Di Maria Quotes

We've searched our database for all the quotes and captions related to Di Maria. Here they are! All 100 of them:

Kecantikan seorang wanita harus dilihat dari matanya... kerana itulah pintu hatinya... tempat di mana cinta itu ada.
Maria A. Sardjono
Emilia Maria di Carlo didn't do danger. My sister was the adventurous one - I was satisfied with safe, clean fun. Give me a steamy romance novel with forbidden love and impossible odds. THAT was the kind of adventure I could get behind.
Kerri Maniscalco (Kingdom of the Wicked (Kingdom of the Wicked, #1))
I hated my life enough without having to drive past a Buca di Beppo four times a day.
Maria Semple (Where'd You Go, Bernadette)
[Mo] sapeva che a Caterina, Cecilia e Maria, quando avessero messo piede su Deneb, nessuno avrebbe chiesto di compilare un modulo sbarrando la F. e non la M. per relegarle di conseguenza in uno scompartimento di seconda categoria.
Bianca Pitzorno (Extraterrestre alla pari)
I’m not your child.’ Nico seethed. ‘My mother is Maria di Angelo, and she loved me and my sister.’ ‘And where are they now?
Rick Riordan (The Sun and the Star)
Segala kejahatan manusia dan kesuksesan manusia diawali oleh satu hal yang sama : iri hati. Terserah manusianya, rasa ini mau diarahkan ke kebaikan atau ke kejahatan.
Maria Magdalena (Ada Sesuatu Di Kamar Mandi)
So why didn't I switch schools? The other good schools I could have sent Bee to...well, to get to them, I'd have to drive past a Buca di Beppo. I hated my life enough without having to drive past a Buca di Beppo four times a day.
Maria Semple (Where'd You Go, Bernadette)
Look how we have made our broken hearts soar.
Maria Testa (Becoming Joe DiMaggio)
Di fronte al mare la felicità è un'idea semplice.
Guido Maria Brera (I diavoli: La finanza raccontata dalla sua scatola nera)
Venne un giorno che alla svolta del sentiero della Palascia la strinsi tanto fra le braccia da toglierle il respiro: alzò gli occhi verso di me e per la prima volta mi guardò in modo diverso, come se avesse capito.
Maria Corti (L'ora di tutti)
Maledizione antica dei poeti che invece di parlare si lamentano, che sempre giudicano il loro sentimento invece di formarlo; e si ostinano a pensare che quanto in loro è lieto o triste, spetti a loro deplorare o celebrare nella poesia.
Rainer Maria Rilke
Voi siete così giovine, così al di qua d’ogni inizio, e io vi vorrei pregare quanto posso, caro signore, di aver pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore, e tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto. Vivete ora le domande. Forse v’insinuate così a poco a poco, senz’avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta. Forse portate in voi la possibilità di formare e creare, quale una maniera di vita singolarmente beata e pura; educatevi a questo compito, - ma accogliete in grande fiducia quanto vi accade e se solo vi accade dal vostro volere, da qualche necessità del vostro intimo, prendetelo su voi stesso e non odiate nulla.
Rainer Maria Rilke (Letters to a Young Poet)
Ognuno di noi, nel bene e nel male, è la sua storia. Anzi, le sue storie. Comprese quelle non vissute e solo immaginate e sognate.
Maria Perosino (Le scelte che non hai fatto)
meski nafasku telah habis sekalipun, aku tetap mencintaimu, karena aku hujan dan kamu bumi.
Maria Ita (Pancen : Di Bawah Pohon Bintaro, Kisah Ini Berakhir)
Bila kau dengar gemericik berjatuhan, itu bukan hujan, itu rindu yang mewakili aku, menyapamu dalam setiap tetes di atas jendela.
Maria Ita (Pancen : Di Bawah Pohon Bintaro, Kisah Ini Berakhir)
Ajari aku mencinta tanpa hati, sehingga tak perlu sakit hati saat mencintai
Maria Ita (Pancen : Di Bawah Pohon Bintaro, Kisah Ini Berakhir)
Il vostro più intimo accadere è degno di tutto il vostro amore.
Rainer Maria Rilke
Malam itu ia merasa seperti Isa memakai mahkota duri dengan Maria Magdalena bersimpuh di kaki.
Linda Christanty
Vengono i mesi e gli anni, non mi porteranno via mai più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza, che posso guardare dinanzi a me senza timore.
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
E tutto congiura a tacere di noi, in parte come vergogna, o forse come speranza indicibile.
Rainer Maria Rilke (Elegie duinesi)
Forse la verità è che i sogni non s'infrangono, si sgretolano, e il più delle volte succede per distrazione, perché per qualche ragione ci si dimentica proprio di averli, dei sogni. Allo stesso modo, non c'è un momento in cui i sogni si avverano. Semplicemente si costruiscono, e col tempo ci si accorge che non sono affatto sogni, sono progetti concreti, tutto qui.
Maria Perosino (Le scelte che non hai fatto)
Aku menyayangi buku-buku seperti Maria menyayangi Isa, lembar demi lembar, tiap tepiannya, wangi aroma kertasnya yang khas, dan saat aku melihat di dalamnya, aku tahu, dunia ada di situ...
Khafid Maulana
«Mi dispiace che il mondo non ti lasci in pace» disse. «È così crudele che tutti pensino di avere il diritto di analizzarti. Si dimenticano che sei un essere umano perché sei una star della televisione.» «Ci ho fatto l’abitudine» rispose Cash. «Perdi il diritto a una vita umana quando diventi famoso. È così che vanno le cose, ma non me ne lamento. La gente faceva lo stesso con la monarchia nel passato: va tutto bene fino al giorno della rivoluzione, allora reclamano la tua testa. Questa settimana tocca a me essere Maria Antonietta, settimana prossima toccherà a qualcun altro.»
Chris Colfer (Stranger Than Fanfiction)
Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d’un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprender come nel creare. Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz’apprensione che l’estate non possa venire. Ché l’estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l’eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia. Io l’imparo ogni giorno, l’imparo tra i dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!
Rainer Maria Rilke (Letters to a Young Poet)
Accetta dunque [...] un bacio con tutto il cuore nella solenne ora di Natale, la più pacata dell'anno, la più misteriosa, in cui i desideri ancora ignari si tendono fino all'estremo e vengono per prodigio esauditi: [...] abbandona ogni dubbio e incomprensione: in quest'ora abbiamo un posticino dentro di noi dove siamo semplicemente bambini, che attende e sta là, fiducioso e mai confuso, nel suo diritto a una grande gioia: questo è il Natale.
Rainer Maria Rilke
Vivere, in certi casi, può significare una progressiva rinuncia ai desideri dell'inizio. Per sopravvivere, Lucia rinuncia ai primi sogni, come un albero senz'acqua lascia cadere i fiori, poco a poco. Prende esempio dall'albero.
Maria Grazia Calandrone (Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca)
Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell'infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e grevi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare sopratutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano assieme alle stelle - e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano. Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke (The Notebooks of Malte Laurids Brigge)
Rimasi meravigliato nell'osservare come fosse piccolo quel viso dal quale veniva tanta luce; seduta così sotto la loggia, la gatta ai piedi sul lembo della veste, sembrava un'immagine da pittura di un genere non ancora inventato.
Maria Bellonci (Tu vipera gentile)
In queste carte l'arabesco del suo narrare non è formale ma somiglia ad una ricerca della penna intorno ad un punto piagato: come se egli cercasse continuamente di respingere qualche cosa di forza pari alla repugnanza che gli ispira.
Maria Bellonci (Tu vipera gentile)
Non amo i consigli, per questo dispenso dal darli e dal prenderli, sono dell'idea che ognuno deve seguire il suo "IO"....le idee prese in prestito conducono al luogo di chi le ha pensate....le proprie in quello dove si vuole arrivare......
Rosa Maria
Kropp invece è un pensatore. Le dichiarazioni di guerra, egli propone, dovrebbero essere una specie di festa popolare, con biglietti d'ingresso e banda, come per i combattimenti dei tori. Poi, nell'arena, i ministri e i generali dei due stati avversari, in calzoncini da bagno e armati di manganello, si azzuffano. Vince il paese di quello che caccia l'altro sotto. Sarebbe assai più semplice e meglio di adesso, che s'ammazzano tra loro persone che non c'entrano. La proposta piace.
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
...solo, la forza con cui sentiva e ammetteva ancora lo sfarzo della sua angoscia, nell'ultimo momento, chi sa, si tramutò in realtà inavvicinabile, fu d'improvviso il fermo pavimento di quella torre, il paesaggio e il cielo e il vento e un volo d'uccelli intorno a essa.
Rainer Maria Rilke
In seguito non ho più rivisto la dimora singolare che, con la morte del nonno, passò in mano di estranei. Come la ritrovo nel mio ricordo infantilmente elaborato, non è un edificio nella sua interezza; dentro di è tutto diviso: là una stanza, qua una stanza e qui un tratto di corridoio che non unisce queste due stanze ma s'è conservato per sé, come un frammento. In questo modo tutto è sparpagliato dentro di me - le camere, le scale che si adagiavano con tanta lentezza, altre scale strette, a spirale, nel cui buio si avanzava come il sangue nelle vene; le camere delle torri, i balconi sospesi in alto, le altane inattese in cui si finiva, spinti da una porticina: tutto ciò è ancora dentro di me e non cesserà mai di essere dentro di me. È come se l'immagine di questa casa fosse caduta in me da un'altezza incalcolabile e fosse andata in frantumi sul mio fondo.
Rainer Maria Rilke
282 Paradoks: Kesucian itu lebih mudah dicapai daripada ilmu pengetahuan, tetapi lebih mudah menjadi orang terpelajar daripada menjadi orang kudus. 283 Hiburan sekadar untuk mengalihkan perhati-an: Engkau memerlukannya! Buka matamu lebar-lebar sehingga gambaran-gambaran segala benda masuk, atau tutuplah matamu sebagai akibat dari kepicikanmu. Tutuplah matamu terhadap segala hall Miliki ke-hidupan batin dan engkau akan melihat keajaiban dari dunia yang lebih baik, dunia baru dengan segala warna dan perspektif yang tak pernah terbayangkan sebelumnya dan engkau akan mengenal Allah. Engkau akan dapat merasakan kelemahan-kelemahan¬mu, dan engkau akan lebih menyerupaimu Allah ... dengan keilahian yang akan membuatmu lebih me¬rupakan saudara-saudaramu sesama manusia, ketika engkau menjadi lebih dekat dengan Allah Bapamu. 284 Cita-cita: supaya aku menjadi balk, dan agar orang-orang lain menjadi lebih balk dari diriku. 285 Pertobatan adalah suatu usaha sekejap. Penyucian adalah suatu usaha untuk seumur hidup. 286 Tak ada sesuatu yang lebih baik di dunia ini, selain daripada hidup dalam rahmat Allah. 287 Kemurnian dalam niat: engkau akan selalu memilikinya, bila engkau selalu dan di dalam segala hal berusaha untuk menyenangkan Allah. 288 Masuklah ke dalam luka-luka Kristus yang tersalib. Di situ engkau akan belajar menjaga indramu, engkau akan memiliki kehidupan batin dan dengan tak henti-hentinya engkau mempersembahkan kepada Bapa penderitaan Allah kita Yesus Kristus dan pen¬deritaan Bunda Maria, untuk menebus dosamu dan dosa semua manusia. 289 Ketidaksabaranmu yang mulia untuk meng-abdi Allah tidak mengecewakan-Nya. Akan tetapi, ketidak-sabaran itu akan menjadi sia-sia bila tidak disertai dengan penyempurnaan yang efektif dalam tingkah lakumu sehari-hari. 290 Memperbaiki diri. Sedikit demi sedikit setiap hari. Itulah yang harus menjadi usahamu yang tetap jika engkau benar-benar ingin menjadi orang kudus.
Josemaría Escrivá
Non so ritrovare il passato, sono escluso da questa vita: ho un bel pregare e sforzarmi, ma nulla si muove; indifferente e malinconico siedo qui come un condannato, e il passato si volta via. E in pari tempo ho timore di evocarlo troppo, perché non so che cosa potrebbe accadere. Sono un soldato, a questa cosa certa mi devo tenere.
Erich Maria Remarque
Non può essere del tutto scomparsa, quella tenerezza che ci turbava il sangue, quell'incertezza, quell'inquietudine di ciò che doveva giungere, i mille volti dell'avvenire, la melodia dei sogni e dei libri, il fruscio lontano, il presentimento della donna: non può essere scomparso tutto questo sotto il fuoco tambureggiante, nella disperazione, nei bordelli di truppa.
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Come talvolta un artista, per dar prova delle proprie energie creative, cerca di proposito un soggetto esteriormente modesto invece di uno patetico e universale, così di tanto in tanto il destino cerca un eroe insignificante per dimostrare come anche da una materia scadente possa svilupparsi la più alta tensione, da un’anima debole e mal disposta una grandiosa tragedia.
Stefan Zweig (Maria Antonietta: Una vita involontariamente eroica)
Pericolose e maligne sono quelle tristezze soltanto, che si portano tra le gente, per soverchiarle col rumore; come malattie, che vengano trattate superficialmente e in maniera sconsiderata, fanno solo un passo indietro e dopo una breve pausa erompono tanto più paurosamente; e si raccolgono nell'intimo e sono vita, sono vita non vissuta, avvilita, perduta, di cui si può morire.
Rainer Maria Rilke (Letters to a Young Poet)
Ci sono giorni in cui tutto intorno a noi è lucente, leggero, appena accennato nell’aria chiara e pur nitido. Le cose più vicine hanno già il tono della lontananza, sono sottratte a noi, mostrate a noi ma non offerte; e ciò che ha rapporto con gli spazi lontani – il fiume, i ponti, le lunghe strade e le piazze che si prodigano -, tutto ciò ha preso dietro di sé quegli spazi, vi sta sopra dipinto come sulla seta. E’ impossibile esprimere cosa riesca ad essere, allora, una carrozza d’un verde lucente sul Pont-Neuf o qualcosa di rosso che non si può fermare, o anche solo un manifesto sul muro antincendio di un gruppo di case grigio perla. Tutto è semplificato, composto in piani giusti e chiari come il volto in un ritratto di Manet. E nulla è insignificante e superfluo.
Rainer Maria Rilke (The Notebooks of Malte Laurids Brigge)
Mi alzo: sono contento. Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha portato attraverso questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se io abbia saputo dominarla, non so. Ma finché dura, essa si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell'essere, che nel mio interno dice "io
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Ah! che imprudenza sposarsi!... Che follia legare la propria vita, unica e preziosa, a quella di una donna!... «Che cosa mi offre questa specie di calma e spenta fortuna che si chiama amore felice?... Manca al mio essere un nutrimento più aspro e saporito. Mi sono sforzato per anni di pensare solo a Simone, ad Anna Maria... Ma a me, me, chi pensa a me?... La parola divina: essere uniti, essere uno in una sola carne... Un sogno che l'amore non può conseguire, malgrado tutte le promesse!... Resta solo la coscienza dolorosa e implacabile dei pensieri e dei desideri dell'altro, ai quali si oppongono, in una sorta di impeto feroce, i propri desideri, i propri pensieri, estranei e ostili...». Rimuginava con foga: «Se almeno avessimo il coraggio di essere schietti!... Che m'importa di questa donna, mia moglie?... Ah! non c'è altro che la propria vita, il proprio cuore... Sono questi moti di pietà a consumarci».
Irène Némirovsky (Un amore in pericolo)
Nell'istituto religioso che ha frequentato da ragazza, dice la signora Wright, tutte le allieve dovevano coprirsi le orecchie con una sciarpa. Questo perché nella Bibbia si dice che la Vergine Maria rimase incinta quando lo Spirito Santo le sussurrò all'orecchio. Orecchie come vagine. La convinzione che sia sufficiente sentire un'idea sbagliata per perdere l'innocenza. n dettaglio di troppo e sei rovinata. Overdose di informazioni. E' la verità. Un'idea sbagliata può mettere radici in te e crescere.
Chuck Palahniuk (Snuff)
La vita qui sui confini della morte ha una linea straordinariamente semplice, si limita all'indispensabile: tutto il resto è addormentato e sordo: in ciò sta la nostra primitività, e in pari tempo la nostra salvezza. Se fossimo più evoluti, da un pezzo saremmo pazzi, o disertori, o morti. È come in una spedizione sui ghiacci del polo; ogni manifestazione di vita deve tendere soltanto a conservar la vita, e necessariamente è a ciò preordinata. Tutto il resto è bandito, perché sarebbe un inutile consumo d'energia.
Erich Maria Remarque
Un giorno fra tanti tu capirai che cosa sei veramente per me. Ciò che una sorgente alpina è per l'assetato. E se chi muore di sete è buono e riconoscente, non si disseterà riacquistando vigore alla sua limpidezza e alla sua frescura, per poi riprendere il cammino nel nuovo sole; costruirà invece al suo riparo, e tanto vicino da poterne udire il canto, una capanna, e rimarrà nella valle prativa finché i suoi occhi siano stanchi di sole e il cuore gli trabocchi di ricchezza e di comprensione. Io edifico capanne e - rimango.
Rainer Maria Rilke
Anche amare è bene: poiché l’amore è difficile. Volersi bene, da uomo a uomo: è forse questo il nostro compito più arduo, l’estremo, l’ultima prova e verifica, il lavoro che ogni altro lavoro non fa che preparare. Per questo i giovani, che sono principianti in tutto, ancora non sanno l’amore; lo devono imparare. Con tutto l’essere, con tutte le energie, raccolte intorno al loro cuore solitario, ansioso, dal battito anelante, devono imparare ad amare. Ma il tempo dell’apprendistato è sempre un tempo lungo, chiuso al mondo, e così amare è a lungo, e fin nel pieno della vita, solitudine, intenso e approfondito isolamento per colui che ama. Amare non significa fin dall’inizio essere tutt’uno, donarsi e unirsi a un altro (poiché cosa sarebbe mai unire l’indistinto, il non finito, ancora senza ordine?); è una sublime occasione per il singolo di maturare, di diventare in sé qualcosa, di diventare mondo, diventare mondo per sé per amore di un altro, è una grande, immodesta pretesa a lui rivolta, qualcosa che lo presceglie e lo chiama a vasti uffici. Solo in questo senso, come compito di lavorare a sé (“di stare all’erta e martellare notte e dì”), i giovani potrebbero usare l’amore che viene loro dato. Essere tutt’uno e donarsi e ogni sorta di comunione non è per loro (che ancora a lungo devono risparmiare e radunare), è il compimento, è forse quello per cui oggi intere vite umane ancora non sono sufficienti. In questo però i giovani sbagliano così spesso e gravemente: che essi (nella cui natura è non avere pazienza) si gettano l’uno all’altro quando l’amore li assale, si spandono così come sono, in tutto il loro disordine, scompiglio e turbamento… Ma come fare allora? (…) Se resistiamo e prendiamo su di noi questo amore come fardello e tirocinio, invece di perderci in tutto quel gioco frivolo e lieve (…) allora forse un piccolo progresso e un certo sollievo saranno percettibili a coloro che verranno molto dopo di noi (…) E questo amore più umano (…) somiglierà a quello che noi lottando con fatica andiamo preparando, l’amore che consiste in questo: che due solitudini si proteggano, si limitino e si inchinino l’una innanzi all’altra.
Rainer Maria Rilke (Lettere a un giovane poeta/Lettere a una giovane signora/Su Dio)
Maria Verlaine era una donna strana, misteriosa, difficile da capire. [...] Per tutta la sua vita si era dedicata a desiderare e a inseguire quella completezza che ossessiona i romantici e disorienta gli altri. Passava di relazione in relazione, attratta dalle persone sensibili, delicate, impossibili. La sua immaginazione trasformava gli uomini più comuni in amanti di sogno, se l'occasione era giusta e la reazione adeguata. Ma con il tempo l'immaginazione si affievoliva. Si insinuava la realtà, e la relazione terminava, di solito con la fuga.
Gore Vidal (The City and the Pillar)
E quando penso agli altri che ho visto o di cui ho sentito parlare: è sempre lo stesso. Tutti hanno avuto una propria morte. Quegli uomini che la portavano nell'armatura, nel loro interno, come un prigioniero; quelle donne che diventavano vecchissime e minute, e poi trapassano nobilmente e con discrezione su un letto immenso, come su un palcoscenico, davanti all'intera famiglia, alla servitù e ai cani. Sì, anche i bimbi, persino i più piccoli, non avevano una morte qualunque da bimbi, raccolti in sé morivano quello che erano e quello che sarebbero diventati.
Rainer Maria Rilke
Non serve forse a nulla che io ora mi addentri nelle sue singole parole; poiché quello che potrei dire della sua inclinazione al dubbio o della sua capacità di armonizzare la vita esteriore e l'interiore, o di quanto altro l'affligge, è sempre quello che ho già detto: sempre l'augurio che lei possa trovare in sè una pazienza sufficiente a sopportare, e una ingenuità sufficiente a credere; che lei possa acquistare sempre più fiducia in quello che è difficile, e nella sua solitudine tra gli altri. E per il resto, lasci fare la vita. Mi creda: la vita ha ragione, in ogni caso.
Rainer Maria Rilke (Lettere a un giovane poeta/Lettere a una giovane signora/Su Dio)
In effetti a questo stadio della sua esistenza, Maria non era contraria per principio al bacio o allo strofinamento occasionale, o all'occasionale orgasmo. Ma più il tempo passava e più Maria cominciava a vedere le brame sessuali della razza umana, incluse le proprie, come il sintomo di una bramosia ben più grande, di una solitudine terribile, di un'urgenza di dimenticare se stessi che, così almeno si diceva in giro, poteva essere attenuata soltanto durante quell'atto tanto privato e particolare che tende ad aver luogo al piano di sopra, tra adulti consenzienti e con le tende tirate.
Jonathan Coe (The Accidental Woman)
Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire... Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare".
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Ci deve esser gente a cui la guerra giova". [...] "Be', io non sono del numero" [...] "Né tu, né altri qui" "E allora chi?" insiste Tjaden. "Neanche all'Imperatore la guerra giova: lui ha già tutto quello che gli occorre." "Non dire questo" interrompe Kat; "finora una guerra non l'aveva avuta. E si sa che ogni imperatore di una certa grandezza deve avere almeno una guerra, altrimenti non diventa famoso. Guarda un po' nei tuoi libri di scuola, se non è così." [...] "Credo piuttosto che si tratti di una specie di febbre" dice Alberto. "in fondo non la vuole nessuno, e poi, a un dato momento, ecco che la guerra scoppia. Noi non l'abbiamo voluta, gli altri sostengono la stessa cosa; e intanto una metà del mondo la fa, e come!".
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Sono addressato, posizionato per iniziare il movimento di back swing. Il bacino ruota sul suo asse verso destra, il braccio sinistro è teso e il destro asseconda il movimento, il peso del corpo è tutto sulla gamba destra. Quando arrivo all’apice del movimento come una fionda tesa al massimo, c’è una frazione di secondo, un istante, in cui tutto è immobile. In quell’attimo, la mente deve creare il vuoto e la percezione dei sensi deve essere annullata. È un incantesimo: nessun suono, nessun colore, nessun pensiero, tutto il corpo esiste per essere lo strumento al servizio di quel movimento. Sento il bacino iniziare la rotazione verso sinistra, costringendo le braccia a scendere e a dirigere la testa del ferro cinque verso la pallina. La discesa è potente e, nel momento dell’impatto, tutto il mio peso amplificato dalla velocità si scarica su una sfera di materiale plastico del diametro di circa quattro centimetri e mezzo. La potenza è tale che non sento l’impatto con la pallina: le passo attraverso. Le braccia proseguono il loro movimento come le lancette di un orologio che, passate le sei, risalgono verso le nove e, infine, verso le dodici. La mia testa ruota a sinistra rimettendosi in asse con le spalle. In quell’istante, il mio sguardo è libero di inseguire il volo della pallina: la vedo in fase di salita e per effetto della luce sullo sfondo la perdo di vista mentre in aria rallenta e inizia la caduta. Non vedo dove si è fermata, ma dentro di me lo so: è vicino alla bandiera.
Federico Maria Rivalta (Un ristretto in tazza grande)
To cap off your Trastevere stroll with one more sight, consider visiting Villa Farnesina, a Renaissance villa decorated by Raphael . To get there, face the Church of Santa Maria in Trastevere and leave the piazza by walking along the right side of the church, following Via della Paglia to Piazza di S. Egidio. Exit the piazza near the church and you’ll be on Via della Scala. Follow through the Porta Settimiana, where it changes names to Via della Lungara. On your right, you’ll pass John Cabot University. Look for a white arch that reads Accademia dei Lincei. The villa is through this gate at #230. If you’re in the mood to extend this walk, head to the river, cross the pedestrian bridge, Ponte Sisto, and make your way to Campo de’ Fiori, where the Heart of Rome Walk begins.
Rick Steves (Rick Steves' Walk: Trastevere, Rome)
Ricompare Tjaden, ancora eccitato, e si mescola subito al discorso, informandosi in che modo, innanzi tutto scoppi una guerra. "Generalmente è perché un paese ha fatto grave offesa a un altro" risponde Alberto, con una cert'aria sentenziosa. [...] "Un paese? Non capisco. Una montagna tedesca non può offendere una montagna francese: né un fiume, né un bosco, né un campo di grano..." "Sei bestia davvero o fai per burla?" brontola Kropp: "non ho mai detto niente di simile. È un popolo che offende un altro..." "Allora non ho che fare qui; io non mi sento affatto offeso" replica Tjaden. "Ma mettiti bene in zucca" gli fa Alberto stizzito, "che tu sei un povero villanaccio e non conti nulla". "E allora, ragion di più perché me ne vada a casa" insiste l'altro, mentre tutti ridono.
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Se fossimo tornati a casa nel 1916, dal dolore e dalla forza delle nostre esperienze si sarebbe sprigionata la tempesta. Ritornando ora, siamo stanchi, depressi, consumati, privi di radici, privi di speranze. Non potremo mai più riprendere il nostro equilibrio. E neppure ci potranno capire. Davanti a noi infatti sta una generazione che ha, sì, passato con noi questi anni, ma che aveva già prima un focolare ed una professione, ed ora ritorna ai suoi posti d'un tempo, e vi dimenticherà la guerra; dietro a noi sale un'altra generazione, simile a ciò che fummo noi un tempo; la quale ci sarà estranea e ci spingerà da parte. Noi siamo inutili a noi stessi. Andremo avanti, qualcuno si adatterà, altri si rassegneranno, e molti rimarranno disorientati per sempre; passeranno gli anni, e finalmente scompariremo.
Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front)
Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, non ti ucciderei, purché tu fossi ragionevole. Ma prima eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello che ha determinato quella risoluzione. Io ho pugnalato quella formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora ho pensato alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani proprio come noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come le nostre per noi, e che abbiamo lo stesso terrore e la stessa morte e la stessa sofferenza… perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste uniformi, potresti essere mio fratello.
Erich Maria Remarque (All Quiet On The Western Front)
Non si può comprendere come sopra corpi così orribilmente lacerati siano ancora volti umani, sui quali la vita continua nel suo ritmo giornaliero. [...] Io sono giovane, ho vent'anni: ma della vita non conosco altro che la disperazione, la morte, il terrore, e la insensata superficialità congiunta con un abisso di sofferenze. Io vedo dei popoli spinti l'uno contro l'altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda. Io vedo i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri più a lungo. [...] Che aspettano essi [i nostri padri] da noi, quando verrà il tempo in cui non vi sarà guerra? Per anni e anni la nostra occupazione è stata di uccidere, è stata la nostra prima professione nella vita. Il nostro sapere della vita si limita alla morte. Che accadrà, dopo? Che sarà di noi?
Erich Maria Remarque
Mi tornò alla mente la voce di papà, di anni fa, quando ci eravamo stesi su una spiaggia come questa e mi aveva aperto la mano e ci aveva poggiato un singolo granello di sabbia. «Toccalo» aveva detto, e l'avevo toccato. «Adesso guarda tutti i granelli di sabbia intorno a noi» aveva detto, e mi ero voltata a guardare. «Ci sono tante stelle nel cielo» aveva continuato «quanti sono i granelli di sabbia di tutte le spiagge del mondo». Mi girava la testa al pensiero, adesso come allora. Ripetei agli altri le sue parole. «Può essere vero?» disse Maria. «Non può essere vero». «Può essere» risi. «Contali e vedrai». «Uno, due tre, sei, novecentottantatré fantastilioni. Si. è vero!» «Se è vero» disse Angeline, «quanto sono grandi tutte le cose?» Alzammo gli occhi verso l'azzurro vuoto e infinito. «Se è vero» disse James, spargendo una manciata di sabbia sulla sabbia «quanto siamo piccoli noi? E in che punto saremmo, di questa spiaggia, noi?».
David Almond
Mi tornò alla mente la voce di papà, di anni fa, quando ci eravamo stesi su una spiaggia come questa e mi aveva aperto la mano e ci aveva poggiato un singolo granello di sabbia. «Toccalo» aveva detto, e l'avevo toccato. «Adesso guarda tutti i granelli di sabbia intorno a noi» aveva detto, e mi ero voltata a guardare. «Ci sono tante stelle nel cielo» aveva continuato «quanti sono i granelli di sabbia di tutte le spiagge del mondo». Mi girava la testa al pensiero, adesso come allora. Ripetei agli altri le sue parole. «Può essere vero?» disse Maria. «Non può essere vero». «Può essere» risi. «Contali e vedrai». «Uno, due tre, sei, novecentottantatré fantastilioni. Si. è vero!». «Se è vero» disse Angeline, «quanto sono grandi tutte le cose?». Alzammo gli occhi verso l'azzurro vuoto e infinito. «Se è vero» disse James, spargendo una manciata di sabbia sulla sabbia «quanto siamo piccoli noi? E in che punto saremmo, di questa spiaggia, noi?».
David Almond
After a lineup of stellar secondi- braised tripe, fried lamb chops, veal braciola simmered in tomato sauce- Andrea and I wander into the kitchen to talk with Leonardo Vignoli, the man behind the near-perfect meal. Cesare al Casaletto had been a neighborhood anchor since the 1950's, but when Leonardo and his wife, Maria Pia Cicconi, bought it in 2009, they began implementing small changes to modernize the food. Eleven years working in Michelin-starred restaurants in France gave Leonardo a perspective and a set of skills to bring back to Rome. "I wanted to bring my technical base to the flavors and aromas I grew up on." From the look of the menu, Cesare could be any other trattoria in Rome; it's not until you twirl that otherworldly cacio e pepe (which Leonardo makes using ice in the pan to form a thicker, more stable emulsion) and attack his antipasti- polpette di bollito, crunchy croquettes made from luscious strands of long-simmered veal; a paper cone filled with fried squid, sweet and supple, light and greaseless- that you understand what makes this place special.
Matt Goulding (Pasta, Pane, Vino: Deep Travels Through Italy's Food Culture (Roads & Kingdoms Presents))
I wanted to complain that, no, I wasn’t even close to prepared. I looked at Pandora’s jar and for the first time, I had an urge to open it. Hope seemed pretty useless to me right now. So many of my friends were dead. Rachel was cutting me off. Annabeth was angry with me. My parents were asleep down in the streets somewhere while a monster army surrounded the building. Olympus was on the verge of falling, and I’d seen so many cruel things the gods had done: Zeus destroying Maria di Angelo, Hades cursing the last Oracle, Hermes turning his back on Luke even when he knew his son would become evil. Surrender, Prometheus’s voice whispered in my ear. Otherwise your home will be destroyed. Your precious camp will burn. Then I looked at Hestia. Her red eyes glowed warmly. I remembered the images I’d seen in her hearth – friends and family, everyone I cared about. I remembered something Chris Rodriguez had said: There’s no point in defending camp if you guys die. All our friends are here. And Nico, standing up to his father Hades: If Olympus falls, he said, your own palace’s safety doesn’t matter.
Rick Riordan (Percy Jackson: The Complete Series (Percy Jackson and the Olympians, #1-5))
La guerra è causa di morte come ce n'è tante, come il cancro e la tubercolosi, come la spagnola e la dissenteria. Solo che i casi di morte qui sono più frequenti, più svariati e più crudeli. [...] Tutti siamo a questo modo, non soltanto noi qui; ciò che fummo un tempo non conta, quasi non lo sappiamo più. Le differenze create dalla cultura e dalla educazione sono quasi cancellate, appena riconoscibili. Talvolta rappresentano un vantaggio, nello sfruttare una situazione; ma portano seco anche qualche svantaggio, perché creano degli impacci che bisogna poi superare. È come se in passato fossimo stati monete di vari paesi: fuse poi nel medesimo crogiuolo, e che ormai portano tutte la stessa impronta. Per riscontrare ancora le differenze fra noi, bisognerebbe analizzare accuratamente il metallo. Siamo soldati anzitutto, e solo in linea secondaria e in una forma strana e quasi vergognosa siamo individui. S'è creata una vasta fraternità, in cui si fonde stranamente qualcosa del cameratismo delle canzoni popolari, col senso di solidarietà dei galeotti e col disperato attaccamento tra condannati a morte. È una vita che ha per ambiente e per sfondo il pericolo, la tensione morale, il mortale abbandono, e che diventa un fuggevole godimento in comune delle poche ore di tregua, nel modo più semplice e senza sentimentalismo.
Erich Maria Remarque
”(…) spesso sto davanti a me stesso come davanti a un estraneo, quando in ore tranquille un enigmatico riflesso del passato mi mostra, come in uno specchio appannato, i contorni del mio essere attuale: e allora mi stupisco come quell’elemento misteriosamente attivo, che si chiama vita, abbia potuto adattarsi anche ad una forma siffatta. Tutte le altre manifestazioni sono come in letargo, la nostra esistenza è soltanto un ininterrotto vigilare contro la minaccia della morte. Questa vita ci ha ridotti ad animali appena pensanti, per darci l’arma dell’istinto; ci ha impastati di insensibilità, per farci resistere all’orrore che ci schiaccerebbe se avessimo ancora una ragione limpida e ragionante; ha svegliato in noi il senso del cameratismo, per strapparci all’abisso del disperato abbandono; ci ha dato l’indifferenza dei selvaggi per farci sentire, ad onta di tutto, ogni momento della realtà, e per farcene come una riserva contro gli assalti del nulla. Così meniamo un’esistenza chiusa e dura, tutta in superficie, e soltanto di rado un avvenimento accende qualche scintilla. Ma allora divampa in modo inatteso una fiammata di passione aspra e terribile. Sono questi i momenti pericolosi, che ci rivelano come il nostro adattamento sia tutto artificiale; come esso non sia affatto la calma, ma uno sforzo terribile per mantenere la calma.”
Erich Maria Remarque
Esiste, nelle estreme e più lucenti terre del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione; un genio materno, d'illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è andato il sonno in cui dormono quelle popolazioni. Se solo un attimo quella difesa si allentasse, se le voci dolci e fredde della ragione umana potessero penetrare quella natura, essa ne rimarrebbe fulminata. A questa incompatibilità di due forze ugualmente grandi e non affatto conciliabili, come pensano gli ottimisti, a questa spaventosa quanto segreta difesa di un territorio - la vaga natura coi suoi canti, i suoi dolori, la sua sorda innocenza - e non a un accanirsi della storia, che qui è più che altro "regolata", sono dovute le condizioni di questa terra, e la fine miseranda che vi fa, ogni volta che organizza una spedizione o invia i suoi guastatori più arditi, la ragione dell'uomo. Qui, il pensiero non può essere che servo della natura, suo contemplatore in qualsiasi libro o nell'arte. Se appena accenna un qualche sviluppo critico, o manifesta qualche tendenza a correggere la celeste conformazione di queste terre, a vedere nel mare soltanto acqua, nei vulcani altri composti chimici, nell'uomo delle viscere, è ucciso. Buona parte di questa natura, di questo genio materno e conservatore, occupa la stessa specie dell'uomo, e la tiene oppressa nel sonno; e giorno e notte veglia il suo sonno, attenta che esso non si affini; straziata dai lamenti che la chiusa coscienza del figlio leva di quando in quando, ma pronta a soffocare il dormiente se esso mostri di muoversi, e accenni sguardi e parole che non siano precisamente quelle di un sonnambulo.
Anna Maria Ortese (Il mare non bagna Napoli)
Now we're going to one of the coolest places in Florence." "Where's that?" "A pharmacy." "You're taking the princess to a drugstore?" "I said a pharmacy. Climb on." Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella is a pharmacy only in the ancient sense of the word. As soon as I saw and smelled what "pharmacy" it was, I recognized it as the origin of the exquisitely wrapped, handcrafted soaps, colognes, potpourris, and creams I had seen in their shop on New York's Lower East Side. But nothing could compare with seeing them in the frescoed chapel where thirteenth-century Dominican friars had first experimented with elixirs and potions. Centuries-old apothecary jars and bottles sat on the shelves of carved wooden cupboards that swept almost to the top of a high, vaulted ceiling. I walked slowly around the room, taking it all in, as Danny spoke to a smartly dressed salesgirl. "What an incredible place!" I sighed, walking over to stand beside him. "It's so beautiful." "Pretty special," he agreed, putting his hand high on my back and turning to the salesperson. "I think mimosa," he told her. "A very good choice, I think," she said, dabbing a small amount of mimosa eau de cologne on my wrist and then my neck with a delicate applicator. Danny bent forward so he could smell my neck, then stood back. He drew his eyebrows together and put his hands on his hips. "I definitely think that's you. First, you get this oddly enticing tart kick, then you detect the sweetness. It's a subtle sweetness- not overpowering, but definitely there." "Hilarious," I said sarcastically and kicked him playfully in the shin. "Then you get the kick again," he winced, rubbing his leg.
Nancy Verde Barr (Last Bite)
L’inferno non esiste. E se esiste è vuoto. Dicono. Vivono forse in quartieri con giardini e scuole. Ignorano. Inferno sono gli enormi palazzi di cemento, alveari screpolati e abbandonati dalla bellezza, che fanno di cemento l’anima che li abita. L’inferno si annida nei sotterranei di questi palazzi stipati di polvere bianca tagliata alla meglio e carne umana in saldo. L’inferno è fame mai soddisfatta di pane e di parole. Inferno è un bambino sfregiato da fuori verso dentro, dalla pelle fino al cuore. Inferno è il lamento degli agnelli accerchiati dai lupi. Inferno è il silenzio degli agnelli sopravvissuti. Inferno è Maria madre a sedici anni, prostituta a ventidue. Inferno è Salvatore che ha poco pane per i figli e per la vergogna quel poco se lo beve. Inferno sono vie senza alberi e scuole e panchine su cui parlare. Inferno sono strade da cui non si vedono le stelle, perché non è concesso alzare gli occhi. Inferno è una famiglia che decide chi e che cosa sarai. Inferno è la consapevolezza fredda della disperazione altrui. Inferno è farla pagare ad altri perché sentano il sapore amaro che mastichiamo. Inferno è quando le cose non si compiono. Inferno è ogni seme che non diventa rosa. Inferno è quando la rosa si convince che non profuma. Inferno è un passaggio a livello che si apre su un muro. Inferno è ogni bellezza volontariamente interrotta. Inferno è Caterina che si è lanciata dal decimo piano con un ombrello in mano, perché all’inferno non voleva più starci e sperava che un angelo l’afferrasse prima dell’asfalto. Inferno è l’amore possibile ma mai inaugurato. Inferno è odiare la verità, perché amarla ti costerebbe la vita. Inferno è Michele con la schiuma alla bocca e gli occhi bruciati da un’overdose solitaria. Inferno è un vecchio senza nome morto da giorni in casa sua, senza che nessuno se ne accorga. Inferno è non vedere più l’inferno. In questo quartiere di questa città di uomini governano due demoni. Non hanno nomi esotici. Astaroth, Malebranche, Gog e Magog… No. Miseria. Ignoranza. Così si chiamano. Come cavalieri dell’Apocalisse. Misericordia e Parola basteranno ad arginarli? L’inferno esiste. Ed è qui. In queste strade feroci in cui i lupi fanno la tana. E gli agnelli insanguinati tacciono perché hanno più cara la vita di ogni altra cosa. E il sangue è il marchio della vita, perché se la parola non salva lo dovrà fare il sangue. Inferno è un padre che toglie la vita ai figli. L’inferno esiste ed è pieno. Non è al di là, ma al di qua, con mappe e indirizzi.
Alessandro D'Avenia (Ciò che inferno non è)
Leggevo qualsiasi cosa perché leggere era un buon sistema per scoraggiare tentativi di conversazione.
Maria Masella (Nessun ricordo muore.)
Cos'è la femminilità? È forza, coraggio, tenacia, volontà, consapevolezza. È scoprire la propria capacità di amare e il proprio desiderio di essere amata.
Maria Grazia Cucinotta (Vite senza paura: Storie di donne che si ribellano alla violenza (Italian Edition))
c'avissi a cadiriri 'a lingua a quelli che dicono la parola "diverso!" esclamò Maria. "Tutti uguali siamo, ricordatelo, a anessuno capita quello non è già capitato agli altri, non c'è mai niente di nuovo a questo mondo vecchio assai, ma i cristiani non lo capiscono.
Simonetta Agnello Hornby (La zia marchesa)
Provare a pensare sin da principio un'educazione alla vita significa pensare un'educazione alla specie: non un'educazione anonima, astratta, generica o metagenerica; ma un'educazione all'essere donne e all'essere uomini; all'essere donne meglio; all'essere uomini meglio; a essere donne e uomini assieme meglio; a essere una specie migliore perché riconoscere le sue radici autentiche, originarie e le sue possibilità di sviluppo.
Maria Rita Parsi (Manifesto contro il potere distruttivo)
L’inferno non esiste. E se esiste è vuoto. Dicono. Vivono forse in quartieri con giardini e scuole. Ignorano. Inferno sono gli enormi palazzi di cemento, alveari screpolati e abbandonati dalla bellezza, che fanno di cemento l’anima che li abita. L’inferno si annida nei sotterranei di questi palazzi stipati di polvere bianca tagliata alla meglio e carne umana in saldo. L’inferno è fame mai soddisfatta di pane e di parole. Inferno è un bambino sfregiato da fuori verso dentro, dalla pelle fino al cuore. Inferno è il lamento degli agnelli accerchiati dai lupi. Inferno è il silenzio degli agnelli sopravvissuti. Inferno è Maria madre a sedici anni, prostituta a ventidue. Inferno è Salvatore che ha poco pane per i figli e per la vergogna quel poco se lo beve. Inferno sono vie senza alberi e scuole e panchine su cui parlare. Inferno sono strade da cui non si vedono le stelle, perché non è concesso alzare gli occhi. Inferno è una famiglia che decide chi e che cosa sarai. Inferno è la consapevolezza fredda della disperazione altrui. Inferno è farla pagare ad altri perché sentano il sapore amaro che mastichiamo. Inferno è quando le cose non si compiono. Inferno è ogni seme che non diventa rosa. Inferno è quando la rosa si convince che non profuma. Inferno è un passaggio a livello che si apre su un muro. Inferno è ogni bellezza volontariamente interrotta. Inferno è Caterina che si è lanciata dal decimo piano con un ombrello in mano, perché all’inferno non voleva più starci e sperava che un angelo l’afferrasse prima dell’asfalto. Inferno è l’amore possibile ma mai inaugurato. Inferno è odiare la verità, perché amarla ti costerebbe la vita. Inferno è Michele con la schiuma alla bocca e gli occhi bruciati da un’overdose solitaria. Inferno è un vecchio senza nome morto da giorni in casa sua, senza che nessuno se ne accorga. Inferno è non vedere più l’inferno. In questo quartiere di questa città di uomini governano due demoni. Non hanno nomi esotici. Astaroth, Malebranche, Gog e Magog… No. Miseria. Ignoranza. Così si chiamano. Come cavalieri dell’Apocalisse. Misericordia e Parola basteranno ad arginarli? L’inferno esiste. Ed è qui. In queste strade feroci in cui i lupi fanno la tana. E gli agnelli insanguinati tacciono perché hanno più cara la vita di ogni altra cosa. E il sangue è il marchio della vita, perché se la parola non salva lo dovrà fare il sangue. Inferno è un padre che toglie la vita ai figli. L’inferno esiste ed è pieno. Non è al di là, ma al di qua, con mappe e indirizzi. Su Tuttocittà 1993.
Alessandro D'Avenia (Ciò che inferno non è)
Amore ti accade, non sei tu che decidi quando, o di chi. A un certo punto ti ritrovi innamorato e non puoi far altro che constatarlo: è accaduto. Ecco dunque perché Dante dice: Amor prese costui, Amor mi prese. Amore accidit. Amore è un accidens. Dante lo ribadirà nel XVIII del Purgatorio: innamorarsi di Bianca Maria non è né buono né cattivo, né giusto né sbagliato. Accade e basta. Ma non è tutto, questo non è che uno degli aspetti dell’inferno dell’eros. Un altro aspetto terribile d’Amore è contenuto proprio in quel verso misterioso, che nelle serenate rap scriviamo sulle metropolitane: Amor ch’a nullo amato amar perdona, che non significa, come ci dicono da secoli, che ogni amore è necessariamente corrisposto. Cosa significa, allora? Tutto l’arcano di questo verso misterioso è in quel verbo perdonare usato in modo così lontano dal significato moderno. Era un termine tecnico della giurisprudenza in latino, sinonimo dell’attuale condonare. Si condona la pena, si perdona la colpa. Al tempo di Dante si perdonava ancora la pena, e, attraverso l’uso ecclesiastico di abbuonare pene del purgatorio, il senso del verbo stava slittando pian piano verso l’uso corrente. Insomma, proviamo a sostituire il verbo perdonare con condonare, vediamo che succede: “Amore che non condona a nessun amato l’amare”. Ed eccoci all’improvviso di fronte a un Amore giudice, un giudice inflessibile, che non ci condona la pena d’amare chi ci ama. Noi potremo anche non ricambiare l’amore, questo è il punto, ma lui non ce ne esenta. Amore non condona, Amore non fa sconti di pena. Non dice, il verso, che l’amore implica necessariamente la reciprocità, ma che sempre la esige. Nel momento in cui si insedia dentro di noi senza chiederci il permesso e ci impone di amare qualcuno, al tempo stesso non condona l’amare all’amata, e pretende immancabilmente la reciprocità. Insomma, nel momento in cui, senza sapere perché, ci innamoriamo, aspiriamo a essere ricambiati, desideriamo solo che chi amiamo ci riami. Amore è terribile, Amore è scostumato, e questo verso così misterioso è il vero epicentro della tragedia, dell’inferno d’amore. Perché nemmeno Gianciotto può condonare l’amare all’amata. Se è lui l’assassino, si condanna a una pena peggiore. Il suo sarà un inferno di ghiaccio.
Francesco Fioretti (Il romanzo perduto di Dante)
Sì, il cuore umano è la dimora di spiriti perversi che hanno il sopravvento su di noi quando allentiamo il controllo, e ci costringono a gesti malvagi. Quando il fatto è compiuto, dileguano e ci lasciano in eredità lo sgomento, la paura e il rimorso.
Schiller Friedrich
I sovrani sono soltanto gli schiavi del trono, e ad essi è interdetto assecondare gli impulsi del cuore. Ho sempre desiderato morire nubile perchè un giorno si potesse leggere sulla mia tomba questa iscrizione: "Qui giace la regina vergine". Ma i miei sudditi hanno espresso parere contrario, e pensano a quando non ci sarò più. Non basta che il mio paese adesso sia prospero e lieto, io devo sacrificarmi in vista della sua futura felicità e rinunciare alla mia libertà di donna nubile, il bene più prezioso che possiedo, e accettare che mi venga imposto un padrone. In questo modo il mio popolo mi notifica che sono soltanto una donna, quando credevo di aver governato come un uomo e come un re. [...] Ma una regina, che non passa il suo tempo dedita all'ozio o ad una sterile contemplazione, e che si assume i compiti più gravosi senza mai tradire il minimo sforzo dovrebbe poter evitare quella legge che rende metà del genere umano soggetta all'altra metà...
Schiller Friedrich
Si può definire sovrano chi deve piacere sempre al mondo? Solo chi è libero di comportarsi come crede, senza curarsi dell'opinione altrui, può essere chiamato re!
Schiller Friedrich
Le donne avevano seguito Gesù per lui stesso, per gratitudine del bene da lui ricevuto, non per la speranza di far carriera al suo seguito. Ad esse non erano stati promessi «dodici troni», né esse avevano chiesto di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo regno. Lo seguivano, è scritto, «per servirlo» (Lc 8, 3; Mt 27, 55); erano le uniche, dopo Maria la Madre, ad avere assimilato lo spirito del Vangelo. Avevano seguito le ragioni del cuore e queste non le avevano ingannate.
Raniero Cantalamessa (Rifulge il mistero della Croce (Italian Edition))
Fiorenza, la mia terra, / che fuor di sé mi serra, / vota d’amore e nuda di pietate” e ripeta ai cittadini, così sordi ai suoi appelli, che Dante ormai non è più un nemico: Se vi vai dentro, va’ dicendo: “Omai non vi può fare il mio fattor più guerra”. Dante continuava a chiamarla Fiorenza, perché era un dotto, e anche perché in tutta Italia la chiamavano così; ma Remigio del Chiaro Girolami, il grande domenicano, predicatore in Santa Maria Novella proprio in quegli anni, ci dice non senza irritazione che ormai erano solo gli stranieri a usare quel nome: i cittadini non la chiamavano più così, ma nel loro linguaggio corrotto la chiamavano Firençe. Senza saperlo, Dante si stava trasformando in un forestiero
Alessandro Barbero (Dante)
Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di essere qui. E dirvi com'è bello pensare strutture di luce, e gettarle come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra – se vengono a occupare i linguaggi, il respiro, la dignità delle persone. A dirvi come sia buona la Terra, e il primo dei valori, e da difendere in ogni momento. Nei suoi paesi, anche nei suoi boschi, nelle sorgenti, nelle campagne, dovunque siano occhi – anche occhi di uccello o domestico o selvatico animale. Dovunque siano occhi che vi guardano con pace o paura, là vi è qualcosa di celeste, e bisogna onorarlo e difenderlo. So questo. Che la Terra è un corpo celeste, che la vita che vi si espande da tempi immemorabili è prima dell’uomo, prima ancora della cultura, e chiede di continuare a essere, e a essere amata, come l’uomo chiede di continuare a essere, e a essere accettato, anche se non immediatamente capito e soprattutto non utile. Tutto è uomo. Io sono dalla parte di quanti credono nell'assoluta santità di un albero e di una bestia, nel diritto dell’albero, della bestia, di vivere serenamente, rispettati, tutto il loro tempo. Sono dalla parte della voce increata che si libera in ogni essere – al di là di tutte le barriere – e sono per il rispetto e l’amore che si deve loro. C’è un mondo vecchio, fondato sullo sfruttamento della natura madre, sul disordine della natura umana, sulla certezza che di sacro non vi sia nulla. Io rispondo che tutto è divino e intoccabile: e più sacri di ogni cosa sono le sorgenti, le nubi, i boschi e i loro piccoli abitanti. E l’uomo non può trasformare questo splendore in scatolame e merce, ma deve vivere e essere felice con altri sistemi, d’intelligenza e di pace, accanto a queste forze celesti. Che queste sono le guerre perdute per pura cupidigia: i paesi senza più boschi e torrenti, e le città senza più bambini amati e vecchi sereni, e donne al disopra dell’utile. Io auspico un mondo innocente. So che è impossibile, perché una volta, in tempi senza tempo e fuori dalla nostra possibilità di storicizzare e ricordare, l’anima dell’uomo perse una guerra. Qui mi aiuta Milton, e tutto ciò che ho appreso dalla letteratura della visione e della severità. Vivere non significa consumare, e il corpo umano non è un luogo di privilegi. Tutto è corpo, e ogni corpo deve assolvere un dovere, se non vuole essere nullificato; deve avere una finalità, che si manifesta nell'obbedienza alle grandi leggi del respiro personale, e del respiro di tutti gli altri viventi. E queste leggi, che sono la solidarietà con tutta la vita vivente, non possono essere trascurate. Noi, oggi, temiamo la guerra e l’atomica. Ma chi perde ogni giorno il suo respiro e la sua felicità, per consentire alle grandi maggioranze umane un estremo abuso di respiro e di felicità fondati sulla distruzione planetaria dei muti e dei deboli – che sono tutte le altre specie –, può forse temere la fine di tutto? Quando la pace e il diritto non saranno solo per una parte dei viventi, e non vorranno dire solo la felicità e il diritto di una parte, e il consumo spietato di tutto il resto, solo allora, quando anche la pace del fiume e dell’uccello sarà possibile, saranno possibili, facili come un sorriso, anche la pace e la vera sicurezza dell’uomo.
Anna Maria Ortese (Corpo celeste)
Ora, io vorrei chiedere a chiunque mi ascolti – aspettando risposta, naturalmente, solo nel cuore: credete davvero che la vita umana sia sempre e solo trionfo sull'altro? che per essere contenti della propria vita bisogna aver posato il piede sul capo dell’altro? Credete che i deboli – paesi o individui – debbano essere eliminati anche se in modo indolore? Credete che zingari, poveri, pastori di greggi; che poeti, scrittori, preti e maestri non di parte o isolati, che attraversano questa vita lieti come fanciulli e vigili come madri, non servano proprio a nulla, e la vita, lo Stato possano fare a meno di essi? Credete che tutte le diversità interiori – assolutamente prima delle accidentali diversità fisiche o di comportamento – non siano, insieme alle macchine e a una ordinata produzione, gran parte della ricchezza reale di un paese? E che un paese non sia tale, non sia un paese, se non a causa della sua lingua, dei suoi pensieri, altrimenti lo vedremmo decadere a massa informe? Molte, a queste domande, potranno essere le risposte, ma oso pensare che, sostanzialmente, si sia d’accordo. Un paese, come non deve mancare di corsi d’acqua, di sorgenti, di nuvole, deve avere cura, o consentire la crescita, di anime, coscienze, grazia, linguaggi puri, ombre azzurre, altissime: o perirà. Si asciugherà il suolo, se mancano acque e foreste; si perderà la nazione se mancano anime e coscienze. Se non sarà legittima qualsiasi forma di profondità e di coscienza, il paese più forte perirà. Si asciugherà il suolo, se mancano acque e foreste; si perderà la nazione se mancano anime e coscienze. Se non sarà legittima qualsiasi forma di profondità e di coscienza, il paese più forte perirà. È stata questa la mia massima esperienza.
Anna Maria Ortese (Corpo celeste)
This convent, San Jacopo di Ripoli, was home to a community of forty-seven Dominican nuns.1 It stood on the western outskirts of Florence, in Via della Scala, close to the Porta al Prato and a ten-minute walk from the great Dominican basilica of Santa Maria Novella.
Ross King (The Bookseller of Florence: The Story of the Manuscripts That Illuminated the Renaissance)
The resplendent majolica cupola, a combination of yellow, green, and blue, atop the Chiesa di Santa Maria Assunta, beckoned to my senses, as did the azure expanse of the Positano bay.
Leilac Leamas (Devil's Puzzle: Love, Sex & Espionage)
Nessuno è di fronte alle donne più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell'uomo malsicuro della propria virilità
Corrado Augias (Inchiesta su Maria. La storia vera della fanciulla che divenne mito)
Tutti hanno un debito. È la vita, Maria Barring. Debiti e richieste di creditori, obblighi, riconoscenza, risarcimenti... Fare qualcosa per qualcuno. O forse per noi stessi? Perché in realtà è così, è sempre a noi stessi che paghiamo, a nessun altro. Ogni debito che abbiamo contratto lo paghiamo a noi stessi. In ognuno di noi ci sono al tempo stesso un creditore e un debitore. Si tratta di far quadrare i conti dentro di noi. Veniamo al mondo con un briciolo della vita che ci viene data, poi non facciamo che contrarre e pagare debiti. A noi stessi. Per noi stessi. Affinché alla fine i conti quadrino.
Andrzej Sapkowski (Baptism of Fire (The Witcher, #3))
Senza memoria si cancella la storia di un territorio e non c’è possibilità di capire il passato, di vivere il presente e di progettare il futuro.” [To live in the present and prepare for the future, the memory of the past must not be erased.] — Giacomo Oddero, patriarch of Poderi e Cantine Oddero, Santa Maria La Morra (Barolo)
Giacomo Oddero
Ricordi napoleonici. Memorie e itinerari dei francesi nel veronese (1796-1814) Giovanni Masciola, Arnaldo Liberati Rapsodia estetica J. François Lyotard QUID + Crescere con la testa e con il cuore. Ispirato agli insegnamenti di tre grandi maestri Nicola Tomba La storia di Don Giovanni raccontata da Alessandro Baricco Agostino Nobile Pavel Florenskij. Libertà e simbolo Ivan Menara Patafisica e cibernetica. Silvio Ceccato nei dintorni dell’una e dell’altra Fabio Tumazzo, Marco Maiocchi Me gusta malasana 1&2 (2 DVD) La storia di Don Giovanni raccontata da Alessandro Baricco. Ediz. illustrata Alessandro Baricco, A. M. Nacar La bottega del suono. Mario Bertoncini. Maestri e allievi Chiara Mallozzi, Daniela Tortora L' invenzione di Maria Maddalena Pierre-Emmanuel Dauzart Inferno. Lectura Dantis Bononiensis Emilio Pasquini Il diritto nell'età dell'informazione. Il riposizionamento tecnologico degli ordinamenti giuridici tra complessità sociale, lotta per il potere e tutela dei diritti Ugo Pagallo Guida ai palazzi di Trento. Viaggio romantico tra gli edifici storici della città Piera Fiorito Grandi mappe di città. oltre 70 capolavori che riflettono le aspirazioni e la storia dell'uomo. Ediz. illustrata Gli accampamenti napoleonici del regno italico Alfredo Ardenghi Fa sol la si... Perché? Giampiero Boneschi Dioniso a cielo aperto Marcel Detienne, Maria Garin Chescune colur mulez. Ricettario anglo-normanno per la preparazione dei colori Che cosa sia la bellezza non so Aa vv Cartografie di un visionario Pietro Civitareale Capire il colore. Fotografia, grafica, stampa Marco Olivotto, Dan Margulis Adius - Piero Ciampi Ed Altre Storie (Dvd+Cd) con Documentario (DVD)
libri non presenti su goodreads
Ma io sono tentato ogni volta che sento la luce posarsi sul balcone come una rondine. Questa irrazionale esistenza, questo poco cielo che mi resta fra le case, queste pietre abbandonate sono le mie occasioni; memoria, ove mi dò convegno: là finalmente sento di vincere la mia solitudine.
David Maria Turoldo (O sensi miei...: Poesie 1948-1988)
Gli Ebrei si erano lasciati tentare dall’idolatria, e la figura di questo giudice, Gedeone, assume tratti religiosi: egli demolisce l’altare pagano e diventa il salvatore di Israele dalle mire egemoniche dei Madianiti, una tribù ostile meridionale, pur essendo membro della «famiglia più oscura di Manasse» (6,15). Gedeone sarà un liberatore, e la sua vittoria evidenzierà la sua esperienza di “piccolo” e di ultimo sostenuto solo dalla forza di Yhwh. Ma in questo brano entra in scena un’altra delle tante correlazioni allegoriche che la tradizione cristiana ha liberamente – e spesso fantasiosamente – intessuto tra il Nuovo e l’Antico Testamento. Tutto ruota attorno alla cosiddetta “prova del vello”. Sull’aia Gedeone espone un vello di pecora: nella simbologia mariana esso diventa un’immagine del grembo di Maria. La rugiada notturna – che è molto abbondante –, in un panorama assolato com’è quello palestinese, è un emblema di benedizione (cf Genesi 27,28), è simbolo dell’amore divino (cf Osea 14,6). Abbiamo citato l’omelia di Proclo in onore della Theotókos quando abbiamo parlato del roveto ardente. Ecco come prosegue: «…roveto vivente che non fu bruciato dal fuoco del parto
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
divino, vera nube leggera che diede alla luce colui che, con il suo corpo, sta al di sopra dei cherubini, vello irrorato di celeste rugiada…». La liturgia siro-maronita per la festa di “Nostra Signora delle sementi” recita: «O Cristo Dio, Verbo del Padre, tu sei sceso come la pioggia sul campo della Vergine e, come grano di frumento perfetto, tu sei apparso laddove nessun seminatore aveva mai seminato e sei diventato cibo per il mondo… Noi ti magnifichiamo, Vergine Madre di Dio, vello che assorbì la rugiada celeste, campo di frumento benedetto per soddisfare la fame del creato». Il vello è il grembo di Maria nel quale entra la rugiada divina dello Spirito che genera il Cristo. Verginità e maternità divina si intrecciano nell’unica immagine del vello intriso di rugiada. La grandezza di Maria è tutta in questa irruzione del divino nell’umano, aperto e disponibile al divino. In Maria si stende un orizzonte di luce e di grazia per cui essa diventa segno di un mondo rinnovato sul quale scende la rugiada vivificatrice di Dio. Preghiera Ave, o gioia desiderabile. Ave, o esultanza delle chiese. Ave, o nome che ispira dolcezza. Ave, o volto che irradia divinità e grazia. Ave, o vello salvifico e spirituale. Ave, o madre dell’intramontabile splendore, avvolta di luce. Ave, o illibatissima madre della santità. Ave, o fonte limpidissima dell’onda vivificante. Ave, o nuova madre, sede della nuova generazione. Ave, o ineffabile madre di un mistero inafferrabile. Ave, o creatura che hai afferrato il tuo Creatore. Ave, o piccola dimora che contenesti l’Incontenibile!
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
Il racconto narra di una famiglia che vive l’emigrazione in terra straniera (a causa di una carestia) e il lutto. Resta un nucleo familiare povero e indifeso, composto da tre vedove: Noemi e le due nuore Orpa e Rut. Noemi, ormai sola e senza protezione, decide di ritornare al suo paese, Betlemme, ed invita le nuore a lasciarla per tornare alla casa paterna. Orpa si lascia convincere, Rut, invece, non ha esitazioni: «Non forzarmi a lasciarti e ad allontanarmi da te, perché dove tu andrai andrò anch’io… il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio il mio Dio, dove tu morirai, morirò anch’io e là sarò sepolta» (1,16-17). La miseria e la fame costringono Rut a spigolare nel campo del parente prossimo di suo suocero Elimèlech, Booz. Costui resta conquistato dall’amore e dalla generosità della donna e, con discrezione, la colma di attenzione. I due si sposano, si amano e danno alla luce un figlio, Obed. Costui dovrà incarnare la discendenza sia del marito defunto di Rut sia di Elimèlech, il marito di Noemi, restato senza eredi con la morte dei due figli. Ma il vertice del racconto è in quella nota genealogica finale ripresa da Matteo: «Obed fu il padre di Iesse, padre di Davide» (4,17). Rut, come le altre donne citate nella genealogia di Gesù secondo Matteo (Tamar, Rahab e Betsabea), ha una qualità che la rende “diversa”, è una straniera, un dato abbastanza scandaloso in una civiltà così sensibile alla purezza razziale com’è quella ebraica.
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
Ma Rut, come le altre donne, diventa strumento dello Spirito nella storia della salvezza nonostante la sua debolezza di donna, le sue origini non del tutto accettabili, le sue condizioni un po’ eccezionali. Ritorna, dunque, quella legge divina che in Maria celebra il suo trionfo e che siamo costretti a ribadire quasi ad ogni tappa del nostro itinerario mariano. È la legge del “meno” che Dio trasforma in “più”. È con costoro che Dio compie cose grandi, è da Rut che nasce Davide, il segno della speranza messianica. In un certo senso la modesta donna straniera riceve un riverbero regale, come la modesta vergine del villaggio di Nazaret riceverà nella storia il titolo di regina. L’icona mariana di Rut ci piace, quindi, immaginarla regale. Il Signore che “rovescia i potenti dai troni”, è pronto a insediarvi gli umili. Maria e Rut sono come regine perché hanno generato un re, dal quale ricevono gloria e splendore.
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
Siamo attorno al XII secolo a.C. Gli Ebrei, liberati dell’oppressione egiziana, stanno occupando la terra promessa, abitata dagli indigeni cananei. Ma al centro dell’attuale Galilea, essi si scontrano con la violenta reazione del regno di Hazor, una potente città-stato, il cui re, Iabin, poteva schierare un’eccezionale armata da guerra. Israele, invece, è un popolo agricolo, militarmente impreparato, retto da Samgar, un «giudice» (cioè un politico) inetto e titubante, e da Barak, un generale incerto, e si sta avviando fatalmente ad essere divorato dall’avanzata cananea. È a questo punto che Dio, come in altre situazioni della salvezza, compie una scelta apparentemente stravagante. Sarà una donna, una creatura disprezzata in Oriente (e non solo…) a donare a Israele la libertà; a rivelare “profeticamente” la vicinanza di Dio a un popolo oppresso. Colui che appare è «Yhwh del Sinai, Dio d’Israele», cioè il Signore della libertà, colui che strappa lo schiavo dall’oppressione, colui che anche adesso sta per entrare in azione per aiutare un popolo umiliato e schiacciato. Debora è «giudice», termine che nel linguaggio biblico abbraccia tutta l’attività politica, e «profetessa»: pur essendo donna fragile, con la
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
sua presenza e la sua azione rivela la presenza attiva di Dio nel groviglio spesso drammatico delle vicende umane. La sua missione è quella di svelare che la storia che viviamo è storia di salvezza; sotto l’involucro delle azioni umane e del tempo opera un altro grande protagonista, il Dio liberatore. Il Signore celebra le sue vittorie coi deboli ed è proprio su questa strada che può prendere corpo l’applicazione alla storia di Maria, colei che ha cantato nel Magnificat la sua certezza che Dio «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (Luca 1,52). Debora e Maria di Nàzaret, vissuta più di mille anni dopo la «profetessa» d’Israele, sono unite da un motivo teologico fondamentale che dovremo ripetere per tutte le altre donne dell’Antico Testamento che incontreremo (Rut, Anna, Ester, Giuditta) e che la tradizione cristiana ha raccordato alla madre di Gesù: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono» (1Corinzi 1,27-28). La coscienza della propria povertà, umiltà, semplicità, non significa fatalismo, inerzia, quietismo. Come in Debora, che sa di avere una missione da compiere di portata storica, così anche Maria è consapevole che Dio la sta avviando su una strada unica e sorprendente. Non si tratta di un’umiltà che si avvita su se stessa, crogiolandosi in malinconie o nostalgie o frustrazioni. Essere «serva del Signore» è, sì, la coscienza del proprio limite creaturale, ma unito all’azione divina e alla vocazione straordinaria a cui si è chiamati.
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
Il divano siede sempre dalla parte del giusto. Un divano non ti giudica, non ti fa domande né salta alle conclusioni. Un divano ti accoglie vestita, nuda, ricca, povera. Un divano non ti chiede da che parte stai ma ti offre tutto se stesso, braccioli inclusi. Un divano ospita te, i tuoi pensieri, le tue angosce, i tuoi drammi, i tuoi dilemmi, e fa anche spazio alle soluzioni. Il letto è lo sposo, il divano è l’amante. Puoi dormire su di lui senza conseguenze emotive. Il divano è sempre stato il mio sostegno, l’unico su cui possa contare.
Francesco Muzzopappa (Santa Maria: Anche la Morte va in burnout (Italian Edition))
Erano trascorsi solo dieci anni da allora, eppure ero diventata un’altra persona. Leggi, codici, articoli mi avevano domata, trasformando la mia esuberanza in un elenco di regole. Oppure era il male con cui mi scontravo ogni giorno a non aver lasciato traccia della spensieratezza di un tempo. Mi teneva a distanza dalla gente, perché avevo imparato a mie spese che può insinuarsi ovunque.
Maria Elisa Aloisi (Sto mentendo (Ilia Moncada #2))
L’esperienza di Dio che Mosè vive ai piedi del monte Oreb, davanti a un roveto che ardeva nel fuoco senza consumarsi, e dal quale udì provenire la voce del Signore che gli parlava, ci rimanda al simbolismo classico delle manifestazioni di Dio, il fuoco, rappresentazione della vicinanza e della trascendenza divina. Fiamma che non può essere afferrata e trattenuta, eppure che ci attraversa col suo calore e col suo splendore. Il suo carattere «inestinguibile» evoca l’eternità perfetta e l’immutabilità suprema di Dio. Questa epifania di Yhwh avviene nella cornice di un luogo santo, in cui Mosè è entrato inconsapevolmente. Ce lo rivela il gesto, di ammissione e di purificazione, che è invitato a fare: togliere i calzari, come segno di umiliazione e di spogliazione delle impurità rituali. La connessione tra la scena dell’Oreb e Maria di Nazaret è, ovviamente, allegorica, metaforica, libera e creativa. Il roveto arde in mille pagine mariane, della tradizione e dei Padri della Chiesa, come segno della verginità di Maria, della sua maternità divina. Ecco come Gregorio di Nissa, grande padre della Cappadocia (Turchia), vissuto nel IV secolo, in un’omelia natalizia sviluppa questo tema: «Ciò che era prefigurato nella fiamma e nel roveto, fu apertamente manifestato nel mistero della Vergine. Come sul monte il roveto ardeva ma non si consumava, così la Vergine partorì la luce ma non si corruppe. Né ti sembri sconveniente la similitudine del roveto, che prefigura il corpo della vergine, la quale ha partorito Dio». Durante una omelia del 428-429, Proclo, futuro patriarca di Costantinopoli, parla della
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
Nell’uso del roveto dell’Oreb si intuisce la dimensione simbolica mariana connessa al titolo Theotókos: Dio si rivela in pienezza in Maria, come nel roveto era Dio a svelarsi a Mosè. Efrem Siro, morto nel 373, fa balenare la verginità di Maria come sede della manifestazione di Dio. Il grembo di Maria è come il roveto nel quale discende il fuoco teofanico e nel quale Yhwh si rende presente e sperimentabile a Mosè. Nella stessa linea si muove anche Severo, patriarca di Antiochia, morto nel 538. In un’omelia, la 67, egli afferma: «Quando volgo lo sguardo alla Vergine Madre di Dio e tento di abbozzare un semplice pensiero su di lei, fin dall’inizio mi sembra di udire una voce che viene da Dio e che mi grida all’orecchio: “Non accostarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai è terra santa!”… Avvicinarsi a lei è come avvicinarsi a una terra santa e raggiungere il cielo». Certo, come dirà Ambrogio, «Maria non è il Dio del tempio ma il tempio di Dio». Perciò noi dobbiamo, come Mosè, avvicinarci a lei a piedi scalzi perché nel suo grembo è Dio che si rivela e lo fa nel modo più vicino e trasparente, rivestendo la carne dell’uomo.
Gianfranco Ravasi (Un mese con Maria (Italian Edition))
Per quanto Henry Crawford abbia trovato sgradevole sua suocera, quella di Maria Rushworth lo è molto di più. Oggi ho visto abbastanza per essere grato della mia.
Carrie Bebris (The Matters at Mansfield: Or, The Crawford Affair (Mr. & Mrs. Darcy Mysteries, #4))
Got something!’ Maria Lynch interrupted them, dragging a page from the printer. ‘The dress was bought from Dinkydress on April first. Paid for by credit card. They won’t say who owns the card, but it was delivered by courier to Maeve Phillips, 251 Mellow Grove, on the fifth.’ ‘She had that dress over a month and never wore it. Wonder what it was bought for? Any credit cards in her own name?’ Lottie asked, reading the page. ‘She hasn’t even got a bank account,’ Lynch said. ‘Someone bought it for her. Might be a boyfriend. See if you can get the company to release the name.’ ‘How?’ ‘Make something up. I think whoever bought that dress may be Maeve’s mystery boyfriend. If we find this boyfriend, we might find Maeve. We need to be concentrating on the murder of the woman found under the street.’ ‘Will I hand this missing person case over to someone else, so?’ Lynch asked. ‘No. We need to make it high priority. Find out if Maeve Phillips has a passport, and I want to talk to this friend of hers, Emily. I need to be sure Maeve’s disappearance isn’t linked to the murder.’ ‘Hardly likely, is it?’ Boyd said. ‘Ticking the box,’ Lottie said. ‘As long as it’s not a wooden one with a brass cross on top,’ Kirby said, raising his head from behind a mountain of paperwork.
Patricia Gibney (The Stolen Girls (D.I. Lottie Parker, #2))
«Che bella ragazza, e così giovane! Come ci fa piacere avere finalmente le gonnelle tra noi! Venga che le offro un caffè!», dice Monsignor Raffaele Barbieri, incrociando nei corridoi di Montecitorio la comunista Mattei, prima di essere seccamente zittito: «Le uniche gonnelle ammesse qui dentro sono le mie, non le sue!».
Filippo Maria Battaglia (Stai zitta e va' in cucina: Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo)
Durante lo spoglio scandisce il nome della dc Ines Boffardi tra i sorrisi e le battute sarcastiche di diversi colleghi. «C'è poco da ridere», li zittisce. «Anche una donna può diventare presidente, lo sapete?». Sembra di no.
Filippo Maria Battaglia (Stai zitta e va' in cucina: Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo)