel senso di pace che dà il fatto di essere immersi nella luce; che non potrò mai più tenere fra le braccia il corpo morbido del mio gatto. A questo pensiero provo un dolore pungente nel petto, come se qualcosa dentro di me venisse schiacciato.
Haruki Murakami
Si metteva manciate di terra nelle tasche, e la mangiava a granelli senza essere vista, con un confuso sentimento di felicità e di rabbia, mentre insegnava alle sue amiche i punti più difficili e parlava di altri uomini che non meritavano il sacrificio che si mangiasse per loro i calcinacci dei muri. Le manciate di terra rendevano meno remoto e più reale l'unico uomo che meritava quella degradazione, come se il suolo che egli calpestava coi suoi fini stivaletti di vernice in un altro luogo del mondo trasmettesse a lei il peso e la temperatura del suo sangue in un sapore minerale che lasciava un bruciore aspro in bocca e un sedimento di pace nel cuore.
Gabriel García Márquez (Cem anos de solidão)
Pfühl era uno di quegli individui disperatamente, incrollabilmente sicuri di se stessi, sicuri fino al martirio, come lo sanno essere solamente i tedeschi, e questo proprio perché solo i tedeschi possono essere sicuri di sé sulla base di un’idea astratta, com’è la dottrina, cioè la pseudo-conoscenza della verità assoluta. Il francese può sentirsi sicuro di sé perché si crede personalmente, sia per doti fisiche che d’intelletto, irresistibile e affascinante, di fronte agli uomini come alle donne. L’inglese è sicuro di sé perché è cittadino del paese meglio ordinato del mondo; perciò, in quanto inglese, sa sempre ciò che deve fare, e sa che tutto ciò che fa, in quanto inglese, non può che esser ben fatto. L’italiano è sicuro di sé perché è irrequieto ed esaltabile, e facilmente si dimentica di se stesso e degli altri. Il russo è sicuro di sé perché non sa e non vuol sapere nulla, nella persuasione che nulla si può sapere. Il tedesco è sicuro di sé nel peggiore dei modi, nel modo più disgustoso e inesorabile, perché è ciecamente convinto di sapere la verità: una scienza, cioè, da lui stesso elaborata, ma che per lui è il vero assoluto.
Leo Tolstoy (Guerra e pace)
I contadini dappertutto nel mondo sono fondamentalmente gli stessi. Lasciateci dire che la chiave per la pace si trova vicino alla terra.
Masanobu Fukuoka (The One-Straw Revolution)