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Mi sentii diversa, abusivamente presente, senza i requisiti per urlare qualcosa anch’io, per restare dentro quei vapori e quegli odori che mi facevano venire in mente, adesso, odori e vapori emanati dal corpo di Antonio, dal suo fiato, quando ci stringevamo agli stagni. Ero stata troppo miserabile, troppo schiacciata dall’obbligo di eccellere nello studio. Al cinema c’ero andata poco o niente. Non avevo mai comprato dischi, come mi sarebbe piaciuto. Non ero diventata fan di cantanti, non ero corsa ai concerti, non avevo collezionato autografi, non mi ero mai ubriacata, il poco sesso che avevo consumato l’avevo fatto a disagio, tra sotterfugi, impaurita. Quelle ragazze invece, chi più chi meno, dovevano essere cresciute con maggiore agio, e all’attuale muta di pelle erano arrivate più preparate di me, forse sentivano la loro presenza in quel luogo, in quel clima, non come un deragliamento, ma come una scelta giusta e urgente. Ora che ho qualche soldo, pensai, ora che chissà quanti ne guadagnerò, posso recuperare qualcuna delle cose perdute. O forse no, ero ormai troppo colta, troppo ignorante, troppo controllata, troppo abituata a raffreddare la vita immagazzinando idee e dati, troppo vicina al matrimonio e alla sistemazione definitiva, insomma troppo ottusamente compiuta dentro un ordine che lì pareva tramontato. Quell’ultimo pensiero mi spaventò. Via subito da questo posto, mi dissi, ogni gesto o parola è uno sfregio alla fatica che ho fatto. Invece scivolai dentro l’aula affollata.
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