“
A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran.
Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.
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Alessandro Baricco (Novecento. Un monologo)
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Ralph era uno specialista del pensiero, ora, e poteva riconoscere il pensiero in un altro.
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William Golding (Il signore delle mosche - Riti di passaggio - Gli uomini di carte)
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Stalin mi aveva portato via la casa e mio padre e ora si era preso anche il mio compleanno.
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Ruta Sepetys (Between Shades of Gray)
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(...) era tão diversa de si mesma, ora isto, ora aquilo, que os dias iam passando sem acordo fixo, nem desengano perpétuo.
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Machado de Assis (Quincas Borba)
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Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino.
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Giovannino Guareschi (Chi sogna nuovi gerani?)
“
Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se è davvero esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo a sprazzi irregolari e ritagli, forse c’era solo perché ci passasse mio fratello con suo leggero passo di codibugnolo, era un ricamo fatto di nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi si intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito.
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Italo Calvino (The Baron in the Trees)
“
Era questa, la carne dell'orso:ed ora che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.
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Primo Levi (The Periodic Table)
“
Le strinsi l’avambraccio a mia volta, lo sguardo lontano dal suo. Era stata la mia allieva migliore, l’unica di cui fossi veramente fiero, anche se non gliel’avevo mai detto. Era stata quanto di più vicino a un’amica avessi mai avuto.
E ora ci stavamo dicendo addio.
Senza parole.
Senza guardarci.
Con una semplice, grande stretta.
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Chiara Cilli (Per Sconfiggerti (Blood Bonds, #6))
“
Il dolore aveva un suo modo di scomporre il tempo. Pensavo al minuto successivo, all'ora successiva. Non c'era abbastanza spazio nella mia mente per mettere insieme tutti quei pezzi, per trovare le parole per riassumerla nella sua interezza.
Ma la parte dell'"andare avanti", per quella le parole le avevo.
'Trova un modo per andare avanti' dissi. 'Non deve necessariamente essere buono, o nobile. Basta che sia un motivo.'
Conoscevo il mio: c'era una fame dentro di me e c'era sempre stata. Una fame più forte del dolore, più forte dell'orrore. Continuava a mordere anche dopo che ogni altra cosa dentro di me si era arresa. E quando finalmente le diedi un nome, scoprii che era qualcosa di molto semplice: desiderio di vivere.
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Veronica Roth (Carve the Mark (Carve the Mark, #1))
“
Non era stata mia intenzione amarlo, e avevo fatto di tutto per estirpare dal mio animo i germi dell'amore che vi avevo scovato; e ora, non appena l'avevo rivisto, essi risorgevano spontaneamente più forti e più gagliardi! Anche senza che lo guardassi si faceva amare.
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Charlotte Brontë
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In un altro tempo io ero il falco e vivevo di giorno: della vita vedevo le luci. Lui era il lupo e viveva di notte: della vita vedeva le ombre. Io ero sempre in ritardo, mentre lui correva alla velocità del suono. Com’è logico supporre, non ci saremmo mai potuti incontrare, se non si fosse creato uno squarcio nel tempo per cui ci trovammo nello stesso luogo nell’istante in cui io non ero ancora un falco, e lui aveva già smesso di essere un lupo. Per ventiquattro ore appena sovvertimmo l’ordine del tempo, finché il giorno divenne notte e la notte divenne giorno, e il falco vide attraverso le ombre, senza esserne aggredito, e il lupo guardò verso la luce, senza esserne accecato. Poi io mi rituffai nella lentezza dei miei giorni, e lui riprese a correre nella frenesia delle sue notti. E ora vorrei non desiderare di ricondurlo dentro al mondo insieme a me. Vorrei non osservare ogni suo gesto segreto cercando di capire se posso accettare quella segretezza dentro la mia vita, e conoscere già la risposta. Vorrei non provare vergogna di me stessa al pensiero che lui non mi avrebbe ancora chiesto niente di tutto questo. Mi fa rabbia la sua lucida follia, che sottintende un coraggio più grande del mio. Ci vuole coraggio per essere pazzi, perché il mondo non ce lo permette.
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Sara Zelda Mazzini (I Dissidenti)
“
Ringhiò. Odiava tutto. Odiava non avere più un tetto. Non avere uno spazio suo. Non si era reso conto di quanto fosse importante una casa fin quando ne aveva avuta una. Ora non poteva fare altro che sperare di non morire durante la notte, dormendo sulle panchine, in metropolitana o sull’asfalto.
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Chris Ethan (Il ragazzo con la valigia (C'era una volta un ragazzo, #1))
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Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel che non vidi /
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.
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Alessandro Baricco (Novecento. Un monologo)
“
Il cane se ne era andato attraverso uno strappo nella rete degli eventi. Ne lasciamo tanti, lacerazioni dell'incuria quando mettiamo insieme causa ed effetto. L'essenziale è che la corda, l'intreccio che ora mi reggeva, tenesse.
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Elena Ferrante (The Days of Abandonment)
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Prima di sposarsi, Emma aveva creduto d'amare; ma la felicità che avrebbe dovuto nascere dal quell'amore non era venuta, e pensava che doveva essersi sbagliata. Ella cercava ora, di sapere che cosa volessero esattamente dire, nella vita, le parole felicità, passione ed ebbrezza, che le erano sembrate tanto belle, lette nei libri
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Gustave Flaubert (Madame Bovary)
“
Non desiderava veramente farle del male fisico, voleva entrare nella sua testa e svuotarla.
E ci era riuscito, che Dio avesse pietà della sua anima, nera come la pece.
L’aveva rotta, finalmente. Ora doveva solo unire i pezzi sparsi qua e là e assemblarla come voleva, godersela appieno, prima di farla fuori.
Quello era stato il suo piano fin dall’inizio.
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Anya M. Silver (Pure Revenge (Lethal Men, #1))
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Bor era bello da fare male. Il cuore della ragazza saltò un battito quando il suo profumo le raggiunse le narici e inondò la sua mente come una droga. Un accenno di barba disegnava il contorno appuntito del mento e le labbra si schiusero in un ghigno ferino da animale pronto alla caccia.
«Ti voglio attenta e pronta. Ti insegnerò a difenderti. Non sono qui per giocare o rivangare il passato. E ora muoviti, non ho tempo da perdere, anzi, non abbiamo tempo da perdere.» Voltandosi e scendendo le scale tre gradini alla volta aggiunse: «Ti aspetto in strada, sono quello figo sulla moto».
Le guance di Asia divennero paonazze, mentre stringeva i pugni con intensità fino a sentire il sudore delle mani appiccicarle la pelle. Con un'espressione degna di un drago sputa fuoco, Asia rimase a guardare Bor che usciva di casa. Vomitò un urlo a dir poco agghiacciante che miscelava rabbia e frustrazione.
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Eilan Moon (R.I.P. Requiescat In Pace (The R.I.P. Trilogy, #1))
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Împărăţia UităTot nu mai văzuse soarele de secole. Cerul părea să fie permanent acoperit de o perdea neagră de nori, ca un cavou deja scufundat în noaptea morţii. Singura diferenţă dintre noapte şi zi era că norii deveneau gri şi întunericul se mai dilua, semn că undeva în spatele lor soarele încă mai răsărea.
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Sylvie Danielle Matias (Regatul Măştilor (ORA DRAGONULUI Saga))
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Prima di ripartire doveva tentare di dormire almeno qualche ora, oppure sarebbe crollato durante il viaggio e non poteva permettersi un tale e grossolano errore, non con l’esperienza di guerriero che aveva.
Questa era la differenza tra chi non aveva un’educazione alla guerra e chi aveva vissuto sempre in battaglia. Non c’era cosa peggiore del moto incontrollabile della disperazione per portare un combattente a perdere. La mente avrebbe dovuto essere lucida e pronta, il corpo riposato e forte per vincere. Per chi non aveva la mentalità del guerriero poteva sembrare assurdo anche solo vagliare l’idea del riposo in una simile situazione, ma con la lucidità dell’autocontrollo tipica di un Venator, l’unico modo per vincere era proprio quello.
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Eilan Moon (R.I.P. De Profundis (The R.I.P. Trilogy, #2))
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Molto, molto tempo prima, in un tempo di cui la breve memoria del genere umano non conservava tracce, la Luce aveva trionfato, e ora regnava suprema nel Sole. Ma nel corso degli infiniti cicli temporali – e questo lo ammettevano perfino i Sacerdoti della Luce – il regno del Sole era destinato a finire; Dyaus, il Dio Occulto, il Dormiente, avrebbe riassorbito la Luce... e, in una smisurata Notte del Caos, avrebbe spezzato le sue catene e instaurato il suo dominio.
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Marion Zimmer Bradley
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Bella & Edward:
«Va bene. Lasciamo perdere i limiti temporali. Se vuoi che sia io a compiere il gesto... lo farò ma a una condizione».
Mi sentii mancare la voce. «Quale?».
Il suo sguardo era prudente. Parlò lentamente: «Prima sposami». [...]
«E dai», risposi con un velo di isteria nella mia voce. «Ho soltanto diciotto anni».
«Be', io quasi centodieci. È ora che metta la testa a posto».
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Stephenie Meyer (New Moon (The Twilight Saga, #2))
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Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.
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Italo Calvino (Invisible Cities)
“
Nell’ascensore che li portava al settimo piano, Lacke si mise a piangere. Non silenziosamente, singhiozzava peggio di un bambino. Quando Larry aprì la porta dell’ascensore e spinse Lacke sul pianerottolo, il singhiozzo aumentò riecheggiando contro le pareti di cemento. Ora, era un urlo di dolore primordiale, smisurato, che riempiva tutti gli appartamenti, scivolando attraverso le buche delle lettere, i buchi delle serrature, trasformando l’intero palazzo in un grande monumento eretto in memoria dell’amore. Larry rabbrividì, non aveva mai sentito niente di simile prima. Non si piangeva così. Non si doveva piangere così. Se si piangeva così si moriva.
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John Ajvide Lindqvist (Let the Right One In)
“
Dodici voci si alzarono furiose, e tutte erano simili. Non c'era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali. Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due.
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George Orwell (Animal Farm)
“
Era appena pomeriggio, ma strisciai a letto. Gli occhi leggermente velati di lacrime. Turbato da ostinati pensieri. La depressione era assenza di pensiero, e lacrime, il dolore inconsapevole di un animale. Qualche ora più tardi, ebbi una folgorazione. Non ero depresso. Ero triste. Quel minuscolo frammento di dolore era tutto mio. Restai steso lì, nell’oscurità, a giocare con le idee nella mia mente come fossero perle.
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Alexis Hall (Glitterland (Spires, #1))
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Rafe sorrise. Ora lo capiva. La valigia era un promemoria di tutto ciò che era e di tutto quello che poteva essere, proprio come sua madre per lui. Certo, lei era una persona reale, ma facevano lo stesso effetto. Li facevano sentire come se non fossero del tutto soli o del tutto fottuti.
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Chris Ethan (Il ragazzo con la valigia (C'era una volta un ragazzo, #1))
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Alzò lo sguardo verso il cielo: un ricamo di foglie di quercia che risaltava in negativo. Allargò le braccia, come in croce.
Rimase lì per un bel po’, qualche ora, non avrebbe saputo dire quanto. Avrebbe voluto pregare, ma si sentì in colpa perché lo faceva solo quando aveva bisogno. E non era nemmeno sicura di voler attirare su di sé l’attenzione di Dio: lei, la ragazza-che-prega-solo-quando-ha-bisogno-di-qualcosa. Magari lo avrebbe irritato. Forse avrebbe dovuto trattenersi, e pregare quando fosse riuscita a farlo solo per il desiderio di pregare, in modo che Lui la riprendesse in simpatia. Ma Dio (scusa, Dio), chi mai si ricorda di pregare quando le cose filano a gonfie vele? La gente buona, ecco chi si ricorda. E lei non era così
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Ann Brashares (The Sisterhood of the Traveling Pants (Sisterhood, #1))
“
– Noi non ci vedremo più, signore. Disse. – Quel che era per noi, l’abbiamo fatto, e voi lo sapete. Credetemi: l’abbiamo fatto per sempre. Serbate la vostra vita al riparo da me. E non esitate un attimo, se sarà utile per la vostra felicità, a dimenticare questa donna che ora vi dice, senza rimpianto, addio.
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Alessandro Baricco (Seta)
“
A un tratto lui ricambiò lo sguardo e la fissò, come se la stesse studiando. Poi, i suoi occhi acquistarono una strana sicurezza. "Sei tu". E di colpo, tutto cambiò. Fu come se il cuore le fosse uscito prepotentemente dal petto; era come se quel blu magnetico avesse attirato l'anima della ragazza, ora sospesa a galleggiare tra i loro due corpi.
”
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Valentina Bellettini (Eleinda - Una leggenda dal futuro)
“
Comprei um livro de filosofia. Filosofia é a sciencia que trata da vida; era justamente do que eu necessitava--pôr sciencia na minha
vida.
Li o livro de filosofia, não ganhei nada, Mãe! não ganhei nada.
Disseram-me que era necessario estar já iniciado, ora eu só tenho uma iniciação, é esta de ter sido posto neste mundo á imagem e semelhança de Deus. Não basta?
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”
José de Almada Negreiros (A Invenção do Dia Claro)
“
Come un raggio di luce che sbuca impertinente tra nuvole bige di un celo autunnale, un'idea si fece largo tra i miei pensieri, un'illuminazione: Sèbastien era sempre stato gentile con me, perché preso da me e non perché volesse essere il mio migliore amico. Ora capivo il decadere di ogni sua relazione e il perché rimanessero un mistero. Dio, ero stata così cieca e ingenua.
”
”
Ornella Calcagnile (Fil Rouge)
“
Îl cuprinse in brate si îl stranse tare. Ar fi vrut sa-l zgaltaie putin, poate asa si-ar fi regasit mai usor datele ei din trecut.
- Suntem cam straini, zise. E frig, nu? Fă ceva, da-mi putin din sangele tau, sa ma incalzesc. Ajuta-mi sa fiu fericita ca sunt aici.
I se parea excesivă, ca de atatea ori. Ce putea face la o ora cand cel mai bine este sa dormi? O aseză cu capul pe pieptul lui, apoi o inveli. Era concesiv.
Ea isi spunea: "Nu trebuie sa dorm! Nu trebuie sa raman cu mine singura. Trebuie sa ma tin asa, inlantuita de el, pana la sfarsitul ultimului sfarsit!"
- Eva, ce vrei sa-mi spui?
- Ce nu stii?
- Nimic de la plecarea mea.
Se gandea: "Nimic de la plecarea lui! Si acum vine, si daca vine, il urmez, fara sa stiu pana unde ma va duce si pentru cat timp!
”
”
Radu Tudoran (Fiul risipitor)
“
Pensò al consiglio che gli aveva dato Tom, a quelle che, di fatto, erano state le sue ultime parole: se hai qualcosa da sistemare nella vita, devi farlo ora, finché puoi.
Per la prima volta da quando aveva memoria, Jimmy non si sentiva vuoto. Al contrario, era così pieno che stava quasi scoppiando. Non era un fantasma. “Non sono Tom,” disse ad alta voce. Nessuno si voltò a guardarlo.
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Kim Fielding (Rattlesnake)
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E poi? Che cosa avrebbe fatto poi? Non lo sapeva. Forse avrebbe ripreso la sua solita vita, forse si sarebbe sposato, forse avrebbe generato un figlio, forse non avrebbe fatto nulla, forse sarebbe morto. Gli era del tutto indifferente. Pensarci gli sembrava assurdo come pensare a quello che avrebbe fatto dopo la propria morte: naturalmente nulla. Nulla che già fin d'ora potesse sapere.
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Patrick Süskind (Perfume: The Story of a Murderer)
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Se ora penso agli anni di allora, mi colpisce quanto poco ci fosse in realtà da vedere, quante poche immagini illustrassero la vita e la morte nei Lager. Conoscevamo di Auschwitz il portale con la sua scritta, i pancacci di legno a più piani, i mucchi di capelli, occhiali e valigie; di Birkenau l'entrata con la torre, i corpi laterali e il passaggio per i treni; e da Bergen-Belsen ci venivano le montagne di cadaveri trovate e fotografate dagli alleati al momento della liberazione. Conoscevamo alcune testimonianze di detenuti, ma molti libri apparvero subito dopo la guerra e vennero ristampati solo negli anni Ottanta, visto che nel frattempo non rientrarono nei programmi delle case editrici. Ora ci sono così tanti libri e film che il mondo dei Lager è ormai parte dell'immaginario collettivo che completa il mondo reale. La fantasia lo conosce ormai bene, e a partire dalla serie televisiva Olocausto e da film come La scelta di Sophie e soprattutto Schindler's list si muove anche in quel mondo. E non ne prende solo atto, ma integra e abbellisce. Allora la fantasia stentava a muoversi; riteneva che allo sgomento di cui era debitrice al mondo dei Lager non si confacessero le movenze della fantasia. Quelle poche immagini che doveva alle foto degli alleati e alle testimonianze dei detenuti, le ha poi guardate riguardate, fino a farne dei cliché.
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Bernhard Schlink (The Reader)
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Diranno che l’ho tradito, che ho ridotto il suo prezzo a trenta sicli d’argento. Diranno che sono avaro, che ho tradito il mio maestro. Non sanno che sono morto di crepacuore. Per il rammarico…
Per amore.
Se non conoscono me, non conoscevano neanche lui. Quanto ci ha sconvolti con la sua compassione, con la sua riluttanza a salvare un’intera nazione, ma con il desiderio di salvare le singole persone.
Lo definivano un folle, un bugiardo. Ma ora so che era il volto di Dio, che non ci salva dai romani…
Ma da noi stessi
Sono il lebbroso, l’indemoniato. Io, paralizzato dalla paura, ero cieco.
La prostituta, il cadavere nella tomba.
Io, sono tutto questo.
Io, che l’ho rinnegato e l’ho consegnato ai nemici. Io, che muoio per lui. Il mio nome sarà per sempre sinonimo di “traditore”. Ma egli amava i suoi nemici.
Egli mi amava.
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Tosca Lee (L'uomo che tradì Gesù)
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Am călătorit un pic mai aproape de suflul otrăvit al bestiei. De data aceasta zgomotul bolborosit al lavei chiar suna ca respirația unui Dragon adormit. Atât de aproape de sursă din care palpita acea prezență de mit, dragonul de foc, și forța lui... am simțit o fluturare în stomac. Pielea care ar fi trebuit să-mi ardă în proximitatea focului care clocotea la picioarele mele, era stimulată ca la o mângâiere, urechile parcă se alungiseră de la gâdilatul morocănos al muntelui, iar ochii străluceau fără lacrimi în lumina focului. Nimic din această imagine de groază nu mă rănea. Era ceva familiar aici, ca o voce de departe care mă chema să mă alătur.
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Sylvie Danielle Matias (Regatul Cicatrizaților (#3 Ora Dragonului Saga))
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Morgana: ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno esser conosciute. E ora che il mondo è cambiato e Artù, mio fratello e amante, che fu re e sarà re, giace morto nell’isola Sacra di Avalon, la storia deve esser narrata com’era prima che i preti del Cristo Bianco venissero a costellarla di santi e leggende.
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Marion Zimmer Bradley (Le nebbie di Avalon - Parte Seconda (Il Ciclo di Avalon, #1B))
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Come poteva desiderare dell'altro, quando aveva Jace?
Ma forse, le venne da pensare, avere qualcuno non era mai davvero possibile. Forse, per quanto si possa amare una persona, lei può sempre scivolarti via dalle dita come acqua, senza che tu possa farci niente. Ora capiva perché la gente parlava i cuori ‘infranti’: si sentiva come se il suo fosse di vetro rotto, con le schegge come coltelli che le trafiggevano il petto ogni volta che respirava.
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Cassandra Clare (City of Fallen Angels (The Mortal Instruments, #4))
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Sai cos'è la plebe?". "Sì, maestra". Cos'era la plebe lo seppi in quel momento, e molto più chiaramente di quando anni prima la Oliviero me l'aveva chiesto. La plebe eravamo noi. La plebe era quel contendersi il cibo insieme al vino, quel litigare per chi veniva servito per primo e meglio, quel pavimento lurido su cui passavano e ripassavano i camerieri, quei brindisi sempre più volgari. La plebe era mia madre, che aveva bevuto e ora si lasciava andare con la schiena contro la spalla di mio padre, serio, e rideva a bocca spalancata per le allusioni sessuali del commerciante di metalli. Ridevano tutti, anche Lila, con l'aria di chi ha un ruolo e lo porta fino in fondo.
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Elena Ferrante (My Brilliant Friend (My Brilliant Friend, #1))
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Abbiamo riso di nuovo e siamo andati avanti così tutta la notte. Holly era seduta al bancone della cucina, ad ascoltare le mie battute, mentre io preparavo delle uova strapazzate. Era bellissima, avvolta nel mio accappatoio blu, con i capelli bagnati e le guance ancora rosse. Ora che ci ripensavo, avrei potuto prolungare quel momento per settimane ed essere felicissimo. Forse anche per mesi. Niente è andato per il verso giusto. Eppure è stato perfetto..
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Julie Cross (Tempest (Tempest, #1))
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È completamente rovinato.”
Dolf si avvicinò al veicolo e annusò l’aria. “Be’, perlomeno stavolta non c’era dentro Kirk.”
Remi si lasciò andare a una risata amara. “Hai ragione. Devo avere qualche problema con le macchine. Prima mi va a fuoco l’auto, e ora questo.”
“Gli dèi dei veicoli non devono essere molto felici di te,” replicò Heller dandogli una pacca sulla schiena.
“Mi chiedo se questi dèi siano parenti degli dèi dei parcheggi che odiano me,” disse Dolf.
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M.A. Church (Behind the Eight Ball (Fur, Fangs, and Felines #2))
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Era andata via, esasperata. Ora lo detestava. Quella mancanza di puntualità al convegno le pareva un oltraggio, e cercava anche altre ragioni per staccarsi da lui; era incapace di eroismo, debole, banale, più molle di una donna, e anche avaro, e pusillanime.
Poi, calmandosi, finì per scoprire che lo aveva calunniato, certo. Ma la denigrazione delle persone amate contribuisce pur sempre a staccarci un poco da loro. Non bisogna toccare gli idoli: la doratura resta sulle dita.
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Gustave Flaubert
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Quando non dormivo ed ero in ansia, quando i miei incubi mi divoravano, non potevo accendere la luce o distrarmi con realtà virtuali come fanno i lucenti, poiché l'unico rimedio in quel buio senza limite era creare, progettare, darsi da fare, conoscere, inventare, leggere e scrivere. Ho sempre coltivato l'idea che se non l'avessi fatto, non avrei mai trovato me stessa. E quello era ciò che volevano i Cyborg: che io mi auto-annientassi.
Ma ora un Cyborg sembra volere tutto il contrario.
Ora posso ipotizzare, dedurre, posso lasciare uscire la parte migliore di me stessa, tutto quel che penso. E ciò che lo rende più incredibile e assurdamente folle è che tra tutti i Cyborg lui è davvero l'unico a non possedere un cuore.
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Miriam Ciraolo (Beauty and the Cyborg (Beauty and the Cyborg, #1))
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Capii che ero arrivata lì piena di superbia e mi resi conto che—in buona fede certo, con affetto—avevo fatto tutto quel viaggio soprattutto per mostrarle ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo vinto. Ma lei se ne era accorta fin dal momento in cui le ero comparsa davanti e ora, rischiando attriti coi compagni di lavoro e multe, stava reagendo spiegandomi di fatto che non avevo vinto niente, che al mondo non c'era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell'una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell'altra.
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Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
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Che cos'è l'Ottocento? Un'epoca nella quale la donna era sacra, e si poteva comprare una ragazza di tredici anni per poche sterline, o pochi scellini se la si voleva soltanto per un'ora o due. Nella quale si costruirono più chiese che in tutta la precedente storia del paese, e a Londra una casa su sessanta era un bordello (la proporzione moderne sarebbe pressappoco una su seimila). Nella quale la santità del matrimonio (e della castità prematrimoniale) era esaltata da ogni pulpito, in tutti gli editoriali e nei pubblici comizi, e grandi personaggi pubblici - dal futuro re in giù - conducevano una vita assolutamente scandalosa. Nella quale venne gradatamente umanizzato il sistema penale, e la flagellazione era talmente diffusa che un francese cercò seriamente di dimostrare che il marchese De Sade doveva essere d'origine inglese. Nella quale il corpo femminile era più che mai celato agli occhi indiscreti, e i meriti degli scultori erano valutati in base alla loro capacità di scolpire donne nude. Nella quale non esiste un romanzo, una commedia o una poesia di un certo livello letterario che si spinga oltre la sessualità di un bacio [...], mentre la popolazione di opere pornografiche raggiungeva un livello mai superato. Nella quale non si nominavano mai le funzioni escretorie, e le condizioni igieniche erano ancora talmente primitive [...] che dovevano esserci poche case e poche strade che non le ricordassero in continuazione. Nella quale si sosteneva all'unanimità che le donne non hanno orgasmo, e si insegnava a ogni prostituta come simularlo. Nella quale ci furono progressi enormi in tutti gli altri settori dell'attività umana, e soltanto tirannide nel più personale e fondamentale
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John Fowles (The French Lieutenant’s Woman)
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Ogni volta che Dusk ripensava al suo sorriso, che tanto amava, non poteva evitare che un’espressione adorante gli comparisse in viso e che il suo cuore battesse più forte per la gioia. Comunque, la vita in tournée non era solo divertimento, sesso e giochi, infatti, a un certo punto dovette uscire dalla loro camera per le prove. Anche quando Lolly non era con lui, la sua attenzione continuava a spostarsi dalla musica al ragazzo e a quanto fosse bello rimanere accoccolati a letto dopo aver scopato la mattina presto. Una brezza piacevole scombinò i capelli di Dusk mentre stava sperimentando con la chitarra i nuovi accordi per le loro canzoni. La sua voce diventava un tutt’uno con la musica quando cantava e lui si perdeva nel mondo creato dalle parole di suo fratello. Alcune canzoni che Dusk conosceva benissimo, e che cantava da sempre, lo colpirono come mai prima d’ora. Non solo le canzoni di Dawn vibrarono in maniera diversa, ma gli diedero anche nuove idee. Milioni di parole invasero la sua mente, spingendolo a desiderare un foglio per scriverle. Era raro che componesse e, sebbene per il momento aveva solo piccoli frammenti di testo, non poté fare a meno di pensare di avere qualcosa di speciale tra le mani.
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K.A. Merikan (Manic Pixie Dream Boy (The Underdogs, #1))
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Questa volta era lui a essere nudo nel laghetto dall’acqua bassa, e lei era vestita, ma come l’altra volta, fu lei a ritrarsi avvampando, e lui a rimanere lì calmo.L’altra volta lei se l’era presa con Kostos, ora se la prese con se stessa. L’altra volta aveva pensato che lui fosse uno sciocco leggero e presuntuoso, ma questa volta capì che era lei ad esserlo. L’altra volta si era fissata ossessivamente sul proprio corpo esposto alla vista altrui; ora pensava a quello di Kostos.L’altra volta lui non era venuto a spiarla. Non l’aveva seguita. E probabilmente era rimasto stupito quanto lei nel vederla.Finora aveva pensato che fosse stato lui a invadere il suo posto speciale. Ora sapeva che era stata lei a invadere quello di Kostos.
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Ann Brashares (The Sisterhood of the Traveling Pants (Sisterhood, #1))
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Ma Frank cominciava a sentirsi demoralizzato in un modo che non si poteva attribuire all'abituale tristezza della domenica sera. Quella strana, entusiasmante giornata volgeva al termine, e ora, nella luce morente, egli si rendeva conto che si era trattato soltanto di una temporanea pausa dalla tensione che l'aveva perseguitato per tutta la settimana. Già ne avvertiva il ritorno, a dispetto del senso di sicurezza che gli dava il contatto di April contro la schiena - una terribile, soffocante pesantezza di spirito, il presentimento di un'imminente, inevitabile perdita.
E a poco a poco si rese conto che anche April provava la stessa sensazione: c'era una certa rigidità nel modo in cui lo stava abbracciando, l'impressione di un certo sforzo per ottenere un effetto di spontaneità, come se lei sapesse che a quel punto era prevista una pressione del viso contro la sua scapola e stesse facendo del suo meglio per soddisfare tutti i requisiti. Se ne stettero a lungo in quella posizione.
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Richard Yates (Revolutionary Road)
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Sir Walter Elliot di Kellynch Hall nel Somersetshire, era un uomo che per passare il tempo mai pariva altro libro che non fosse il Baronetage; vi trovava occupazione per un'ora d'ozio, consolazione per una di dolore; la sua mente fremeva d'ammirazione e rispetto, contemplando l'esiguo numero di membri superstiti delle più antiche baronie, e ogni spiacevole sensazione causata da questioni domestiche si mutava in compassione e disprezzo mentre annotava le quasi infinite nomine del secolo precedente;
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Jane Austen (Persuasion)
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Quest'uomo, meglio conosciuto sotto il nome di Tigre della Malesia, che da dieci anni insanguinava le coste del mar malese, poteva avere trentadue o trentaquattro anni.
Era alto di statura, ben fatto, con muscoli forti come se fili d'acciaio vi fossero stati intrecciati, dai lineamenti energici, l'anima inaccessibile a ogni paura, agile come una scimmia, feroce come la tigre delle jungla malesi, generoso e coraggioso come il leone dei deserti africani.
Aveva una faccia leggermente abbronzata e di una bellezza incomparabile, resa truce da una barba nera, con una fronte ampia, incorniciata da fuligginosi e ricciuti capelli che gli cavedano con pittoresco disordine sulle robuste spalle. Due occhi di una fulgidezza senza pari, che magnetizzavano, attiravano, che ora diventavano melanconici come quelli di una fanciulla, e che ora lampeggiavano e schizzavano come fiamme. Due labbra sottili, particolari agli uomini energici, dalle quali, nei momenti di battaglia, usciva una voce squillante, metallica, che dominava il rombo dei cannoni, e che talvolta si piegavano a un melanconico sorriso, che a poco a poco diventava un sorriso beffardo fino al punto di trovare il sorriso della Tigre della Malesia, quasi assaporasse allora il sangue umano.
Da dove mai era uscito questo terribile uomo, che alla testa di duecento tigrotti, non meno intrepidi di lui, aveva saputo in poco volger d'anni farsi una fama sì funesta? Nessuno lo avrebbe potuto dire. I suoi fidi stessi lo ignoravano, come ignoravano pure chi egli fosse.
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Emilio Salgari (Le tigri di Mompracem)
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«Il primo a cadere fu Sytry, allora noto come Sartrael, ora principe della lussuria. E' stato lui a farci innamorare delle donne umane, è stato lui a farmi innamorare di te. E pensare che lo stesso Michele e un angelo suo sottoposto, Anael, lo sbeffeggiavano dicendoci che dovevamo ripudiarlo per ciò che aveva fatto. Gli stolti erano loro che non avevano per niente capito che era proprio grazie a lui che noi avevamo avuto il privilegio di conoscere l'amore e la passione. E' per lui che abbiamo combattuto»
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Diletta Brizzi (Elements Tales)
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Încetul cu încetul, Vern și Teddy au devenit doi anonimi de pe holurile școlii sau din sala de pedeapsă după ora trei și jumătate. Dădeam din cap unii la alții și ne spuneam bună. Asta era tot. Se întâmplă. Prietenii intră și ies din viața ta ca picolii într-un restaurant, n-ai observat niciodată asta? Dar când mă gândesc la visul acela, la cadavrele de sub apă care mă trăgeau implacabil de picioare, mi se pare drept să fie așa. Unii oameni se îneacă, asta e. Nu e cinstit, dar se întâmplă. Unii oameni se îneacă.
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Stephen King (Different Seasons)
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Margheritina, se qualcosa ci dovesse separare, devi pensare a me nella luce migliore, caro ragazzo. Su! Facciamo questo patto. Pensa a me nella luce migliore, se mai le circostanze ci separeranno!"
"Per me, Steerforth, tu non puoi avere luce migliore, né peggiore" affermai. "Tu sei sempre egualmente amato e hai sempre lo stesso posto... nel mio cuore."
[...]
Mi alzai con l'alba incolore e, dopo essermi vestito il più silenziosamente possibile, m'affacciai alla sua camera. Egli era profondamente addormentato: giaceva, tranquillo, col capo appoggiato al braccio, come lo avevo spesso visto giacere a scuola.
Venne, a suo tempo, il momento (e fu prestissimo) in cui quasi mi meravigliai che nulla turbasse il suo riposo, mentre lo guardavo. Ma dormiva (lasciate che io lo ripensi così!) come spesso lo avevo visto dormire a scuola; e così, in quell'ora silenziosa, lo lasciai.
... Per mai più, oh, Dio ti perdoni, Steerforth! Mai più toccare con atto di amore e di amicizia quella mano abbandonata, mai più!
[Charles Dickens; 'David Copperfield]
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Charles Dickens (David Copperfield)
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Da piccolo a Natale aspettavo un regalo
Un pacco dorato, sotto l'albero luminoso
Quando aprii il pacco, non era quello atteso
Lo tirai contro il muro piangente, iroso.
Quanti regali ho rotto, ho respinto
Nella mia vita, dopo quel giorno?
Ora di questi ho rimpianto
Accettare i doni è difficile
Perchè sempre ne aspettiamo uno soltanto
Impara a amare ciò che desideri
Ma anche ciò che gli assomiglia
Sii esigente e sii paziente
E' Natale ogni mattino che vivi
Scarta con cura il pacco dei giorni
Ringrazia, ricambia, sorridi
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Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
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Alcuni anni prima Anne Elliot era stata una fanciulla molto carina, ma la sua giovanile bellezza era presto svanita, e dato che anche al colmo del suo splendore il padre non aveva trovato molto da ammirare (erano così diversi dai suoi i delicati tratti e i miti occhi scuri della figlia), non poteva esserci nulla che potesse suscitare la stima del padre ora che era così pallida e magra.
Nona veva mai nutrito molte speranze - ora non ne aveva più nessuna- di poter un giorno o l'altro leggere il nome di lei in qualche pagina del suo amatissimo libro.
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Jane Austen (Persuasion)
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Ai şi tu ca tot omul un frate imaginar
Nu ascunde el cine știe ce… ca toată lumea
acolo, câteva puseuri narcisiace,
povești încropite,
scenarii suicidale,
orgii de ora 3 dimineața,
maculatură, o enormă maculatură și
decizii de luare la cunoștință,
bucăți de viitor preambalat.
Duioșii.
Doar tu cu plușul preferat
nu ai ce oscioare să-i zdrobești.
Urmează tot ce doreai să urmeze, tot ce era
prevăzut. Și neprevăzutele,
preambalate și ele.
O lumină în plasma care se lipește de tine
Înoată spre ea
Urmărește semnele. Urmărește lipsa de semne.
Permeabilitatea membranei
la orice.
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Laura Francisca Pavel (Trucuri Urbane)
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«Cosa ti è successo, comunque? Perché eri nudo, a lavare un maglione nel bel mezzo di Central Park?»
Lui gli ripeté, ancora una volta, che non erano affari suoi.
«Va bene, quindi mi limiterò a presumere che sei un nudista» disse Rafe, salendo sul suo letto.
«Non lo sono» lo sentì rispondere con un suono soffocato, ora un materasso li separava.
Rise alla sua risposta. «Il tuo attuale...» lasciò che la pausa fomentasse l’atmosfera prima di continuare, «abbigliamento non aiuta la tua causa. Quindi, permettimi di pensare che sei un nudista. O un esibizionista. O un esibizionista nudo. »
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Chris Ethan (Il ragazzo con la valigia (C'era una volta un ragazzo, #1))
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Dentro di me ospitavo delle continue guerre civili psicologiche. Mi prendo cura della mia bambina e voglio farlo, davvero. Ma allora com’è che al tempo stesso vorrei scappare, far finta che nulla di questo sia successo, ricominciare la mia vita com’era prima? “Sono tante cose. Tra queste, ora sono anche madre”, avrei voluto esprimere, ma era una concezione della maternità che non riuscivo a far capire a molte persone, a esempio ai miei genitori. No: impossibile. Se lasciavi spazio al resto di te, non eri un bravo genitore. “Ora sei mamma” continuavano a dirmi a ogni mio cenno di insofferenza.
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Chiara Cecilia Santamaria (Quello che le mamme non dicono)
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Quell’uomo era davvero capace di rendermi felice e, forse, io avevo il potere di fare altrettanto per lui. Non molto tempo prima, la semplice idea di poter avere un impatto sulla vita di qualcun altro mi avrebbe terrorizzato. Ora desideravo soltanto di meritare quella fiducia. Darian aveva agito come se non avesse paura della sofferenza che avrei potuto causargli. O, meglio, come se pensasse che valesse la pena rischiare per me. E io ero stato troppo spaventato, troppo smarrito, per riconoscere il suo coraggio e la sua generosità. Cos’è che aveva detto? Capita a tutti di essere tristi. Be’, adesso era il mio turno di aprirgli il mio cuore e di permettergli di respingermi, se era questo che voleva. Di sicuro sarei stato in grado di sopportare un po’ di dolore per lui, no? Per qualcuno che – per pochi, fulgidi istanti – mi aveva aiutato a ricordare cosa significasse essere umani, felici e pieni di speranza
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Alexis Hall (Glitterland (Spires, #1))
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Se n'era andato, senza darmi il tempo di dirgli ciò che avevo capito solo ora: che lo perdonavo, che lei ci perdonava, che noi tutti dovevamo perdonare, se volevamo sopravvivere nel labirinto. Eravamo così tanti a dover vivere col rimpianto di aver fatto o non fatto certe cose, quella notte. Cose che non erano andate per il verso giusto, o che ci erano sembrate giuste in quel momento perché non potevamo prevedere il futuro. Se solo potessimo prevedere l'infinita catena di conseguenze derivanti da ogni nostro minimo gesto. E invece ce ne rendiamo conto soltanto quando rendersene conto non serve più a nulla.
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John Green (Looking for Alaska)
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Resistere. Nessun singolo istante di quel dolore era insopportabile. Eccolo qua un secondo: lo aveva sopportato. Insopportabile era il pensiero di tutti gli istanti in fila, uno dietro l'altro, splendenti. E la proiezione della paura futura [...]. Ma niente di tutto questo è vero, ora. [...] Poteva accovacciarsi nello spazio tra due battiti del cuore e fare di ogni battito un muro e vivere là dentro. Non permettere alla sua testa di guardare sopra il muro. La cosa insopportabile è cosa ne penserebbe la sua testa. Cosa potrebbe raccontargli la sua testa se guardasse al di là del muro. Ma potrebbe scegliere di non ascoltarla.
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David Foster Wallace (Infinite Jest)
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Mi sembra di arrancare nell'oscurità,” disse Zach, l'aria abbattuta. “Non so dove andare, non so cosa fare. In Venezuela mi sono arreso, Taff. Niente cambiava mai, là, a eccezione delle stronzate che Esteban architettava giorno dopo giorno. Però era familiare, come se quello fosse tutto ciò che avrei mai conosciuto – tutto ciò che avrei mai potuto conoscere. Non osavo pensare al futuro, a cosa sarebbe accaduto dopo il momento presente. Ma qui – ora – ho ogni sorta di scelta, ogni possibilità aperta. E mi sembra di non essere adeguato per nessuna.”
“Saresti capace di qualsiasi di quelle possibilità,” disse David con fierezza
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Rowan Speedwell (Finding Zach (Finding Zach, #1))
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Lo morsi nel punto in cui il collo si unisce alla spalla. Il sangue mi riempì la bocca, mentre io riempivo Lawson con il mio seme. Mentre venivo, con il cuore che mi martellava in petto, mi sentii invadere da un senso di compiutezza. L’avevo fatto. Ora Lawson era il mio compagno.
Mi ero spesso chiesto se per me quel giorno sarebbe mai arrivato, ed era arrivato. Lui era mio. Non potevo crederci… era mio! L’uomo perfetto per me. Qualcuno che mi avrebbe capito e amato… e forse, forse, accettato per quello che ero. Difetti compresi. E di quelli ne avevo molti, ne ero consapevole. Per gli dèi… un compagno. Non avevo mai provato quel senso di appartenenza prima di allora
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M.A. Church (Behind the Eight Ball (Fur, Fangs, and Felines #2))
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Ho riflettutto molto su come descriverlo, e questo è quel che ho deciso: «Nessuno l'ha mai definito un grande cane, o anche un buon cane. Era sfrenato come un ossesso e forte come un toro. Affrontava gioiosamente la vita, con un entusiasmo associato spesso a disastri naturali. È l'unico cane che sia mia stato espulso da un corso di aducazione all'obbedienza». Continuavo: «Marley era un divoratore di divani, un demolitore di porte a zanzariera, un dispensatore di saliva, un ribaltatore di coperchi di pattumiera. Quanto al cervello, lasciatemi dire che ha dato la caccia alla sua coda fino al giorno in cui è morto, apparentemente convinto di essere sull'orlo di una grossa svolta nel mondo canino». Ma c'era dell'altro in lui, e descrissi il suo intuito e la sua empatia, la sua dolcezza con i bambini, e il suo cuore puro.
Quelo che volevo realtmente dire era come quest'animale aveva toccato le nostre anime e ci aveva insegnato alcune delle lezioni più importanti della vita. «Una persona può imparare molto da un cane, anche da un cane strambo come il nostro», scrissi. «Marley mi ha insegnato a vivere ogni giorno con sfrenata esuberanza e gioia, a cogliere il momento e seguire il mio cuore. Mi ha insegnato ad apprezzare le cose semplici: una passeggiata nei boschi, una fresca nevicata, un sonnellino in un raggio di sole invernale. E mentre diventava vecchio e malandato, mi ha insegnato l'ottimismo di fronte alle avversità. Sopprattutto mi ha insegnato l'amicizia, l'altruismo e una profonda devozione.»
Era uno straordinario concetto che solo ora, sulla scia della sua morte, stavo assorbendo totalmente: Marley come mentore. Era un maestro e un modello di comportamento. Era possibile per un cane, qualsiasi cane, ma soprattutto un pazzo cane incontrollabile come il nostro, indicare agli umani le cose che contavano realmente nella vita? Direi di sì. Lealtà. Coraggio. Devozione. Semplicità. Gioia. E le cose che non contavano. A un cane non servono automobili lussuose o grandi case o vestiti di sartoria. Gli status symbol non significano niente per lui. Un bastone fradicio gli va altrettanto bene. Un cane giudica gli altri non dal colore, il credo o la classe ma da chi sono interioremente. A un cane non importa se sei ricco o povero, istruito o analfabeta, intelligente o stupido. Dagli il tuo cuore e lui ti darà il suo. Era molto semplice, eppure noi umani, così più saggi e più sofisticati, abbiamo sempre avuto difficltà a immaginare quel che conta e non conta realemente. Mentre scrivevo quest'articolo di addio a Marley, mi rendevo conto che era tutto lì di fronte a noi, se solo avessimo aperto gli occhi. A volte occorre un cane con un alito cattivo, pessime maniere, e intenzioni pure per aiutarci a vedere.
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John Grogan (Io & Marley)
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Ora i miei incantesimi si sono tutti spenti,
la forza che possiedo è solo mia, ed è poca.
Ora sta a voi tenermi qui confinato o mandarmi a Napoli.
Poiché ho riavuto il Ducato e perdonato il traditore,
Non fatemi rimanere col vostro potere in quest'isola nuda,
ma scioglietemi da ogni legame con mani generose.
Il vostro fiato gentile colmi le mie vele
altrimenti fallisce Il mio progetto che era di dar piacere.
Ora mi mancano spiriti da comandare,
arte per incantare,
e la mia fine è la disperazione,
a meno che non sia salvato dalla preghiera
Che va tanto a fondo da vincere la pietà e liberare dal peccato.
Come voi per ogni colpa implorate il perdono,
Così la vostra indulgenza metta me in libertà.
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William Shakespeare (The Tempest)
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Nel sole di marzo, mentre era seduto su una catasta di ceppi di faggio che scricchiolavano per il caldo, avvenne che egli pronunciasse per la prima volta la parola «legno». Aveva già visto il legno centinaia di volte, aveva sentito la parola centinaia di volte. La capiva anche, infatti d'inverno era stato mandato fuori spesso a prendere legna. Ma il legno come oggetto non gli era mai sembrato così interessante da darsi la pena di pronunciarne il nome. Ciò avvenne soltanto quel giorno di marzo, mentre era seduto sulla catasta. La catasta era ammucchiata a strati, come una panca, sul lato sud del capannone di Madame Gaillard, sotto un tetto sporgente. I ceppi più alti emanavano un odore dolce di bruciaticcio, dal fondo della catasta saliva un profumo di muschio, e dalla parete d'abete del capannone si diffondeva nel tepore un profumo di resina sbriciolata.
Grenouille era seduto sulla catasta con le gambe allungate, la schiena appoggiata contro la parete del capannone, aveva chiuso gli occhi e non si muoveva. Non vedeva nulla, non sentiva e non provava nulla. Si limitava soltanto ad annusare il profumo del legno che saliva attorno a lui e stagnava sotto il tetto come sotto una cappa. Bevve questo profumo, vi annegò dentro, se ne impregnò fino all'ultimo e al più interno dei pori, divenne legno lui stesso, giacque sulla catasta come un pupazzo di legno, come un Pinocchio, come morto, finché dopo lungo tempo, forse non prima di una mezz’ora, pronunciò a fatica la parola «legno». Come se si fosse riempito di legno fin sopra le orecchie, come se il legno gli arrivasse già fino al collo, come se avesse il ventre, la gola, il naso traboccanti di legno, così vomitò fuori la parola. E questa lo riportò in sé, lo salvò, poco prima che la presenza schiacciante del legno, con il suo profumo, potesse soffocarlo. Si alzò a fatica, scivolò giù dalla catasta, e si allontanò vacillando come su gambe di legno. Per giorni e giorni fu preso totalmente dall'intensa esperienza olfattiva, e quando il ricordo saliva in lui con troppa prepotenza, borbottava fra sé e sé «legno, legno», a mo' di scongiuro.
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Patrick Süskind (Perfume: The Story of a Murderer)
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Il mondo della Magia si allontana sempre di più dal mondo dove regna il Cristo. Non ho nulla contro di lui, ma solo contro i suoi preti che negano il potere della Grande Dea oppure l'avvolgono nella veste azzurra della Signora di Nazareth e affermano che era vergine. Ma che cosa ne può sapere una vergine delle sofferenze dell'umanità?
E ora che il mondo è cambiato e Artù, mio fratello e amante, che fu re e che sarà re, giace morto (e la gente comune lo dice addormentato) nell'Isola Sacra di Avalon, la storia dev'essere narrata com'era prima che i preti del Cristo Bianco venissero a costellarla di santi e leggende.
Il mondo è mutato. Un tempo un viaggiatore, se aveva la volontà e conosceva qualche segreto, poteva avventurarsi con la barca nel Mare dell'Estate e giungere non già a Glastonbury dei monaci, ma all'Isola Sacra di Avalon; allora le porte tra i mondi fluttuavano con la nebbia e si aprivano al volere del viaggiatore. Perché questo è il grande segreto, noto a tutti gli uomini colti del nostro tempo: con il nostro pensiero, noi creiamo giorno per giorno il mondo che ci circonda.
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Marion Zimmer Bradley (The Mists of Avalon (Avalon, #1))
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« Jane… nel mio mondo, se inviti un uomo a casa lui si aspetta che apri le gambe per lui.» Spero di scioccarla e farla incazzare, così farà lei quello che non posso fare io in questo momento, e cioè rendersi conto che si tratta di un disastro annunciato. Voglio offendere le sue nozioni d’amore e sensibilità, e farla fuggire da me. Invece, alza lo sguardo per incontrare il mio e sussurra: «Non era quello che ti stavo offrendo, Kyle. Forse più avanti, quando ci saremo conosciuti meglio, ma per ora… voglio davvero solo un bacio.» Dannazione.Cazzo lo voglio anch’io. E ne sarei ben più che felice, anche solo con un semplice tocco della sua bocca sulla mia, con la promessa di niente altro in cambio. Mi riterrei soddisfatto. Penso.
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Sawyer Bennett (Finding Kyle)
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Odo ancora, mentre scrivo, l'intenso silenzio in cui si cessarono tutti i suoni della sera. Le cornacchie smisero di gracchiare nel cielo dorato e l’ora amica smarrì, per quell'orribile momento, tutta la sua voce. Ma non ci fu nessun altro cambiamento intorno a me, se cambiamento non era vedere con tanto singolare chiarezza. L’oro luccicava ancora nel cielo, l’aria era limpida e l’uomo che mi osservava da sopra i merli risaltava quanto un ritratto nella sua cornice. Ecco perché pensai, con straordinaria rapidità, a tutti coloro che egli avrebbe potuto essere e che non era. Ci fissammo attraverso lo spazio abbastanza a lungo perché potessi chiedermi ansiosamente chi fosse mai, e provare, dinanzi all'incapacità di rispondervi, uno sbigottimento che, a poco a poco, si faceva sempre più intenso.
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Henry James (The Turn of the Screw)
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Sicché andò a finire che feci il tema sul guantone da baseball di mio fratello Allie. […] Mio fratello Allie, dunque aveva quel guantone da prenditore, il sinistro. Lui era mancino. La cosa descrittiva di quel guanto, però, era che c’erano scritte delle poesie su tutte le dita e il palmo e dappertutto. In inchiostro verde. Ce le aveva scritte lui, così aveva qualcosa da leggere quando stava ad asp...ettare e nessuno batteva. Ora è morto. Gli è venuta la leucemia ed è morto quando stavamo nel Maine, il 18 luglio del 1946. Vi sarebbe piaciuto. Aveva due anni meno di me, ma era cinquanta volte più intelligente di me. Era di un’intelligenza fantastica. […] Aveva solo tredici anni e loro volevano farmi psicanalizzare e compagnia bella perché avevo spaccato tutte le finestre del garage. Non posso biasimarli. Ho dormito nel garage la notte che lui è morto, e ho spaccato col pugno tutte quelle dannate finestre, così, tanto per farlo. Ho tentato anche di spaccare tutti i finestrini della giardinetta che avevamo quell’estate, ma a quel punto mi ero già rotto la mano eccetera eccetera, e non ho potuto. È stata una cosa proprio stupida, chi lo nega, ma io quasi non sapevo nemmeno quello che stavo facendo, e poi voi non conoscevate Allie.
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J.D. Salinger (The Catcher in the Rye)
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În vis se făcu întuneric până când Godrick se trezi într-o încăpere uriaşă construită numai din aceste suprafeţe îngheţate. Tavanul era atât de sus încât părea invizibil pentru el, iar el făcând mai mulţi paşi prin încăpere realiză că aceasta nu avea uşi şi că trecând dintr-o încăpere în alta, interminabile, ajunsese la concluzia că acesta trebuie să fie un castel uriaş de gheaţă. I se făcu dor de căldura unui şemineu, de îmbrăţişarea lui Mami şi de chipul tatălui său. Iar pe măsură ce mângâia oglinzile de gheaţă simţi căldura unui foc, apoi văzu şemineul plin de lemne şi flăcările roşii care jucau în toate direcţiile. Încălzindu-şi mâinile la foc se afla tatăl lui care privea fix şi îngândurat în oglinda lui de gheaţă. Poate că era chiar trist. Godrick atinse oglinda şi astfel parcă reuşise să atingă creştetul tatălui care tresări, dar cum nu-l vedea căzu iar pe gânduri. Lângă bătrân stătea Mami, cosând la o cămaşă veche, îngălbenită. Din privirea plecată îi cobora o lacrimă. Godrick atinse din nou oglinda şi atinse obrazul lui Mami ocolo unde aluneca lăcrima şi simţi udătura lăsată pe degetele lui. Inima lui Godrick se întristă că acesta era doar un vis şi depărtând braţele îmbrăţişă oglinda care conţinea imaginea aceia caldă de acasă.
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Sylvie Danielle Matias (Regatul Măştilor (ORA DRAGONULUI Saga))
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« Hai fatto quel lavoro per salvare delle persone. Non ho bisogno di conoscere i dettagli, ma se vuoi liberarti di questo peso, ti ascolterò volentieri. Tutto ciò che avevo bisogno di sapere, Kyle, era che hai fatto qualcosa per un bene più grande. Che hai fatto qualcosa in cui hai creduto con tanta passione da abbandonare la tua vita per portarla a termine. Ora forse sei oppresso dal senso di colpa e forse senti la necessità di essere punito, ma non devi scusarti con me. Tu prima hai detto che sai chi sono… beh, io so chi sei tu. Sei un brav’uomo. Sei davvero l’uomo migliore di tutti.» Il mio corpo reagisce così velocemente che non sono neanche sicuro di quello che sto realmente facendo. Prima di rendermene conto, afferro Jane e la stringo tra le braccia con forza, mentre vengo pervaso dal sollievo. Sollievo perché non mi disprezza per i miei peccati.
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Sawyer Bennett (Finding Kyle)
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«È stato davvero il loro padre? È questo che si dice a scuola: che suo padre lo ha riempito di botte. Giocava a football da giovane. C’è la sua cazzo di foto nella bacheca dei trofei in palestra. Per tutta la mattina c’è stato un fottuto pellegrinaggio davanti a quella teca, tutti che guardavano la faccia del mostro. Io sono come lui, in tutto e per tutto: giocatore di football, linebacker, e testa di cazzo. Ho avuto paura. Fra vent’anni potrei essere io quello che ammazza di botte il proprio figlio e non voglio.»
Zeke non sapeva se stava per dire una bugia, ma parlò lo stesso, perché se non aveva dato fiducia a Mason quando era il momento, forse poteva dargliela ora. A volte una bugia può spingerci a essere migliori.
«Non saresti mai stato come Lance Scott. Quello stronzo. Io lo so.»
Mason scosse la testa. «Sono stato un vigliacco.»
«Ora non più »
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Susan Moretto (Principessina)
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O alegre e claro espelho de minha alma era muitas vezes embaçado por uma espécie de melancolia mas, por ora, não havia sido seriamente danificado. Ela aparecia de tempos em tempos, durante um dia ou uma noite, como uma tristeza sonhadora e solitária; desaparecia depois sem deixar traços, voltando após algumas semanas ou meses. Aos poucos fui me habituando a ela, como a uma amiga e confidente, não a recebendo como um tormento, mas como um cansaço inquieto, que não deixava de ter seu encanto. Quando ela me surpreendia de noite eu ficava, em vez de dormir, horas inteiras à janela, olhava o lago mergulhado na escuridão, as silhuetas das montanhas desenhadas no palor do céu e bem no alto, as belas estrelas. Então apossava-se de mim com frequência um sentimento doce e vigoroso, como se eu fosse contemplado por toda aquela formosura da noite, com uma justa censura. Como se estrelas, montanhas e lagos aspirassem por alguém que compreendesse sua beleza e o sofrimento da sua natureza calada e a expressasse, como se eu fosse aquele ser e como se fosse essa a minha verdadeira missão. a de dar, em poesias, uma expressão à natureza muda. De que maneira isso seria possível não sei, jamais pensei nisso, apenas sentia que a bela e severa noite esperava por mim, impaciente, numa ânsia silente. (p. 42)
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Hermann Hesse (Peter Camenzind)
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Il vecchio terminò da solo il giro del giardino. In simili momenti, non capiva perché la maggioranza degli uomini si tormentava in vani lamenti sulla giovinezza trascorsa. Secondo lui la gioventù era anche troppo lunga «stando alle nostre forze». Era stato giovane e povero, subalterno, inquieto, insoddisfatto, divorato da desideri irrealizzabili. Si sentiva così rassicurato ora, così calmo, così tranquillo! Amava soprattutto la sensazione di dominio che gli giungeva dal patrimonio e dall'età. Un cenno, e tutti obbedivano. Una parola, e tutto si piegava al suo volere.
«E' per il loro bene», pensava con pacifico orgoglio. Si rimise dritto, battendo la ghiaia col bastone. Era convinto di aver vinto perfino la paura della morte che gli aveva incupito gli anni della maturità. Una paura che si era eclissata il giorno in cui aveva capito che la vita è più lunga di quel che si crede, che solo alla stolta gioventù sembra corta. Era saggio. Era vecchio.
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Irène Némirovsky (Un amore in pericolo)
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Non amava né il giardino né la villa. Era arduo sopportare la presenza del suocero. Era il più "presente" degli esseri. Se anche tentava di infiammare l'immaginazione ripetendo: «Questa casa un giorno sarà mia», non riusciva a entusiasmarsi. «Sì, è bel tempo, pensava con distacco, la villa ha dello stile... le rose... Simone... sì... Ma tutto ciò cosa giova a me, alla mia più intima natura?... Del resto, quando per un'ora vedo lo stesso orizzonte penso alla morte. Il disgusto tipico di ogni uomo che non si accontenta di vivere, che talvolta pensa alla propria vita... Sono stanco del successo, sono stanco dei processi brillanti, degli affari fortunati o sfortunati, delle relazioni utili, stanco anche troppo della presidenza del collegio forense. Soprattutto, pensava, sono stanco del matrimonio, e si ricordava dell'inverno passato, che si riaffacciava alla memoria come un lungo e cupo stato di collera, interrotto da schiarite di appassionata concordia, sempre più rare queste ultime, sempre più frequenti i diverbi... Perché?... Ah! certi matrimoni, certe donne erano così... Certe unioni sembrano generare nell'anima un dolore sordo, proprio come quello del basto che percuote il fianco delle bestie appaiate... Sospirò: «Non chiedo grandi cose, eppure... Che mi lasci partire per due mesi, è tutto ciò che desidero. Quando tornerò sarò dolce come un agnello... Ero forse fatto per il matrimonio? Per non importa quale matrimonio? No, sono ingiusto... Questo non è un matrimonio qualunque... L'ho amata... Lei m'ispira ancora una specie di nervoso affetto... La disgrazia è che si comincia ad amare una persona con tutto ciò che l'attornia... (quando l'ho amata tutto ciò che mi faceva pensare a lei mi era caro: la città in cui l'ho conosciuta; l'italiano che parlavano attorno a me...).
Quando si finisce di amare, ci si slega anche da tutto. Così, questa villa, suo padre, perfino la bambina e questo cielo, tutto mi sfinisce e mi irrita...».
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Irène Némirovsky (Un amore in pericolo)
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Se Tess avesse potuto afferrare l'importanza dell'incontro si sarebbe chiesta perché quel giorno fosse destinata a essere notata e desiderata dall'uomo sbagliato e non
dall'altro: quello giusto amato sotto tutti gli aspetti; quasi che l'umanità fosse in grado di poter sempre offrire ciò che è giusto e che è desiderato. Ma l'uomo che poteva avvicinarsi al suo ideale, tra i ragazzi conosciuti, non era per Tess che un'impressione fugace e quasi dimenticata.
Nella difettosa esecuzione del piano ben disposto dell'universo, raramente l'invito provoca l'arrivo di chi si invoca, e raramente si incontra l'uomo da amare, quando viene l'ora per l'amore. La natura non dice troppo spesso "guarda" alla povera creatura nel momento in cui il guardare potrebbe
portare a una lieta conclusione; né risponde "qui" alla carne che grida "dove?"; finché tutto questo nascondersi e cercarsi diventa un gioco penoso e senza mordente.
Potremmo chiederci se all'acme e alla sommità dell'umano progresso questi anacronismi saranno modificati da un'intuizione migliore, da un più stretto rapporto reciproco nell'ingranaggio sociale, che non ci scuota in ogni direzione, come ora; ma non si può predire un simile ideale, forse nemmeno concepirlo come possibile. Così, anche nel caso attuale, come in milioni di altri, le due parti di un perfetto insieme non si sono incontrate al momento perfetto: la controparte assente,
vagando indipendente per la terra, aspetta in crassa ottusità un tempo che giungerà sempre troppo tardi.
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Thomas Hardy (Tess of the D’Urbervilles)
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«Wow» disse Cash. «Incredibile.»
«Dai, non siamo creature magiche o roba del genere» disse Sam.
«No, intendo dire che tu sei incredibile» disse Cash. «La maggior parte delle persone passa decenni a cercare se stessa, mentre tu sai esattamente chi sei prima ancora del college. È di grande ispirazione.»
Sam aveva passato così tanto tempo a concentrarsi sui propri problemi che non si era mai reso conto che ci poteva essere anche qualche vantaggio nascosto tra tutti gli svantaggi.
«Grazie» disse. «Non ci ho mai pensato. È un mondo difficile in cui vivere, ma trovare se stessi spesso è ancora più difficile.»
«Il mondo non è mai stato un gran posto, ma questo non deve trattenerti dal diventare la persona migliore possibile» disse Cash. «Non sarà facile, ma non c’è niente di peggio che vivere una vita che non si sente propria. Prendi me, per esempio. Ho fatto incazzare tutti gli adolescenti patiti di fantascienza del mondo solo perché sono stato me stesso, ma non cambierei quello che ho fatto. Ora puoi anche essere spaventato, ma devi immaginare quanto bene ti sentirai una volta arrivato al traguardo. Lascia che sia questo a incoraggiarti, non le tue paure.»
Sam annuì e cercò di assumere un’espressione coraggiosa, ma era la prima volta che qualcuno lo ascoltava, senza cercare di formulare una diagnosi. Qualche altra lacrima gli rigò il viso, e Cash le asciugò con la manica della camicia. Sam non riusciva a credere di stare parlando con la stessa persona che aveva conosciuto quella domenica
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Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
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«Vuoi restare con me, stanotte?», domandò inaspettatamente il ragazzo.
Al suono di quella frase il cuore di Ross iniziò a battere all’impazzata; era da molto tempo che non provava un’emozione così intensa.
«Non devi farlo solo per farmi piacere. Sono abbastanza grande e maturo da accettare un tuo no», sorrise fissandolo negli occhi.
«Non ho mai pensato di rifiutarti…», gli confessò, mentre lentamente si rialzava appoggiandosi al tavolo per non cadere.
Nathan posò di nuovo le braccia attorno alle spalle di Ross, stavolta stando in piedi di fronte a lui. Le labbra di Nathan lambirono quelle dell’uomo, all’inizio con titubanza, quasi sfiorandole, poi via via con sempre maggiore sicurezza. Il suo sapore, soave e fresco, riempì i sensi di Ross che sentiva la lingua del ragazzo muoversi sinuosamente attorno alla sua, giocando con un ritmo crescente.
Indietreggiò lentamente, stringendolo, fino a raggiungere il letto.
Si gettarono sulle lenzuola. Ora il corpo esile del ragazzo era disteso su di lui
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Cristiano Pedrini (La teoria del pettirosso (Italian Edition))
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Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l’edificio.
L’invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. E’ la rivoluzione madre. E’ il completo rinnovarsi del modo di espressione dell’umanità, è il pensiero umano che si spoglia di una forma e ne assume un’altra, è il completo e definitivo mutamento di pelle di quel serpente simbolico che, da Adamo in poi, rappresenta l’intelligenza.
Sotto forma di stampa, il pensiero è più che mai imperituro. E’ volatile, inafferrabile, indistruttibile. Si fonde con l’aria. Al tempo dell’architettura, diveniva montagna e si impadroniva con forza di un secolo e di un luogo. Ora diviene stormo di uccelli, si sparpaglia ai quattro venti e occupa contemporaneamente tutti i punti dell’aria e dello spazio..
Da solido che era, diventa vivo. Passa dalla durata all’ immortalità. Si può distruggere una mole, ma come estirpare l’ubiquità? Venga pure un diluvio, e anche quando la montagna sarà sparita sotto i flutti da molto tempo, gli uccelli voleranno ancora; e basterà che solo un’arca galleggi alla superficie del cataclisma, ed essi vi poseranno, sopravvivranno con quella, con quella assisteranno al decrescere delle acque, e il nuovo mondo che emergerà da questo caos svegliandosi vedrà planare su di sé, alato e vivente, il pensiero del mondo sommerso.
Bisogna ammirare e sfogliare incessantemente il libro scritto dall'architettura, ma non bisogna negare la grandezza dell'edificio che la stampa erige a sua volta.
Questo edificio è colossale. E’ il formicaio delle intelligenze. E’ l’alveare in cui tutte le immaginazioni, queste api dorate, arrivano con il loro miele. L’edificio ha mille piani. Sulle sue rampe si vedono sbucare qua e là delle caverne tenebrose della scienza intrecciantisi nelle sue viscere. Per tutta la sua superficie l’arte fa lussureggiare davanti allo sguardo arabeschi, rosoni, merletti. La stampa, questa macchina gigante che pompa senza tregua tutta la linfa intellettuale della società, vomita incessantemente nuovi materiali per l’opera sua. Tutto il genere umano è sull’ impalcatura. Ogni spirito è muratore. Il più umile tura il suo buco o posa la sua pietra. Certo, è anche questa una costruzione che cresce e si ammucchia in spirali senza fine, anche qui c’è confusione di lingue, attività incessante, lavoro infaticabile, concorso accanito dell’umanità intera, rifugio promesso all’ intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un’invasione di barbari. E’ la seconda torre di Babele del genere umano."
- Notre-Dame de Paris, V. Hugo
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Victor Hugo (The Hunchback of Notre-Dame)
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Con la fantasia, Bridget tornò mille volte a quel primo bacio appassionato, rendendolo sempre più perfetto.
Ma non andò oltre.
Per molte ore, dopo avere lasciato Eric, rimase sveglia nel sacco a pelo.
Tremava.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Ecco che cominciavano a scendere.
Lacrime di tristezza, di disagio, d’amore.
Erano il genere di lacrime che le venivano quando si sentiva troppo colma: aveva bisogno di fare un po’ di spazio.
Guardò il cielo.
Era più grande, quella notte.
Quella notte i suoi pensieri si avventuravano negli spazi infiniti e, come diceva Diana, non trovavano alcun ostacolo su cui rimbalzare per tornare indietro.
Andavano avanti e avanti, finché nulla sembrava più reale.
Neppure il pensiero. Bridget si era stretta a Eric, piena di desiderio, insicura, spavalda e impaurita.
C’era una tempesta nel suo corpo, e quando era diventata troppo violenta, lei era andata via. Si era lasciata levitare fino alle fronde delle palme.
Lo aveva già fatto altre volte.
Avrebbe lasciato affondare la nave senza il capitano.
Quello che era successo con Eric era insondabile, indescrivibile.
Ora tutto questo era lì con lei, incerto, desideroso di qualcuno che se ne prendesse cura: ma Bridget non sapeva come.
Richiamò indietro i propri pensieri, raccogliendoli ad anello come il filo di un aquilone.
Si arrotolò il sacco a pelo sotto il braccio e tornò furtiva alla baracca. Si distese sul letto.
Quella notte non avrebbe concesso ai suoi pensieri di avventurarsi oltre le travi sbiadite del soffitto
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Ann Brashares (The Sisterhood of the Traveling Pants (Sisterhood, #1))
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-- Não brinco, não. Digo apenas o que percebi. Os conhecimentos podem ser transmitidos, mas nunca a sabedoria. Podemos achá-la; podemos vivê-la; podemos consentir em que ela nos norteie; podemos fazer milagres através dela. Mas não nos é dado pronunciá-la e ensiná-la. (...) Uma percepção me veio, ó Govinda, que talvez te afigure novamente como uma brincadeira ou uma bobagem. Reza ela: "O oposto de cada verdade é igualmente verdade". Isso significa: uma verdade só poderá ser comunicada e formulada por meio de palavras, quando for unilateral. Ora, unilateral é tudo quanto possamos apanhar pelo pensamento e exprimir pela palavra. Tudo aquilo é apenas um lado das coisas, não passa de parte, carece de totalidade, está incompleto, não tem unidade. Sempre que o augusto Gautama nas suas aulas nos falava do mundo, era preciso que o subdividisse em Sansara e Nirvana, em ilusão e verdade, em sofrimento e redenção. Não se pode proceder de outra forma. Não há outro caminho para quem quiser ensinar. Mas o próprio mundo, o ser que nos rodeia e existe no nosso íntimo, não é nunca unilateral. Nenhuma criatura humana, nenhuma ação é inteiramente Sansara nem inteiramente Nirvana. Homem algum é totalmente santo ou totalmente pecador. Uma vez que facilmente nos equivocamos, temos a impressão de que o tempo seja algo real. Não, Govinda, o tempo não é real, como verifiquei em muitas ocasiões. E se o tempo não é real, não passa tampouco de ilusão aquele lapso que nos parece estender-se entre o mundo e a eternidade, entre o tormento e a bem-aventurança, entre o Bem e o Mal.
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Hermann Hesse (Siddhartha)
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Ma ancora non sono dove vorrei essere,” disse. “Sono ancora – come dire? – sono ancora spaventato.”
“Notizia dell'ultim'ora, scemo. Tutti abbiamo paura. Devi fartene una ragione e andare avanti.” Baciò Zach con gentilezza. “Impara ad accettare ciò che puoi e ciò che non puoi fare. Come già stai facendo.”
“Non so come farò a Boston, senza di te,” disse Zach.
David sbuffò. “Te la caverai benissimo. Abbiamo un intero anno di tempo per lavorare sulla tua autostima. Diamine, ragazzi molto più giovani di te vanno al college tutti da soli; ragazzi con le loro inibizioni e i loro problemi. Sarai in buona compagnia. Pensi che io fossi perfettamente a mio agio quando andai all'UCLA? Diavolo, no.”
“No?”
“No. Perché era passato appena un anno da quando avevo perso il mio migliore amico, e l'amore della mia vita.” Batté la fronte contro quella di Zach. “Tu non avrai questo problema, perché sai che non mi perderai mai. Io ci sarò.”
“Insieme per sempre?”
“Insieme per sempre,” gli fece eco David. Tirò Zach a sé e appoggiò la testa sulla sua spalla
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Rowan Speedwell (Finding Zach (Finding Zach, #1))
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Shane smise di ballare e si spostò leggermente per guardare Jimmy in faccia. Prese il suo viso tra le mani. “Rattlesnake è casa tua. Penso che tu lo sappia già questo. Ma credo sia anche giunta l’ora di diventare il proprietario di una casa vera e propria; in realtà vale per tutti e due.”
Jimmy alla fine fece la cosa che si era ripromesso di non fare mai, ma quella promessa era stata una bugia, e anche stupida. Scoppiò a piangere.
Continuarono a ballare, e Jimmy macchiò il cappotto di Shane di lacrime, e Shane fece lo stesso con il suo; Johnny Cash continuava a cantare attraverso il piccolo altoparlante. Jimmy pensò che gli sarebbe piaciuto avere un murale nel salotto tra un paio di solide librerie. Ovviamente avrebbe raffigurato un serpente a sonagli.
Tutto era cominciato con un uomo solo negli ampi spazi del deserto, alla guida di una Escort decrepita con un morto sul sedile passeggero. Però la storia era diventata quella di due uomini vivi che danzavano, pronti a mettere su casa insieme. E Jimmy era certo che la fine fosse ancora parecchio lontana.
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Kim Fielding (Rattlesnake)
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Non so se avrò tempo di scrivere altre lettere, perché forse sarò troppo impegnato a cercare a partecipare. Quindi, se questa dovesse essere l’ultima lettera, voglio che tu sappia che non stavo per niente bene prima di cominciare il liceo e tu mi hai aiutato. Anche se non sapevi di cosa parlavo o non conoscevi nessuno che aveva questi problemi, non mi hai fatto sentire solo.
Perché io so che ci sono persone che dicono che queste cose non esistono.
Perché ci sono persone che quando compiono diciassette anni, dimenticano com’era averne sedici. So che queste un giorno diventeranno delle storie e che le nostre immagini diventeranno vecchie fotografie e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno.
Ma qui, adesso, questi momenti non sono storie, questo sta succedendo.
Io sono qui e sto guardando lei. Ed è bellissima. Ora lo vedo, il momento in cui sai di non essere una storia triste. Sei vivo. E ti alzi in piedi e vedi le luci sui palazzi e tutto quello che ti fa restare a bocca aperta. E senti quella canzone, su quella strada, con le persone a cui vuoi più bene al mondo. E in questo momento, te lo giuro, NOI SIAMO INFINITO.
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Stephen Chbosky (The Perks of Being a Wallflower)
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«Sai cosa infastidirebbe Mason un casino?» sussurrò il quarterback all’orecchio di Gabe. «Se tu ora mi baciassi.»
In un’altra vita Gabe si sarebbe comportato diversamente. Magari avrebbe riso in faccia a Zeke, dicendogli che lui valeva di più di uno stupido quarterback sotto steroidi. O magari avrebbe sfoderato un sorriso seducente, ammaliante.
Invece il quel momento, stretto in un abito luccicante, con il culo a ghiacciarsi su un gradino di marmo e davanti allo sguardo incattivito del coglione più coglione del pianeta, Gabe riuscì solo a sgranare gli occhi come un cervo investito dai fari di un camion.
Zeke posò le labbra sulle sue, accarezzandole con lentezza e forzandole delicatamente con la lingua. Da qualche parte una ciotola di caramelle cadde a terra, e Gabe rabbrividì per la delicata presa delle mani ghiacciate di Zeke sul suo collo. Il suo alito sapeva di caramella alla frutta e per qualche motivo gli parve il sapore più buono che avesse mai assaggiato.
Quando infine Zeke si staccò da lui, con un mezzo sorrisino sulle labbra e il fiato corto, dall’altra parte della strada era rimasta una bottiglia di birra solitaria.
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Susan Moretto (Principessina)
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La cosa migliore di quel museo era però che tutto stava sempre allo stesso posto. Nessuno si muoveva. Potevi andarci centomila volte, e quell'esquimese aveva sempre appena finito di prendere quei due pesci, gli uccelli stavano ancora andando verso il sud, i cervi stavano ancora abbeverandosi a quella fonte, con le loro belle corna e le belle, esili zampe, e quella squaw col petto nudo stava ancora tessendo la stessa coperta. Nessuno era mai diverso. L'unico a essere diverso eri tu. Non è che fossi molto più grande né niente di simile. Non era proprio questo. Era solo che eri diverso, ecco tutto. Stavolta avevi addosso il soprabito, magari. Oppure il bambino che era stato vicino a te l'ultima volta si era preso la scarlattina e ora avevi un altro compagno. Oppure non era la signorina Aigletinger ad accompagnare la scolaresca ma una supplente. Oppure avevi sentito papà e mamma che litigavano come due forsennati nella stanza da bagno. O per la strada eri appena passato vicino a una di quelle pozzanghere dove la benzina fa l'arcobaleno. Voglio dire, eri diverso, per una ragione o per l'altra – non so spiegare quello che ho in mente. E anche se sapessi farlo, non sono sicuro che ne avrei voglia.
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J.D. Salinger
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Le passioni umane sono una cosa molto misteriosa e per i bambini le cose non stanno diversamente che per i grandi. Coloro che ne vengono colpiti non le sanno spiegare, e coloro che non hanno mai provato nulla di simile non le possono comprendere. Ci sono persone che mettono in gioco la loro esistenza per raggiungere la vetta di una montagna. A nessuno, neppure a se stessi, potrebbero realmente spiegare perché lo fanno. Altri si rovinano per conquistare il cuore di una persona che non ne vuole sapere di loro. E altri ancora vanno in rovina perché non sanno resistere ai piaceri della gola, o a quelli della bottiglia. Alcuni buttano tutti i loro beni nel gioco, oppure sacrificano ogni cosa per un'idea fissa, che mai potrà diventare realtà. Altri credono di poter essere felici soltanto in un luogo diverso da quello dove si trovano e così passano la vita girando il mondo. E altri ancora non trovano pace fino a quando non hanno ottenuto il potere. Insomma, ci sono tante e diverse passioni, quante e diverse sono le persone.
Per Bastiano Baldassarre Bucci la passione erano i libri.
Chi non ha mai passato interi pomeriggi con le orecchie in fiamme e i capelli ritti in testa chino su un libro, dimenticando tutto il resto del mondo intorno a sé, senza più accorgersi di aver fame o freddo;
chi non ha mai letto sotto le coperte, al debole bagliore di una minuscola lampadina tascabile, perché altrimenti il papà o la mamma o qualche altra persona si sarebbero preoccupati di spegnere il lume per la buona ragione ch'era ora di dormire, dal momento che l'indomani mattina bisognava alzarsi presto;
chi non ha mai versato, apertamente o in segreto, amare lacrime perché una storia meravigliosa era finita ed era venuto il momento di dire addio a tanti personaggi con i quali si erano vissute tante straordinarie avventure, a creature che si era imparato ad amare e ammirare, per le quali si era temuto e sperato e senza le quali d'improvviso la vita pareva così vuota e priva di interesse; chi non conosce questo per sua personale esperienza, costui molto probabilmente non potrà comprendere ciò che fece allora Bastiano.
Fissava il titolo del libro e si sentiva percorrere da vampate di caldo e di freddo. Questo, ecco, proprio questo era ciò che lui aveva sognato tanto spesso e che sempre aveva desiderato da quando era caduto in preda alla sua passione: una storia che non dovesse mai aver fine. Il libro di tutti i libri.
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Michael Ende (The Neverending Story)
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In Austria il patriottismo era un argomento tutto particolare. A differenza della Germania, dove i bambini imparavano semplicemente a disprezzare le guerre dei bambini austriaci, e si insegnava loro che i bambini francesi sono i nipoti di fiacchi libertini che, fossero anche in mille, se la danno a gambe non appena incontrano un soldato tedesco della milizia territoriale dotato di una folta barba. E, scambiati i ruoli e apportate le opportune modifiche, si insegnavano esattamente le stesse cose ai bambini francesi, russi e inglesi, che vantavano anche loro parecchie vittorie. Ora, i bambini sono dei fanfaroni, amano giocare a guardie e ladri e, qualora ne facciano parte, sono sempre pronti a ritenere la famiglia Y, residente nella grande via X, la più importante famiglia del mondo. È dunque facile conquistarli al patriottismo. In Austria invece la faccenda era un po’ più complicata. Gli austriaci infatti avevano sì vinto tutte le guerre della loro storia, ma dopo la maggior parte di esse avevano dovuto cedere qualche territorio. Una circostanza, questa, che induce alla riflessione, e Ulrich, nel suo componimento sull’amor di patria, scrisse che un vero patriota non deve mai reputare la propria patria la migliore di tutte; anzi, in un lampo di genio che gli parve particolarmente bello, benché fosse piuttosto abbagliato dal suo splendore che non consapevole del suo effettivo contenuto, a quella frase sospetta ne aveva aggiunta un’altra, e cioè che probabilmente anche Dio preferisce parlare del suo mondo al conjunctivus potentialis (hic dixerit quispiam qui si potrebbe obiettare…), perché Dio crea il mondo e intanto pensa che esso potrebbe benissimo essere diverso. Di questa frase era molto fiero, ma forse nel formularla non si era spiegato bene, perché ne era nata una gran confusione, e per poco non lo avevano espulso dalla scuola, anche se poi non fu preso alcun provvedimento, nell’impossibilità di decidere se quell’audace osservazione fosse un oltraggio alla patria o a Dio
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Robert Musil (The Man Without Qualities)
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Esistono - di uno stesso testo - letture fatte per dovere, letture che registrano e sezionano, letture che sentono un fruscio di suoni mai uditi, che contano piccoli pronomi grigi per diletto o per istruzione e per un certo tempo non odono né oro né mele. Ci sono letture personali, che cercano di afferrare significati personali, io sono piena d'amore, o di disgusto, o di paura, e vado in cerca di amore, o disgusto, o paura. Ci sono - credetemi - letture impersonali - in cui l'occhio della mente vede le righe muoversi in avanti e l'orecchio della mente le sente cantare e cantare.
Di tanto in tanto ci sono letture che fanno rizzare e tremare i peli sul collo, il nostro vello inesistente, quando ogni parola brucia e splende aspra e chiara e infinita ed esatta, come pietre di fuoco, come stelle puntiformi nel buio - letture in cui la consapevolezza che conosceremo ciò che è scritto in maniera diversa o migliore o soddisfacente, precorre qualsiasi capacità di dire ciò che sappiamo, o come lo sappiamo. In tali letture, la sensazione che il testo sia interamente nuovo, mai visto prima, è seguita, quasi immediatamente, dalla sensazione che sia sempre stato là, che noi lettori sapevamo che c'era, e abbiamo sempre saputo che era così com'era, benché ora per la prima volta abbiamo riconosciuto, diventandone pienamente consapevoli, la nostra conoscenza.
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A.S. Byatt
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Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quello che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.
Così per noi anche l'ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso del pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell'offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. E' stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti; e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.
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Primo Levi
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EDIPO - Non venirmi più a dire che non ho fatto ciò che era meglio, non darmi più consigli. Io non so con quali occhi, vedendo, avrei guardato mio padre, una volta disceso nell'Ade, o la misera madre: verso entrambi ho commesso atti, per cui non sarebbe bastato impiccarmi. O forse potevo desiderare la vista dei figli, nati come nacquero? No davvero, mai, per i miei occhi; e neppure la città, né le mura, né le sacre immagini degli dèi: di tutto ciò io sventuratissimo, l'uomo più illustre fra i Tebani, privai me stesso, proclamando che tutti scacciassero l'empio, l'individuo rivelato agli dèi impuro e figlio di Laio. Dopo avere denunziato così la mia infamia, dovevo guardare a fronte alta questi cittadini? No, affatto: anzi, se fosse stato possibile otturare nelle mie orecchie anche la fonte dell'udito, non avrei esitato a sbarrare del tutto questo misero corpo, così da essere sordo, oltre che cieco. È dolce per l'animo dimorare fuori dai mali. Ahi, Citerone, perché mi accogliesti? Perché, dopo avermi preso, non mi uccidesti subito, così che io non rivelassi mai agli uomini da chi sono nato? O Polibo e Corinto, e voi, che credevo antiche dimore degli avi, quale bellezza colma di male nutrivate in me: ora scopro d'essere uno sventurato, nato da sventurati! O tre strade e nascosta vallata, o querceto e gola alla convergenza delle tre vie, che beveste il sangue di mio padre, il mio, dalle mie stesse mani versato, vi ricordate di me? Quali delitti commisi presso di voi, e quali altri poi, giunto qui, ancora commisi! O nozze, voi mi generaste: e dopo avermi generato suscitaste ancora lo stesso seme, e mostraste padri, fratelli, figli, tutti dello stesso sangue; e spose insieme mogli e madri, e ogni cosa più turpe che esiste fra gli uomini. Ma, poiché ciò che non è bello fare non bisogna neppure dire, nascondetemi al più presto, per gli dèi, via di qui, o uccidetemi, o precipitatemi in mare, dove non mi vedrete mai più. Venite, non disdegnate di toccare un infelice; datemi ascolto, non temete: i miei mali nessun altro mortale può portarli, tranne me.
Sofocle, Edipo Re [Esodo]
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Sophocles (Oedipus Rex (The Theban Plays, #1))
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Sentire di non aver fatto abbastanza per evitare ciò che comunque non è possibile evitare, avere per un minuto, all'improvviso, la sensazione che non sia accaduto niente, che si può aspettare anche chi non può tornare, che si possa fare soltanto questo: aspettare, nelle stanze rimaste vuote, intoccabili, congelate, fino a che piomba in un'ora del pomeriggio tutto insieme il peso dell'assenza - devastante, lugubre, senza speranza - o dentro notti infinite, tormentate e nere come questo inchiostro, fino a che con ogni atomo di noi, a una profondità che ci toglie il respiro, sentiamo l'irrimediabile, e che tutto questo è reale, reale come la vita che continua, mentre di un uomo si è costretti a dire era, è scomparso - e una parte di noi con lui.
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Paolo Di Paolo (Mandami tanta vita)
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Era o noapte minunată, cum numai în tinereţe pot fi nopţile, iubite cititorule. Bolta înstelată era atât de luminoasă, încât, privind-o, te întrebai fără să vrei: cum e cu putinţă oare, ca sub firmamentul acesta de vrajă să mai existe şi oameni posomorâţi ori cu toane? E foarte tinerească, desigur, şi această întrebare, iubite cititorule, deie Domnul ca ea să-ţi însenineze cât mai des sufletul! Alunecând însă cu gândul la feluriţi oameni îmbufnaţi şi cu toane, mi-am amintit şi de starea mea sufletească în tot cursul acelei zile. Un sentiment ciudat de înstrăinare puse pe nesimţite stăpânire pe mine, chiar din zori. Încercam senzaţia penibilă a omului însingurat care deodată se simte părăsit şi uitat de toţi. Oricine este în drept, fireşte, să mă întrebe: dar cine erau aceşti „toţi"? de vreme ce, în cei opt ani de când locuiesc aici, la Petersburg, n-am reuşit să leg aproape nici o cunoştinţă. Şi ce rost ar avea, la ce mi-ar folosi de fapt asemenea cunoştinţe, când, fără să fi cunoscut pe cineva direct, am ajuns să cunosc aproape tot Petersburgul! De aceea am şi avut impresia că mă pără¬sesc toţi, când oraşul întreg s-a ridicat deodată cu tot calabalâcul, pornind într-un exod grăbit spre localităţile de vilegiatură din împrejurimile capitalei. Îngrozit la gândul că rămân singur, am hoinărit trei zile la rând pe străzi, pradă unei tristeţi cople¬şitoare şi fără a izbuti să-mi dau seama de ceea ce se petrece cu mine. Fie că mergeam pe Bulevardul Nevski, fie că străbăteam parcul sau rătăceam de-a lungul cheiului — nu mai întâlneam acum nici un chip cunoscut, nici unul din oamenii aceia cu care mă obişnuisem a da ochii în cutare loc, la cutare oră, ani de-a rândul. Ei nu mă cunoscuseră, desigur, dar eu îi cunoşteam... Îi cunoşteam de aproape, căci le studiasem atât de bine chipurile, încât am ajuns să le admir când sunt voioase şi mă simt tare abătut când le văd întunecate. Am ajuns chiar să leg un fel de prietenie cu un bătrânel, pe care, nu e zi de la Dumnezeu, să nu-l întâlnesc, la aceeaşi oră, pe Fontanka. Are o înfăţişare atât de gravă şi e atât de cufundat în gânduri! Tot timpul mormăie ceva pe sub nas, gesticulează cu mâna stângă, iar în dreapta ţine un baston lung, noduros, cu măciulia aurită. Chiar şi el m-a observat şi manifestă faţă de mine o simpatie sinceră. Sunt convins că, dacă s-ar întâmpla să nu fiu la ora obişnuită şi pe locul ştiut de pe Fontanka, l-ar cuprinde ipohondria. Iată de ce câteodată aproape că ne şi salutăm, mai ales când amândoi suntem în bună dispoziţie. Mai deunăzi, după ce nu ne văzusem două zile la rând, întâlnindu-ne a treia zi, printr-o pornire spontană, duserăm involuntar mâinile la pălărie; ne oprirăm totuşi la timp, stăpânindu-ne gestul şi trecurăm cu simpatie unul pe lângă celălalt. La fel de bine îmi sunt cunoscute şi casele. Când trec pe stradă, fiecare parcă m-ar întâmpina cu aerul că vrea să-mi iasă în cale, mă priveşte cu toate ferestrele şi doar că nu-mi spune: „Bună ziua! Cum vă mai simţiţi? Cât despre mine, mulţumesc lui Dumnezeu, sunt bine sănătoasă, iar pe la începutul lunii am să mai capăt un etaj"; sau: „Cum o duceţi cu sănătatea? Eu de mâine intru în reparaţie" (...) Sau, n-am să uit niciodată întâmplarea cu o căsuţă foarte drăguţă, de culoare roz-pal. Era o căsuţă de zid, zveltă şi cochetă, şi mă privea cu atâta prietenie, iar la vecinele ei grosolane şi greoaie se uita atât de semeaţă, încât inima-mi tresaltă de bucurie ori de câte ori mi se întâmpla să trec pe lângă ea. Dar săptămâna trecută, având drum pe acea stradă şi aruncându-mi privirea spre prietena mea, o auzii căinându-se amarnic: „Priveşte, mă vopsesc în galben !" Mizerabilii! Nu-i cruţaseră nici coloanele, nici cornişele. Prietena mea se îngălbenise ca un canar. De supărare, simţii în gură gust de fiere şi nici până acum nu mi-am găsit puteri destule ca să mai dau ochi cu sărmana mea prietenă. (...)Aşadar, cititorule cred că înţelegi cam în cel fel cunosc eu tot oraşul Petersburg. youtubecom/watch?v=Fa5EVxyS7QM&
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Fyodor Dostoevsky (White Nights)
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«Scusa Sasha, ma non avevo previsto di tornare così tardi.» Dima cercò di farsi perdonare per non essere rientrato a effettuare i lavori alla fattoria.
«Ragazzo, lo sai che sto lavorando nei boschi in questi giorni. Il lavoro di taglialegna mi porta via molto tempo, gli alberi devono essere preparati per l’inverno. Puoi trascorrere la notte da Irina tutte le volte che vuoi, ma la mattina devi essere qui, puntuale per la mungitura» lo rimproverò Sasha con severità, alzandosi dalla seggiola che lo ospitava mentre strizzava con vigore le mammelle dell’ultima vacca.
Dima fece cenno affermativo con il capo, anche se Sasha era visibilmente infastidito dal suo comportamento lui non riusciva a non essere felice, i suoi occhi verdi brillavano come due gemme e il fratello lo notò subito.
«Hai fatto pace con la nostra Irina, eh?» chiese sorridendo, mostrando uno sguardo malizioso e sfacciato che lasciava poco da intendere.
Dima si limitò a fissarlo senza ribattere.
«Tutto tranquillo alla collina?» lo sollecitò Sasha, inarcando un sopracciglio.
«Sì, certo» rispose lui troppo velocemente.
«Mi sono perso qualcosa?» insisté di nuovo Sasha.
Dmitrij brontolò perché non si era aspettato che il fratello capisse subito che era successo qualcosa durante la notte. «Non ho fatto niente!» protestò di rimando, roso dal senso di colpa per essere così chiaramente leggibile agli occhi degli altri.
«Può anche darsi…» Il fratello maggiore scrutò Dima negli occhi. «In tal caso, peggio per te» concluse con ironia, ostentando un sorriso arrogante.
«Ma che stai dicendo?»
«Ti conosco da quando ciucciavi le tette di mamma, pensi di potermi nascondere qualcosa?» affermò Sasha abbandonando completamente il lavoro. Si alzò e una volta vicino al fratello lo afferrò per le spalle e lo strattonò con vigore. «Sarebbe anche ora!» brontolò mentre sfiorava la fronte del fratello minore con la sua.
Dima si liberò da quella morsa e lo sfidò: «Anche se fosse non è affar tuo, mi pare».
«Ah, tu dici? Irina è come una di famiglia e se finalmente vi siete decisi a smettere di essere scemi e a fidarvi l’uno dell’altra, io non posso che esserne felice. Ho sempre fatto il tifo per voi due!»
Dima scoppiò a ridere. Quell’energumeno sempre gelido con tutti aveva tutto sommato un cuore caldo. Sasha era un uomo rude e di poche parole, con pochi amici, ma buoni. Era stato per lui un secondo padre più che un fratello e non si aspettava una dichiarazione così diretta.
«Questa notte è stata la più bella di tutta la mia vita. E ce ne saranno ancora!» confessò Dima, stampandosi un sorriso luminoso sull’ovale del viso.
«Certo, sei mio fratello, non puoi aver fatto cilecca!» commentò Sasha, ridendo in modo sguaiato e mostrando così non solo i denti, ma anche le tonsille.
«Ben detto, sono andato dritto all'obbiettivo!»
Risero entrambi.
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Eilan Moon (Teufel, il Diavolo)
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Cred ca era ora unu noaptea cand m-am trezit pe strada.
Era o noapte clara, linistita si geroasa. Aproape ca alergam, ma grabeam tare, dar nu ma duceam acasa. "De ce m-as duce acasa? Oare acum pot avea casa? In casa se traieste, maine m-as trezi ca sa traiesc, dar oare asta e posibil acum?
Viata s-a sfarsit, nu mai pot trai". Asa am ratacit pe strazi, nestiind unde merg si nici nu stiu daca voiam sa ajung undeva. "Acum, nicio actiune, mi se parea in acel moment, nu poate avea vreun scop." Si lucru ciudat : mi se parea ca in jurul meu toate, chiar si aerul pe care-l respiram, era de pe alta planeta, de parca brusc nimerisem pe luna. Toate - orasul, trecatorii, trotoarul pe care fugeam, toate nu mai erau ale mele. "Uite, aici e Piata Palatului, aici - Catedrala Sfantului Isac, imi trecu prin minte,dar acum nu mai am nicio legatura cu ele; totul pare ca s-a instrainat, nimic nu mai este al meu. O am pe mama, pe Liza - dar ce importanta are, ce sa fac eu acum cu mama si cu Liza? Totul s-a sfarsit, totul s-a sfarsit deodata, in afara unui singur lucru : sunt un hot, pe vecie.
"Cum sa dovedesc ca nu sunt hot ? Oare mai pot s-o fac acum? Sa plec in America? Si ce-as dovedi cu asta? Versilov va fi primul care va crede ca am furat ! << Ideea >> ? Care << idee >> ? Ce mai inseamna acum << ideea >> ? Peste cincizeci de ani, peste o suta de ani, cand voi trece, mereu se va gandi un om care, aratand spre minr, va spune : Uite, asta e un hot. Si-a inceput << ideea >> furand ..."
Simteam oare ranchiuna? Nu stiu, poate ca da. Straniu, totdeauna, poate ca inca din frageda copilarie, am avut aceasta trasatura de caracter : daca mi se facea un rau, daca duceau acest rau pana la limita sau ma jigneau insuportabil, totdeauna aparea dorinta de neatins de a ma supune pasiv jignirii si chiar de a implini dinainte dorintele celui care ma jignea : "Poftim, daca voi m-ati umilit, eu ma umilesc si mai abitir, uitati-va, admirati !
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Fyodor Dostoevsky
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- Scusami, Brian, non sto ridendo per quello che mi hai detto, sono stupita che tu l’abbia fatto davvero, ma non sconvolta. Penso che Hale ti piaccia sul serio e, da quello che mi hai raccontato, forse anche lui prova qualcosa, e il fatto che siate due uomini vi trattiene dal lasciarvi andare. Ora so perché non accettavi mai gli appuntamenti che ti fissavo, evidentemente non eri abbastanza interessato alle ragazze. Con questo non voglio dire che tu sia gay, questo lo puoi sapere solo tu, ma non è così importante, Brian, se lo sei o no. Credo solo che Hale ti abbia colpito e, al di là del suo aspetto fisico, deve esserci qualcosa che ti ha fatto innamorare di lui - parlava con dolcezza, ma quell’ultima parola colpì Brian come un pugno in pieno stomaco.
- Innamorato? Tu credi che sia innamorato di lui? Ti sbagli, si tratta solo di attrazione fisica, una pazzesca attrazione, ma niente di più! Quello stronzo non fa che stuzzicarmi, e non sono fatto di ferro, cazzo! - stava andando in iperventilazione, ed Hellen se ne accorse.
- BRIAN! Calmati, non c’è niente di male a innamorarsi di una persona dello stesso sesso, diciamo che ti sei scelto una bella gatta da pelare, in un solo giorno mi ha fatto impazzire. Ma se pensi che ne valga la pena, combatti e smettila di torturarti, non si può decidere di chi innamorarsi. Perché non provi ad addomesticarlo un po’, invece? - Hellen rise dolcemente, e Brian sentì le sue viscere attorcigliarsi.
- Non posso essere innamorato di lui, non di Hale! Tra tutte le persone di questo mondo, non lui! - peccato che il suo cuore impazzito tradisse le sue parole
Era così? Era davvero innamorato di Hale? Chiuse gli occhi e il sorriso malizioso di Hale, il suo corpo peccaminoso, il suo cipiglio, tutto quello che riguardava Hale gli faceva venire le farfalle nello stomaco e battere il cuore. Era la cosa più terribile che potesse succedere, doveva solo stare attento a non farlo capire a Hale, o lo avrebbe preso per il culo senza pietà
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Andrea Grady (Hale (Italian Edition))
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Dove non era riuscito a suo tempo mio padre, riuscì ora il tormento d’amore. Mi dedicai all’arte del bere. Per la mia vita e la mia indole questo avvenimento fu senza dubbio il più importante di tutti quelli narrati finora. Il Dio forte e dolce mi divenne fedele amico e lo è ancora oggi. Chi altrettanto potente? Chi ugualmente bello, fantastico, entusiasta, lieto e malinconico? E’ eroe e mago, seduttore e fratello d’amore. Può l’impossibile; riempe i miseri cuori umani di stuèpendi, bizzarri poemi. Ha trasformato me, eremita e contadino, in re, poeta e saggio. Carica di nuovi destini navi di esistenze divenute ormai vuote e risospinge naufraghi nell’impetuosa corrente della grande vita. Così è il vino. E’ simile a tutti i doni preziosi, a tutte le cose artistiche. Vuole essere amato, ricercato, compreso e conquistato a fatica. Non molti vi riescono, migliaia ne vengono annientati. Li fa invecchiare, li uccide o spegne in loro la fiamma dello spirito. Egli invita invece i suoi prediletti a delle feste e costruisce loro ponti iridescenti verso isole felici. Pone loro, quando sono stanchi, un guanciale sotto il capo e li circonda, quando cadono preda della malinconia, in un abbraccio dolce ed affettuoso, come un amico o una madre consolatrice. Trasforma la nostra esistenza disordinata in un grande mito e suona su un’arpa imponente l’inno della creazione. A volte è un bambino, con lunghi riccioli di seta, le spalle esili e le membra delicate. Si stringe al tuo cuore e allunga il visetto smunto in cerca del tuo, osservandoti stupito e fuori dalla realtà con quei suoi cari occhi spalancati, nelle cui profondità ondeggia umido e luminoso un ricordo del paradiso terrestre e della mai dimenticata discendenza divina, simile a una sorgente sgorgata nella foresta.
Questa è la storia della mia gioventù. Se ci ripenso, mi sembra che sia stata breve come una notte d'estate.
E perché il Dio incomprensibile mi aveva insinuato nel cuore quel bruciante desiderio d'amore, quando la vita mi aveva già destinato ad essere solitario e poco amato?
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Hermann Hesse
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Aveva dell’amicizia, come del resto di parecchi altri sentimenti, un ideale che in questo caso non le sembrava - ma anche in altri casi non le era sembrato - che la presente amicizia esprimesse a pieno. Ma sovente rammentava a se stessa che esistono ragioni essenziali per cui gli ideali non riescono mai a concretizzarsi.
Negl’ideali bisogna credere senza vederli; è questione di fede, non di esperienza. Tuttavia l’esperienza può fornircene imitazioni molto attendibili ed è saggio far loro buon viso. Il fatto è che in complesso Isabel non aveva mai incontrato un personaggio più simpatico e interessante di Madame Merle; non aveva mai conosciuto una persona che fosse priva come lei di quel difetto che forma l’ostacolo principale all’amicizia: quel riprodurre i lati più tediosi, stantii e troppo conosciuti del proprio carattere. La ragazza non aveva mai spalancato così le porte della sua confidenza; alla sua amabile ascoltatrice diceva cose che non aveva ancora mai detto ad alcuno. Talvolta si allarmava del suo candore: era come se avesse dato ad una persona quasi sconosciuta la chiave del suo cofanetto di gioielli. Queste gemme spirituali erano gli unici gioielli di qualche grandezza che Isabel possedeva, ragione di più per custodirli con ogni cura. Ma poi, sempre le tornava in mente che non ci si deve rammaricare per un generoso errore, e che se Madame Merle non aveva i pregi che essa le attribuiva, tanto peggio per Madame Merle. Non c’era dubbio che avesse grandi pregi: era attraente, simpatica, intelligente, colta. Più che questo (perché Isabel non aveva avuto la sfortuna di attraversare la vita senza incontrare numerose persone del suo sesso delle quali non si poteva onestamente dire di meno), era una donna rara, superiore, straordinaria. C’è tanta gente amabile nel mondo, e Madame Merle era lungi dall’avere un carattere volgarmente allegro, dal fare la spiritosa senza requie. Sapeva come si fa a pensare, dote rara nelle donne; e aveva pensato con molto costrutto. Naturalmente, sapeva anche come si fa a provare sentimenti: Isabel non avrebbe potuto passare una settimana con lei senza acquistarne la certezza. Questa era proprio la grande dote di Madame Merle, il suo dono più perfetto. La vita aveva lasciato il suo segno su di lei; ella ne aveva sentito tutta la forza, e faceva parte del godimento che dava la sua compagnia il fatto che, quando la ragazza parlava di ciò che si compiaceva di chiamare questioni serie, questa signora la comprendeva con facilità e subito. Le emozioni, questo è vero, oramai per lei appartenevano quasi alla storia; ella non faceva un segreto del fatto che la fonte della passione, per essere stata spillata con discreta violenza in un certo periodo, non scorreva più liberamente come un tempo. Per di più si proponeva, e insieme si aspettava, di diventare insensibile; ammetteva tranquillamente di essere stata un po’ pazza un giorno, ed ora ostentava di essere perfettamente savia.
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Henry James (The Portrait of a Lady)