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Il racconto narra di una famiglia che vive l’emigrazione in terra straniera (a causa di una carestia) e il lutto. Resta un nucleo familiare povero e indifeso, composto da tre vedove: Noemi e le due nuore Orpa e Rut. Noemi, ormai sola e senza protezione, decide di ritornare al suo paese, Betlemme, ed invita le nuore a lasciarla per tornare alla casa paterna. Orpa si lascia convincere, Rut, invece, non ha esitazioni: «Non forzarmi a lasciarti e ad allontanarmi da te, perché dove tu andrai andrò anch’io… il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio il mio Dio, dove tu morirai, morirò anch’io e là sarò sepolta» (1,16-17). La miseria e la fame costringono Rut a spigolare nel campo del parente prossimo di suo suocero Elimèlech, Booz. Costui resta conquistato dall’amore e dalla generosità della donna e, con discrezione, la colma di attenzione. I due si sposano, si amano e danno alla luce un figlio, Obed. Costui dovrà incarnare la discendenza sia del marito defunto di Rut sia di Elimèlech, il marito di Noemi, restato senza eredi con la morte dei due figli. Ma il vertice del racconto è in quella nota genealogica finale ripresa da Matteo: «Obed fu il padre di Iesse, padre di Davide» (4,17). Rut, come le altre donne citate nella genealogia di Gesù secondo Matteo (Tamar, Rahab e Betsabea), ha una qualità che la rende “diversa”, è una straniera, un dato abbastanza scandaloso in una civiltà così sensibile alla purezza razziale com’è quella ebraica.
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