Di Stefano Quotes

We've searched our database for all the quotes and captions related to Di Stefano. Here they are! All 100 of them:

Don Alfredo leaves us, but his memory will last forever in our hearts. Legends never die. Thanks for everything Maestro.
Cristiano Ronaldo
La mia solitudine è dignitosa, la affronto a testa alta, ma se la guardo in faccia mi deride, mi ferisce fa ritornare tutte le solitudini del passato. E' così: ogni solitudine contiene tutte le solitudini vissute.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Ho perduto la donna che ho amato senza lottare, senza credere in me e in lei. Poco importa quello che ho imparato dopo, non conta quanto io sia cambiato, allora commisi questo delitto, il delitto di lasciarla sola.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Se deridi così le storie di chi ha sofferto, vuol dire che non hai sofferto abbastanza.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
A volte penso che dovrei mettermi a dieta, poi penso che se dimagrissi sarei sempre tesa per la paura di ingrassare, invece così sono tranquilla.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Di questi tempi è duro far gli spiritosi se non si è miliardari.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Il tuo calore è dolce mentre mi abbracci.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Ci fu una grande battaglia di idee e alla fine non ci furono né vincitori, né vinti, né idee.
Stefano Benni
Se i tempi non chiedono la tua parte migliore, inventa altri tempi
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
People argue between Pele or Maradona. Di Stéfano is the best, much more complete.
Pelé
Invento i libri e racconto di averli letti. Fingo così bene e li rigiro nel cervello così a lungo che forse a quel punto potrei anche scriverli. Ma fantasticare è piacevole, scrivere è faticoso.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Non si dovrebbe parlare di Dio. Non conosciamo la sua lingua. Possiamo soltanto ascoltare. Come l'incanto di una musica lontana, nel cuore della notte
Stefano Benni (La grammatica di Dio. Storie di solitudine e allegria)
Ci sono fiori che crescono anche sotto la neve, nelle crepe delle rovine, nelle grotte e nei deserti, e dove nessun uomo li vedrà mai.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Ascoltavo la mia prof preferita, quella di lettere. Stava spiegando che non si dice ma però, e neanche ma d'altra parte. Sono pleonasmi, allungano il discorso, e continuava a parlare, parlare e io pensavo che aveva ragione, ma però d'altra parte contemporaneamente d'altronde, per spiegarci di non farla lunga la stava facendo lunghissima, ma però non se ne accorgeva. E ci sono periodi molto maperò nella vita. Il fiume degli eventi ristagna e non si sa quale direzione prenderà, e andiamo alla deriva in acque torbide. Poi l'acqua diventa limpida, il torrente scorre, e tutto torna trasparente.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Dice che una buona idea deve essere: sconfinata come gli spazzi freddi dell'Universo e precisa come la scelta di un gelato.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Triste è l'uomo che ama le cose solo quando si allontanano.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Non tentarmi, il mio cuore è fragile Consumato, ferito. Batte A fatica per me, non può batter per due Scegli bene le parole tue Una sola e si potrebbe spezzare Non voglio più amare, ricordalo Troppo amore ho voluto sprecare Mi è caduto a terra, si è rotto Parla pure, ripara ed incolla Il mio fauno non corre, barcolla Prega le ninfe che gli stanno intorno: “Non scappate da me così in fretta” Ma le ninfe ridono e fuggono Ed è giusto. E’ la loro vendetta.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
«Non sarai mai un corpo da usare per placare il mio desiderio, Cristina. Non ti tratterò mai come tale, né ti considererò mai così. Perciò no, non lascerò che la lussuria prenda il sopravvento sui sentimenti e mi trasformi in un animale che vuole solo accoppiarsi con la sua femmina. Meriti più di questo, e io ho intenzione di essere il meglio per te.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
Se è scritto che due pesci nel mare debbano incontrarsi, non servirà al mare essere cento volte più grande. Tu hai paura perché parti per un lungo viaggio; ma il più lungo viaggio fatto dall'uomo nell'universo è meno di un soffio. Il tuo cuore batte e la terra gira per 30 km intorno al sole. La formica viaggia nell'universo del giardino. Deve arrivare al rosario, là in fondo, per portare cibo alle compagne. Non ha strumenti per conoscere la strada, una parte e va,perché questo è nella sua Natura
Stefano Benni (Terra!)
Incontrarsi e separarsi è il movimento unico e necessario con cui si traccia il nostro passaggio nel vuoto.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
«Gratis?» ha detto la mamma. È l'unica parola al mondo a cui non sa resistere. Da anni le teniamo nascosto che si muore gratis, perché sarebbe capace di suicidarsi all'istante.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Dentro un raggio di sole che entra dalla finestra, talvolta vediamo la vita nell'aria. E la chiamiamo polvere.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Sotto la cenere della mia tristezza Non troverete il freddo e il buio Ma la fiamma ardente Di una grande gioia di vivere
Stefano Benni (Prendiluna)
Don Alfredo, greatest legend of Real Madrid, always with us. I will always remember maestro.
Iker Casillas
The man who loves walking will walk further than the man who loves the destination.
Sal Di Stefano
La letteratura è una splendida arte in cui sognare è bello, e non dovremmo mai destarci a vedere quanto corra parallelo alla vita quotidiana la fantasia e e quanto sia difficile raggiungerla e rimanerci.
Stefano Giannotti (La biblioteca di sabbia)
Un guerriero può allenarsi nell'arco di una vita intera e arrivare a padroneggiare l'uso dell'arma scelta come un dio. Ma il destino potrà sempre decidere di essere un gradino al di sopra delle sue abilità. Sempre.
Stefano Mancini (Il figlio del drago (L’Era delle Guerre #2))
«Sarà…» Mia madre si alza per sparecchiare. «Ma il fatto che torni a essere quella che eri prima dell’incidente anche solo parlando di questo Stefano e di quello che avete fatto insieme, io l’ho notato perfettamente, figlia mia.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
Quando i bambini crescono e diventano adulti, capiscono subito che quello che gli avevano detto da bambini non è vero, eppure riciclano ai loro figli l'antica bugia. E cioè che tutti vogliono consegnare ai bambini un mondo migliore, è un passaparola che dura da secoli, e il risultato è questa Terra, questa vescichetta d'odio. Perciò io, che sono una bambina in scadenza, penso: a) che i grandi non hanno più nulla da insegnarci; b) che sarebbe meglio se noi prendessimo le decisioni, e i temi scolastici contro la guerra li scrivessero loro; c) che dovrebbero smettere di fare i film dove la giustizia trionfa e farla trionfare subito all'uscita del cinema. Ebbene sì, sono polemica.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Sì, forse la vita è questo. Si procede tra normalità e paura, e si aspetta ogni volta di tornare alla nostra dimora, di trovare un po' di quiete, un rifugio. Magari salendo le scale di casa verremo presi dall'angoscia, avvertendo che il dolore ci ha seguito fino lì. Comunque sia, è un inferno che conosci. Ed è meglio di quella nebbia spietata, meglio che non vedere nulla, meglio della solitudine dei nostri passi.
Stefano Benni (Cari mostri)
Quei signore e signori e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre più gli altri, quelli dalla parte del toro, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l'avevano, cioè tutti, e gli altri, cioè tutti.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
«Tutti abbiamo il nostro momento d'oro. E dopo, è bello ricordarlo. Se fosse sempre il nostro momento d'oro non ce ne accorgeremmo neanche». «Quand'è stato il tuo momento d'oro» mi chiede Mara. Ci penso un po' su e poi rispondo: «Una volta ho vinto un pesce rosso al Luna Park». Segue un rispettoso silenzio.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Ma ancora più subdoli sono i calzini. Il Nonno Stregone aveva stabilito che, alla sua età, tre erano i modi possibili di infilarli. Uno, posizione detta "della spogliarellista", steso sul letto con una gamba sensualmente sollevata. Tempo necessario all'impresa: un minuto, salvo perforazione del pedalino da parte dell'unghia dell'alluce. Due, posizione eretta "gamba sulla sedia". Unico rischio, uno schianto del legno o un colpo della strega. Tre, posizione "riciclami": andare a letto coi calzini e usare gli stessi la mattina dopo. La meno igienica ma la più rapida. Inoltre, nello scegliere il paio bisognava tener conto dell'esistenza della LIC, Legge di infedeltà del calzino, che dice così: Un calzino, messo nel cassetto, cercherà quasi sempre di far coppia con un calzino diverso.
Stefano Benni (Pane e tempesta)
Ho guardato in alto, oltre le insegne illuminate e, obliqua su un grattacielo, c'era la luna. Le ho detto: "Cosa ci fa una ragazza come te in un posto come questo?
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Sa come dice la regola giornalistica: se due persone dicono di litigare per le proprie idee, sembrerà che abbiano davvero delle idee.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Racconti di vita quotidiana "Può fare bene pure una pennichella come si deve con i suoni e rumori della natura per un autentico relax"...
Stefano Gambelli (Racconti di vita quotidiana)
Se ti metto alle strette -tu mi stai alla larga Distanza di insicurezza.
Stefano Paolucci
Il mio sguardo si perde nel vuoto, la mia voce si spegne. «Non sono riuscita a evitarlo» ammetto. «Non sono riuscita a impedirgli di avvicinarsi. Matt riesco a tenerlo lontano. Stefano no.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
Ogni notte è meravigliosa quando torni vivo da un campo di battaglia, o esci da un ospedale, o lasci una prigione, bella è la gioia degli scampati, dei guariti, dei salvi, anche se sarà breve.
Stefano Benni (Prendiluna)
...la paura dei bambini non è grigia e cupa come quella dei grandi, tutti usavano più colori possibili perché, se si vede a colori qualcosa di cui si ha paura ne fa molta meno. E magari, alla fine, non ne fa proprio più!
Stefano Amadei (Racconti Svolazzanti)
- Non possiamo sempre aspettare con pazienza. E' come in amore. Ci innamoriamo di una persona e subito il nostro tempo accelera, l'abbiamo lasciata un momento fa e subito vorremmo rivederla, le ore lontano da lei sembrano lunghissime. Allora corriamo, scavalchiamo ostacoli e barriere, solo per raggiungerla un minuto prima. Michelle, lei ha fretta perchè è innamorata del suo futuro, del suo mestiere,del desiderio di tornare alle luci del teatro
Stefano Benni
A quel punto, quasi contro la sua volontà, la voce di Stefano salì di tono: "Mo' mi stai rompendo il cazzo, Lina". Ripeté quella frase due o tre volte, sempre più forte, come per assimilare bene un ordine che gli veniva da molto molto lontano, forse addirittura da prima di nascere. L'ordine era: devi fare l'uomo, Ste'; o la pieghi adesso o non la piegherai più; bisogna che tua moglie impari subito che lei è femmina e tu maschio e che perciò dev'essere ubbidiente.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
Comunque ha fatto bene." "A dormire il pomeriggio?" "No, a dare il suo disegno a quel barbagianni. Basta coi segreti." "Già, basta." "E se ne ha ancora uno se ne liberi. Non si vola, se si ha qualcosa di troppo pesante tra gli artigli.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Ho analizzato il suo sorriso. È il sorriso di qualcuno abituato a pensare che tutti gli credano. Un ghigno irreale, finto, convinto di essere irresistibile. Come quei comici che usano le risate registrate. Ecco: un sorriso di risate finte.
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Alla fine si infilò le scarpe da lei stessa disegnate. Pressata da Rino, che se non le avesse calzate ci avrebbe sentito una specie di tradimento, se ne era scelto un paio col tacco basso, per evitare di sembrare troppo più alta di Stefano. Si guardò allo specchio sollevando un po’ il vestito. «Sono brutte» disse. «Non è vero». Rise in modo nervoso. «Ma sì, guarda: i sogni della testa sono finiti sotto i piedi». Si girò con un’espressione improvvisa di spavento: «Cosa mi sta per succedere, Lenù?»
Elena Ferrante (My Brilliant Friend (Neapolitan Novels, #1))
Il mondo si divide in: quelli che mangiano il cioccolato senza pane; quelli che non riescono a mangiare il cioccolato se non mangiano anche il pane; quelli che non hanno il cioccolato; quelli che non hanno il pane. (Dai detti celebri di nonno Socrate)
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
I Sanmenoniti erano conosciuti per il loro populismo e i loro metodi rozzi, ispirati a San Menonio, santo che nei quadri è raffigurato con un randello in mano, come il fante di bastoni, ed è noto ai fedeli per aver convertito interi paesi di montagna a mazzate.
Stefano Benni (La Compagnia dei Celestini)
Da piccolo a Natale aspettavo un regalo Un pacco dorato, sotto l'albero luminoso Quando aprii il pacco, non era quello atteso Lo tirai contro il muro piangente, iroso. Quanti regali ho rotto, ho respinto Nella mia vita, dopo quel giorno? Ora di questi ho rimpianto Accettare i doni è difficile Perchè sempre ne aspettiamo uno soltanto Impara a amare ciò che desideri Ma anche ciò che gli assomiglia Sii esigente e sii paziente E' Natale ogni mattino che vivi Scarta con cura il pacco dei giorni Ringrazia, ricambia, sorridi
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Stefano non mi presta la minima attenzione. Adesso sono solo lui e Matt. «L’hai sentita. Se sei certo che quello che prova per te sia più forte di tutto, lasciala andare e risolvi i tuoi problemi per conto tuo. Smettila di servirti di lei, e forse lei smetterà di servirsi di te.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
Dov'è che hai letto quella cosa? Che l'amicizia non è altro che la preparazione all'amore. Una specie di palestra per imparare ad affezionarsi agli altri e amare, senza le complicazioni del sesso. L'amicizia è il sentimento asessuato che precede l'innamoramento, forse suonava più o meno così.
Stefano Visonà (Non ti svegliare)
I libri sono firmati parola per parola. I loro pregi e tradimenti sono visibili, la loro libertà o corruzione o inutilità apparirà chiaramente, sulla pagina sterminata dei secoli. Alcuni dureranno, altri scompariranno. Ogni segno su di loro è nobile ruga di tormentata e ripetuta lettura, logorio del breve vento da una pagina all'altra, sbiadire di copertine tra amori e rifiuti, sottolineature, polvere di abbandono. Mentre inalterabili, mai scelti né respinti, ma veramente nostri, i dominanti schemi ci circondano di felicità non abitata, colpiscono ipocritamente, con falsa neutralità e velenosa indifferenza, creano parodie di sentimenti che evaporano nello spazio di una sigla. Hanno soldi, potenza, ma meno idee di una singola pagina. Scrivere nasce dal leggere e al leggere è grato. Scrivere è una delle poche cose rimaste uniche e nostre, dalla firma al romanzo, dal primo tema al testamento
Stefano Benni
«Quando ti ho vista per la prima volta ho avuto l’immediata certezza di essere legato a te in qualche modo» mormora Stefano, in tono deciso. «È vero che sapevo che tipo di ragazza fossi. Ed è vero che la tua natura predatrice mi ha attirato come una calamita. Ma quando ti ho baciata…» «Hai visto me».
Chiara Cilli (Colliding Storms (The MSA Trilogy, #3))
e la risposta - adesso lo so - era in fondo solo una: la vera dignità è di che non pensa mai di essere inutile. Lei, Eichmann, mi dice "eseguivo gli ordini, perché se non l'avessi fatto avrebbero messo un altro". E' come dire: ero una ruota dell'ingranaggio, qualunque cosa facessi era inutile. Ebbene, Sophie Scholl poteva pensare "ho vent'anni, se accuso Hitler di genocidio cosa ottengo? Mi faranno fuori e tutto continuerà come niente fosse". Qui però sta il punto: Sophie Scholl non lo pensò. Gridò, gettò i suoi volantini. Lo fece, mi spiego? Lo fece. E non fu inutile. Perché io oggi, qui, posso dirle che imparo da lei. E non il coraggio, no: la dignità.
Stefano Massini (Eichmann: dove inizia la notte)
E ai lati della fiumana di persone che camminavano sotto il portico vi erano decine e decine di venditori e mendicanti. Questi ultimi accovacciati in pose dolorose, con piedi storti e schiene curve, fingendo di dormire, abbracciati a cani e bambini, tenevano davanti a sé cartelli con la scritta: affamato, reduce, cieco, profugo, disoccupato, non mangio da tre giorni, gravemente ammalato, sordomuto. E in mezzo alla fiumana di persone io vidi avanzare un uomo dal nobile portamento, con una gabardine grigia e un cappello di feltro. Egli scostava con disprezzo i mendicanti dalla sua strada. Camminava guardando dritto davanti a sé e portava al collo un cartello con la scritta: "Insensibile dalla nascita
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
E lei ora desidera. È uscito del letargo della sua rassegnata solitudine, ha scoperto la fame del suo cuore, sa che la mela è proibita, ma desidera. Non avrà più pace, né dieta. [...] Soffrirà, il suo cuore, lo stomaco e le viscere andranno in subbuglio, il suo istinto di Homo erectus potrà essere temprato, ma non vinto. La mela è caduta dall'albero del destino.
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
«Prometto» inizia «di non dare mai niente per scontato. Prometto di cercare di proteggerti sempre, e se non me lo permetterai mai, di rimanere al tuo fianco e combattere con te. Prometto di rendere memorabile ogni tua giornata e di amarti come meriti, come ho sempre voluto fare dal primo istante. Ma soprattutto, prometto di farti sorridere in ogni minuto della nostra vita insieme.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
- E com’è fatto un orobilogio? - - Non si può vedere, è fatto di tante parti insieme che mescolandosi diventano invisibili. Vuoi un esempio? La tua casa, la guardi dal di fuori e dici: questa è la mia casa. Ma la casa ha sotto la cantina, la tinaia buia con le botti, la muffa sulle pareti quell’odore di anni e secoli, ma in quel passato oscuro fermenta il vino e i formaggi maturano. Sopra c’è il granaio, con la farina, le mele, le noci e i pomodori secchi, e ci frullano i topi rosicchioni e i ghiri ladruncoli, lì ci sono le provviste per il futuro. Poi c’è la casa dove abiti, col camino caldo, la cucina che fuma e il cesso che scroscia, e il letto ti accoglie e prepara i sogni, ma anche gli incubi, e le lenzuola gelate d’inverno, e la febbre e le ore che non dormi la notte. E a volte tutto cambia: dal camino entra la notte, le faville dei fantasmi del passato, o la paura di ciò che sta dietro la porta, nella cantina il vino e il buio ti fanno immaginare viaggi e abbordaggi, nel granaio sbattono la testa uccelli imprigionati, come brutti pensieri. Ecco, questa è la tua casa, non quella che vedi dal di fuori, con le finestre, il portone e l’edera sul muro.
Stefano Benni (Saltatempo)
Stretto in quell’abbraccio protettivo, in quel calore, Fabio crollò. E pianse. Pianse, sfogando tutto il suo dolore e le sue paure. Pianse perché non poteva stare accanto a Stefano, pianse perché sapeva che i genitori di lui non gli avrebbero permesso di vederlo. Pianse perché sapeva che Stefano aveva bisogno di lui, della sua presenza. Pianse, finché non fu troppo stanco per continuare a piangere.
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
«Vuoi provare anche tu?» chiese, pur conoscendo già la risposta. «No» rispose infatti lui, prima che l’altro potesse concludere la domanda. «Mi stavo solo chiedendo come fai a sollevare quei cosi, che sembrano pesare una tonnellata, come se fossero palloncini gonfiati a elio!» «Palloncini gonfiati a elio?!». «Be’, sono più leggeri di quelli normali… infatti volano» spiegò Stefano, con un’espressione incredibilmente seria.
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
-Basta con questa commedia, Maestro. Conosco il segreto. Bella roba. Tanto studiare, ore e ore sui libri e poi... Non esisto neanche. - Ma sei un baol... Un'idea immortale e fascinosa... sei il pensiero dell'altrove, magia, avventura, libertà, utopia, rock-and-roll... Sto qua e ascolto il pianista. Sono all'ultimo tavolo a sinistra in fondo. Se non vi piace lo spirito del tempo, venite. Mi riconoscerete subito. Starò qui fino a quando il pianista suonerà. E finché ci sono io, suonerà.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Sentii che qualcosa stava cambiando. La musica non era più così varia. Le risate presero ad assomigliarsi tutte. Bastava una semplice allusione perché tutti insieme pensassero alla stessa cosa, e ridessero nella stessa tonalità. E anche il sapore era diverso. Come... se ridessero con la bocca piena. Cercai di provocarli, allora. Le cose di cui ridete, dicevo, possono uccidervi. Il riso è misterioso: disubbidiente e conformista, socievole e solitario, inquieto e stupido, razzista e rivelatore.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
È una tranquilla notte di Regime. Le guerre sono tutte lontane. Oggi ci sono soltanto sette omicidi, tre per sbaglio di persona. L'inquinamento atmosferico è nei limiti della norma. C'è biossido per tutti. Invece non c'è felicità per tutti. Ognuno la porta via all'altro. Così dice un predicatore all'angolo della strada, uno dall'aria mite, di quelli che poi si ammazzano insieme a duecento discepoli. Ce n'è parecchi in città. Dai difensori dei diritti dei piccioni alla Liga Artica. Siamo una democrazia.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
Lo so, suona strano. Ma pensate che per anni abbiamo con tranquillità sostenuto che la libertà era un'automobile, la famiglia una spaghettata, l'aria buona una mentina e così via. Ebbene, chi ci impedirà di far entrare nella testa della gente che dopo la razza eletta che pubblicizzava ogni branca del bevibile, del commestibile e del vendibile, non siano oggi i barboni, i defedati, i pezzenti e i morti di fame a costituire l'immagine vincente del duemila? Povero è bello! È nobile patire la fame, è emozionante soffrire il freddo. Glielo ficcheremo in testa!
Stefano Benni (La Compagnia dei Celestini)
Teneva molto al suo fisico e alla sua salute, e più volte aveva cercato di convincere Stefano a seguire il suo esempio, fallendo miseramente, in quanto il ragazzo sembrava detestare tutti gli sport con ogni cellula del suo corpo. Una volta gli aveva addirittura chiesto per quale motivo continuasse a torturarsi con quei cosi – termine con cui definiva i suoi attrezzi –, visto che la sua tartaruga era cresciuta abbastanza. Fabio ci aveva messo un po’ a capire che si stava riferendo ai suoi addominali, quindi gli aveva risposto che quella tartaruga andava mantenuta.
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
Quando sei triste ci sono due modi per stare meglio. Uno è considerare chi sta peggio di te, e allora mi bastava andare al bar di Trafiume e osservare quanto erano tristi certi uomini prima e dopo la sbronza. Un altro è guardare la gioia e farsene illuminare. Allora, ad esempio, mi bastava guardare com'erano allegri i bambini che giocavano a calcio nella piazzate davanti alla chiesa e quanto era triste in fondo all'anima il vecchio parroco che arrivava e sgonfiava il pallone con un temperino ed è morto avvelenato da un pezzetto di Boleto Satana, il nesso mi sembra chiaro.
Stefano Benni (Giura)
Durante il pranzo per il fidanzamento di suo fratello e Pinuccia aveva usato, nel dire quella bugia, un tono ironico e tutti le avevano ironicamente creduto, specialmente le femmine, che sapevano da sempre cosa bisognava dire quando i maschi che volevano loro bene e a cui volevano bene picchiavano sodo. Per di più non c'era persona del rione, specialmente di sesso femminile, che non pensasse che lei avesse bisogno da tempo di una bella lisciata. Perciò le botte non avevano fatto scandalo e anzi intorno a Stefano erano cresciuti simpatia e rispetto, ecco uno che sapeva fare l'uomo.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
Sono un vecchio, incallito, mai pentito moralista. La parola mi piace, perché richiama non una moralità passiva, compiaciuta, contemplativa e consolatoria, ma una attitudine critica da non abbandonare, una tensione continua verso la realtà, il rifiuto di uno storicismo da quattro soldi che, riducendo a formula abusiva l'hegeliano «tutto ciò che è reale è razionale», spalma di acquiescenza qualsiasi comportamento pubblico e privato. Il moralista non mugugna, non si appaga del racconto delle barzellette antiregime. Esce allo scoperto, e non è frenato dal timore d'essere sgradito, o sgradevole.
Stefano Rodotà (Elogio del moralismo)
Aveva trattato il rione, i familiari, i Solara, Stefano, ogni persona o cosa, con una precisione spietata. E che dire della libertà che s’era presa con me, con ciò che dicevo, con ciò che pensavo, con le persone che amavo, col mio stesso aspetto fisico. Aveva fissato momenti per lei decisivi senza preoccuparsi di niente e di nessuno. Ecco nitidisssimo il piacere che aveva provato quando a dieci anni aveva scritto quel suo raccontino, La fata blu. Ecco con altrettanto nitore quanto aveva sofferto perché la nostra maestra Oliviero non si era degnata di dire una sola parola su quel racconto, anzi, lo aveva ignorato. Ecco
Elena Ferrante (Storia del nuovo cognome)
E tutti insieme, pur nella diversità delle ideologie, avrebbero sfilato nella comune gloria dei riflettori, poiché ciò che la politica divide il partito unico dei vip riunisce, e non già di idee si sarebbe parlato, ma di look e toilette, almeno per quella sera, l'ultima sera di tregua. Poiché l'indomani ai presidenti sarebbe stato concesso sparare ed eliminarsi l'un l'altro, e solo il più potente e fortunato alla fine governato, poiché questa era l'unica democrazia possibile sotto il cielo di Tristalia ove era avvenuta una grande battaglia di idee al termine della quale non c'erano stati né vincitori, né vinti, né idee.
Stefano Benni
«Non è che potresti aggiungere tre… ehm… marshmallow… alla mia cioccolata, magari mettendoli sopra alla panna, e disegnare Topolino?». «Vuoi… che ti disegni Topolino sulla cioccolata?» ripeté l’altro, per essere sicuro di aver capito bene. «Sì, mi serve per un videogioco, quello che ho comprato la settimana scorsa» spiegò Stefano. «In questo gioco bisogna fotografare i simboli di Topolino e… be’, è scoppiata la moda di fotografarli anche nella vita reale. Nel gruppo Facebook a cui sono iscritto è stato creato un post per raccogliere tutte le foto. Naturalmente io la condividerò ringraziando il mio cameriere super sexy e super gentile, che asseconda ogni mia folle richiesta».
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
Fabio si inginocchiò a terra e lo baciò sulle labbra, e Stefano si ritrovò a ridere per la buffa posizione in cui si trovavano, ma anche perché Spiderman era sempre stato il suo supereroe preferito. Ricambiò quel lieve contatto, per quanto gli fosse possibile, ricordandosi che una volta aveva rivelato al proprio fidanzato che gli sarebbe piaciuto ricevere un “bacio a testa in giù”. Non credeva che se lo ricordasse, ma quello era uno dei motivi per cui era così innamorato del suo ragazzo: si ricordava piccoli dettagli che gli altri ritenevano superflui e lo riempiva delle attenzioni di cui aveva bisogno. Fabio era diventato il suo sole personale, colui che aveva illuminato la sua buia vita e non riusciva a immaginare un’esistenza senza la sua luce.
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
«Ehi!» esclamò Stefano. «Ma fai sul serio?» chiese l’altro, prendendolo per un braccio e stringendolo con forza, in quanto lo stava facendo veramente arrabbiare. «Sei qui che ti reggi a malapena in piedi! Se non hai nessuno che può venire a prenderti, ti porto a casa io. E se proprio non trovi nessuno che ti riporti qui domani per recuperare la moto, ti riaccompagno qua». «Non… non avevo mai notato che fossero così azzurri» sussurrò Stefano. «Ricordano il mare calmo». «Ma di che stai parlando?». «I tuoi occhi… sono bellissimi». Subito dopo aver pronunciato quella frase, la sua espressione cambiò; spintonò l’altro ragazzo all’indietro e si piegò a terra per vomitare. Fabio chiuse gli occhi e sospirò a fondo, maledicendolo per aver centrato anche le sue scarpe.
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
«Ma troveremo il suo punto debole. Ogni uomo, ogni donna e ogni teoria hanno un punto debole». «Anche la teoria del cioccolato del nonno?» Eraclito ha incrociato le gambe, come è solito fare quando spara un ragionamento dei suoi. «Sì: è una buona teoria, ma incompleta. Manca un punto, e cioè che ci sono grosse differenze tra i mangiatori di cioccolato: essi si dividono in liberal-lattisti, fondamentalisti fonetisti, bianchisti e nocciolisti. Per non parlare dei giansenisti gianduiotti e dei boeristi». «E i nutellisti?» «I nutellisti sono epicurei». «E i consumatori di cioccolata in tazza?» «Metafisici puri, ma dipende dalla panna». «E io cosa sono?» ho chiesto a Eraclito. Ci ha pensato un po' su, con gli occhi rivolti alla soffitta. «Nonno dice che sei una massimalista uovidipasquista».
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Il fatto è che del dio degli Inglesi non ti devi mai fidare. Questi servizi segreti più o meno deviati si fanno i fatti miei e i fatti tuoi, anche se vivi una vita normale e non sei incazzato a morte con il sistema di valori in cui vivi. Sono un po’ quelli che avevano già Facebook prima di te. Prima anche di Mark Zuckerberg. E non devi nemmeno registrarti né pubblicare nulla. Loro ascoltano le tue telefonate. Guardano le tue foto. Se scrivi sul pc si godono i tuoi aggiornamenti di stato. Leggono le tue email come fossero messaggi in bacheca. Non riescono a smettere di farsi i cazzi tuoi. Vigilano su noi poveri cavalli. Su voi poveri buoi. E appena siamo inutilizzabili, ci conducono al macello. Puoi provare a denunciarli per stalking, perché a un certo punto sono davvero un riccio nel culo. Ma ho come la sensazione che non riusciresti a portarli in tribunale.
Stefano Zorba (Mi innamoravo di tutto: Storia di un dissidente)
Capii che voleva prendersi ogni cosa possibile, Stefano, le salumerie, i soldi, la casa, le macchine. E pensai che fosse un suo diritto combattere quella battaglia, chi più chi meno la combattevamo tutti. Cercai solo di calmarla perché era pallidissima, aveva occhi infiammati. E fui contenta di sentire quanto mi era grata, provai piacere a essere consultata come una veggente, a distribuire consigli in un buon italiano che confondeva lei come Pasquale, come Pinuccia. Ecco, pensai con sarcasmo, a cosa servono gli esami di storia, la filologia classica, la glottologia e le migliaia di schede con cui mi addestro al rigore: ad acquietarli per qualche ora. Mi consideravano al di sopra delle parti, priva di cattivi sentimenti e di passioni, sterilizzata dallo studio. E io accettai il ruolo che mi avevano assegnato senza accennare alle mie angosce, alle mie audacie, alle volte che a Pisa avevo messo a rischio tutto lasciando entrare Franco nella mia stanza o intrufolandomi io da lui, alla vacanza che avevamo fatto da soli in Versilia vivendo insieme come se fossimo sposati. Mi sentii contenta di me.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
Cosa diventò il ragazzo per lei, in quel periodo? Una smania sessuale che la teneva in uno stato di permanente fantasticheria erotica; un avvampare della testa che voleva essere all’altezza di quella di lui; soprattutto un astratto progetto di coppia segreta, chiusa dentro una specie di rifugio che doveva essere mezzo capanna per due cuori, mezzo laboratorio di idee sulla complessità del mondo, lui presente e attivo, lei un’ombra incollata alle sue calcagna, suggeritrice prudente, devota collaboratrice. Le rare volte che riuscivano a stare insieme non per pochi minuti ma per un’ora, quell’ora si trasformava in un flusso inesausto di scambi sessuali e verbali, un complessivo star bene che al momento della separazione rendeva insopportabile il ritorno alla salumeria e al letto di Stefano. «Non ne posso più». «Neanch’io». «Che si fa?». «Non lo so». «Voglio stare con te sempre». O almeno, aggiungeva lei, per qualche ora tutti i giorni. Ma come ritagliarsi un tempo costante, al sicuro? Vedere Nino a casa era pericolosissimo, vederlo per strada ancora più pericoloso. Senza contare che a volte Stefano telefonava in salumeria e lei non c’era e dare una spiegazione plausibile era arduo. Così, stretta tra le impazienze di Nino e le rimostranze del marito, invece che riguadagnare il senso della realtà e dirsi con chiarezza che si trovava in una situazione senza sbocco, Lila cominciò ad agire come se il mondo vero fosse un fondale o una scacchiera, e bastasse spostare uno scenario dipinto, muovere un po’ di pedine, ed ecco che il gioco, l’unica cosa che davvero contasse, il suo gioco, il gioco di loro due, poteva continuare a essere giocato. Quanto al futuro, il futuro diventò il giorno dopo e poi l’altro e poi ancora l’altro. O immagini improvvise di scempio e di sangue, molto presenti nei suoi quaderni. Non scriveva mai morirò ammazzata, ma annotava fatti di cronaca nera, a volte li reinventava. Erano storie di donne assassinate, insisteva sull’accanimento dell’assassino, sul sangue dappertutto. E ci metteva i dettagli che i giornali non riportavano: occhi cavati dalle orbite, danni causati dal coltello alla gola o agli organi interni, la lama che trapassava la mammella, i capezzoli tagliati, il ventre aperto dall’ombelico in giù, la lama che raschiava nei genitali. Pareva che anche alla realistica possibilità di morte violenta volesse togliere potenza riducendola a parole, a uno schema governabile.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
La prima volta che andò al negozio di piazza dei Martiri per capire cosa farne la colpì che sulla parete dove c’era stato il pannello con la sua foto da sposa ci fosse ancora la macchia nerogiallastra della sfiammata che lo aveva distrutto. Quella traccia la infastidì. Non mi piace niente, pensò, di tutto quello che mi è successo e che ho fatto prima di Nino. E le venne in mente all’improvviso che in quello spazio al centro della città si erano verificati per motivi oscuri i momenti salienti della sua guerra. Lì, la sera degli scontri con i giovani di via dei Mille, aveva definitivamente deciso che doveva sottrarsi alla miseria. Lì s’era pentita di quella decisione e aveva deturpato la sua foto in abito da sposa e aveva preteso che lo sfregio, per sfregio, figurasse nel negozio come una decorazione. Lì aveva scoperto i segni che la sua gravidanza stava per essere cancellata. Lì, ora, stava naufragando l’impresa delle scarpe, fagocitata dai Solara. E lì, ecco, il suo matrimonio sarebbe finito, si sarebbe strappata di dosso Stefano e il suo cognome con tutto ciò che ne sarebbe derivato. Che sciatteria, disse a Michele Solara indicandogli la macchia di bruciato. Poi uscì sul marciapiede a guardare i leoni di pietra al centro della piazza e ne ebbe paura.
Elena Ferrante (The Story of a New Name (Neapolitan Novels, #2))
– Non ci accorgiamo subito, ma solo dopo, di quanto è importante la scelta né distratta, né casuale, di scrivere, di far durare le nostre visioni prima per noi, poi per qualcuno vicino e infine per tanti lontani e invisibili. Ma non è così semplice. A volte tutto questo diventa privilegio, abitudine, sopravvivenza. Scrivere non è necessariamente pubblicare, ripeto sempre. Ma ho scritto un solo libro e già soffro perché non riesco a pubblicarne un altro. E spesso mi irrito con quelli che vogliono entrare nel mio mondo, schernisco i miei compagni di desiderio, sono impaurito da questa orda di carta, da questa immigrazione di extracomunicanti. Perché volete entrare in questo mondo di premi farseschi, di parassiti accademici, di cretini televisivi elevati a saggisti e di saggisti che aspirano a diventare cretini televisivi? Perché, se ogni scrittore ben sa che un giorno, o tutta la vita, si sentirà sottovalutato e incompreso? Se un giorno deciderà di bruciare i suoi libri, e il giorno dopo vorrà segnare con una croce di sangue ogni volume non suo, acciocché l’Angelo Maceratore scenda e cancelli i suoi rivali dalla storia e dalle classifiche? – E lei perché vuol vivere in questo difficile mondo? – disse il professor Virgilio. – Giusto. Non perché non so fare altro. Ma perché non conosco niente di così confuso, inestricabile, e tuttavia sempre avventuroso.
Stefano Benni (Achille piè veloce)
RESISTANCE TRAINING SHOULD HAVE BEEN INVENTED FOR WOMEN. The fitness industry has been plagued with more myths than ancient Greece. One of the most glaring is that women who weight train will look like Mr. Universe. There are still many women who are sidetracked by this common misperception, thereby avoiding weights altogether and bypassing the opportunity to achieve a beautiful, shapely body. One of the biggest differences between men and women is their hormone levels and how these hormones behave—most specifically, testosterone. Testosterone bulks up muscle mass in most men. Men have significantly higher testosterone levels than women, and therefore increasing muscle mass for men is much easier. The vast majority of women cannot build huge, bulging muscles because they have a tiny fraction of the testosterone found in men. There are so many benefits to resistance training for both men and women, but the some of the benefits are very specific to women’s health. For women, the truth is that resistance training increases your metabolism so that you burn fat more easily (and women tend to carry more body fat than men), you build bone mass and prevent osteoporosis (which affects more women than men), and you balance your hormones (which tend to fluctuate wildly in women as they age). Also, women who do resistance training feel a boost in self-esteem and gain renewed physical and mental strength because of their new sexy shape. Resistance training is a woman’s best friend. I rest my case.
Sal Di Stefano (The Resistance Training Revolution: The No-Cardio Way to Burn Fat and Age-Proof Your Body—in Only 60 Minutes a Week)
«Non è colpa tua» mormorò l’altro. Si prese una lunga pausa, rimuginando su cosa dire. «Ci sono delle cose che non sai, di me». «In realtà ieri notte hai detto alcune cose, anche personali, e…». «Oh, così adesso comincerai anche tu a prendermi in giro» lo interruppe Stefano. «Comunque sì, sono frocio – finocchio, chiamami come vuoi – e non posso farci niente. Non posso cambiare quel che sono, perché così ci sono nato!». Fabio lo osservò stupito, ma capì che le frasi della sera prima non era deliri nati dall’ubriachezza. Capì anche per quale motivo si era messo sulla difensiva e lo aveva aggredito in quel modo. «A dire il vero, tu hai parlato della tua famiglia» precisò, e l’altro lo guardò sconvolto. «Hai detto che ti odiano e ti considerano una delusione. Dopo la tua reazione ho creduto che fossero quel tipo di genitori estremisti che non permettono al proprio figlio di dormire a casa di amici, perché non si fidano di nessuno». Sospirò, sentendosi in colpa per averlo inconsapevolmente messo nei guai. «Il problema, in questa storia, è che ho detto loro che tu hai dormito a casa di un ragazzo, dico bene?». Stefano si chiuse a riccio e non rispose. «Senti, puoi stare tranquillo» disse Fabio. «Non ti prenderò in giro perché sei frocio, in quanto lo sono anch’io». «Eh?». «Sono gay, sì» confermò lui. «A scuola facevo lo stronzo perché temevo che qualcuno potesse scoprirlo e mi prendesse in giro per questo. Fare il bullo era il mio modo per dimostrare di essere virile. Poi sono cresciuto e ho capito che non devo rendere conto a nessuno di chi mi porto a letto e perché».
Lisa Mantuano (Salvati dal destino)
Le lotte dal basso sono e saranno sempre senza speranza. La visione di un mondo pacifico in cui tutto è condiviso e i rapporti tra le persone non sono governati da semplici rapporti di forza è una visione del tutto utopistica e irreale. Del resto non importa che l’unico anello sia al dito di Sauron o a quello di un hobbit sfigato di nome Smeagol. Rimane il potere e quelli che lo subiscono. Chi domina e chi viene dominato. Chi prospera e chi decade. Ogni rivoluzione del popolo ghigliottina i suoi Danton e i suoi Robespierre. Ogni rivoluzione annega nel sangue i suoi Marat. Ogni rivoluzione degenera in un impero di Napoleone. Non che questo cambi le cose. Se vivi in uno Stato fascista che dice di non esserlo. Se perdi il diritto alla casa. Se subisci un’economia delirante che ti uccide con le nocività che produce. Se lavori per finanziare una classe dirigente che guarda solo se stessa. Se non vivi più, per lavorare e mantenere una famiglia, come uno schiavo... Come è possibile restare a guardare? Come non comprenderlo? Come continuare a subirlo? Se non sei un uomo stacchi il cervello e smetti di pensare. Se sei un uomo ti incazzi e lotti. Come Don Chisciotte con i mulini a vento. I Sancho Panza di questo mondo, che lottano per opportunismo e senza ideali, non lo comprendono e mai lo comprenderanno. Lottare è inevitabile e nobilitante. Nonostante non ci sia speranza. Lottare senza la speranza è l’unica cosa che ci è rimasta. I Don Chisciotte continueranno a farlo perché lottare li fa sentire vivi e liberi; e quando abbatteranno i mulini a vento i Sancho Panza di questo mondo se ne prendereanno il merito e saranno tiranni al loro posto.
Stefano Zorba (Mi innamoravo di tutto: Storia di un dissidente)
Così Stefano aveva continuato col suo lavoro senza difendere l’onore della sua promessa sposa, Lila aveva continuato con la sua vita di fidanzata senza ricorrere al trincetto o ad altro, i Solara avevano continuato a diffondere oscenità. La lasciai, ero stupefatta. Cosa stava accadendo? Non capivo. Mi sembrava più chiaro il comportamento dei Solara, mi sembrava coerente con il mondo che conoscevamo fin da bambini. Lei e Stefano invece cosa avevano in mente, dove pensavano di vivere? Si comportavano in un modo che non si trovava nemmeno nei poemi che studiavo a scuola, nei romanzi che leggevo. Ero perplessa. Non reagivano alle offese, anche a quella veramente insopportabile che gli stavano facendo i Solara. Sfoggiavano gentilezza e cortesia con tutti, come se fossero John e Jacqueline Kennedy in visita a un quartiere di pezzenti. Quando uscivano a passeggio insieme, con lui che le teneva un braccio intorno alle spalle, sembrava che nessuna delle vecchie regole valesse per loro: ridevano, scherzavano, si stringevano, si baciavano sulle labbra. Li vedevo sfrecciare nella decappottabile, da soli anche la sera, sempre vestiti come attori del cinema, e pensavo: se ne vanno chissà dove senza sorveglianza, e non di nascosto ma col consenso dei genitori, col consenso di Rino, a fare le cose loro senza dar peso a ciò che dice la gente. Era Lila a piegare Stefano a quei comportamenti che ne stavano facendo la coppia più ammirata e più chiacchierata del rione? Era quella l’ultima novità che s’era inventata? Voleva uscire dal rione restando nel rione? Voleva trascinarci fuori da noi stessi, strapparci la vecchia pelle e imporcene una nuova, adeguata a quella che si stava fabbricando lei?
Elena Ferrante (My Brilliant Friend (Neapolitan Novels, #1))
È stata la prima e l’ultima volta in cui ha cercato di chiarirmi il sentimento del mondo dentro cui si muoveva. Finora, disse – e qui riassumo a parole mie di adesso –, ho creduto che si trattasse di momenti brutti che venivano e poi passavano, come una malattia di crescenza. Ti ricordi quando ti ho raccontato che s’era spaccata la pentola di rame? E del capodanno del 1958, quando i Solara ci spararono addosso, ti ricordi? Gli spari furono la cosa che mi fece meno paura. Mi spaventò invece che i colori dei fuochi d’artificio fossero taglienti – il verde e il viola soprattutto erano affilati –, che ci potessero squartare, che le scie dei razzi strusciassero su mio fratello Rino come lime, come raspe, e gli spaccassero la carne, che facessero sgocciolare fuori da lui un altro mio fratello disgustoso che o rimettevo subito dentro – dentro la sua forma di sempre –, oppure mi si sarebbe rivoltato contro per farmi male. Per tutta la vita non ho fatto altro, Lenù, che arginare momenti come quelli. Mi faceva paura Marcello e mi proteggevo con Stefano. Mi faceva paura Stefano e mi proteggevo con Michele. Mi faceva paura Michele e mi proteggevo con Nino. Mi faceva paura Nino e mi proteggevo con Enzo. Ma proteggere che significa, è solo una parola. Dovrei farti, adesso, un elenco minuto di tutte le coperture grandi e piccole che mi sono costruita per starmene nascosta, e invece non mi sono servite. Ti ricordi quanto mi faceva orrore il cielo di notte a Ischia? Voi dicevate com’è bello, ma io non potevo. Ci sentivo un sapore di uovo marcio col tuorlo gialloverdognolo chiuso dentro l’albume e dentro il guscio, un uovo sodo che si spacca. Avevo in bocca stelle-uova avvelenate, la loro luce era di una consistenza bianca, gommosa, si attaccava ai denti insieme alla nerezza gelatinosa del cielo, la tritavo con disgusto, sentivo uno scricchiolio di granuli. Mi spiego? Mi sto spiegando? Eppure a Ischia ero contenta, piena d’amore. Ma non serviva, la testa trova sempre uno spiraglio per guardare oltre – sopra, sotto, di lato –, dove c’è lo spavento. Nella fabbrica di Bruno, per esempio, mi si spezzavano le ossa degli animali sotto le dita solo a sfiorarle e ne usciva un midollo rancido, ho provato una tale repulsione che ho creduto di essere malata. Ma ero malata, avevo veramente il soffio al cuore? No. L’unico problema è sempre stato l’agitazione della testa. Non la posso fermare, devo sempre fare, rifare, coprire, scoprire, rinforzare, e poi all’improvviso disfare, spaccare. Tu prendi Alfonso, mi ha messo ansia fin da quando era ragazzino, ho sentito che il filo di cotone che lo teneva insieme stava per rompersi. E Michele? Michele si credeva chissà chi, e invece è bastato trovare la linea di contorno e tirare, ah, ah ah, l’ho spezzato, ho spezzato il suo cotone e l’ho ingarbugliato con quello di Alfonso, materia di maschio dentro materia di maschio, la tela che tessi di giorno si disfa di notte, la testa trova il modo. Ma serve a poco, il terrore resta, se ne sta sempre nello spiraglio tra una cosa normale e l’altra. Se ne sta lì in attesa, l’ho sempre sospettato, e da stasera lo so di sicuro: non regge niente, Lenù, anche qua nella pancia, la creatura sembra che duri e invece no. Ti ricordi quando mi sono sposata con Stefano e volevo far ricominciare il rione punto e daccapo, solo cose belle, il brutto di prima non ci doveva essere più? Quant’è durato? I sentimenti gentili sono fragili, con me l’amore non resiste. Non resiste l’amore per un uomo, non resiste nemmeno l’amore per i figli, presto si buca. Guardi nel foro e vedi la nebulosa delle buone intenzioni confondersi con quella delle cattive. Gennaro mi fa sentire in colpa, questo coso qui dentro la pancia è una responsabilità che mi taglia, mi graffia. Voler bene scorre insieme al voler male, e io non riesco, non riesco a condensarmi intorno a nessuna volontà sana.
Elena Ferrante (The Story of the Lost Child (Neapolitan Novels, #4))
Comunque ho lasciato gli altri a pallavolare in palestra e sono uscita dalla scuola, c'era un sole pallido color miele. Sono andata al bar di fronte, a vedere le facce. Come faccio spesso, mi sono tappata le orecchie per concentrarmi e capire cosa succedeva intorno. E mi sono sentita strana. Qual'era il motivo del mio disagio? E quale segrato nascondeva la gente seduta? L'uomo corpulento con la fronte sudata, che sbarrava gli occhi in segno di meraviglia, e disegnava rabbia con la mano. E l'uomo piccolo che ne seguiva il discorso scuotendo la testa e ricalcando i gesti dell'altro. E la giovane carica di gioielli come una Cleopatra che sibilava a bassa voce contro qualcuno, un veleno d'astio che le sue amiche assorbivano come un balsamo ristoratore, ammiccando tra loro per dividere il piacere. O il ragazzo che litigava ad alta voce con la ragazza, costringendola a guardarlo negli occhi, mentre lei si mordeva la mano per la vergogna, col volto rigato di lacrime. O la tavolata dove un giovane zerbinotto raccontava e tutti ridevano. O i due ragazzi che parlavano probabilmente di sport, uno battendo le mani su un giornale, l'altro interrompendolo con una voce roca. E di colpo ho capito. Quei signori e signore e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre di più gli altri, quelli dalla parte del torto, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l'avevano, cioè tutti, e gli altri, e cioè tutti. E io, che sentivo di non avere ragione, cosa avrei fatto? Sono tornata in classe e c'era aria pesante. Marra e Gasparrone avevano insultato Zagara chiamandolo terrone e figlio di galeotto. Lui li aveva assaltati con un tirapugni fatto con la maniglia di una porta. Erano finiti tutti e tre dal preside. Quante battaglie stupide e quante nobili e giuste ci sono nella giornata media di ognuno?
Stefano Benni (Margherita Dolce Vita)
Fermarsi a leggere un libro è sempre un atto di ribellione.
Stefano Piedimonte
Tutto questo nel tempo di un solo valzer, direte voi? Sì, questo e altro, e la carezza della mia mano sul suo fianco, l'ondeggiare della sua capigliatura, che a ogni passo si spargeva in bionda fuga per tornare subito a coprirle il volto, la febbre del vino sulle sue guance, la bocca che non avrei mai baciato e tutte le bocche che avevo baciato, e fatica, e lacrime, e sangue versato per nutrire le mie ultime forze di vecchio, il mio corpo che dimenticava gli anni e il ciuffo bianco che dondolava ammonitore davanti agli occhi ricordandomi l'affanno, e infine la fisarmonica di quel gran maestro più vecchio di me, forse solitario come me, e la musica che saliva fino all'Orsa Maggiore, visibile sopra il fumo dei chioschi, il vapore della notte e i dolori degli uomini. Tutto questo e molto di più, chiuso nella bolla di un istante, tanto più prezioso quanto vicino a scomparire, una goccia d'acqua al calore dei riflettori, una stilla di sudore sul mio collo, un capello sottile incollato sulla gota di lei
Stefano Benni (Di tutte le ricchezze)
Don Biffero beveva santamente e guardava la televisione, da cui non veniva alcun suono. Aveva iniziato a guardarla a volume basso per non farsi scoprire dagli orfani e dai colleghi, ma in breve tempo si era accorto che la tivù muta era più bella. Si indovinavano così nei volti tutte le malizie e i peccati, la vanità e la spocchia, si poteva pensare che dalla bocca dello speaker venissero celesti moniti e che le immagini di guerre, terremoti e inondazioni riguardassero soltanto paesi atei, ideologicamente protervi e quindi giustamente puniti da Dio. Si potevano guardare le ballerine e gli strip senza musica, e questo secondo Don Biffero ridimensionava grandemente il peccato, perché il culo è opera del Signore, il sax del Diavolo.
Stefano Benni (La Compagnia dei Celestini)
«Tu hai paura» asserisce infervorato. «Non di innamorarti di me. Tu sei già innamorata di me, molto più di quanto tu voglia ammettere, e sei terrorizzata di aver trovato qualcuno che ti vede per quella che sei davvero.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
Young Schuster could have been the answer to many of West Germany’s problems. So good was he that Barcelona came in with an offer only three months after the European Championship. Schuster had fallen out with his club coach and so the country’s best prospect went abroad at a tender age indeed. Schuster stayed in Spain for 13 years, proving he feared nothing and nobody when he moved from Barça to Real Madrid – and then from Real to Atlético Madrid. Later, the Spanish press voted him the best foreigner ever to grace their league, ahead of Alfredo Di Stefano and Johan Cruyff.
Ulrich Hesse-Lichtenberger (Tor!: The Story Of German Football)
Ero pronto a tutto, quando entrammo nel sotterraneo dove era custodito l'Archivio Zero. Ma quello che mi trovai di fronte era la peggior disgrazia che potessi immaginare. Un leccapiedi. Non esiste arma più terribile in dotazione a un Regime. Il suo intuito nel giudicare chi conta e chi non conta è infallibile. È difficile corromperlo perché sa chi può dargli di più. Non può essere adulato, perché l'adulazione è il suo terreno privilegiato. Non può essere spaventato, perché sa chi può proteggerlo. Sa chi sale e chi scende le scale delle gerarchie: una sua occhiata di disprezzo è la prova più sicura di una carriera finita.
Stefano Benni (Baol. Una tranquilla notte di regime)
L'attesa è concepita in un modo del tutto particolare; è un momento imprescindibile di socialità, nel corso del quale si stringono rapporti, si scambiano opinioni, si fanno affari. Ogni qualvolta che, a queste latitudini, ci si trova a chiedere indicazioni temporali precise, ci si scontra con uno sguardo interrogativo, dietro il quale si intuisce una qualche tenerezza per l'uomo bianco «che va sempre di fretta»
Stefano Liberti
I camerunesi, i nigeriani, gli ivoriani, ma anche i burkinabé, considerano il Sahara la fine dell'Africa: l'inizio di quella terra ignota abitata dagli arabi […] un mare sconosciuto in cui si avventurano con il terrore di fare naufragio […]
Stefano Liberti
«Non devi aver bisogno di me, Cristina» mi assale balzando in avanti fino a sfiorarmi il petto con il suo, tanto che mi inarco all’indietro in un gesto istintivo di difesa. «Devi volermi accanto a te. Devi volermi vedere ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
«No, non puoi, Cristina!» Anche Stefano evita un contatto fisico, ma Dio solo sa quanto mi sta bruciando quello tra i nostri sguardi sgranati e bellicosi. «Io ti vedo, l’hai dimenticato? Porti ancora una maschera. Potrai anche averla cambiata, o rafforzata, ma corri sempre il pericolo che ti cada. O, peggio ancora, che quell’uomo te la strappi di dosso.»
Chiara Cilli (Radioactive Storm (The MSA Trilogy, #2))
Il fronte clericale e conservatore cerca di dissuadere i genitori con l’argomentazione che: «Tu non sai chi sono i comunisti. Gli tagliano le dita delle mani e dei piedi. Conviene tenerli digiuni a casa»[9]. Oppure minacciano le famiglie «perché là in Alta Italia i comunisti li mangiano»[10]. Molte famiglie si rifiutano di trasferire i loro figli in Emilia-Romagna con la convinzione che la gente di quella regione «mangiava i bambini»[11]. In Sicilia, a farsi portavoce della minaccia è il deputato liberale Girolamo Bellavista. La Russia, egli sostiene, «si sarebbe appropriata dei bambini siciliani che non avrebbero più rivisto le loro famiglie»[12].
Stefano Pivato (Favole e politica: Pinocchio, Cappuccetto rosso e la Guerra fredda)
Come riferisce un cronista del quotidiano comunista, secondo il quale «Sono arrivati a dire ad una povera madre di Canalone Spolverin di Bottrighe (Adria) che i comunisti prendono i bambini per ingrassarli e poi mangiarli»[35].
Stefano Pivato (Favole e politica: Pinocchio, Cappuccetto rosso e la Guerra fredda)
F. Bei, Casini, stoccata a Fini sulla storia, in «la Repubblica», 30 novembre 2005.
Stefano Pivato (Vuoti di memoria: Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana)
Certo, oggi sarebbe probabilmente fuori posto etichettare come fascisti gran parte degli esponenti di Alleanza nazionale. Ma è altrettanto fuori posto dimenticare, attraverso la messa in sordina di quella categoria politica, che l’Italia è stata pur sempre dominata, per oltre un ventennio, da una dittatura fascista. Che, oltretutto, ha proiettato le sue ombre sinistre anche nel periodo repubblicano. Ma, soprattutto, è fuori luogo dimenticare che il fascismo costituì il modello al quale si ispirarono, in tutto o in parte, i movimenti fascisti europei: dal nazismo al franchismo, dal salazarismo alle dittature dell’area centrorientale e balcanica.
Stefano Pivato (Vuoti di memoria: Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana)
Marco Paolini, il quale sostiene che «le lingue nazionali sono lingue agili, da comunicazione agile hanno le scarpe pulite e fiammanti. Il dialetto no, ha la terra sotto [...] sotto le scarpe dell’italiano non trovo niente, sotto quelle del dialetto trovo la terra»4.
Stefano Pivato (Vuoti di memoria: Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana)