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Mi sono risvegliata dall'etere con la sensazione di essere stata abbandonata e ho chiesto subito all'infermiera se era un maschio o una femmina. Lei ha detto che era una femmina, così ho voltato la testa e ho pianto. "Va bene,' mi sono detta, sono contenta che sia una femmina. E spero che sia scema - la cosa migliore per una femmina in questo mondo è essere una bella scemetta."
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Fece un sorriso comprensivo, molto più che comprensivo. Era uno di quei rari sorrisi che racchiudono un tocco di rassicurazione eterna, e nel quale ci si imbatte quattro o cinque volte nella vita. Per un istante affrontava - o pareva affrontare - l'eternità intera per poi concentrarsi su di te con una irresistibile predilezione nei tuoi confronti. Ti comprendeva fino al punto in cui volevi essere compreso, credeva in te come tu vorresti credere in te stesso e ti assicurava che di te aveva esattamente l'impressione che, al tuo meglio, speravi di dare.
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Trent'anni - la promessa di un decennio di solitudine, un elenco sempre più sottile di scapoli da conoscere, una valigetta sempre più sottile di entusiasmo, di capelli sempre più sottili.
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E mentre me ne stavo lì a rimuginare su un mondo vecchio e sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby quando per la prima volta aveva scorto la luce verde in fondo al pontile di Daisy. Era venuto da lontano fino a questo prato blu, e il suo sogno deve essergli sembrato così vicino che non poteva credere di non riuscire ad afferrarlo. Non sapeva che ce l'aveva già alle spalle, da qualche parte nella vasta tenebra oltre la città, dove i campi scuri della repubblica ondeggiavano sotto la notte.
Gatsby credeva nella luce verde, nel futuro orgastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi. Allora ci è sfuggito, ma non importa; domani correremo più forte, allungheremo le braccia ancora di più... E un bel mattino...
Così navighiamo di bolina, barche contro la corrente, riportati senza posa nel passato.
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F. Scott Fitzgerald (The Great Gatsby)