Grand Cayman Quotes

Nowhere was the airport’s charm more concentrated than on the screens placed at intervals across the terminal which announced, in deliberately workmanlike fonts, the itineraries of aircraft about to take to the skies. These screens implied a feeling of infinite and immediate possibility: they suggested the ease with which we might impulsively approach a ticket desk and, within a few hours, embark for a country where the call to prayer rang out over shuttered whitewashed houses, where we understood nothing of the language and where no one knew our identities. The lack of detail about the destinations served only to stir unfocused images of nostalgia and longing: Tel Aviv, Tripoli, St Petersburg, Miami, Muscat via Abu Dhabi, Algiers, Grand Cayman via Nassau … all of these promises of alternative lives, to which we might appeal at moments of claustrophobia and stagnation.

What’s your point?” He spun around in his chair and took a brown file folder from a wire rack on the credenza behind him next to a couple of generic office plants. He opened it, took out a sheet of paper, and looked at it for a moment. Then he handed it to me. It was a fax from a bank in the Caymans called Transatlantic Bank & Trust (Cayman) Limited, located on Mary Street in George Town, Grand Cayman. A copy of a copy of a copy, festooned with smudges and photocopier artifacts. It was a letter from Roger, on Gifford Industries letterhead, to the bank’s manager. A letter of instruction.

Miliardi e Mondiali La macchina da soldi che non conosce soste L’ultimo caso per la federazione la scelta di Russia e Qatar Giulia Zonca | 824 parole Trovare l’uomo chiave dell’operazione Fifapulita è praticamente impossibile. Troppi soldi, troppe mazzette vere o presunte e troppi giri d’affari concentrici che prima di chiamare denaro ne producono in abbondanza. La Fifa si basa su un sistema fatto di soldi, tanti dichiarati, incalcolabili quelli in nero, non tutti e non sempre sono spesi male, anzi, ma il circolo infinito di dollari che non conosce crisi crea un vortice in stile deposito di Zio Paperone dove avidità chiama altra avidità. E non c’è pace. Cambiare tutto La Fifa si ritrova nelle stesse condizioni in cui stava il Comitato olimpico prima degli scandali del 2002 e ora se vuole reggere dovrà fare la stessa mossa. La rivoluzione. Nuovi nomi e altre regole ma al momento il sistema Fifa si basa proprio sull’immutabilità, sul circolo chiuso, su un potere che resta sempre nelle stesse mani, garantisce a tutti grandi introiti e visto dall’interno funziona benissimo. Ogni uomo preso con le mani nella marmellata sa che verrà abbandonato, però sa anche che fino a lì vivrà alla grande. La perdita di credibilità non è mai sembrata un problema al governo di pallone. Ogni voce considerata frottola, ogni frode un male inevitabile ed arginabile. Il pantano perpetuo. L’inchiesta dell’Fbi parte dal 1991 e traccia una scia di bigliettoni che rimbalzano dai conti alle Cayman, girano sulle banche di Hong Kong e tornano in Svizzera. Fondi alleggeriti e pronti ad altro uso. Il mondo del pallone ha dichiarato 4,826 miliardi di dollari di incasso dall’ultimo quadriennio mondiale. Già: la parola magica che attira sponsor, apre porte, unge canali ed evidentemente fa dimenticare ogni decenza. Non è solo la manifestazione più vista al mondo a solleticare scambi illeciti, dentro il calderone della frode denunciato dall’accusa americana ci sono Confederations Cup, tornei minori, pacchetti di diritti tv e persino la Coppa America del 2016 che si gioca proprio negli Stati Uniti. Al Bureau non hanno indagato a caso. La doppia assegnazione Lo scandalo più evidente e cristallino resta l’assegnazione dei Mondiali 2018-2022, doppio pacco per essere sicuri di mescolare abbastanza le carte e sovrapporre gli illeciti. La confusione e la molteplicità degli interessi in ballo è sempre lo sfondo in cui si muove la Fifa. L’edizione 2018 è andata alla Russia e quella del 2022 al Qatar, voto segreto deciso da 22 persone: dovevano essere 24 ma due erano già tagliati fuori da un’inchiesta di corruzione. Tanto per capire. E qui siamo agli atti non alle speculazioni. Sempre fatti concreti escono dal rapporto Garcia, una memoria investigativa seguita alle proteste per quei Mondiali assegnati in modo così strano. I conti non tornavano a nessuno il che significa che hanno provato a farli tutti e che il famoso voto di scambio, di cui ci si preoccupava all’inizio del dicembre 2010, era davvero in atto. Doveva esserci un asse Inghilterra-Australia, uno Spagna-Portogallo-Qatar: tu muovi consensi per il 2018, io per il 2022 e siamo tutti contenti. Era già molto al limite però almeno non ancora fraudolento. Peccato che il giochino sia scoppiato perché sono intervenuti fattori esterni. Le bustarelle. L’indagine censurata L’indifferente Blatter ha tentato di mostrarsi magnanimo. Ha varato una commissione etica, ci ha messo dentro Michael Garcia, ex procuratore federale americano, e qui parte il labirinto. Garcia ha redatto un rapporto, mai reso noto ufficialmente, la Fifa ne ha prodotto una sintesi e ha concluso che non c’era stata manipolazione nel voto. Garcia ha rigettato la tesi e ha dato le dimissioni. Vi gira la testa? Chiaro, i nonsense si rincorrono e la trasparenza è impossibile perché la Fifa è uno statuto autonomo, risponde solo a se stessa. Non ha pubblicato gli esiti dell’indagine e la normale conseg

hatch our survival plan in the coolest place we could find. We made our way into the cluttered room at the windowed front of the deckhouse—what our boat builders back in Hong Kong called the “lavish grand salon” in their sales brochures. With us, it was more like the messy rumpus room. True, the room had, as advertised, “a curved couch, sleek teak paneling, and hardwood cabinetry with a built-in sink.” But the sink had dirty dishes and empty soda bottles in it, the paneled walls were cluttered with a collection of my parents’ favorite treasures (including a conquistador helmet, a rare African tribal mask, a grog jug shaped like a frog, a rusty cannonball from a Confederate gunboat, a bronze clock covered with cherubs that probably belonged to King Louis XIV, and, in a glass shadow box, a rusty steak knife from the Titanic). There were assorted trinkets, necklaces, and coconut heads suspended from the ceiling. Add a heap of scuba and snorkel gear and assorted socks, shoes, and T-shirts on the floor (the floor is our laundry basket), and our grand salon looked more like a live-in recycling bin. “Have we even seen a map for this treasure hunt?” asked Beck. “Nope. Dad just said we needed to be in the Caymans.” “Then we need to find his map.

One vast and meaningless blood sport that encouraged the chaos it supposedly fought?

But if mixed-race people in the United States in the late nineteenth century found themselves legally classed as “black,” mixed-race people in the West Indies more often found themselves classed with “whites.” In the 1855 census of Grand Cayman Island, for example, “blacks” constituted one category; “white and coloured” another. “It was found impracticable to distinguish between the white and coloured population,” explained the missionary census takers. “The greater proportion of these…are persons of colour, but, of course, of various shades of complexion.”15

Five minutes later, I have in my hand a one-way ticket that will take me back to the island of Grand Cayman to live. Because there's no reason not to.

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the Grand Cayman connection provided three big advantages to a firm like Lehman Brothers, which was trying desperately to compete with the biggest banks on Wall Street. The first was entering false profits from the “sale” onto the balance sheet. The second was receiving all the coupon payments from the derivatives they still held in the trusts. The third was that the Financial Accounting Standards Board (FASB) required them only to put aside 3 percent of capital, a tiny amount, to cover any losses in an offshore trust.