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Il governo dei popoli cambia natura. Dei vecchi governi, portatori d’indirizzi politici, restano solo le vestigia esteriori. Invece d’essere il centro propulsore d’energia politica, in vista di obiettivi determinati dalle scelte politiche, esso è piuttosto il gestore dello status quo, attraverso la garanzia dei suoi equilibri interni e la difesa dalle perturbazioni esterne. Non a caso – come s’è detto a proposito del nichilismo – è entrata nell’uso la parola molto moderna governance, la «governanza» della quale politologi e costituzionalisti à la page subiscono il fascino. La governance è il coordinamento efficace delle forze in campo, la loro «messa in rete» finalizzata alle diverse «tenute»: tenuta dei conti pubblici, tenuta della coesione sociale, tenuta del «sistema» economico-sociale complessivo, denominato «sistema» o «azienda». Il governo, nella sua visione classica, era chiamato a scelte incidenti sul corpo sociale, secondo visioni politiche. Nella governance, no. La sua funzione è una funzione di garanzia di ciò che esiste nel vasto campo delle forze che operano sul terreno sociale, dunque una funzione conservatrice. Essa mira alla gestione dell’equilibrio tra i fattori, a tenere sotto controllo le situazioni critiche, a ridurre i propri interventi autoritativi, a estendere l’autoregolazione dei diversi attori sociali, a rimettere in moto la macchina che si sia inceppata e a evitare l’implosione determinata dal crescere incontrollato della contraddizione degli interessi. La sostituzione di personale tecnico al personale politico, nelle compagini governative, è la naturale conseguenza. I tecnici sono coloro ai quali ci si rivolge per riparare i meccanismi in panne, per tenere insieme, in regime di compatibilità generali, i pezzi della macchina combinatoria dei soggetti che contano: s’intende, cioè, le forze che rappresentano coloro che avrebbero la forza d’incrinare, se lo volessero, le tanto indispensabili «tenute». Il compito dei tecnici, anche quando mostrano di usare tecniche innovatrici, è intrinsecamente conservatore. Chi sta fuori, non conta o, se la frustrazione e il malessere crescono al punto di creare difficoltà alla tenuta, lo si degna di qualche attenzione caritativa oppure, se non basta, c’è sempre il baculum, il bastone di cui parlava il cardinale Bellarmino, tenuto di riserva. Perciò, si può dire facilmente che la governance è un regime dal doppio regime: conciliatore con chi sta dentro, spietato con chi sta fuori. Così è ogni regime pastorale il cui volto benevolo si associa alla mano correzionale, cioè repressiva
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