Ed Hess Quotes

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Non è il nostro compito quello di avvicinarci, così come non si avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra méta non è di trasformarci l'uno nell'altro, ma di conoscerci l'un l'altro e d'imparar a vedere ed a rispettare nell'altro ciò ch'egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.
Hermann Hesse (Hermann Hesse: "Narziss und Goldmund". (Königs Erläuterungen und Materialien, Bd. 86))
Non fa nessuna differenza, salvo un piccolo particolare, che per me ad ogni modo è di massima importanza. Che io senta la vita guizzare in me, sia essa sulla lingua o nelle suole, sia nella voluttà o sia nel tormento, che la mia anima sia mobile e possa insinuarsi con cento giuochi della fantasia in cento forme, in parroci e viandanti, in cuoche e assassini, in fanciulli e animali, in particolare in uccelli ed anche in alberi, questo è essenziale, questo voglio e di questo ho bisogno per vivere, e se un giorno tutto questo non dovesse più essere, se la mia vita dovesse essere inquadrata nella cosidetta “realtà”, allora preferirei morire.
Hermann Hesse (Knulp)
Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell’acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddharta, quando ha una meta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sè, poichè egli non conserva nulla nell’anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta. Questo è ciò che Siddharta ha imparato dai Samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credono che sia opera dei demoni. Ognuno può compiere opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare [...]
Hermann Hesse (Siddhartha)
AH, eppure tutta questa vita aveva un senso soltanto se l'uno e l'altro scopo si potevano raggiungere, se non c'era questa scissine provocata da un arido aut aut! Creare, ma non a prezzo della vita! Vivere, ma senza rinunciare alla nobiltà della creazione! [...] Pareva che tutta l'esistenza fosse basata sulla duplicità, sul contrasto: donna o uomo, vagabondo o borghesuccio, uomo d'intelletto o di sentimento; aspirare ed espirare insieme, essere uomo e donna, conciliare libertà ed ordine, istinto e spirito, non era possibile; bisognava sempre pagare l'una cosa con la perdita dell'altra e sempre l'una era altrettanto importante e desiderabile quanto l'altra.
Hermann Hesse (Narcissus and Goldmund)
Dove non era riuscito a suo tempo mio padre, riuscì ora il tormento d’amore. Mi dedicai all’arte del bere. Per la mia vita e la mia indole questo avvenimento fu senza dubbio il più importante di tutti quelli narrati finora. Il Dio forte e dolce mi divenne fedele amico e lo è ancora oggi. Chi altrettanto potente? Chi ugualmente bello, fantastico, entusiasta, lieto e malinconico? E’ eroe e mago, seduttore e fratello d’amore. Può l’impossibile; riempe i miseri cuori umani di stuèpendi, bizzarri poemi. Ha trasformato me, eremita e contadino, in re, poeta e saggio. Carica di nuovi destini navi di esistenze divenute ormai vuote e risospinge naufraghi nell’impetuosa corrente della grande vita. Così è il vino. E’ simile a tutti i doni preziosi, a tutte le cose artistiche. Vuole essere amato, ricercato, compreso e conquistato a fatica. Non molti vi riescono, migliaia ne vengono annientati. Li fa invecchiare, li uccide o spegne in loro la fiamma dello spirito. Egli invita invece i suoi prediletti a delle feste e costruisce loro ponti iridescenti verso isole felici. Pone loro, quando sono stanchi, un guanciale sotto il capo e li circonda, quando cadono preda della malinconia, in un abbraccio dolce ed affettuoso, come un amico o una madre consolatrice. Trasforma la nostra esistenza disordinata in un grande mito e suona su un’arpa imponente l’inno della creazione. A volte è un bambino, con lunghi riccioli di seta, le spalle esili e le membra delicate. Si stringe al tuo cuore e allunga il visetto smunto in cerca del tuo, osservandoti stupito e fuori dalla realtà con quei suoi cari occhi spalancati, nelle cui profondità ondeggia umido e luminoso un ricordo del paradiso terrestre e della mai dimenticata discendenza divina, simile a una sorgente sgorgata nella foresta. Questa è la storia della mia gioventù. Se ci ripenso, mi sembra che sia stata breve come una notte d'estate. E perché il Dio incomprensibile mi aveva insinuato nel cuore quel bruciante desiderio d'amore, quando la vita mi aveva già destinato ad essere solitario e poco amato?
Hermann Hesse
Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi – e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento. Una meta, una sola, si proponeva Siddhartha: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a se stesso, non essere più «Io», trovare la pace con il cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta. Quando ogni residuo dell’Io fosse superato ed estinto, quando ogni brama e ogni impulso tacesse nel cuore, si sarebbe destata allora l’ultima essenza, lo strato più profondo dell’essere, quello che non è più Io: il grande mistero.
Hermann Hesse (Siddhartha)
E' sempre stranamente toccante vedere come la nebbia separi tutto ciò che è vicino o apparentemente affine, come avvolga e racchiuda ogni figura, rendendola ineluttabilmente sola. Incroci un uomo, sulla strada maestra; ha con sé una mucca p una capra o spinge un carro e porta una fascina, e dietro a lui trotta, scodinzolando, il suo cane. Lo vedi avvicinarsi e lo saluti, e lui risponde al saluto; non appena è passato e ti giri a guardarlo, lo vedi già farsi indistinto e scomparire nel grigio, senza lasciar tracce. Non diversamente accade per case, recinzioni, alberi e vigneti. Credevi di conoscere tutti i dintorni a memoria e ora sei particolarmente stupito da quanto quel muro dista dalla strada, da quanto è alto quest'alberto e bassa quella casa. Capanne che credevi vicinissime sono così distanti l'una dall'altra che, dalla soglia dell'una , lo sguardo non riesce a raggiungere l'altra. E, vicinissimi, senti bestie e animali che non riesci a vedere, che si muovono e lavorano ed emettono richiami. Tutto ciò ha qualcosa di fiabesco, ignoto, trasognato, e per qualche istante avverti con spaventosa chiarezza il suo contenuto simbolico. Come, in fondo, tutte le cose e tutti gli uomini siano sempre, gli uni rispetto agli altri, chiunque essi siano, degli sconosciuti, inesorabilmente, e come le nostre strade si incrocino sempre per pochi passi e istanti, conquistando la fugace parvenza della comunione, della vicinanza e dell'amicizia.
Hermann Hesse (Pellegrinaggio d'autunno)
A ogni passo del suo cammino Siddharta imparava qualcosa di nuovo, poiché il mondo era trasformato e il suo cuore ammaliato. Vedeva il sole sorgere sopra i monti boscosi e tramontare oltre le lontane spiagge popolate di palme. Di notte vedeva ordinarsi in cielo le stelle, e la falce della luna galleggiare come una nave nell'azzurro. Vedeva alberi, stelle, animali, nuvole, arcobaleni, rocce, erbe, fiori, ruscelli e fiumi; vedeva la rugiada luccicare nei cespugli al mattino, alti monti azzurri e diafani nella lontananza; gli uccelli cantavano e le api ronzavano, il vento vibrava argentino nelle risaie. Tutto questo era sempre esistito nei suoi mille aspetti variopinti, sempre erano sorti il sole e la luna, sempre avevano scrosciato i torrenti e ronzato le api, ma nel passato tutto ciò non era stato per Siddharta che un velo effimero e menzognero calato davanti ai suoi occhi, considerato con diffidenza e destinato a essere trapassato e dissolto dal pensiero, poiché non era realtà: la realtà era al di là delle cose visibili. Ma ora il suo occhio liberato s'indugiava al di qua, vedeva e riconosceva le cose visibili, cercava la sua patria in questo mondo, non cercava la " Realtà ", né aspirava ad alcun al di là. Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andar così per il mondo e sentirsi cosi bambino, così risvegliato, così aperto all'immediatezza delle cose, così fiducioso. Diverso era ora l'ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l'acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia. Siddharta vedeva un popolo di scimmie agitarsi su tra i rami nell'alta volta del bosco e ne udiva lo strepito selvaggio e ingordo. Siddharta vedeva un montone inseguire una pecora e congiungersi con lei. Tra le canne di una palude vedeva il luccio cacciare affannato verso sera: davanti a lui i pesciolini sciamavano a frotte rapidamente, guizzando e balenando fuor d'acqua impauriti; un'incalzante e appassionata energia si sprigionava dai cerchi precipitosi che l'impetuoso cacciatore tracciava nell'acqua. Tutto ciò era sempre stato, ed egli non l'aveva mai visto: non vi aveva partecipato. Ma ora sì, vi partecipava e vi apparteneva. Luce e ombra attraversavano la sua vista, le stelle e la luna gli attraversavano il cuore.
Hermann Hesse (Siddhartha)
Poiché il mondo è così pieno di morte e d'orrore, io cerco continuamente di confortare il mio cuore e di cogliere i bei fiori che sbocciano in mezzo a questo inferno. Trovo piacere e dimentico per un'ora l'orrore. Ma non per questo esso cessa d'esistere." "Hai detto molto bene. Dunque tu ti trovi nel mondo circondato di morte e d'orrore e per sfuggire ad esso cerchi il piacere. Ma il piacere non dura e ti rilascia poi nel deserto." "Si, proprio così." "Così avvenne alla maggior parte degli uomini, ma pochi lo sentono con la tua forza e con la tua veemenza, e pochi hanno il bisogno di rendersi conto di questi sentimenti... oltre a questo, non hai sperimentato qualche altra via?" "Oh sì, certo. Ho provato la via dell'arte." "Ma quale fu per il frutto, il significato dell'arte?" "Fu il superamento della caducità. Vidi che della farsa e della danza macabra della vita umana qualcosa rimaneva e durava: le opere d'arte. Certo anch'esse un giorno o l'altro passano, bruciano o si rovinano o vengono distrutte. Ma ad ogni modo durano parecchie generazioni e formano al di là del momento un quieto regno d'immagini e di cose sacre. Collaborare a questo mi pare un bene e un conforto, poiché è quasi rendere eterno ciò ch'è transitorio." "Questo mi piace molto, Boccadoro... Io credo però che con la tua definizione tu non hai esaurito ciò che vi è di meraviglioso nell'arte. Credo che l'arte non consista solo nello strappare alla morte e portare a più lunga durata, con la pietra, col legno e coi colori, qualcosa che esiste ma è mortale." "Hai ragione", esclamò Boccadoro con fervore, "non avrei creduto che tu conoscessi l'arte così a fondo! L'immagine originaria di una buona opera d'arte non è una figura reale, viva, quantunque questa possa esserne l'occasione determinante' L'immagine originaria non è carne e sangue, è spirituale. È un'immagine che ha la sua dimora nell'anima dell'artista." "Molto prima che una figura artistica diventi visibile e acquisti realtà, essa esiste come immagine nell'anima dell'artista! Questa immagine dunque, questa immagine originaria è esattamente ciò che gli antichi filosofi chiamano 'idea'". "Ebbene, .. ammetti che fra la confusione e i dolori di quel campo di battaglia che è la vita, in questa danza macabra senza fine e senza senso dell'esistenza corporea, esiste lo spirito creatore. .. Questo spirito in te non è quello di un pensatore, è quello di un artista. Ma è spirito, ed esso ti mostrerà la via per uscire dal torbido garbuglio della vita dei sensi, dalla eterna alternativa fra piacere e disperazione." In quel momento parve a Boccadoro che la sua vita avesse acquistato un senso, come se egli la guardasse dall'alto e ne vedesse chiaramente le tre grandi tappe: la dipendenza da Narciso, la liberazione - il periodo della vita libera e vagabonda - e il ritorno, il riposo, l'inizio della maturità e del raccolto. ... Ma egli aveva trovato finalmente con Narciso il rapporto che gli conveniva, non più di dipendenza, ma di libertà e di reciprocità. Poteva ormai essere ospite di quello superiore senza umiltà poiché l'altro aveva riconosciuto in lui il suo pari, il creatore.
Hermann Hesse (Narcissus and Goldmund)
Sempre più lento andava il pensieroso e si chiedeva frattanto: « Ma che è dunque ciò che avevi voluto apprendere dalle dottrine e dai maestri, e che essi, pur avendoti rivelato tante cose, non sono riusciti a insegnarti? ». Ed egli trovò: « L'Io era, ciò di cui volevo apprendere il senso e l'essenza. L'Io era, ciò di cui volevo liberarmi, ciò che volevo superare. Ma non potevo superarlo, potevo soltanto ingannarlo, potevo soltanto fuggire o nascondermi davanti a lui. In verità, nessuna cosa al mondo ha tanto occupato i miei pensieri come questo mio Io, questo enigma ch'io vivo, d'essere uno, distinto e separato da tutti gli altri, d'essere Siddharta! E su nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me, Siddharta!». Colpito da questo pensiero s'arrestò improvvisamente nel suo lento cammino meditativo, e tosto da questo pensiero ne balzò fuori un altro, che suonava: « Che io non sappia nulla di me, che Siddharta mi sia rimasto così estraneo e sconosciuto, questo dipende da una causa fondamentale, una sola: io avevo paura di me, prendevo la fuga davanti a me stesso! L'Atman cercavo, Brahma cercavo, e volevo smembrare e scortecciare il mio Io, per trovare nella sua sconosciuta profondità il nocciolo di tutte le cortecce, l'Atman, la vita, il divino, l'assoluto. Ma proprio io, intanto, andavo perduto a me stesso ». Siddharta schiuse gli occhi e si guardò intorno, un sorriso gli illuminò il volto, e un profondo sentimento, come di risveglio da lunghi sogni, lo percorse fino alla punta dei piedi. E appena si rimise in cammino, correva in fretta, come un uomo che sa quel che ha da fare. « Oh! » pensava respirando profondamente « ora Siddharta non me lo voglio più lasciar scappare! Basta! cominciare il pensiero e la mia vita con l'Atman e col dolore del mondo! Basta! uccidermi e smembrarmi, per scoprire un segreto dietro le rovine! Non sarà più lo Yoga-Veda a istruirmi, né l'Atharva-Veda, né gli asceti, né alcuna dottrina. Dal mio stesso Io voglio andare a scuola, voglio conoscermi, voglio svelare quel mistero che ha nome Siddharta ». Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo. Bello era il mondo, variopinto, raro e misterioso era il mondo! Qui era azzurro, là giallo, più oltre verde, il cielo pareva fluire lentamente come i fiumi, immobili stavano il bosco e la montagna, tutto bello, tutto enigmatico e magico, e in mezzo v'era lui, Siddharta, il risvegliato, sulla strada che conduce a se stesso. Tutto ciò, tutto questo giallo e azzurro, fiume e bosco penetrava per la prima volta attraverso la vista in Siddharta, non era più l'incantesimo di Mara, non era più il velo di Maya, non era più insensata e accidentale molteplicità del mondo delle apparenze, spregevole agli occhi del Brahmino, che, tutto dedito ai suoi profondi pensieri, scarta la molteplicità e solo dell'unità va in cerca. L'azzurro era azzurro, il fiume era fiume, e anche se nell'azzurro e nel fiume vivevan nascosti come in Siddharta l'uno e il divino, tale era appunto la natura e il senso del divino, d'esser qui giallo, là azzurro, là cielo, là bosco e qui Siddharta. Il senso e l'essenza delle cose erano non in qualche cosa oltre e dietro loro, ma nelle cose stesse, in tutto. « Come sono stato sordo e ottuso! » pensava, e camminava intanto rapidamente. «Quand'uno legge uno scritto di cui vuoi conoscere il senso, non ne disprezza i segni e le lettere, né li chiama illusione, accidente e corteccia senza valore, bensì li decifra, li studia e li ama, lettera per lettera. Io invece, io che volevo leggere il libro del mondo e il libro del mio proprio Io, ho disprezzato i segni e le lettere, a favore d'un significato congetturato in precedenza, ho chiamato illusione il mondo delle apparenze, ho chiamato il mio occhio e la mia lingua fenomeni accidentali e senza valore. No, tutto questo è finito, ora son desto, mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta.
Hermann Hesse (Siddhartha)